ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 20 marzo 2019

«I volti del Buddha», Bologna riscopre la storia del suo Museo indiano

C’era una volta: potrebbe avere l’incipit delle favole più belle il racconto della mostra «I volti del Buddha», attualmente allestita negli spazi del Museo civico medievale di Bologna per la curatela di Luca Villa, che si è avvalso per l’occasione della collaborazione di Antonella Mampieri. L'esposizione ricompone, infatti, per la prima volta un’ampia parte delle raccolte appartenute al Museo indiano di Bologna, oggi suddivise e conservate in tre diverse sedi: lo stesso Museo civico medievale, il Museo di Palazzo Poggi e, fuori dal capoluogo emiliano, il Museo di antropologia dell’Università di Padova.
Quella del Museo indiano di Bologna, conosciuto anche con il nome di Museo d’indologia e museo di etnografia indiana orientale, è una storia affascinante, che si intreccia con le vicende della città felsinea tra il 1907 e il 1935.
Allestito nel Palazzo dell’Archiginnasio, nelle sale oggi in uso alla biblioteca, il museo nacque per ospitare inizialmente la cospicua collezione di oggetti, fotografie e manoscritti acquisiti da Francesco Lorenzo Pullè (Modena, 1850 – Erbusco, 1934), professore ordinario di Filologia indoeuropea e sanscrito alla Regia Università di Bologna, durante un viaggio compiuto nel 1902 in Vietnam, Ceylon, India e Pakistan, in occasione della sua partecipazione al Congresso internazionale degli orientalisti ad Hanoi.
Lo studioso modenese aveva in animo di creare un museo che rappresentasse non solo l’area geografica a cui dedicava da molti anni le sue ricerche, ma l’intero continente asiatico. Tuttavia, il suo obiettivo poté dirsi raggiunto solo quando il Comune e l’Università di Bologna, enti che avevano partecipato alla creazione di questa nuova realtà culturale cittadina, si impegnarono a incrementare la collezione originale con acquisti e prestiti temporanei.
L’allestimento - di cui abbiamo traccia grazie alla pianta del museo, conservata presso l’Archivio storico comunale di Bologna- comprendeva molte raffigurazioni di divinità del pantheon hindu e, rispetto ai musei dell’epoca, si distingueva per la presenza di una vasta raccolta di immagini che immortalavano le architetture templari dell’India, hindu, buddhiste e islamiche.
Francesco Lorenzo Pullè era un convinto sostenitore dell’utilizzo della fotografia per far conoscere ad un vasto pubblico l’arte e l’archeologia.
Nella sua ricchissima collezione sono presenti così circa trecentocinquanta stampe fotografiche -in parte consultabili sul sito www.cittadegliarchivi.it- in grado di documentare l'archeologia indiana in maniera esauriente e innovativa per l'epoca.
Fatta eccezione per un piccolo rilievo proveniente da un monumento buddhista indiano, raffigurante delle figure principesche adornate da grandi turbanti e gioielli, lo studioso si distinse, inoltre, per non aver prelevato dai Paesi di origine reperti che altri, invece, separarono dalla cultura d'origine.
La parte più consistente della raccolta fotografica riguarda i ritrovamenti archeologici allora conservati presso il Central Museum di Lahore, nell’odierno Pakistan, dove nei decenni precedenti rispetto al viaggio del professore emiliano erano confluiti reperti e lastre figurate recuperate durante gli scavi effettuati nella non lontana valle di Peshawar. Questi oggetti rappresentano oggi l’eredità dell’arte buddhista del Gandhāra, antica area situata tra gli attuali confini di Pakistan e Afghanistan, dove tra gli ultimi decenni del I sec. a.C. e il IV-V sec. d.C. fiorì una tradizione artistica connessa alla devozione buddhista.
Gli arricchimenti successivi -a cominciare dall'acquisto nel 1908 da parte del Comune di undici statue della raccolta Pellegrinelli, quasi tutte raffiguranti divinità del pantheon buddhista cinese- confermano l’interesse per questa tradizione filosofica e religiosa e l'ambizione di Francesco Lorenzo Pullè di voler creare un'ampia raccolta a testimonianza della ricchezza artistica e culturale dell'Asia.
Si trova, inoltre, lungo il percorso espositivo testimonianza di un'attenzione alle tendenze estetiche dell'epoca, che vedevano spesso opere di arte cinese e giapponese presenti nei salotti e negli studi delle case di illustri cittadini, così come nei saloni di prestigiosi locali pubblici. A tale proposito, va ricordato come Pullè seppe agire affinché il Museo indiano partecipasse dell'eredità Pepoli, grazie all'acquisizione di alcuni vasi ora in mostra nelle sale delle Collezioni comunali d'arte, anch'essi, in parte, di provenienza giapponese.
La vicenda del Museo indiano si concluse definitivamente nel 1935 e due anni più tardi si redasse l'atto con cui le raccolte furono suddivise tra Comune e Università, che ne rimangono ancor oggi custodi, e la famiglia Pullè. Quest’ultima pochi anni dopo cedette almeno una parte della collezione pervenuta al figlio del professore, Giorgio, all'Università di Padova, dove lo studioso emiliano aveva insegnato a lungo prima di passare all'Alma Mater.
Tra i pezzi esposti, insieme con la già citata decorazione in arenaria con figure principesche della collezione Pullè, si segnalano due opere entrambe provenienti dalla raccolta Pellegrinelli: un Buddha della medicina, datato alla fine del XIX secolo, e una rappresentazione di Samantabhadra.
 Eiko Kondo, che curò la prima scheda di catalogazione di quest’ultima opera, la considerò prodotta nel XVII secolo in ambito cinese, aspetto, questo, che conferma l'importanza della raffigurazione, riconoscibile per l'elefante a sei zanne su cui è assiso il bodhisattva.
«Sebbene sia una figura meno nota in Occidente -racconta Luca Villa-, Samantabhadra ha, infatti, un ruolo di rilievo per la grande parte dei lignaggi buddhisti, tanto da essere considerato l'Adi-Buddha (il Buddha primordiale), sia secondo la scuola Nyingma del budddhismo tibetano, sia secondo lo Dzogchen, sentiero di realizzazione spirituale sviluppatosi nella stessa area geografica. Nelle correnti Mahayana, invece, Samantabhadra compare insieme a Manjushri accanto al Buddha storico. Oltre all'importante significato simbolico, la delicatezza dell'esecuzione e lo stato di conservazione decisamente buono, stanno a indicare il valore della statua, superiore rispetto ad altri esemplari della stessa raccolta».
 Una mostra, dunque, di particolare pregio quella proposta dal Museo civico medievale di Bologna non solo per gli appassionati dell’arte indiana, ma anche per chi abbia voglia di andare alla scoperta della storia cittadina.

