ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 19 aprile 2019

Tullio Pericoli, le Marche e i suoi paesaggi dell’anima

Sono passati tre anni da quando un drammatico terremoto devastò il centro Italia. Un sisma, soprattutto quando porta con sé lutti e distruzione, diventa quasi sempre occasione per ripensare alla fragilità di un territorio come quello italiano, ma soprattutto per riflettere sull’«anima dei luoghi», ovvero su quei legami complessi e mutevoli che si instaurano tra i suoi abitanti e che vanno a comporre la memoria, individuale e collettiva, di una comunità.
Da quell’agosto del 2016, la città di Ascoli Piceno ha visto ridisegnato il volto del territorio che la circonda: oltre alle gravi lesioni subite dai campanili cittadini delle chiese della Madonna del Ponte e di Sant’Angelo Magno, è il panorama intorno, quell’insieme di verdi colline e dolci declivi che si avvicendano fino al mare, simbolo e orgoglio della terra marchigiana, a non essere più lo stesso.
Ripensare a quell’ambiente, ma anche alla frattura fisica ed emotiva che lo ha colpito, è l’obiettivo della mostra-evento «Tullio Pericoli. Forme del paesaggio. 1970-2018», allestita per oltre un anno, fino al 2 maggio 2020, al Palazzo dei Capitani, edificio medioevale dalla caratteristica torre merlata, affacciato sul «salotto buono» di piazza del Popolo.
Ascoli Piceno ha, dunque, invitato uno dei suoi figli più illustri, Tullio Pericoli (Colli del Tronto - Ascoli Piceno, 1936), a raccontare le radici del suo vissuto attraverso la pittura, o meglio la pittura di paesaggio, un genere che lo ha visto per oltre cinquant’anni dare, con il suo tratto leggero ed elegante, forma e colore a luoghi reali e del cuore, dalle Laghe al Piceno, regalandoci un diario per immagini «fitto -per usare le parole di Giorgio Manganelli- di segni, di tracce e di appunti».
Ne è nato un percorso antologico, per la curatela di Claudio Cerritelli, con una scelta di centosessantacinque opere, commisurata alle caratteristiche ambientali del Palazzo dei Capitani, un luogo simbolo per Tullio Pericoli che oltre sessant’anni fa, nel 1958, tenne qui la sua prima mostra, tappa iniziale di un percorso che, oltre a dipingere, lo ha visto disegnare per importanti testate giornalistiche come il «Corriere della Sera», «L’Espresso», «Linus», «La Repubblica», «The Guardian» ed «El País», nonchè lavorare per il teatro in qualità di scenografo e costumista, illustrare storie e scrivere libri.
«Le «forme del paesaggio» -raccontano a Palazzo dei Capitani- sono proposte, sala per sala, come un viaggio a ritroso nei quasi cinquanta anni di ricerca che l’artista ha dedicato a questo tema: a partire dalle opere più recenti si risale alle radici della pittura di Tullio Pericoli, tramite un susseguirsi di momenti analitici ed emozionali che esplorano il volto mutevole della nostra terra a partire dalla sua natura più profonda».
Si tratta di momenti differenti di un unico viaggio caratterizzato da un segno rigoroso, pur quando emotivo, fatto da «una mano che pensa», una mano che ha avuto modo di riflettere a lungo su quel paesaggio che ha trovato tra i suoi più illustri cantori Lorenzo Lotto. Quei luoghi -racconta lo stesso artista- «ho potuto guardarmeli e fissarmeli nella memoria da tanti punti di vista, alti, bassi e obliqui, sognarli, pensarli e tradurli nella lingua che so parlare meglio».
