ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 3 ottobre 2017

In mostra a Murano la collezione di Barry Friedman

Bianconi, Buzzi, Nason, Poli, Scarpa e Zecchin, Seguso, Barovier, Toso, Cenedese, Salviati e Venini: i nomi di alcuni tra i più importanti designer del vetro e delle aziende più famose del settore sfilano all’interno della collezione Barry Friedman: centodiciassette capolavori da poco approdati in prestito a lungo termine al Museo del vetro di Murano.
A poco più di due anni dal radicale intervento di restyling che ha interessato la sede espositiva lagunare, consentendo di raccontare con rinnovato vigore la straordinaria avventura del vetro dalle origini fino ai giorni nostri, il circuito dei Musei civici di Venezia si arricchisce, dunque, di un nuovo e straordinario corpus di opere grazie alla collaborazione con Venetian Heritage, organizzazione internazionale non-profit che agisce nel quadro del Programma congiunto Unesco-Comitati privati internazionali per la salvaguardia di Venezia.
Tra i centodiciassette manufatti giunti in prestito da Oltreoceano ne sono stati selezionati una cinquantina per un’esposizione temporanea nel museo lagunare, consentendo così di vedere il meglio della preziosa collezione del gallerista newyorkese Barry Friedman, che va implementare la sezione museale dedicata al XX secolo.
È durante il ‘900 infatti che i maestri vetrai, declinando le antiche tecniche mediante nuove soluzioni estetiche che combinavano con estrema originalità stile e design, diedero vita a un oggetto artistico universalmente riconosciuto nel mondo.
Barry Friedman ha sempre amato scoprire importanti opere d’arte. Dal suo primo piccolo vaso della manifattura Loetz nel 1966 fino al lavoro degli artisti di talento che espone oggi. Con quel primo pezzo ha cominciato ad apprezzare l’arte vetraria di grandi artisti quali Emile Gallé e Tiffany. All’inizio degli anni Settanta ha cominciato a collezionare e a trattare i dipinti dei pittori simbolisti e pre-raffaelliti come Gustav Moreau, Fernand Khnopff, Ferdinand Hodler, Dante Gabriel Rossetti, Edward Burne-Jones e altri. Alla fine degli anni Sessanta è stato uno dei primi americani a trattare l’Art Déco, tra cui anche dipinti di Tamara de Lempicka.
La mostra del 1983 «From MackIntosh to Mollino: Fifty Years of Chair Design» ha ricevuto consensi unanimi della critica da New York a Tokyo e ha fatto soprannominare Friedman «The Chair Man», l’«uomo della sedia».
Contemporaneamente il collezionista americano ha iniziato ad interessarsi alla fotografia d’avanguardia, esponendo, in partnership con Edwynn Houk, le opere di Man Ray, Lissitzky, Moholy-Nagy e Rodchenko.
Più recentemente, nel 2009, «Venice: 3 Visions in Glass», mostra presentata sia in Europa che negli Stati Uniti.
Friedman ha iniziato a collezionare oggetti d’arte in vetro di produzione italiana dal 1900 al 1950. «Contemporaneamente, alla Barry Friedman Ltd.», racconta lo stesso collezionista, «ho iniziato a esporre i lavori dei francesi degli anni Quaranta e Cinquanta, tra cui le opere di Jean Prouvé, Serge Mouille e André Arbus. Ho anche cominciato a interessarmi di dipinti cubisti, costruttivisti e della Neue Sachlichkeit. A metà degli anni Novanta, sono ritornato al mio amore per il vetro artistico quando ho conosciuto l’opera di Michael Glancy. Questa scoperta mi ha condotto ad avvicinarmi ad artisti italiani del vetro come Laura de Santillana e Cristiano Bianchin».

