ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 9 novembre 2017

«Restituzioni», al museo civico archeologico di Bologna si restaura un sarcofago egizio

C’è anche l’Istituzione Bologna Musei | Museo civico archeologico tra i musei, i siti archeologici e i luoghi di culto selezionati per «Restituzioni», il programma biennale di interventi volti alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio pubblico del nostro Paese, ideato e curato da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con gli enti ministeriali preposti alla tutela dei beni archeologici e storico-artistici.
Avviato nel 1989 dall’allora Banca cattolica del Veneto, con obiettivi e finalità legati al territorio di competenza di quell’Istituto, il progetto ha gradualmente ampliato il proprio raggio di azione, di pari passo con la crescita della banca, ed ha raggiunto oggi dimensione e importanza nazionali.
In quasi trenta anni di operatività, «Restituzioni» è riuscito a coinvolgere pressoché l’intero territorio nazionale ed è in continua espansione, come testimoniano i numeri della passata edizione, la diciassettesima, che ha visto la restituzione al pubblico di oltre centoquaranta singoli manufatti e il coinvolgimento di trentasei enti ministeriali attivi in dodici regioni italiane e l’inclusione per la prima volta di un Paese straniero con il restauro di tre rilievi lignei provenienti dal Calvario Di Banská Štiavnica in Repubblica Slovacca.
Dal 1989 a oggi, sono ormai più di un migliaio le opere “restituite” alla collettività: una sorta di ideale museo, con testimonianze che spaziano dalle epoche proto-storiche fino all’età contemporanea, dall’archeologia all’oreficeria, alle arti plastiche e pittoriche.
A queste opere, ora, se ne aggiungono altre duecento per un totale di quarantanove enti di tutela coinvolti e cinquantanove enti proprietari, tra musei, chiese, siti archeologici. Tra questi c’è il Museo archeologico di Bologna che, per la terza volta consecutiva, vedrà restaurata un’opera della sua collezione.
La proposta presentata per la diciotto edizione del progetto prevede l’intervento conservativo del sarcofago antropoide ligneo di un alto funzionario egiziano chiamato di «Unmontu», attribuibile per tipologia, apparato iconografico e testuale all'epoca della XXV dinastia (746 – 655 a.C.).
Il prezioso manufatto è giunto a Bologna attraverso un lascito del pittore bolognese Pelagio Pelagi che donò alla sua città natale un'immensa collezione di reperti comprendente anche 3109 antichità egiziane acquistate sul mercato antiquario negli anni tra il 1824 e il 1845, successivamente confluite nel patrimonio del Museo civico archeologico come uno dei principali nuclei originari.
Sin dal suo arrivo in città nel 1861 questo sarcofago attirò l'attenzione degli studiosi e dei cittadini bolognesi per la vivace policromia, il raffinato apparato iconografico e la ricchezza dei testi funerari in caratteri geroglifici che si distribuiscono in colonne sull’intera superficie esterna sia della cassa sia del coperchio.
Nelle scorse settimane è stata avviata la valutazione dello stato conservativo del manufatto attraverso un complesso studio conoscitivo condotto sotto la direzione scientifica di Daniela Picchi, funzionario egittologo del museo, e a cura del Consorzio Croma (Conservazione e restauro di opere e monumenti d'arte) di Roma, con il supporto scientifico di esperti in diverse discipline operanti in vari atenei e istituzioni, dall’Alma Mater Studiorum alla Carlo Bo di Urbino.
L'articolato progetto diagnostico, finalizzato a fornire le conoscenze preliminari agli interventi di restauro, è stato supportato dalle più avanzate tecnologie non distruttive. Accanto all’analisi tomografica computerizzata con raggi X e alla datazione con il metodo del radiocarbonio sono state effettuate analisi anatomiche per determinare la specie legnosa e uno studio relativo alla policromia mediante indagini non invasive e micro-invasive; approcci diagnostici tesi ad un’analisi accuratissima del manufatto, che hanno permesso di individuare i materiali costitutivi, le tecniche esecutive, le diverse fasi di lavorazione ed eventuali interventi conservativi di epoca moderna.
Le risultanze delle indagini hanno evidenziato un precario stato conservativo del sarcofago e la necessità di un nuovo intervento, dopo un precedente restauro effettuato negli anni sessanta del Novecento.
Come già sperimentato in passato, il Museo civico archeologico condividerà con il pubblico questo importante momento di ricerca e conservazione aprendo le porte del cantiere per seguire gli interventi di restauro fino al termine previsto nel dicembre 2017.
In corrispondenza delle fasi più significative del lavoro sarà infatti possibile assistere “in diretta” alle pazienti operazioni degli esperti grazie ad un box/laboratorio posizionato tra le teche espositive della sezione egizia, la terza in Italia per importanza. Una modalità di fruizione, quella del cantiere aperto, particolarmente efficace coma pratica di divulgazione e valorizzazione dei beni culturali, per favorire la conoscenza del patrimonio artistico conservato negli spazi museali attraverso un'emozionante esperienza di coinvolgimento.
La restituzione del sarcofago, che ne salvaguarderà correttamente la futura fruizione all'interno del percorso espositivo, verrà così assicurata da una virtuosa sinergia tra le competenze scientifiche attivate dal Museo Civico Archeologico e l'impegno di Intesa Sanpaolo nella difesa dei beni artistici nazionali.
Al termine dei lavori, domenica 18 febbraio 2018, Daniela Picchi ed Emiliano Antonell del Consorzio Croma presenteranno gli esiti dell'importante operazione in una conferenza aperta al pubblico.
Inoltre, a conclusione della campagna di restauri finanziati per la XVIII edizione di «Restituzioni», il sarcofago di «Unmontu», unitamente ad altre duecento opere salvate, sarà esposto Sanpaolo dal 27 marzo al 16 settembre 2018 alla Venaria Reale di Torino, in una grande mostra organizzata da Intesa Sanpaolo.