Il periodo iniziale di questa ricerca si identifica nel ciclo delle «Geologie», realizzato tra il 1970 e il 1973, che vede sulla tela immagini stratificate, sezioni materiche, strutture sismiche.
La fase successiva, che va dal 1976 al 1983, pone in evidenza un diverso trattamento del tema paesaggistico. Il visitatore si ritrova a tu per tu con vedute luminose e lievi - acquerelli, chine e matite su carta-, che l’artista concepisce come «orizzonti immaginari, memorie di alfabeti, tracce di antiche scritture».
L’esplorazione di nuove morfologie paesaggistiche si avverte in un consistente gruppo di opere, realizzate tra il 1998 e il 2009, che, dopo aver rappresentato lo scenario dei colli marchigiani, va progressivamente esplorando i dettagli della natura, i segni e i solchi delle terre.
 «Il paesaggio, dipinto per frammenti, è -raccontano gli organizzatori- una mappa costruita con equilibri diversificati, rapporti instabili che l’artista coglie nella trama di stratificazioni materiche».
L’esposizione documenta, infine, in modo ampio e articolato la stagione più recente, quella iniziata nel 2010, in cui Tullio Pericoli ha individuato nuove profondità del paesaggio, con continui rinnovamenti dell’esperienza pittorica. Queste opere, che traggono origine anche dagli sconvolgimenti paesaggistici dovuti agli eventi sismici, si trovano nella prima sala e accolgono il visitatore in mostra.
Forme dissestate, movimenti tellurici del segno e del colore ci restituiscono la drammatica fragilità del territorio marchigiano e di tutto il patrimonio paesaggistico italiano, segnato più che dagli eventi della «natura madre e matrigna» -per usare un’espressione cara a un altro marchigiano illuste, Giacomo Leopardi- dall’incuria dell’uomo e dalla sua incapacità di uno sguardo volto alla tutela.
Questi paesaggi -scrive Salvatore Settis nel catalogo pubblicato dalle Edizioni Quodlibet- «sono altamente soggettivizzati»; sono come «segmenti rivelatori di un volto». Qui -spiega ancora lo storico e archeologo calabrese- «la ricerca di nuove convenzioni rappresentative, di matrice geologica, archeologica o cartografica, si sposa a una marcata intensità emotiva, che attraverso il gesto del pittore evoca tutta una grammatica del vivere, il modo d’intendere il paesaggio di chi lo andò lentamente forgiando per secoli». È così che in Tullio Pericoli la pittura di paesaggio si fa, magicamente, storia e sentimento, racconto reale eppure immaginario di un luogo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Tullio Pericoli, «Scena», 1999. Acquerello e inchiostro su carta, cm 57,5x76,5; [fig. 2] Tullio Pericoli, «Paesaggio instabile», 1998. Acquerello e inchiostro su carta, cm 51x72; [fig. 3] Tullio Pericoli, «Vita fra le rocce», 2000. Olio su tela, cm 60x80; [fig. 4] Tullio Pericoli, «Pittore e paesaggio», 1999. Acquerello su china e carta, cm 76x57; [fig. 5] Tullio Pericoli, «Paesaggio», 1979. Acquerello e china su carta, cm 57x76; [fig. 6] Tullio Pericoli, «Triassico», 1971. Acrilici e tecnica mista su tela, cm 120x120 