Informazioni utili
Museo del vetro, Fondamenta Giustinian, 8 – Murano (Venezia). Orari: dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00-18.00; dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00–17.00; la biglietteria chiude un'ora prima;
aperto tutti i giorni, escluso il 25 dicembre, il 1° gennaio e il 1° maggio. Ingresso: intero € 10,00; ridotto € 7,50; biglietto scuole € 4,00. Informazioni: call center 848082000 (dall’Italia); +3904142730892 (dall’estero),
info@fmcvenezia.it. Sito internet: www.visitmuve.it.

domenica 1 ottobre 2017

A Milano Mirò rilegge Prévert

Si apre con un omaggio all’arte grafica di Joan Miró la nuova stagione espositiva della galleria Deodato Arte di Milano. L’esposizione, visibile dal 28 settembre al 4 novembre, presenta un’accurata selezione di incisioni e litografie del maestro catalano realizzate principalmente tra gli anni Cinquanta e Ottanta, anche se non mancano testimonianze degli anni Trenta.
È, infatti, con il trasferimento a Palma de Maiorca, dove viene allestito un laboratorio di incisione e litografia, che l’artista può confrontarsi con maggior continuità con questa tecnica artistica, dalle molteplici possibilità espressive e comunicative, che ben si sposa con la sua arte, versatile, ricca di simboli e di colori accesi. L’utilizzo di strumenti inusuali come pettini, chiodi, dita e altro ancora, oltre al contatto diretto e fisico con i materiali, contribuisce a rendere ancora più personali le lastre incise, dalle quali emerge una forte connessione anche dal punto di vista emozionale.
Spesso destinate a volumi e riviste pubblicate in tiratura limitata, che si tratti di incisioni calcografiche a puntasecca, acqueforti o litografie a colori, le grafiche di Miró sono fedeli testimoni del suo linguaggio e al tempo stesso creano tra immagine e testo, reinterpretato secondo la propria sensibilità, un perfetto connubio.
Nell’esaustiva panoramica dei lavori in mostra s’incontrano alcune opere degli anni Trenta che attestano le prime sperimentazioni incisorie come «Daphnis et Chloé» e «Fraternity» dal carattere narrativo e perfettamente rappresentative delle tematiche trattate.
Di matrice più astratta, sebbene con chiari riferimenti ai titoli, sono le litografie della serie «Haï-Ku» degli anni ‘60 come «Herbes d’été», «La bouge du sanglier» e «Au portrait couvert de neige», dove dalla semplice forma geometrica, dai piccoli punti e dalle macchie di colore è possibile scorgere soli, stelle, lune, occhi, figure femminili e uccelli, soggetti prediletti dell’artista. Questa ampia galleria di figure stilizzate, filiformi, surreali nasconde -dietro ad un’apparente semplicità e leggerezza- un’essenza più complessa, espressione di riflessioni profonde e di uno stato d’animo inquieto.
Colori pieni, vivaci che si contrappongono a linee e contorni neri, figure che fluttuano e galleggiano insieme alle parole, caratterizzano le tavole del poemetto «Le lézard aux plumes d'or» (1971), uno fra gli esempi più evidenti della compenetrazione fra disegno e testo. L’argomento trattato nella favola fa riferimento a una lucertola con le piume d’oro ed è molto vicino alle tematiche legate al sogno e ai mondi fantastici indagati costantemente dall’artista catalano.
Più essenziali, per quanto concerne linee e colori, sono le litografie realizzate per la serie dedicata a «L’enfance d’Ubu» (1975). François Ubu, protagonista di tre opere teatrali di Alfred Jarry, impersona un uomo adulto dall’atteggiamento primitivo, vile e avido di potere, di cui Miró sceglie di inventare e rappresentare l’infanzia; la figura fittizia di questo soggetto si muove in un mondo irreale, popolato da animali e creature fantastiche, che si contrappongono alla reale natura di Ubu conosciuta nell’immaginario collettivo.
Particolarmente significativi sono inoltre i lavori incisori accompagnati da poesie di Jacques Prévert, tratti dal libro in tiratura limitata «Adonides» (1975), le cui pagine originali esposte mettono in evidenza sulla stessa lastra l’incisione di versi e il disegno a simboleggiare la totale unione delle due arti e dei due artisti.
Di grande impatto sono l’incisione e acquatinta «Sans titre III» del 1981 su carta guarro capace di fornire uno spiccato effetto tridimensionale, evocativo del bassorilievo e il manifesto realizzato in occasione dei mondiali di calcio del 1982, un’opera d’arte colorata, fresca che andò a sostituire la vecchia classica iconografia del torero e delle corride, ottenendo uno strepitoso successo.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Joan Miró, Senza Titolo, 1975. Incisione dal libro Adonides con poesia di Jacques Prévert, cm 40x33,5; [fig. 2] Joan Miró, Sans Titre III, 1981. Incisione ad acquatinta su carta Guarro, cm 92x72,5; [fig. 3] Joan Miró, Senza Titolo 2, 1974. Litografia a colori, cm 27,8x56,5 