Informazioni utili
 I volti del Buddha dal perduto Museo Indiano di Bologna. Musei civici d’arte antica - Museo civico medievale, via Manzoni, 4 - Bologna. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.30; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00 gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e ogni prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.2193916 / 2193930, museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 28 aprile 2019 

lunedì 18 marzo 2019

Giornate Fai di primavera, da Palermo a Brescia un ideale «Ponte tra le culture»

«Lo splendido paradosso della bellezza italiana è l’essere insieme quotidiana e straordinaria, a volte sontuosa ed esplicita, altre nascosta e ferita, ma sempre così profondamente nostra da definire chi siamo e ricordarci gli innumerevoli intrecci che hanno tessuto le nostre origini, lasciando impronte nel nostro patrimonio culturale quasi fossero indizi». Nascono da questa considerazione le Giornate Fai di primavera, in programma nel fine settimana di sabato 23 e domenica 24 marzo .
Dal Palazzo della Consulta a Roma al Castello di Melegnano, dal Centro di geodesia spaziale a Matera alla città di Pontremoli, sono tanti i luoghi che, con la complicità del Fai – Fondo per l’ambiente italiano, apriranno le proprie porte per permettere -affermano gli organizzatori- «di guardare l’Italia come non abbiamo mai fatto prima e costruire un ideale «Ponte tra culture» che ci farà viaggiare in tutto il mondo».

