ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 27 febbraio 2018

«Performing Pac», a Milano tre giornate sulle arti performative

Tre giorni di incontri, flashback, proiezioni e performance, gratuiti e aperti al pubblico (non solo degli addetti ai lavori), con artisti, curatori, critici, studiosi: dal 1° al 3 marzo al Pac- Padiglione d’arte contemporanea di Milano racconta le arti performative.
Il format è lo stesso che nel 2017 aveva portato l’istituzione milanese a indagare il restauro e la conservazione della street art.
Il tema scelto per il 2018 è quello della performatività, sviluppato attraverso eventi di vario genere che metteranno al centro dell’attenzione il corpo e l’interazione attiva con lo spazio, e saranno lo spunto per raccontare, per la prima volta anche attraverso materiali d’archivio del Pac, il ruolo dell’artista nelle arti performative e l’evoluzione della funzione delle istituzioni nel promuoverle.
Come si racconta oggi il corpo nell’arte? Quali e quante sono le eredità raccolte da chi lavora con pratiche artistiche che oggi vengono definite performance? Queste alcune delle domande a cui proverà a rispondere la tre giorni milanese.
Di prestigio gli ospiti attesi: giovedì 1 marzo ci sarà Susanne Franco, docente di storia della danza e del teatro all’Università Ca’ Foscari di Venezia; venerdì 2 marzo Lois Keidan, direttrice della Live Art Development Agency LADA di Londra; sabato 3 marzo André Lepecki, capo del Dipartimento di Perfomance Studies alla Tisch School of the Arts di New York.
Ai tre incontri si affiancheranno altrettanti live perfomance realizzate da artisti attivi sia nell’ambito della performance, come Dora Garcia e Paulien Oltheten, sia in quello della danza, come Annamaria Ajmone e Cristina Kristal Rizzo, che riproporranno alcuni loro lavori in una nuova versione.
Nel contesto degli incontri e delle live performance, per la prima volta il Pac aprirà il suo archivio rileggendo due mostre che ha realizzato nel passato in omaggio a due artisti simbolo della performance: Vito Acconci e Gina Pane. Nella mostra «Exploding House» (PAC, 1981), a cura di Zeno Birolli, Vito Acconci passava dalle sue celebri e irriverenti performance a interagire con lo spazio tramite un coinvolgimento diretto del pubblico, mentre in «Partitions Opere Multimedia 1984-1985» (PAC, 1985), a cura di Lea Vergine, Gina Pane abbandonava le provocazioni degli anni Settanta per approdare a una sintesi concettuale, mentale e analitica.
Saranno questi due flashback a riproporre i temi che avevano toccato il dibattito artistico dell’epoca, fornendo ancora oggi importanti spunti di riflessione. Una rilettura non attraverso le opere, ma con documenti, fotografie, recensioni e corrispondenze provenienti dall’archivio storico del PAC – scandagliato per l’occasione dagli studenti del Dipartimento di beni culturali e ambientali dell’Università degli Studi di Milano – che di quelle mostre permetteranno anche di ricostruirne il backstage.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Anne Historical, Aphasia Treatment Situations, PAC Milano 2017. photo Nico Covre; [fig. 2] Vito Acconci, Exploding House, Pac Milano 1981; [fig. 3] Ikea, Rizzo-Ajmone © Luca Ghedini