Informazioni utili 
Joan Miró. Capolavori grafici. Deodato Arte, via Santa Marta, 6 – Milano. Orari: martedì – sabato, ore 10.30-14.00 e ore 15.00-19.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.80886294, galleria@deodato-arte.it. Sito internet: www.deodato.com. Dal 28 settembre al 4 novembre 2017

venerdì 29 settembre 2017

Da Lorella Cuccarini a Geppi Cucciari: grandi nomi nella stagione del Manzoni di Busto

«Se una star è quasi sempre garanzia di successo, due insieme promettono faville». Sembra essere questo, secondo l’agenzia Ansa, il fil rouge del nuovo anno teatrale in Italia, dove, tra grandi reunion e nuove affinità, «in locandina si punterà sempre più sul confronto a due».
Su una coppia scommette anche il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio per l’inizio della sua nuova stagione teatrale. Venerdì 27 ottobre a calcare le assi del palcoscenico di via Calatafimi saranno, infatti, Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, gli straordinari protagonisti del musical «Grease» che, dopo vent'anni, tornano nuovamente in scena insieme nella commedia «Non mi hai più detto ti amo», scritta e diretta da Gabriele Pignotta.
Si apre, dunque, in grande stile la programmazione della sala di via Calatafimi che, fino a venerdì 4 maggio 2018, vedrà succedersi sul suo palcoscenico otto spettacoli teatrali capaci di accontentare i gusti di un pubblico eterogeneo.
Commedia brillante, prosa classica e di impegno civile, one woman show comico e cabaret musicale sono solo alcuni dei generi scenici che compongono il cartellone, nel quale spiccano i nomi di conosciuti e apprezzati protagonisti del teatro e della cultura italiana come Geppi Cucciari, Sergio Assisi, Vanessa Gravina, Valentina Lodovini, Ivano Marescotti e Max Pisu.
Il ruolo della famiglia e della donna nella società contemporanea, le passioni civili, la parola come strumento comunicativo che segna la cronaca di un’epoca sono alcune delle tematiche al centro della nuova stagione, per la quale è stato scelto ancora una volta il titolo «Mettiamo in circolo la cultura». «Non mi hai più detto ti amo», lo spettacolo che apre il cartellone, racconta, per esempio, «la storia di una famiglia italiana contemporanea, costretta -si legge nella sinossi- ad affrontare un cambiamento traumatico improvviso e che, alla fine di un percorso umano difficile e intenso, si ritroverà completamente trasformata e forse più preparata a sopravvivere». Lorella Cuccarini, al debutto in una commedia non musicale, interpreta Serena, una madre che, con grande coraggio, trova la forza di mettersi in discussione per riscoprire il suo essere donna. Giampiero Ingrassia è suo marito, Giulio, un uomo che reagirà al repentino cambiamento della moglie, riscoprendo, finalmente, il suo ruolo di padre.
I due attori romani passeranno il testimone a Sergio Sgrilli che, nella serata di venerdì 17 novembre, proporrà lo spettacolo interattivo «20 in poppa», uno show celebrativo di vent’anni di carriera o, meglio, una sorta di Bignami di quasi tutto quello che l’artista toscano ha fatto per «sbarcare il lunario al meglio che si può». Dalle origini in Maremma ai primi concerti come musicista-cantante «colorati» di battute e aneddoti, fino ad arrivare ai monologhi che lo hanno reso una delle star di «Zelig»: Sergio Sgrilli si racconterà a tutto tondo, tra risate a crepapelle e momenti introspettivi, in un appuntamento all’insegna della musica (con qualche canzone del nuovo cd «Dieci venti d’amore») e della comicità d’autore.
La stagione proseguirà nella serata di giovedì 25 gennaio 2018 con la commedia «Queste pazze donne» del viennese Gabriel Barylli, che vedrà salire sul palco tre note e apprezzate protagoniste del teatro italiano: Paola Quattrini, Vanessa Gravina ed Emanuela Grimalda. «Uno sguardo autentico, divertente, sensuale, brillante e disincantato sul mondo femminile» è ciò che offre al pubblico questo spettacolo, tra commedia e melodramma, la cui regia è firmata da Stefano Artissunch. Dalle confessioni delle protagoniste, tre donne diverse nel temperamento e nelle scelte di vita, emergeranno «storie di amori negati o vissuti, intrecci, gelosie, figli segreti, case, vestiti colorati, scenari quotidiani a tinte vagamente gialle».