Giunta ormai alla ventisettesima edizione, la manifestazione si è trasformata, negli anni, in «una grandiosa festa mobile per un pubblico vastissimo», come dimostrano i numeri messi a disposizione dalla fondazione milanese. Dal 1993 le Giornate Fai di primavera hanno appassionato 10.665.000 visitatori, hanno visto l’apertura di 12.190 luoghi in più di 5.126 città e hanno coinvolto oltre 130.000 volontari e più di 286.000 «Apprendisti ciceroni», studenti della scuola di ogni ordine e grado che hanno scelto, con i loro docenti, di partecipare nell’anno scolastico a un progetto formativo di cittadinanza attiva, che li vedrà raccontare, nel prossimo week-end, le meraviglie del loro territorio.
Il programma messo a punto per il 2019 sembra destinato a non smentire il successo di questa iniziativa del Fondo per l'ambiente italiano, sempre molto attesa in tutta Italia per la possibilità di visitare anche siti inaccessibili ai più. Saranno, infatti, 1.100 i luoghi aperti in 430 località, grazie alla spinta organizzativa dei 325 gruppi di delegati sparsi in tutte le regioni -Delegazioni regionali, provinciali e Gruppi giovani- e grazie a 40.000 «Apprendisti ciceroni».
«FAI ponte tra culture» sarà il leitmotiv di questa edizione delle Giornate Fai di primavera, una due giorni culturale che ha ricevuto la Targa del Presidente della Repubblica quale premio di rappresentanza e che si svolge in collaborazione con la Commissione europea e con la presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della protezione civile e con il patrocinio, tra gli altri, del Ministero per i beni e le attività culturali.
Quest’anno il Fai si propone di amplificare e raccontare le diverse influenze culturali straniere disseminate nei beni aperti in tutta Italia. Molti di questi luoghi testimoniano la ricchezza derivata dall’incontro e dalla fusione tra la nostra tradizione e quella dei Paesi europei, asiatici, americani e africani. Ecco perché -spiegano dagli uffici della fondazione milanese- «in alcuni di questi siti e in alcuni Beni Fai le visite saranno curate da oltre un centinaio di volontari di origine straniera che racconteranno gli aspetti storici, artistici e architettonici tipici della loro cultura di provenienza che, a contatto con la nostra, ha contribuito a dar vita al nostro patrimonio».
Sarà il caso del Gabinetto cinese di Palazzo Reale a Torino, della Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone a Venezia, di piazza Sett’Angeli a Palermo, un libro aperto dove leggere la storia millenaria della città,o della Biblioteca «Carlo Viganò» dell’Università Cattolica a Brescia, che si configura come un vero e proprio viaggio tra le lingue latina, greca, araba e volgare attraverso manoscritti, cinquecentine e opere a stampa che documentano lo sviluppo dell’algebra, dell’astronomia, della fisica e di altre scienze.
Novità di questa edizione, che vede come al solito il sostegno della Rai con una maratona televisiva e radiofonica di una settimana tesa a sensibilizzare sempre più italiani sul valore del nostro straordinario patrimonio artistico e paesaggistico, è anche l’aggiornamento dell’immagine-simbolo dell’evento. «La storica composizione del volto femminile che guarda attraverso le stanze della Rocca di Soragna, realizzata nel 1998 dall’agenzia Armando Testa, aveva bisogno di essere attualizzata. È stato chiesto -raccontano dal Fai- alla stessa agenzia di rimettere mano al visual e di rinnovarlo in modo da renderlo più plurale e dinamico. È nata quindi una campagna multi-soggetto ambientata nei beni della fondazione che vuole parlare a persone di ogni genere ed età, perché questo è l’intento stesso delle Giornate Fai di primavera».
Il catalogo dei siti visitabili durante la manifestazione 2019 raccoglie una proposta così varia e originale che è impossibile da sintetizzare in poche righe. Basti pensare che si parla dell'apertura, tra l'altro, di 296 luoghi di culto, 227 palazzi e ville, 30 castelli, 40 borghi, 35 tra parchi, giardini, boschi e aree naturalistiche , 22 aree archeologiche, 23 tra campanili e torri, 44 piccoli musei, 11 biblioteche, 8 ex ospedali psichiatrici o antichi ospedali, 12 teatri e 2 stadi.
