ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 1 novembre 2017

A Padova la Belle Ѐpoque di Lino Selvatico

«Squisito indagatore dell'anima, a traverso le fattezze del volto umano»: così lo storico Pompeo Molmenti definì Lino Selvatico (1872-1924), uno dei ritrattisti veneti più in voga del primo Novecento, al quale Padova dedica, negli spazi dei Musei civici agli Eremitani, un'ampia retrospettiva con oltre cinquanta dipinti e una sessantina di opere grafiche, quest'ultime mai esposte al pubblico. L’esposizione è stata realizzato dall’Amministrazione comunale e vede la curatela di Davide Banzato, Silvio Fuso, Elisabetta Gastaldi e Federica Millozzi.
Figlio del poeta e commediografo Riccardo Selvatico, sindaco di Venezia sul finire dell'Ottocento, ma soprattutto e ideatore della Biennale internazionale d’arte, Lino nacque accidentalmente a Padova, dove la famiglia aveva forti interessi commerciali, e, dopo gli studi in Legge nell’ateneo patavino, intraprese la strada della pittura esordendo alla Biennale veneziana del 1899 e, poi, partecipando a quasi tutte le successive.
Mostrò da subito le grandi potenzialità che lo avrebbero presto condotto al successo. Come ritrattista era dotato di mezzi tecnici ed espressivi personali e sicuri, con un’abilità del tutto inedita nel rendere l’aura e la personalità del personaggio effigiato. Così, grazie anche a una rete di relazioni di primo piano, le commissioni da ambienti alto borghesi e nobili divennero sempre più numerose, giungendo in qualche caso anche da esponenti di case reali, come fu per il ritratto di Alfonso III di Borbone, giovane re di Spagna, realizzato nel 1922.
Accanto ai ritratti di tono mondano, apprezzati soprattutto per la «scintillante perizia nella stesura di un colore vivo e vibrante», Lino Selvatico fu ammirato dal pubblico anche per le sue note di maggiore intimità e l’attenzione a spunti di verità derivati dalla vita quotidiana, raffigurati con spirito familiare e affettuoso.
Mondanità e passione quotidiana sono, dunque, i due tratti che connotano il percorso creativo e umano del pittore veneto, frequentatore di intellettuali e artisti tra i più conosciuti del tempo, ben introdotto nei circoli di Venezia e Milano, ma anche nei salotti parigini, amico della famiglia Sarfatti e stimato da critici autorevoli come Primo Levi, Pompeo Molmenti, Vittorio Pica e il potentissimo Ugo Ojetti.
Sono numerose le mostre nazionali alle quali l'artista prese parte, dall’Esposizione di Belle arti a Roma nel 1907 a quella Nazionale di Brera nel 1908, passando per rassegne internazionali a Monaco, Dusseldorf, Buenos Aires e Dresda, ritornando sempre, dopo questo bagno di mondanità, nella dimensione familiare delle sue abitazioni, a Mira e Biancade, nella celebre Villa dell’Orso.
Nelle tele dell’artista spicca, oltre ai ritratti, il mondo «altro» dell’infanzia e dei più poveri, con una certa vocazione al naturalismo di fine Ottocento. Selvatico era, infatti, un artista in continua evoluzione, «capace -scrive Davide Banzato nella sua introduzione al catalogo della mostra, edito da Grafiche Turato- di combinare a una visione sostanzialmente realistica spunti dal simbolismo e dal liberty e seguire il nuovo vento che spirava sulle arti durante e dopo gli anni travagliati del primo confitto mondiale».
Grande spazio nella mostra hanno i nudi che il pittore riesce a trasfondere stati d’animo che vanno dalla semplice ammirazione formale, all’eleganza della linea e delle forme, fno a una vera passione per il femminile. Le donne rimangono protagoniste dei suoi dipinti, anche descritte nella loro nudità ma sempre come icone moderne: nelle loro pose, con le loro sigarette e il loro languore.
Sono questi aspetti emblematici dell’arte di Selvatico, che emergono anche nella ricca e ancora poco nota produzione grafica (rinvenuta solo nel 2008), esposta a Padova in dialogo con i dipinti. Il pubblico potrà così approcciarsi a studi preparatori e interpretazioni grafiche dei soggetti cari all’artista, rivelatori della sua altissima qualità di disegnatore e incisore, sperimentatore di tecniche raffinate in particolare, appunto, negli stupendi nudi femminili.
Selvatico si scopre dunque ricercatore di perfezione tanto nella pittura, con colori corporei ma allo stesso modo evanescenti, quanto nello studio del segno e soprattutto nell’opera incisoria, una tecnica che non ammette errori e che egli aveva appreso da Emanuele Brugnoli, fondatore della libera scuola di incisione - dopo la chiusura della relativa cattedra all’Accademia di Belle Arti nel 1875 - che regalerà a Lino il torchio ricevuto anni prima da Whistler.
Nella grafica sono evidenti i richiami all’espressionismo di area tedesca e in particolare al simbolismo di von Stuck. Era certamente difficile, nell’epoca in cui in Europa s’imponevano le avanguardie, essere innovativi, soprattutto in ambito italiano, ma Selvatico nel suo corpus grafico esprime originalità, sperimentando diverse tecniche - carboncino, grafite, gessetti, pastelli, sanguigna, acquarelli – e raggiungendo notevoli effetti chiaroscurali e luministici. Quella grafica è comunque una produzione più intima, in cui il pittore ricerca e libera la fantasia nel fissare i gesti del piccolo Riccardo come nel ritrarre le sue modelle nude, spesso erotiche ma mai volgari, mantenendo armonia ed eleganza compositiva: una produzione che egli volle tenere con sé fino alla morte, giunta prematuramente nel 1924, a soli 52 anni.