Mercoledì 21 febbraio sarà, quindi, la volta dell’ironica e tagliente Geppy Cucciari che, sotto la regia di Matteo Torre (autore anche del testo), porterà in scena il suo nuovo one woman show: «Perfetta», «radiografia sociale ed emotiva, fisica, -si legge nella sinossi- di ventotto comici e disperati giorni della vita» di una donna, attraverso le quattro fasi del ciclo femminile.
Riflettori puntati, poi, su Sergio Assisi che venerdì 9 marzo calcherà il palcoscenico bustese, nella doppia veste di attore e regista, con la commedia «L’ispettore Drake e il delitto perfetto» del britannico David Tristram. In scena per questo frizzante spettacolo, dalla miscela esplosiva e irresistibilmente comica, ci saranno anche Luigi Di Fiore, Francesco Procopio, Fabrizio Sabatucci e Beatrice Gattai. Protagonista della storia è l’ispettore Drake, personaggio bizzarro al servizio di un thriller surreale, che racchiude in sé tutti i luoghi comuni del detective esasperati all’ennesima potenza. «La sua lampante incompetenza, malcelata da un atteggiamento serioso e goffamente beffardo, -si legge nella sinossi- è resa ancora più esilarante dall’accoppiata con il sergente Plod, il peggior assistente che un detective possa desiderare di avere a fianco, quando si sta indagando su un omicidio».
Giovedì 29 marzo il pubblico bustese potrà, quindi, ammirare un’altra coppia di attori, questa volta inedita per la scena italiana. Dopo Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia sarà la volta di Ivano Marescotti e Valentina Lodovini con «I have a dream – Le parole che hanno cambiato la storia», spettacolo scritto da Ennio Speranza e Gabriele Guidi, autore anche della regia. Da Demostene a Martin Luther King, da Pericle a Robespierre, passando per Lady Astor, Gandhi, Kennedy, Churchill, Fidel Castro, Mandela, Umberto Eco e molti altri: l'atto unico propone un viaggio tra i discorsi di uomini che, con il loro pensiero e la loro azione, hanno scritto il nostro futuro. Democrazia, identità etnica, ruolo delle donne, eccidi, intolleranza religiosa, ma anche arte e letteratura come strumenti di protezione dell’essere umano sono solo alcune delle tematiche che il pubblico potrà approfondire.
Di tutt'altro genere lo spettacolo che venerdì 13 aprile vedrà salire sul palco bustese due volti noti del cabaret, il legnanese Max Pisu e Claudio Batta, insieme con gli attori Claudio Moneta, Stefania Pepe, Roberta Petrozzi e Giorgio Verduci. «Veloce, agile, divertente, e con un (falso) finale thriller» si presenta così lo spettacolo in scena: la commedia «Il rompiballe», uno dei capolavori di France Veber, il «Neil Simon francese», nella rilettura e per la regia di Marco Rampoldi. La trama promette risate a non finire: un killer deve uccidere un importante uomo politico attraverso la finestra di una camera d’albergo; a complicare la situazione, nella stanza accanto, c’è il classico «rompiballe», un maldestro fotografo con tendenze suicide che si porta dietro un assurdo viavai di mogli esasperate, amanti aggressivi, cameriere impiccione e poliziotti maldestri.
A chiudere la stagione sarà «Freddy Aggiustatutto» di Lorenzo Riopi e Tobia Rossi, testo vincitore della quinta edizione del concorso «Una commedia in cerca d'autori», con il quale il Manzoni di Busto Arsizio prosegue la propria collaborazione con «La Bilancia Produzioni» (società che gestisce i teatri Martinitt di Milano e de’ Servi di Roma) nella ricerca di talentuosi drammaturghi under 40 che diano nuovo vigore a un genere, quale quello del teatro brillante, che fa parte della nostra storia. Lo spettacolo, in programma per la serata di venerdì 4 maggio 2018, offre una fotografia spietata e cinica del mondo televisivo, emblema della superficialità e della manipolazione, raccontando la storia di Freddy, un ragazzo ipocondriaco e ingenuo, che, sul piccolo schermo, si trasforma in un macho palestrato disponibile ad aiutare casalinghe disperate. Sul palco, sotto la regia di Roberto Marafante, saliranno Giuseppe Cantore, Giulia Carpaneto, Alessia Punzo e Alessandra Schiavoni.
Un cartellone, dunque, nato con l’intento di divertire, ma anche di suscitare riflessioni e di offrire conoscenza quello che il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio propone per la nuova stagione con l’intento di avvicinare nuovo pubblico.