A Roma sarà, per esempio, possibile visitare il Palazzo della Consulta, sede della Corte costituzionale dal 1955, edificato nella prima metà del Settecento e importante luogo istituzionale nella storia d’Italia. In via eccezionale si accederà anche alla Chiesa di San Silvestro al Quirinale, risalente al X secolo circa e ricostruita nel Cinquecento per volere dei Domenicani della Congregazione di San Marco, e a Palazzo della Rovere, costruito tra il 1475 e il 1490, oggi sede dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che custodisce al piano nobile il «Soffitto dei Semidei», capolavoro del Pinturicchio.
A Matera, Capitale europea della cultura 2019, si svelerà, insieme con il Centro di geodesia spaziale, un luogo della tradizione come la Fabbrica del carro trionfale della festa della Bruna, mentre a La Spezia sono in programma visite eccezionali alla Nave Italia, brigantino di 61 metri, simbolo dell’impegno sociale della Marina militare, e alla Nave Carlo Bergamini, varata nel 2011 e utilizzata nell’operazione «Mare Nostrum». Si respirerà aria di mare anche a Catania, dove tra i luoghi visitabili ci sarà il porto con le opere del progetto «Street Art Silos», che nel 2015 ha coinvolto artisti internazionali per reinterpretare i miti della tradizione avendo come supporti i silos dello scalo.
Tanti saranno anche i luoghi insoliti aperti, dallo stadio comunale Artemio Franchi di Firenze, capolavoro dell’ingegner Pier Luigi Nervi, al Cinema teatro Odeon a Udine, progettato da Ettore Gilberti e oggi dismesso e inutilizzato, senza dimenticare il Bastione di Saint Remy a Cagliari, dove verranno aperti in via eccezionale la «passeggiata coperta» (il corridoio novecentesco) e il percorso archeologico delle mura.
Tra i piccoli musei aperti si segnalano, invece, il Museo Onda Rossa a Caronno Pertusella, che ospita all’interno di un ex calzificio circa 40 modelli di vetture sportive italiane, e il Museo degli Alberghieri ad Armeno, una raccolta unica di oggetti appartenuti a grandi chef, camerieri, maître e portieri di tutto il mondo.
Sono, inoltre, previsti ingressi dedicati e accessi prioritari ai soci Fai a Venezia, alla sede del conservatorio Benedetto Marcello a Palazzo Pisani, e a Napoli, nel teatro del seicentesco Palazzo Donn’Anna, affacciato sul mare, ex studio dell’architetto Ezio De Felice e ora sede della Fondazione De Felice che promuove la museografia, l’architettura e l’arte.
«Le Giornate Fai di Primavera, oltre a essere un momento di incontro prezioso ed emozionante tra il Fai e la gente, sono anche -spiegano dalla fondazione milanese- un’importante occasione di condivisione degli obiettivi e della missione della fondazione. Tutti possono dare il loro sostegno attraverso l’iscrizione annuale (vale tutto l’anno per avere sconti, omaggi e opportunità e in occasione delle Giornate Fai di primavera permette di godere di ingressi dedicati e accessi prioritari), oppure con un contributo facoltativo, preferibilmente da 2 a 5 euro, che verrà richiesto all’accesso di ogni luogo aperto o ancora con l’invio di un sms solidale al numero 45584, attivo fino al 31 marzo». Un’occasione, dunque, quella offerta dal Fondo ambiente italiano per il prossimo fine settimana che ci ricorda che «l’Italia ha bisogno di cure» e che tutti possiamo, nel nostro piccolo, difendere un territorio fragile e meraviglioso come il nostro.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] La Spezia, Nave Italia © Upicom Marina Militare; [fig. 21] Pontremoli MS, Palazzo Negri Dosi Foto di REONstudio © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fog. 3] Roma, Palazzo della Consulta - Foto Giovanni Formosa © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 4] Napoli, Pagoda di Villa Doria D'Angri e dietro Palazzo Donn'Anna - Foto StudioF64 © FAI  - Fondo Ambiente Italiano; [fig.5] Castello di Melegnano (MI) © Fotografia di Adriano Carafòli; [fig. 6] Venezia, Palazzo Pisani, Conservatorio Benedetto Marcello - Foto Maurizio Frisoli © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 7] Badolato (CZ), borgo - Foto Salvatore Paravati © FAI - Fondo Ambiente Italiano 