Informazioni utili 
Museo civico archeologico, via dell'Archiginnasio 2 - 40124 Bologna, tel. 051.2757211 o mca@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/archeologico 

martedì 7 novembre 2017

Luigi Crespi, un ritrattista bolognese del Settecento

È noto principalmente per essere l’autore del terzo tomo della «Felsina Pittrice – Vite de’ pittori bolognesi», edito nel 1769 in prosecuzione dei due volumi pubblicati da Carlo Cesare Malvasia nel 1678. Ma fu anche un apprezzato ritrattista del Settecento bolognese, in relazione al clima di rinnovamento culturale favorito dall'illuminata opera pastorale del cardinale Prospero Lambertini (1731-1754). Stiamo parlando di Luigi Crespi (1708-1779), figlio del celebre pittore Giuseppe Maria detto lo Spagnolo (1665-1747), a cui i Musei civici d’arte antica dell'Istituzione Bologna musei dedicano, in questi giorni, un'ampia mostra nelle sale della Galleria Davia Bargellini. L'esposizione, a cura di Mark Gregory D'Apuzzo e Irene Graziani, presenta il nucleo più significativo di dipinti dell'artista conservati nel museo di Strada Maggiore, apprezzato soprattutto per la sua pregevole quadreria senatoria di dipinti bolognesi dal XIV al XVIII secolo, in dialogo con altre sue opere provenienti dalle collezioni comunali e con prestiti di altre importanti istituzioni cittadine e di collezionisti privati, in un percorso antologico articolato in sette sezioni tematiche che, per la prima volta, consente di ricostruire le fasi più rilevanti della sua vicenda artistica.
Luigi Crespi iniziò a dipingere nella bottega paterna fra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del Settecento. Molti anni più tardi, nella biografia del padre (1769), sosterrà di essersi cimentato in questa attività «per divertimento», quasi significare il privilegio accordato al prestigioso ruolo, assunto a partire dagli anni Cinquanta, di scrittore e critico d’arte, che gli frutterà importanti riconoscimenti come l’aggregazione alle Accademie di Firenze (1770), di Parma (1774) e di Venezia (1776).
Grazie all’amicizia del padre Giuseppe Maria con Prospero Lambertini, Luigi sostenne la carriera clericale e venne nominato «segretario generale della visita della città e della diocesi», canonico della collegiata di Santa Maria Maggiore ed infine, dopo l'elezione al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV (1740-1758), suo cappellano segreto.
La sua produzione figurativa, in particolar modo quella rappresentata dal più congeniale genere del ritratto, rivela un autore sensibile al dialogo con la scienza moderna e con la libera circolazione delle idee dell’Europa cosmopolita. Nonostante l’impegno applicato anche all’ambito dell’arte sacra, cui Luigi Crespi si dedica almeno fino agli inizi degli anni Settanta, è soprattutto nella ritrattistica che egli raggiunge esiti di grande finezza ed efficacia, molto apprezzati dalla committenza. «Ebbe un particolare dono di ritrarre le fisionomie degli Uomini, e ne fece una serie di Ritratti di Cavaglieri e Damme», scrive infatti l'erudito del tempo Marcello Oretti, celebrandone l’abilità nell’adattare la formula del codice ritrattistico alle esigenze della clientela.