Informazioni utili
«Tullio Pericoli. Forme del paesaggio. 1970-2018». Palazzo dei Capitani, piazza del Popolo – Ascoli Piceno. Orari: martedì, mercoledì, giovedì e venerdì, ore 10.00-13.00 e ore 16.00-19.00; sabato, domenica, festivi e prefestivi, ore 10.00-20.00. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Sito internet: www.formedelpaesaggio.it. Fino al 2 maggio 2020.

giovedì 18 aprile 2019

Bosch, Brueghel e Arcimboldo: il Cinquecento incontra il virtuale e diventa «spettacolo»

L’arte del Cinquecento incontra la tecnologia digitale. Il risultato è uno spettacolo di trenta minuti, con oltre duemila immagini in scala 1:1500, proiettate su mille metri quadrati, e una colonna sonora che spazia dalle «Quattro stagioni» di Antonio Vivaldi a «Stairway to Heaven» dei Led Zeppelin, senza dimenticare i «Carmina Burana» di Carl Orff e Modest Petrovič Mussorsky con i suoi «Quadri di un’Esposizione».
Il tutto permetterà al visitatore di immergersi in un’atmosfera lirica e poetica, popolata da creature fantastiche e allegoriche dai colori vivi e cangianti, in cui lo stile fiammingo delle opere di Hieronymus Bosch e della dinastia Brueghel si incontra con l’arte burlesca e metaforica di Arcimboldo.
Ad ospitare questo progetto espositivo, che nasce sulla scia di tanti altri eventi artistici immersivi e di realtà virtuale in cantiere negli ultimi anni, pur innovandone lo stile, sono gli Arsenali Repubblicani di Pisa.
La regia della mostra-spettacolo, ideata in Francia da Culturespaces a Carrières de Lumières e giunta in Italia grazie ad Arthemisia e Sensorial Art Experience, porta la firma di Gianfranco Iannuzzi, Renato Gatto e Massimiliano Siccardi. Mentre la colonna sonora è stata curata da Luca Longobardi, autore anche della composizione originale per soprano, archi ed elettronica che apre la mostra-spettacolo.
Le atmosfere magiche e sognanti di Bosch, Brueghel e Arcimboldo, autori di opere per lo più inamovibili dalla loro sede e quindi di non facile fruizione, rivivono in mostra grazie a cinquantaquattro proiettori che trasformano in tele e schermi le superfici del suggestivo complesso trecentesco della darsena pisana, dalle vetrate al piano pavimentale.
Alchimia, religione, astrologia, vanità, tentazioni e vizi: tutti i temi che hanno reso grandi i tre artisti cinquecenteschi scorrono davanti agli occhi del visitatore che, grazie alla tecnologia, potrà scrutare nei minimi dettagli le opere, trovandosi a pochi millimetri dalla realtà ritratte, come solo uno studioso con la sua lente di ingrandimento.
Lo spettacolo, diviso in tre parti, inizia con un viaggio nel mondo idealizzato da Bosch: «Il giardino delle delizie», con il suo universo mistico e folle, introduce il visitatore alla mostra, mettendolo, poi, a confronto con personaggi mistici e grotteschi, allegorie di luoghi demoniaci fatti di tentazioni e visioni armoniose di una realtà precedente al peccato originale.
Tra le altre opere di Bosch che il visitatore può ammirare durante la mostra-spettacolo ci sono «Ascesa all’Empireo» (1500), «Tavola dei sette peccati capitali e delle quattro cose ultime» e «Il Giudizio universale», mentre dei Brughel scorrono lungo le pareti «Il giardino dell’Eden e la caduta dell’uomo» (1615 ca., con Pieter Paul Rubens), «Paesaggio fluviale», «Allegoria della Musica» e «Torre di Babele» (1563).
La rappresentazione della vita quotidiana e del paesaggio fiammingo con le sue feste delle stagioni, le danze e i banchetti proiettano così il pubblico, con questi lavori, in momenti di autentica allegria popolare.
Il percorso si chiude con Arcimboldo e le sue celebri nature morte che si ricompongono in ritratti antropomorfi, eccelsi esempi di fantasia e maestria tecnica. Ecco così «Terra» (1570 ca.), «Quattro stagioni in una testa» (1590 ca.), «Primavera» e «Autunno», tratte dalla serie «Quattro stagioni», eseguita per l’imperatore Massimiliano II.
Con l'epilogo della mostra si torna al «Giardino delle delizie», già visto nel prologo, ora in una visione contemporanea: un finale fuori dal tempo e dallo spazio, con la possibilità per il pubblico di muoversi in un giardino incantato popolato da creature straordinarie.
L’arte del Cinquecento si fa così pop e didattica, coinvolgendo anche un pubblico di non esperti. Lo provano i 650mila spettatori della tappa francese, affascinati da Bosch, Brueghel e Arcimboldo, dai loro mondo incantati che, per trenta minuti, diventano luoghi da toccare e in cui camminare per vivere un’esperienza immersiva che stimola la fantasia e l’emotività.