Informazioni utili
pacmilano.it

domenica 25 febbraio 2018

Cantina Kaltern, un’etichetta d’autore per il Cabernet Sauvignon 2015

L’arte enologica incontra il design. Succede con il bando di concorso «kunst.stück» (in italiano: «opera d'arte»), lanciato per il terzo anno consecutivo dalla Cantina Kaltern, una delle aziende vitivinicole più importanti dell'Alto Adige. Il progetto è rivolto ad artisti emergenti, chiamati a realizzare un'etichetta d'arte che sappia interpretare il vitigno più rappresentativo dell’anno.
In questa edizione l’incoronazione a «kunst.stück» è andata a un Cabernet Sauvignon Riserva, un vitigno originario del Bordeaux, ma ormai ambientato in molte zone vinicole del mondo, che ha trovato condizioni ideali nei vigneti caldi e soleggiati che cingono il lago di Caldaro. Del resto, la temperatura media che vi regna durante il periodo vegetativo è identica a quella della sua originaria francese.
A Caldaro, il Cabernet Sauvignon esprime un carattere inimitabile, sfoggiando un’eleganza che non ha eguali. Coccolato dal sole mediterraneo, resta comunque una creatura delle montagne, e in un’annata a dir poco eccezionale come quella del 2015 (al centro del concorso), la natura ha esaltato questi pregi del territorio in una combinazione rara, degna di una vera opera d’arte.
Un’opera d’arte sarà anche la sua etichetta che verrà applicata sulle 2015 magnum, una speciale edizione in tiratura limitata, come era già avvenuto nelle due passate edizioni: la prima con il Pinot Bianco 2014, interpretato dall'artista di passione Claudio Paternoster, la seconda con il Kalterersee 2016, rappresentato dal designer e docente milanese Stefano Mandato.
Il tema del concorso di quest'anno è «Un vino di mondo, di casa a Caldaro», proprio in omaggio al Cabernet Sauvignon Riserva 2015 ha visto le sue uve maturare davvero alla perfezione, conferendo loro al tempo stesso carattere mediterraneo e la freschezza delle montagne altoatesine.
Il bando per gli artisti è aperto fino all'8 aprile 2018, alle ore 21.00; l’iniziativa è tesa ad offrire a giovani, magari ancora sconosciuti, l’opportunità di un palco dal quale presentare al pubblico la propria opera.
Grazie all’etichetta applicata sulle 2.015 magnum, la presentazione nell’ambito di un evento e alla comunicazione sui media, l’artista vincente potrà garantirsi visibilità su larga scala. L’artista, inoltre, si aggiudicherà un premio in denaro di 500 euro e avrà la possibilità di tenere una mostra al winecenter a Caldaro, dove sono già esposte opere di artisti contemporanei quali Ulrich Moroder, Robert Bosisio, Ernst Müller o Josef Scherer.
Le etichette d'arte pervenute saranno esaminate entro il 14 maggio da una giuria interna e una selezione delle stesse verrà pubblicata sul sito di Cantina Kaltern. Qui saranno gli utenti, wine lovers e non, a votare, entro il 30 giugno, la loro «etichetta del cuore», decretando così il vincitore del concorso.

Informazioni utili 
http://www.kellereikaltern.com/it/vini-lago-caldaro/notizie/concorso-di-idee-kunststueck-2015/