Didascalie delle immagini
[Fig.1 ] Lino Selvatico, La maschera. Olio su tela, cm 75,7x62,8; [fig. 2] Lino Selvatico, Il gatto, 1920. Olio su tavola, cm 45,2x59,4; [fig. 3] Lino Selvatico, Nudo femminile che si pettina. Tecnica mista su compensato, cm 25,3x20; [fog. 4] Lino Selvatico, Studio di nudo femminile, 1920. Olio su cartone, cm 24,2x18,5

Informazioni utili
Lino Selvatico. Mondanità e passione quotidiana.  Musei Civici agli Eremitani, piazza Eremitani 8 - Padova. Ingresso: dal martedì alla domenica, ore 9-00-19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto €  8,00. Informazioni: tel. 049.8204551. Sito internet:
http://padovacultura.padovanet.it/it/musei/complesso-eremitani. Fino al 10 dicembre 2017. Prorogata al 28 gennaio 2018. 

martedì 31 ottobre 2017

«Non mi hai più detto ti amo», Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia conquistano il Manzoni di Busto

Sì è aperta con un «tutto esaurito» la stagione 2017/2018 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Quasi settecento persone hanno assistito venerdì 27 ottobre all’ironica e intelligente commedia «Non mi hai più detto ti amo», scritta e diretta da Gabriele Pignotta, con cui la sala di via Calatafimi ha scelto di inaugurare il suo cartellone di otto spettacoli, che nei prossimi mesi vedrà in scena protagonisti del teatro italiano quali Geppi Cucciari, Paola Quattrini, Vanessa Gravina, Emanuela Grimalda, Valentina Lodovini, Ivano Marescotti e Max Pisu.
Gran parte del merito di questo successo spetta senz’altro ai due protagonisti della serata: Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, attori molto amati dal grande pubblico, ritornati da poco in coppia sul palcoscenico, a vent’anni dal musical «Grease» e per la prima volta in uno spettacolo di prosa.
Al centro della commedia, che si è chiusa con quasi cinque minuti di applausi, c’è la storia di una famiglia in cui molti spettatori possono ritrovarsi. Lorella Cuccarini è Serena, una madre che, a seguito di una notizia traumatica, trova la forza di mettersi in discussione per riscoprire il suo essere donna e per rispolverare i suoi studi di architettura, messi nel cassetto con il matrimonio. Giampiero Ingrassia è suo marito, Giulio, un medico affermato che reagirà al repentino cambiamento della moglie, riscoprendo, finalmente, il suo ruolo di padre e la voglia di ritornare a corteggiare e a dire «ti amo».
Accanto a loro in scena, nella parte dei figli, ci sono due giovani e validi attori, Raffaella Camarda e Francesco Maria Conti, che danno voce e corpo alle difficoltà che si ritrovano a vivere dei ragazzi in età scolare, con le proprie insicurezze e i propri bisogni, la cui vita viene stravolta dal destino beffardo. Non è una situazione facile, ma «alla fine -come raccontano dalla produzione, che vede alla guida la Milleluci Entertainment- ognuno riesce a trovare delle risorse interiori inaspettate che portano la famiglia a ricomporsi».