Informazioni utili
Stagione 2017-2018. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). tel. 0331.677961 Orari botteghino: dal lunedì al sabato, dalle 17.00 alle 19.00. Informazioni: tel. 0331.677961, info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.

mercoledì 27 settembre 2017

Milano, mounir fatmi inaugura la nuova sede della galleria Officine dell’Immagine

È tra i protagonisti della Biennale di Venezia, dove espone al Padiglione Tunisino e e al NSK State Pavilion e, questo autunno, sarà protagonista, a Milano, della sua prima personale in Italia. Stiamo parlando di mounir fatmi (Tangeri, Marocco, 1970), artista marocchino chiamato a esporre in prestigiosi musei come il Centre Georges Pompidou, il Victoria & Albert Museum e il Mori Art Museum di Tokyo, che dal 26 ottobre inaugurerà la nuova sede della galleria Officine dell’Immagine.
La mostra, dal titolo «Transition State», ripercorre i tratti distintivi della sua vasta sintesi poetica, ponendo l’accento sul concetto di ibridazione culturale, una combinazione di preconcetti e stereotipi svelati e poi screditati, che rafforzano una visione d’insieme costruita sul dialogo fra religione, scienza, le ambivalenze del linguaggio e quanto queste si trasformino nel corso della storia.
Un chiaro esempio del potere del linguaggio sulla verità è «Martyrs», un dittico realizzato su neri pannelli di legno, la cui superficie è tagliata da una moltitudine di linee che sembrano muoversi come ferite sulla pelle di un corpo. L’emblematico titolo gioca sulle varianti semantiche di questa parola che, nel corso della storia, hanno trasformato il suo significato. Dall’antico greco martus, testimone”ì, a colui che sacrifica se stesso in nome della fede, fino ad arrivare all’accezione di oggi, quando viene erroneamente affiancato al concetto di kamikaze.
Il tema del martirio torna anche nel video «The Silence of Saint Peter Martyr» (2011), con protagonista San Pietro Martire, anche noto come Pietro da Verona, un prete del XIII secolo appartenente all’Ordine dei Domenicani, che fu giustiziato atrocemente a causa della sua forte opposizione agli eretici. La quiete della scena, che vede il soggetto muovere lentamente il dito mimando il pacifico gesto del silenzio, si contrappone violentemente all’audio del video stesso, un sottofondo disturbante e aggressivo.
L’ispirazione di materia religiosa si riconferma nella serie fotografica «Blinding Light» (2013), un progetto che vede la manipolazione sia concettuale che visiva della cosiddetta «Guarigione del Diacono Giustiniano», un miracolo immortalato anche in un noto dipinto del Beato Angelico. La storia narra di due santi, Cosma e Damiano -celebri per le loro capacità mediche- che una notte entrarono nella stanza di Giustiniano e gli scambiarono la gamba malata con quella di un etiope appena deceduto. Al risveglio Giustiniano si accorse quindi di avere la gamba destra guarita, ma di colore. Giocata sulle sovrapposizioni fra il dipinto antico e scene di chirurgia odierna, mounir fatmi sorprende per l’abilità lessicale con la quale riesce ad affrontare temi di grande richiamo come l’identità etnica, l’ibridazione e la nozione di diversità con una sorprendete sensibilità culturale.
La visione sensoriale dello spettatore viene, poi, esortata nel video «Technologia» (2010), dove il susseguirsi convulso di dettagli geometrici e motivi calligrafici arabi di natura religiosa, danno vita a un processo dal forte carattere ipnotico. Lo sguardo dello spettatore a fatica riesce a resistere, così come anche il suo udito, messo alla prova da suoni stridenti.
La giustapposizione fra oggetto, il suo utilizzo e il suo significato culturale si conferma centrale nell’installazione «Civilization» (2013), realizzata semplicemente con un paio di scarpe nere da uomo poste sopra un libro; con questi due oggetti, spesso utilizzati come indicatori del livello di civilizzazione delle persone, l’artista marocchino s’interroga sulla seduzione della materialità e sul suo ingannevole potere nella cultura contemporanea.
La mostra milanese, che vede la curatela di Silvia Cirelli, permette, quindi, di approfondire alcuni temi di attualità che fanno parte da sempre della poetica di mounir fatmi come l’identità, la multiculturalità, le ambiguità del potere e della violenza. Negli anni l’artista marocchino è riuscito a rinnovarsi costantemente, esplorando una molteplice varietà di linguaggi stilistici che vanno dal video all’installazione, dalla fotografia alla performance. Il suo è un percorso narrativo che oltre a confermare una notevole abilità lessicale, miscela ingredienti personali a testimonianze del reale, tracciando importanti passaggi della storia contemporanea. Lo dimostrerà anche la performance inaugurale costruita attorno all’installazione «Constructing Illusions», un’opera partecipativa che gioca sugli equilibri fra immaginazione e realtà, concetti che spesso si mescolano fra loro, fino ad arrivare anche a scambiarsi completamente di significato.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] mounir fatmi, The Silence of Saint Peter Martyr, 2011. Video HD in bianco e nero con audio, 5'04" edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano; [fig. 2] mounir fatmi, Civilization, 2013. Artist’s shoes and book 30x43 cm edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano; [fig. 3] mounir fatmi, Technologia, 2010. Video HD in bianco e nero con audio, 15' edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano

Informazioni utili
mounir fatmi.Transition State. Officine dell’Immagine, via Carlo Vittadini, 11 – Milano. Orari: martedì – sabato, ore 11.00 – 19.00; lunedì e giorni festivi su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.91638758 o info@officinedellimmagine.com. Sito internet: www.officinedellimmagine.com. Dal 26 ottobre al 7 gennaio 2018.

lunedì 25 settembre 2017

Giacomo Grosso, un artista ottocentesco tra pittura e Accademia

Si articola in tre sedi espositive l’omaggio che la città di Torino fa a Giacomo Grosso (Cambiano 1860 - Torino 1938), uno dei pittori piemontesi più conosciuti e amati nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, che fu per oltre quarant’anni docente di pittura all’Accademia Albertina. Il Museo di arti decorative Accorsi-Ometto, la Pinacoteca dell’Accademia di Belle arti e Palazzo Madama, insieme con il Comune di Cambiano, sono i luoghi selezionati per ospitare l’esposizione curata da Angelo Mistrangelo, con l’intento di raccontare l’ultima stagione pittorica dell’artista caratterizzata da una ritrattistica di sicura fascinazione come mostrano i dipinti dedicati ai Duchi d’Aosta, Lorenzo Delleani, Arturo Toscanini e Giuseppe Verdi.
La storia e il percorso del pittore piemontese comincia idealmente nella Sala del Consiglio del Palazzo comunale di Cambiano. Il corpus di opere e di documenti esposti in questa sede concorre a delineare la vita e la storia artistica di Giacomo Grosso: si va dagli studi giovanili alla formazione presso l’Accademia Albertina, dove fu allievo di Andrea Gastaldi, dai ritratti dei genitori a quelli dei figli e della moglie Carolina. Questa sezione, nella quale si trova esposto un capolavoro come l’imponente e suggestiva tela «Il Pater Noster», permette di conoscere i momenti salienti di un percorso che nel 1895 raggiunse l’importante palcoscenico della Biennale internazionale di Venezia, dove il quadro «Il supremo convegno» -che raffigura un gruppo di donne nude intorno alla bara aperta di Don Giovanni, collocata all’interno di una chiesa- fece così tanto scalpore da essere condannato dal Patriarca Giuseppe Sarto, il futuro Pio X.
L’artista legò il suo nome alla Biennale altre tredici volte con un corpus di oltre cento opere esposte, ma fu protagonista anche alla Quadriennale di Torino, alle sociali della «Promotrice» e del Circolo degli artisti, oltre a varie esposizioni a Parigi, Vienna, Dresda, Buenos Aires e in diverse rassegne internazionali.
Questa storia viene raccontata quasi in toto alla Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle arti. Attorno all’autoritratto dell’artista, si possono scoprire paesaggi e vedute urbane, bozzetti inediti, nature morte, composizioni floreali, ritratti e nudi femminili, tutte opere di assoluto rilievo. Tra i capolavori allestiti in Pinacoteca spiccano «La nuda» del 1896, proveniente dalla Gam di Torino, e i sontuosi ritratti di Umberto I, della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III di Savoia, oltre al dipinto su cui Giacomo Grosso diede l’ultima pennellata poco prima di morire, nel 1938.