Informazioni utili
 Per l’elenco completo delle aperture è possibile consultare il sito www.giornatefai.it o telefonare al numero 02.467615399. L’hashtag dell'iniziativa è #giornatefai.

sabato 16 marzo 2019

1949-1979-2019, Peggy Guggenheim e la «Continuità di una visione»

«[..] Organizzai in giardino una mostra di sculture più o meno recenti, ed il professor Giuseppe Marchiori, un critico piuttosto noto, scrisse l'introduzione al catalogo. Esponemmo un Arp, un Brancusi, un mobile di Calder; tre Giacometti che avevo nella mia collezione, ed un Mirko, un Consagra [..] c’era anche un Marino Marini, che avevo comprato a Milano direttamente dall'artista». Sono queste le parole, tratte dalla autobiografia «Una vita per l’arte» (Rizzoli Editori, Milano, 1998), con cui Peggy Guggenheim ricordava la sua prima mostra a Palazzo Venier dei Leoni, la «splendida dimora non finita» sul Canal Grande. Sono passati settanta anni da allora: era, infatti, l’autunno del 1949, quando la mecenate americana faceva di Venezia la sua città, dopo Parigi, Londra e New York.
Paggy Guggenheim rimase lì fino alla sua scomparsa, avvenuta il 23 dicembre del 1979, esattamente quarant’anni anni fa.
1949 – 1979 sono, dunque, due date cruciali per la storia della collezione veneziana, che per l’occasione ha ideato il calendario «Continuità di una visione»: un’ampissima serie di attività gratuite aperte al pubblico, che si svolgeranno dentro e fuori il museo, volte ad attualizzare l’insegnamento coraggioso quanto innovativo della sua ideatrice.
In concomitanza con la mostra «Dal gesto alla forma. Arte europea e americana del dopoguerra nella Collezione Schulhof», in programma fino al prossimo 18 marzo, è stato inaugurato un originale riallestimento della collezione permanente di Palazzo Venier dei Leoni. In mostra la maggior parte delle opere acquistate da Peggy Guggenheim tra il 1938, quando a Londra aprì la sua prima galleria Guggenheim Jeune, e il 1947, anno in cui si stabilì a Venezia.