A completare il cast c’è il baritono pisano Fabrizio Corucci nella parte del signor Morisini, un ingombrante e simpatico paziente di Giulio, che si insinua nella vita della coppia con i suoi tic e le sue idiosincrasie, regalando sorrisi e colpi di scena. Il risultato è uno spettacolo dall’ingranaggio teatrale perfetto, una commedia divertente e fresca, colorata di accenti che offrono spunti per riflettere sulla coppia alla prova della quotidianità e del tempo che passa.
Si è aperta, dunque, nel solco della tradizione, che vede da oltre quarant’anni il Manzoni di Busto Arsizio offrire al suo pubblico qualificati appuntamenti con i più importanti attori del teatro italiano, la nuova stagione, intitolata ancora una volta «Mettiamo in circolo la cultura». Un obiettivo, questo, riuscito. Osvaldo Gallazzi, responsabile del marketing e della comunicazione, ha, infatti, affermato, a chiusura della serata, mentre nel foyer Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia firmavano autografi ai loro fan, che «la vendita degli abbonamenti quest’anno ha registrato un aumento del 10%, così come c’è stato un maggior interesse da parte dei sostenitori per la proposta culturale della stagione che offre al pubblico otto tra i migliori spettacoli del circuito nazionale».
A fare gli onori di casa è stato, invece, Marco Bianchi, direttore organizzativo del Manzoni, che ha comunicato agli abbonati un cambio di spettacolo in cartellone. Venerdì 9 marzo 2018 la commedia «L’ispettore Drake e il delitto perfetto» del britannico David Tristram, che avrebbe dovuto vedere in scena Sergio Assisi, sarà sostituita dallo spettacolo «Alla faccia vostra!» di Pierre Chesnot, con Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, che mette a nudo la parte più meschina e cinica dell’animo umano, parlando di soldi e di eredità contese. Sempre Marco Bianchi con una e-mail ai membri del direttivo della sala, che vede alla guida per la parte artistica Maria Ricucci dell’agenzia «In Teatro» di Opera (Milano), ha tracciato un bilancio della serata: «è stato un gran successo di pubblico, ma soprattutto di apprezzamento. Qualcuno ci ha detto «Finalmente uno spettacolo come si usava fare una volta al Manzoni» e ci ha apertamente ringraziato. Volevo condividere con tutti voi questi ringraziamenti e apprezzamenti, che danno valore al nostro impegno necessario a portare in scena questo spettacolo e a realizzare tutta la stagione teatrale».
Il prossimo appuntamento ci sarà venerdì 17 novembre, quando sul palco della sala di via Calatafimi salirà Sergio Sgrilli, uno dei senatori di «Zelig», con «20 in poppa», uno show celebrativo e interattivo in bilico tra comicità d’autore e buona musica. Il botteghino riaprirà nella giornata di venerdì 10 novembre, ma i biglietti per tutti gli spettacoli sono già acquistabili, tramite il circuito Crea Informatica, on-line sul sito www.cinemateatromanzoni.it.