Particolarmente affascinante è la sezione «Studium», curata dal direttore Salvo Bitonti e da alcuni docenti dell’Albertina, che propone la ricostruzione dello studio di Giacomo Grosso all'interno dell’accademia attraverso le sorprendenti fotografie autocrome stereoscopiche scattate all’inizio del Novecento da Ferdinando Fino, mentre un video racconta, con una tecnica raffinata e innovativa (picture motion), il mondo pittorico dell'artista.
Al Museo Accorsi-Ometto si possono, invece, ammirare i grandi ritratti: personalità della cultura, affascinanti signore dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, tutti raffigurati con sorprendente capacità compositiva ed espressiva.
«Lidia Bass Kuster» (1903), «Luisa Chessa» (1903), «Daisy de Robilant Francesetti di Malgrà» (1897), «La Contessa Gallo» (1918), «Eleonora Guglielminetti Vigliardi Paravia» (1919), «L’ingegner Vittorio Tedeschi» (1925) sono solo alcuni dei personaggi che con i loro volti signorili, gli sguardi profondi e i sontuosi vestiti esprimono il senso della ricerca visiva di Grosso e la straordinaria definizione degli interni, con le figure che quasi emergono dallo spazio della tela e che creano un intrigante rapporto con gli ambienti e l’arredamento del museo.
In mostra, i dipinti sono affiancati da una serie di accessori, quali raffinati cappelli, ventagli di piume di struzzo, scarpe da sera in raso e guanti in camoscio, oltre a due abiti che occhieggiano e ricreano la suggestione delle toilettes delle dame ritratte da Grosso.
Alla Corte medievale di Palazzo Madama sarà, infine, possibile vedere, all'interno dell’imponente «Cornice d’alcova», una significativa tela dell’artista, la «Ninfea», esposta nel 1907 alla Biennale Internazionale di Venezia.
 Un viaggio, dunque, completo attraverso l’opera di Giacomo Grosso quello proposto a partire dal 28 settembre dalla città di Torino, a ventisette anni dalla mostra ospitata alla Promotrice delle Belle arti, che permette di mettere in risalto il talento, caratterizzato da un altissimo valore tecnico-artistico, del maestro piemontese, ma anche numerose testimonianze della sua vita, alcune delle quali inedite.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giacomo Grosso, Autoritratto, 1931. Olio su tela, cm 86 x 66. Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 396); [fig. 2] Giacomo Grosso, Il Pater Noster (Sacra Famiglia), 1934. Olio su tela, cm 198 x 271,5. Palazzo Comunale, Cambiano; [fig. 3] Giacomo Grosso, Ninfea, 1907. Olio su tela, cm 230 x 100. Collezione privata; [fig.4] Giacomo Grosso, Nudo di donna. Olio su tela, cm 200 x 69. Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 418)

Informazioni utili
«Giacomo Grosso. Una stagione tra pittura e accademia». Museo di Arti Decorative Accorsi - Ometto, via Po, 55 – Torino; Pinacoteca Accademia Albertina, via Accademia Albertina 8 – Torino; Palazzo Madama, piazza Castello – Torino; Palazzo del Comune di Cambiano, piazza Vittorio Veneto - Cambiano. Informazioni: comunicazione@accademialbertina.torino.it, tel. 011.0897370 | info@fondazioneaccorsi-ometto.it, tel. 011.837688 (int. 3). Dal 28 settembre 2017 al 7 gennaio 2018