L’allestimento riflette fortemente l’interesse della mecenate americana per il Cubismo, il Futurismo, la pittura metafisica, l’astrazione europea, la scultura d’avanguardia e il Surrealismo.
Gran parte dei lavori esposti vennero acquisiti attraverso le amicizie e i consigli di artisti e intellettuali come Marcel Duchamp, lo storico dell’arte Sir Herbert Read e lo scrittore Samuel Beckett, che convinse Peggy a dedicarsi all’arte contemporanea poiché «vivente».
Negli spazi della barchessa del palazzo non mancano i dipinti degli espressionisti astratti americani, tra cui spiccano i capolavori di Jackson Pollock, il cui sostegno Peggy Guggenheim annovera come il suo maggior successo di mecenate e collezionista.
Se questa presentazione getta luce sul collezionismo pre 1948, dal 21 settembre al 27 gennaio 2020, l’attesa mostra «Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa», a cura di Karole P.B. Vail e Gražina Subelytė, celebrerà il collezionismo post 1948: dipinti, sculture e opere su carta acquisite tra la fine degli anni Quaranta e il 1979.
Non mancheranno le opere di artisti italiani attivi dalla fine degli anni Quaranta, come Edmondo Bacci, Tancredi Parmeggiani ed Emilio Vedova, e la produzione di alcuni artisti legati all’arte Optical (Op) e Cinetica, come Marina Apollonio, Alberto Biasi e Franco Costalonga.
L’esposizione permetterà, inoltre, di ricontestualizzare celebri capolavori come «L’impero della luce» (1953-54) di René Magritte, acquistato nel 1954, accanto ad opere meno note al grade pubblico di artisti come René Brô, Gwyther Irwin e Grace Hartigan, e di pittori di origine giapponese come Kenzo Okada e Tomonori Toyofuku, che dimostrano come l’interesse artistico della mecenate superò i confini di Europa e Stati Uniti.
Tra questi due grandi momenti che ripercorreranno a 360 gradi la storia del collezionismo di Peggy Guggenheim, si inserisce il prezioso omaggio a Jean (Hans) Arp, primo artista ad essere entrato a far parte della sua collezione con la scultura «Testa e conchiglia» (1933), acquisita nel 1938.
Dal 13 aprile al 2 settembre la mostra «La Natura di Arp», a cura di Catherine Craft e organizzata dal Nasher Sculpture Center, Dallas, proporrà una lettura suggestiva e a lungo attesa della produzione dell’artista franco-tedesco, il cui approccio sperimentale alla creazione e il ripensamento radicale delle forme d'arte tradizionali lo resero uno degli artisti più influenti del Novecento e il primo ad aver fatto breccia con la sua arte nel cuore della mecenate americana.
Il tributo al collezionismo di Peggy Guggenheim proseguirà anche con la prima mostra del 2020, «Migrating Objects»: un’esposizione che farà luce su un momento cruciale, seppur meno conosciuto, della sua storia di collezionista, ovvero il suo interesse degli anni ’50 e ’60 per le arti dell’Africa, dell’Oceania e delle Americhe.
L’allestimento sarà seguito da un comitato curatoriale che include studiose e curatrici provenienti da prestigiose istituzioni museali internazionali, insieme a Vivien Greene, Senior Curator, 19th- and Early 20th-Century Art, Guggenheim Museum, e Karole P.B. Vail.
A corollario del programma espositivo è stata pensata una lunga lista di attività, eventi, conferenze, workshop, approfondimenti sulle orme di Peggy Guggenheim. Nel 1949, in occasione della mostra di scultura contemporanea, la mecenate aveva aperto la propria casa al pubblico, e così continuò a fare fino al 1979, educandolo alla conoscenza di una delle più importanti collezioni d’arte del Novecento.
Il programma di public programs «Continuità di una visione» intende portare avanti la lezione della sua fondatrice e l’attuale mission della collezione, ovvero divulgare i propri contenuti ad un pubblico quanto più eterogeneo per condividere lo straordinario potere educativo di questa disciplina nel formare e alimentare il pensiero critico.
Ecco così programmi di accessibilità per non vedenti e ipovedenti incentrati sui grandi capolavori del museo, il progetto social «Point of View», che darà voce al pubblico per raccontare il proprio punto di vista sul museo e sulle opere più amate, un’iniziativa partecipativa atta a ricostruire la figura di Peggy Guggenheim attraverso la memoria collettiva nella comunità locale.
Sono, poi, in programma tre conversazioni con tre donne, filantrope e collezioniste visionarie, che hanno fatto dell'arte la loro missione come impegno personale nei confronti della società: Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (8 aprile 2019), presidente dell’omonima Fondazione torinese, tra le figure di maggior spicco del collezionismo italiano e internazionale, Lekha Poddar della Devi Art Foundation (Dehli, India), attiva nel panorama artistico medio-orientale, e Francesca Thyssen-Bornemisza (von Habsburg), fondatrice di Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, tra le maggiori collezioni d’arte contemporanea in Europa. Tre donne, queste, che, come Peggy Guggenheim, possono essere d’ispirazione per le generazioni future.

Per saperne di più 
www.guggenheim-venice.it