Come dimostrano il «Ritratto di giovane dama con cagnolino», o i tre ritratti dei Principi Argonauti in origine nel collegio gesuitico di San Francesco Saverio, la pittura di Crespi junior, già addestrato dal genitore Giuseppe Maria ad un fare schietto, attento al naturale e al «vero», evolve verso un nitore della visione che risalta i dettagli, in un’analitica investigazione della realtà, memore di certi esempi virtuosistici (Balthasar Denner e Martin van Meytens, in primis) osservati nel 1752 durante un viaggio fra Austria e Germania, dove visita le Gallerie delle corti di Dresda e Vienna. Dal confronto con il «grande mondo» –per utilizzare un’espressione di Prospero Lambertini– Luigi Crespi deriva la conferma della validità del genere del ritratto ufficiale, che gli consente di rappresentare i personaggi, qualificandone i gusti sofisticati, le abitudini raffinate, i comportamenti eleganti e disinvolti da assumere nella vita di società, dove si praticano i rituali di quella «civiltà della conversazione» che nella moderna Europa riunisce aristocratici e intellettuali in un dialogo paritario, dettato dalla condivisione di regole e valori comuni.
La prossimità con la cultura lambertiniana lo conduce inoltre a sperimentare, dapprima ancora con il sostegno del padre, poi autonomamente, nuove invenzioni compositive in cui lo sguardo incrocia i volti di individui del ceto borghese: talvolta sono gli oggetti a raccontare con la loro perspicuità di definizione la dignità del lavoro (è il caso del «Ritratto di Antonio Cartolari»), altre volte sono invece i gesti caratteristici, l’inquadratura priva di infingimenti (come avviene nel «Ritratto di fanciulla»), la resa confidenziale del modello, quasi al limite della caricatura (si veda il «Ritratto di Padre Corsini»), a fare emergere il valore umano di quella parte della società, cui papa Lambertini riconosceva un ruolo fondamentale nella riforma dei rapporti con le istituzioni ecclesiastiche.
La mostra, per la quale è previsto anche un ciclo di incontri e di visite guidate, è accompagnata da un volume, il primo monografico nella bibliografia sull'artista, edito da Silvana Editoriale, corredato da un apparato iconografico che documenta la produzione ritrattistica, una presentazione di Massimo Medica e saggi di Gabriella Zarri, Giovanna Perini Folesani, Irene Graziani e Mark Gregory D'Apuzzo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luigi Crespi, Autoritratto. Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1771. Olio su tela, cm 87,5x68,5 (Inv. 6414); [fig. 2] Luigi Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi. In Roma, in Marco Pagliarini stamperia, 1769. Biblioteca Igino Benvenuto Supino, Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Dipartimento delle Arti; [fig. 3] Giuseppe Maria e Luigi Crespi, Ritratto di Antonio Cartolari. ASP Città di Bologna, in prestito presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, 1730 ca. Olio su tela, cm 93x75

Informazioni utili
Luigi Crespi ritrattista nell’età di papa Lambertini. Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore, 44 - Bologna. Orari: dal martedì al sabato, ore 9.00–14.00; domenica e festivi, ore 9.00 – 13.00; chiuso i lunedì feriali. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 3 dicembre 2017