Informazioni utili
Bosch, Brueghel e Arcimboldo. Una mostra spettacolare. Arsenali Repubblicani, via Bonanno Pisano, 2 – Pisa. Orari: tutti i giorni, ore 9.30 – 19.30; la biglietteria chiude un'ora prima. Biglietti: intero € 13,00, ridotto da € 11,00 a € 6,00. Informazioni e prenotazioni: tel. +39.050806841. Sito internet: www.mostraspettacolare.it/Pisa. Fino al 30 giugno 2019.
   

mercoledì 17 aprile 2019

«Gulp! Goal! Ciak!», un secolo di cinema e fumetto alla Mole di Torino

Nascono entrambi alla fine dell’Ottocento e hanno un intento comune, quello di raccontare non solo a parole, ma anche con le immagini. Eppure sono diversissimi: uno è sempre in movimento e impone allo spettatore i suoi ritmi; l’altro è fermo sulla carta e le emozioni devono essere attivate dal lettore, al quale spetta il compito di creare dentro di sé i suoni, suggeriti dalle parole inserite nelle didascalie e nelle nuvolette, nonché dalle onomatopee. Stiamo parlando del cinema e del fumetto, arti alle quali il Museo nazionale del cinema di Torino dedica, insieme con lo Juventus Museum, la mostra «Gulp! Goal! Ciak!», nata da un’idea di Gaetano Renda e curata da Luca Raffaelli.
Il percorso di visita, fruibile fino al prossimo 20 maggio, parte dall’Aula del Tempio, cuore della Mole Antonelliana, dove nella chapelle del Caffè Torino si trovano i primi esempi di fumetti, linguaggio teorizzato dal ginevrino Rodolphe Töpffer nella prima metà del diciannovesimo secolo. Nella Sala dedicata all’animazione si possono, invece, ammirare importanti acetati originali, in gergo tecnico «rodovetri», sui quali venivano disegnati e colorati i personaggi, che poi sarebbero stati fotografati sopra la giusta scenografia.
Da qui, salendo sulla rampa elicoidale, si snoda un percorso che allinea oltre duecento film e altrettanti fumetti, cinquantaquattro tavole originali, sessanta schermi per più di novanta metri di proiezioni lineari, ai quali si aggiungono i busti di Catwoman e di Batman e cinque manifesti originali, appartenenti alle collezioni del Museo nazionale del cinema.
«L’alternanza di tavole originali e di oggetti, le proiezioni e le postazioni interattive sfruttano il verticalismo antonelliano -raccontano gli organizzatori- e accompagnano il visitatore alla scoperta dei rapporti tra cinema e fumetto, individuando peculiarità di due linguaggi che progressivamente tendono ad avvicinarsi, grazie anche alla loro potenza espressiva e comunicativa».
Quasi in apertura della mostra, in un angolo della scala elicoidale, si trova uno spazio dedicato a Winsor McCay, uno dei primi e più grandi artisti della storia del fumetto e del cinema d’animazione.
Il suo personaggio più celebre è Little Nemo, che apparve per la prima volta nel 1905 sulle pagine del «New York Herald». Le sue avventure, tutte sorprendenti e straordinarie, si concludono sempre con un brusco risveglio. Insieme a questo personaggio, al quale fu dedicato nel 1911 anche un film di animazione, sono in mostra Flap il pagliaccio, il nero Imp e la Principessa di Slumberland.
Il percorso prosegue, quindi, sulla rampa e si sviluppa in sei aree tematiche che raccontano i film storici, il manga e l’anime giapponese, i grandi nomi della storia del fumetto e i loro personaggi più famosi, gli eroi meno conosciuti, i supereroi della D.C. Comics, le trasposizioni cinematografiche di Tim Burton e i romanzi a fumetti che sono diventati film.
Ecco così che il visitatore può ammirare le improvvisazioni da cabaret delle Sturmtruppen o il complesso e variegato mondo del «dio del manga» Osamu Tezuka. Può rivivere le avventure di Batman, Asterix, Hugo Cabret o di Tintin, personaggio del belga Hergé che, nel 2011, Spielberg ha voluto animare con la tecnica della motion capture.
In cima alla rampa, sei cappelle mettono in mostra le performance dei fumettisti, sia quando si mettono davanti alla macchina da presa sia quando vi si mettono dietro, come avviene, per esempio, per Hugo Pratt diretto da Leos Carax, Pino Zac diretto da Monicelli, Bonvi guidato da Samperi e da Sergio Staino, e Gianluigi Bonelli, padre di Tex, nella versione inedita di regista di un piccolo cameo.