venerdì 23 febbraio 2018

«Il giuramento», la storia di Mario Carrara al Menotti di Milano

Ci vuole coraggio a dire «no» e così, per non cedere al ricatto di chi si crede più forte e non omologarsi all’osanna della folla, abbandonare per sempre le certezze della propria quotidianità, restando fedeli solo alla propria coscienza. Certe volte quel coraggio lo si paga con una severa solitudine e molte difficoltà, altre volte con la vita stessa. Spesso quei «no» -frutto di ideali di dignità, onestà intellettuale e coerenza interiore- finiscono per essere dimenticati, fino a quando la Storia li sottrae al proprio oblio e li trasforma in torce che illuminano la strada verso la libertà e il sogno di un mondo migliore. È il caso della vicenda dei dodici professori universitari che nel 1931 rifiutarono di firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista, consapevoli di andare incontro a conseguenze pesantissime per le proprie vite professionali e personali.
Erano solo dodici uomini su milleduecentotrentotto. Si chiamavano Gaetano de Sanctis, Mario Carrara, Giorgio Levi della Vida, Vito Volterra, Lionello Venturi, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Bonaiuti, Fabio Luzzato, Piero Martinetti, Giorgio Errera, Francesco Ruffini ed Edoardo Ruffini.
«Erano differenti –ricorda Giorgio Boatti nel libro «Preferirei di no» (Einaudi, Torino 2011), dedicato alle loro storie- per origini, carattere, modi di pensare, attitudini sociali e radicamento alla vita».
Avevano in comune solo una cosa: si sentivano estranei alla servile grevezza del mondo che li circondava. E con la loro scelta di andarsene, perdendo per sempre la cattedra, diedero inconsapevolmente ai loro allievi una lezione indimenticabile, forse la lezione più bella della loro carriera: insegnarono, per usare le parole del filosofo Piero Marinetti, «che le cose esteriori in fondo poco importano e che nulla ci è tolto quando ci resta ciò che deve accompagnarci in vita e in morte». Fu una lezione quella, però, che gli allievi avrebbero capito solo dopo, forse troppo tardi.
Alla storia, liberamente romanzata, di uno di questi dodici coraggiosi professori universitari è dedicato lo spettacolo «Il giuramento» del drammaturgo e giornalista Claudio Fava, prodotto dal Teatro Stabile di Catania, in scena fino a domenica 25 febbraio al Menotti di Milano.
A portare in scena questo bel testo di impegno civile sono David Coco, Stefania Ugomari Di Blas, Antonio Alveario, Simone Luglio, Liborio Natali, Pietro Casano, Federico Fiorenza, Luca Iacono e Alessandro Romano.
Le musiche sono firmate da Cettina Donato, compositrice, arrangiatrice e pianista italiana, prima donna italiana a dirigere orchestre sinfoniche con repertorio jazz.
La storia raccontata, che si avvale della regia rigorosa, semplice e proprio per questo saggia di Ninni Bruschetta, è quella di Mario Carrara (Guastalla, 2 novembre 1866 – Torino, 10 giugno 1937) , medico legale e docente universitario, che insegna ai suoi studenti a coltivare il gusto del dubbio, ma anche a non intrupparsi, travestirsi ed esibirsi.
«Vedovo, solitario, ironico e inacidito al tempo stesso», con un impegno volontario nel carcere di Torino dove va a lenire più le pene del cuore che quelle del corpo, Carrara è un uomo semplice, che vive per la scienza, «ancora abituato -racconta Claudio Fava- a censire gli uomini e le anime con l’algida geometria di Cesare Lombroso: fronte, ossa, sguardo, fiato, pelle…». Ma è anche un uomo capace di guardare al dettaglio, al particolare con la curiosità di chi sa che non tutto è come sembra.
Attorno a lui corre l’Italietta conformista dei primi anni del Fascio: gli studenti con la tessera del Guf, le camicie nere inamidate, i fez col fiocco, le canzoncine come «Faccetta nera», il finto perbenismo, le conversazioni vaghe e discrete dei colleghi, le brume umide di una città del Nord e quel sentimento comune ai più di non voler guardare in faccia alla realtà, perché voltare gli occhi altrove è più facile e tranquillo.
«Sulla politica, fatta di goliardia e di lettere maiuscole, Carrara -racconta ancora Claudio Fava- nutre un disagio estetico più che ideologico. Gli sembrano ridicoli certi suoi studenti inamidati in camicia nera e pugnaletto. Gli vengono a noia le finte orazioni dei colleghi più anziani sulla patria e sul destino. Troppo poco per un turbamento o per una ribellione: la vita potrebbe scorrere senza pieghe».
Ma certe volte il destino bussa alla porta e bisogna prendere una decisione: Carrara non giura la sua sottomissione e fedeltà al fascismo. Non vuole. Non può.
Il resto è storia: il medico di Guastalla, ormai 65enne, viene escluso da tutte le cariche pubbliche. La sua casa è perquisita nell'ambito dell'operazione che porta all'arresto di Vittorio Foa e Massimo Mila. Nell’ottobre del 1936 è arrestato per attività contro il regime fascista e solo la sua età avanzata lo salva dal confino. Detenuto alle carceri Nuove di Torino, continua a lavorare al suo «Manuale di medicina legale» fino alla morte, avvenuta nel giugno del 1937.
A guidare lui e gli altri nella scelta di non giurare fu, secondo Fava, «l’incapacità della menzogna, il rigore illuminista del sapere, la noia per le liturgie del fascismo. Ma anche l’intuizione sul destino del Paese, sul modo in cui furbizie e conformismi avrebbero trasformato l’Italia di quegli anni in una terra senza libertà e senza decenza».
Ecco così sotto i riflettori del teatro Menotti di Milano un importante lavoro d’impegno civile che racconta la storia di un'Italia a cui era rimasta solo un'estrema risorsa di dignità: il diritto di dire no, senza pensare alle conseguenze di quel gesto coraggioso.
Ma il Mario Carrara che racconta Claudio Fava non è un eroe e un martire, è un uomo qualunque che sente il bisogno di vivere in libertà. Improvvisamente capisce anche le menzogne della sua vita monotona: le pastiglie rosse e blu, il pezzetto di mela che mangia ogni mattina in istituto, l'amore sempre sopito per la sua giovane assistente Tilde.
Il Carrara interpretato da David Coco non vuole dare insegnamenti, vuole sono essere onesto con la propria coscienza: «Io lo faccio solo per me», dice. Non vuole diventare un modello, vuole solo dimenticare quello che lo circonda, quella parata di uomini diventati manichini nelle mani del potente di turno: «Io sono uno scienziato, perché devo essere politico?», afferma ancora il protagonista. L'unico giuramento che sa di dover fare è quello di Ippocrate, gli altri non gli sono utili per guarire un uomo o per fare un'autopsia.
«Ribellarsi si può sempre, basta volerlo», così senza retorica e senza luci della ribalta, sembra dire il Mario Carrara di Claudio Fava allo spettatore, invitandolo a rispondere, nel silenzio della propria coscienza, a una domanda chiara: «Tu giureresti?», «Tu avresti giurato?».

Informazioni utili 
Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11 – Milano. Prezzi: intero 28.00 € + 1.50 € prevendita, ridotto over 65/under 14 - 14.00 € + 1.50 € prevendita, martedì e mercoledì posto unico 14.00 € + 1.50 € prevendita. Orari biglietteria: dal lunedì al sabato, dalle ore 15.00 alle ore 19.00; domenica (solo nei giorni di spettacolo) ore 14.30-16.30; cquisti online con carta di credito su www.teatromenotti.org. Orari spettacolo: martedì, giovedì e venerdì, ore 20.30; mercoledì e sabato ore 19.30 (eccetto le prime ore 20.30); domenica ore 16.30; lunedì riposo. Informazioni: tel. 02 36592544 o biglietteria@tieffeteatro.it