domenica 5 novembre 2017

Venezia, un viaggio nel vetro con Rosslynd Piggott

Proseguono a Venezia gli eventi di «Muve contemporaneo», il programma di eventi promosso dai locali Musei civici in occasione della Biennale d’arte. Al museo del vetro di Murano, nell’affascinante Spazio Conterie, va in scena l’esposizione «Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2», a cura di Chiara Squarcina, Francesca Giubilei e Luca Berta.
La rassegna, visitabile fino al 3 dicembre, presenta l’articolato percorso dell’artista australiana, che in oltre trent’anni di carriera ha affiancato alla pittura, l’esplorazione di un’ampia gamma di altre tecniche, compresa l’indagine sul vetro, sperimentando supporti come lo specchio, i tessuti, ma anche oggetti antichi e ritrovati, metalli, carta e gioielli.
I primi lavori con il vetro risalgono al 1990. Di quest’anno è l’opera «100 Glasses», una poesia spazio-lineare, composta da cento bicchieri disposti su di una lunga mensola, incisi con parole. La sequenza inizia con nomi di città lontane, storicamente e sentimentalmente pregnanti, «Roma», «Egitto», «Tebe» e «Venezia». Vengono, poi, gli elementi, il sale e l’inchiostro, i sostantivi, le date del passato e del futuro, i nomi di autori come «Marcel» (Proust o Duchamp) e «Virginia» (Woolf), per finire con i quattordici bicchieri senza nessuna incisione che implicano l’apertura, lo spazio non finito.
In questo primo lavoro, Rosslynd Piggott si sofferma sul potenziale metafisico del vetro. Da quel momento questo materiale ha continuato ad essere importante per la sua pratica, in particolare per le sue qualità paradossali: contiene e rivela al tempo stesso, è solido e fluido e ha la capacità di evocare un senso dello spazio multiplo.
Per una pittrice quale Rosslynd Piggott, abituata a lavorare con velature sovrapposte di delicato colore semitrasparente, il vetro si offre come supporto coerente con il suo senso della materia.
L’incontro con Murano avviene nel 2011; in questa occasione l’artista realizza nove vasi con tappi caratterizzati da motivi floreali, contenenti una collezione d’aria, raccolta presso il famoso «Giardino di Ninfa».
Tra il 2012 e 2016 Rosslynd Piggott inizia a lavorare regolarmente sull’isola veneziana con il maestro incisore Maurizio Vidal dello studio Ongaro e Fuga. Questi suoi nuovi lavori sono spesso accompagnati da delicati disegni in cui lentamente la figura si dissolve, fino a sparire, nel bianco assoluto della cellulosa.
I disegni su carta sono la continuazione o il prodromo delle nuove opere su vetro: lievissimi tratti di matita, quasi impercettibili, segnano la continuità con l’affilata rotella di pietra che incide delicatamente il vetro.
La scoperta dell’incisione su vetro e della maestria degli artigiani muranesi la porta a realizzare una serie di lavori composti da una stratificazione insolita e affascinante: lastre di vetro inciso con soggetti botanici, sovrapposte in più strati a piccoli intervalli, e uno specchio sul fondo. La presenza dello specchio come fondale ha la funzione di raddoppiare la stratificazione vegetale, conferendole un carattere quasi vertiginoso, ma anche quella di includere, seppur in maniera ambigua e deformata, il rifesso dell’osservatore nell’opera.
Lo specchio ha un ruolo di primaria importanza nel lavoro di Piggott, in particolare se la superficie è intaccata dal tempo, e l’ossidazione rende più misteriosa e oscura la riflessione. In Australia realizza numerosi specchi deformati, caratterizzati da superfici nebulose e quasi liquide. Anche nelle opere della serie «Garden Fracture/Mirror in Vapour» si scruta attraverso le superfici rifrangenti e riflettenti che fanno rimbalzare lo sguardo, catturato da una miriade di lenti tondeggianti sovrapposte a rami spezzati di glicine, petali di ciliegio in caduta, fori di peonia maturi: visione multipla e moltiplicata di un giardino caotico per staccarsi da sé.
Con questa mostra Rosslynd Piggott ribadisce l’indiscutibile valenza dell’eccellenza muranese, unica capace di tramutare l’idea dell’artista in opera d’arte. È a Murano che l’artista può sfidare la materia e realizzare l’impossibile: i lavori di Piggott catapultano l’osservatore in un mondo senza tempo, uno spazio per l’immaginazione e l’intangibile, per lo stupore e il piacere, dove tutto rinvia alla frattura tra il sé e il non-sé. 


Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rosslynd Piggott, 100 Glasses, 1991. Installation, 100 handblown and engraved glasses, painted shelf and walls. Variable dimensions; [fig. 2] Rosslynd Piggott, Garden fracture/ Mirror in vapour no. 8, 2016. Engraved clear glass, mirrored Murano glass, slumped and mirrored glass, 53 x 55 x 20cm; [fig. 3] Rosslynd Piggott, Mirror shift- Wisteria bloom, 2016. Engraved mirror, engraved glass with avventurina, wooden shelf. 55 x 150 x 20cm 

Informazioni utili 
«Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 - Murano (Venezia). Orari: tutti i giorni, ore 10.00–17.00; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, offerta scuola € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it, 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.museovetro.visitmuve.it. Fino al 3 dicembre 2017