Ci sono poi tre film mai realizzati da altrettanti maestri del cinema italiano e disegnati da fumettisti. Massimo Bonfatti interpreta, per esempio, «Capelli lunghi», storia di due ribelli nell’Italia del boom economico, scritta da Mario Monicelli alla fine degli anni Sessanta. Milo Manara racconta «Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet», un film mai fatto pieno di misteri, scritto da Federico Fellini insieme a Brunello Rondi e a Dino Buzzati. Ivo Milazzo, infine, realizza «Un drago a forma di nuvola», storia di un libraio parigino travolto da un amore insolito, che rischia di mettere in crisi il delicato rapporto con la figlia, la cui sceneggiatura fu scritta da Ettore Scola, insieme a Giacomo Scarpelli e Silvia Scola.
Non manca lungo il percorso espositivo una cappella, allestita da Panini, dedicata a Topolino, il settimanale a fumetti più longevo d’Italia, che nei prossimi mesi ospiterà nelle sue pagine alcune storie originali sul cinema. Mentre a chiudere la mostra è un gioco dove ai film viene tolto il sonoro e vengono aggiunte le onomatopee. I ruoli cambiano -verrebbe da dire-, ma la magia resta la stessa.
La mostra, che sarà arricchita da visite guidate e laboratori per bambini e famiglie, prosegue idealmente alla Bibliomediateca Mario Gromo, dove, a partire da materiali conservati nelle sue collezioni, viene proposta una selezione di fumetti in cui il cinema è declinato secondo percorsi diversi e complementari, in un reciproco scambio di influenza tra personaggi e storie. Si tratta di un percorso plurale, declinato secondo sei macro-categorie, alle quali si aggiunge un focus specifico sull’universo di «Star Wars». Ecco così che il visitatore potrà vedere come divi del piccolo schermo quali Charlot, Marilyn Monroe o Rodolfo Valentino siano stati trasfigurati da matite e chine o come un capolavoro del cinema muto quale «Cabiria», diretto nel 1914 da Giovanni Pastrone, riviva nelle tavole illustrate pubblicate da «Topolino» negli anni Quaranta.
Lo Juventus Museum propone, invece, un percorso alla scoperta di come il calcio sia stato affrontato dal fumetto. «C’è un linguaggio migliore per raccontare l’emozione di uno scarpino che tocca il pallone, della sfera che solca l’aria mentre gli sguardi di tutti (giocatori e spettatori) sono coinvolti nel destino di quella traiettoria?». Si è chiesto Luca Raffaelli per costruire questo percorso espositivo. La risposta sembra essere no, guardando le sale del museo torinese dove si trovano personaggi dei fumetti di professione calciatori come l’inglese Roy of the Rovers di Walter Booth, Eric Castel del francese Raymond Reding o il celeberrimo Capitan Tsubasa di «Holly e Benji», ideato dal giapponese Yoichi Takahashi. Ci sono, poi, in mostra anche personaggi che occasionalmente si sono trovati a giocare con un pallone, da Peppa Pig ai Simpson, e tavole di disegnatori quali Mordillo, Forattini e Giannelli.
 Un percorso, dunque, completo quello proposto a Torino per celebrare due linguaggi espressivi, cinema e fumetto, che, da oltre un secolo, si incontrano e percorrono un sentiero comune, fatto di prestiti, reciproche influenze e omaggi, con la medesima volontà di mettere il mondo in immagini, spesso trasfigurandolo e trasformandolo.

 Informazioni utili 
 «Gulp! Goal! Ciak!». #Museo nazionale del cinema, via Montebello 20 – Torino. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, domenica, ore 9.00-20.00; martedì e sabato, ore 9.00-23.00.Ingresso: intero € 11,00, ridotto € 9,00, ridotto scuole € 3,50. Informazioni: info@museocinema.it. Sito internet: www.museocinema.it. #Juventus Museum, via Druento 153 (int. 42) -Torino. Orari: lunedì-venerdì, ore 10.30-18.00; sabato-domenica e festivi, ore 10:30-19:30; chiusura il martedì. Ingresso: € 22,00 museo+stadium tour, € 15,00 solo museo. Informazioni: juventus.museum@juventus.com. Catalogo: Silvana editoriale. Fino al 20 maggio 2019 | La chiusura della mostra è stata prorogata al 17 giugno 2019.