Per saperne di più
Il programma teatrale del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio 

lunedì 30 ottobre 2017

«Il capriccio e la ragione», in mostra a Prato la moda settecentesca

Il Settecento vive una stagione artistica ricchissima e varia, espressione di stimoli e cambiamenti che nascono da consapevolezze culturali e conoscenze acquisite nel secolo precedente e, allo stesso tempo, da nuove ed esaltanti scoperte che accelerano i tempi di sviluppo della società civile europea in tutti gli ambiti del sapere.
A questo periodo storico guarda la mostra «Il capriccio e la ragione» , allestita fino al prossimo 29 aprile negli spazi del Museo del tessuto di Prato, collocato, insieme alla Biblioteca comunale Lazzerini, all’interno dell’ex Fabbrica Campolmi, il più monumentale esempio di archeologia industriale tessile toscana (8.500 mq), recuperata dall’Amministrazione comunale per trasformarla in polo culturale cittadino.
Oltre cento reperti tra tessuti, capi d’abbigliamento femminili e maschili, porcellane, accessori moda -quali scarpe, bottoni, guanti, copricapi- dipinti e incisioni raccontano e motivano puntualmente i continui e significativi passaggi di stile che si susseguono nel XVIII secolo, dall’esotismo ai capricci compositivi dei primi decenni fino alle forme classiche austere dell’ornato neoclassico.
La mostra si avvale della determinante e prestigiosa collaborazione del Museo della moda e del costume delle Gallerie degli Uffizi, del Museo Stibbert di Firenze e della Fondazione Ratti di Como, nonché di altre prestigiose istituzioni sia pubbliche che private, che hanno permesso la costruzione di un percorso espositivo unico ed inedito su un secolo così ricco e complesso come il Settecento.
Nella prima parte dell’esposizione i temi riguardano l’esotismo, un contenuto importante che trae origine nel XVII secolo per effetto delle nuove conoscenze geografiche dovute ai traffici commerciali, alle ambascerie e all’azione delle missioni degli ordini religiosi nelle parti più estreme dell’Oriente, che portano all’attenzione di un vasto pubblico beni di lusso e di consumo che generano interesse e curiosità per le loro particolari e raffinate caratteristiche.
Lacche, porcellane, tessuti, dipinti su carta esprimono, infatti, linguaggi artistici che giocano su parametri compositivi ed estetici differenti da quelli maturati dalla tradizione europea e, pertanto, ricercati per la loro stravaganza e originalità.
I soggetti, la composizione delle scene e l’inattesa palette cromatica determinano una profonda trasformazione del gusto verso l’esotismo che ricade sulle produzioni delle maggiori manifatture europee, coinvolgendo principalmente la produzione di beni di lusso.
Questo nuovo flusso di idee alimenta in primis l’attività delle manifatture francesi che, a fine Seicento, vivono una stagione prolifica grazie alle riforme apportate dal governo di Luigi XIV.
La Francia è la prima nazione in Europa che innesca una filiera organizzata di saperi che si declinano in tutti i settori delle arti. Artisti come Charles Le Brun, Antoine Watteau, Jean Berain e François Boucher dedicano parte dell’attività creativa alla progettazione di ornati e impianti decorativi per tessuti, decorazioni pittoriche, argenterie che mediano l’ordine compositivo tradizionale con temi e forme della cultura orientale. L’accostamento dei tessuti alle più diverse tipologie di manufatti e tecniche artistiche permette al visitatore di avere una visione completa di tutti gli stili che attraversano il secolo – bizarre, chinoiserie, dentelles, revel, solo per citare alcuni tra i principali esempi della produzione tessile settecentesca – venendo così a creare un costante dialogo sia con i capi d’abbigliamento e gli accessori moda, sia con gli altri elementi d’arredo.
Gli straordinari quanto rari capi d’abbigliamento maschili e femminili provenienti dal Museo della moda e del costume delle Gallerie degli Uffizi raccontano la significativa trasformazione delle fogge di questo secolo: dai generosi volumi della robe à la français -ridondanti e con temi mutuati dalla natura (fiori, frutta, conchiglie, cartigli, paesaggi)- si passa alla riduzione della robe à la polonaise fino alla citazione classicista della robe en chemise, che molto deve all’avvio di campagne archeologiche tanto in voga sul finire del secolo.
Il passaggio di forme nell’abbigliamento segue fedelmente lo sviluppo culturale e sociale del tempo: si passa così dai fasti della corte francese alle comodità dello stile di campagna della nobiltà inglese degli ultimi decenni del secolo, quella del Grand tour, tanto interessata al tema delle «rovine» e a scenette esotiche, capricci con rovine e personaggi, piccole vedute con tempietti classici, mazzetti di fiori che si dispongono nelle anse.
Nel percorso della mostra sono presentati capi d’abbigliamento maschili e femminili che, contestualizzati con altri manufatti, raccontano la significativa trasformazione delle fogge di questo secolo. Tra l’altro, i tessuti operati in seta e preziosi filati metallici del museo pratese e della Fondazione Ratti di Como –custode di una straordinaria collezione di tessuti antichi con rarissimi esemplari in seta proprio del Settecento europeo– dialogano lungo il percorso espositivo con i preziosi gilet e le pregiate porcellane di manifattura cinese, Ginori e Sèvres, proveniente da quello scrigno di tesori che è il Museo Stibbert di Firenze, custode di un patrimonio di oltre cinquantamila oggetti tra costumi, armi e armature, arazzi, oggetti di arredo e di arte applicata.
Dalla Biblioteca nazionale Centrale di Firenze proviene un nucleo di volumi di argomento diverso, databili dalla seconda metà del XVII alla fine del XVIII secolo, fondamentali per comprendere la nascita e lo sviluppo dei diversi filoni stilistici che attraversano il secolo: dai repertori di motivi decorativi presenti nei volumi sulle ambascerie delle Compagnie delle Indie in Cina e Giappone alla rappresentazione delle creazioni di oggetti di arte applicata di stile rocaille, fino alle incisioni con soggetti archeologici che avranno un enorme ricaduta nella nascita e sviluppo del gusto neoclassico, affermatosi nel seconda metà del secolo.
In questo contesto si collocano -tra i complementi di abbigliamento appartenenti al Museo Stibbert- una curiosa serie di bottoni cameo in vetro e in porcellana con soggetti classici ripresi dai maggiori capolavori dell’arte greco romana, prodotti dalla manifattura inglese di Wedgwood nell’ultimo quarto del Settecento. Dal Museo Salvatore Ferragamo proviene, invece, un nucleo di calzature del XVIII secolo che rappresentano il nucleo storico della collezione avviata dallo stesso stilista come archivio di studio per le sue straordinarie creazioni.
Completano il percorso una serie di quadri provenienti dal Museo di Palazzo Pretorio e da importanti gallerie antiquarie fiorentine, che rappresentano una panoramica significativa di autori europei e soprattutto di soggetti che dialogano con i motivi decorativi rappresentati nei tessili: dalla pittura di genere ai cosiddetti capricci, dalle nature morte di fiori e frutta ai paesaggi animati da scenette popolari o da antiche rovine della classicità. Il tutto concorre a creare lo stile di un’epoca, dominata dal capriccio e dalla ragione, dall'eccesso e dalla semplificazione delle forme.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Corpetto femminile, Italia. Sec. XVIII, terzo quarto. Gros de Tours liseré broccato. Corpetto femminile steccato diviso in due metà collegate da stringhe.Firenze,
Museo Stibbert, n.inv. 14034; [fig. 2] Abito femminile, manifattura italiana, 1765 ca.Firenze, Museo della moda e del costume Gallerie degli Uffizi, n.inv. T.A. 3735-37; [fig. 3] Paio di pianelle in broccato di seta con opera a motivo floreale e trame in filo metallico dorato. Ruche decorativo in seta verde al collo del piede. Firenze, Museo Salvatore Ferragamo, n. inv. SC0000520; [fig. 4] Ventaglio con stecche di avorio intagliate e dipinte; ventola in carta dipinta con scene galanti e decori floreali, Italia. Sec. XVIII. Avorio intagliato, dorato e dipinto, carta dipinta. Firenze, Museo Stibbert, n.inv. 13916; [fig. 5] Pieter Kaastel III, Vasi di fiori , 1730-1740. Firenze, Tornabuoni Arte

Informazioni utili
Il capriccio e la ragione. Eleganze del Settecento europeo. Museo del Tessuto, via Puccetti, 3 – Prato. Orari: martedì – giovedì, ore 10.00-15.00; venerdì e sabato, ore 10.00-19.00; domenica, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì.  Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Sito web: www.museodeltessuto.it. Fino al 29 aprile 2018