ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 11 novembre 2019

«Luxardo e il cinema», a Roma trentadue «facce da film»

È stato il fotografo dei telefoni bianchi e del Ventennio fascista. Ha lasciato un’indimenticabile galleria di nudi dalla bellezza asciutta e suggestiva, con corpi maschili muscolosi e forme femminili dalle linee sinuose, capaci di evocare la grazia e l’armonia della scultura classica antica. Ha firmato campagne pubblicitarie innovative, ideando, tra l’altro, l’immagine della donnina Ferrania, sexy e ammiccante, sul modello delle pin-up americane. Ha messo in posa politici, nobili, scrittori, ma anche uomini e donne comuni. Ha prestato il suo sguardo iconico e metaforico agli anni d’oro del cinema italiano, quelli tra il 1930 e il 1960, regalandoci ritratti indimenticabili delle dive più importanti dell’epoca. Davanti al suo obiettivo, nello studio romano di via del Tritone 197 (e, dal 1944, in quello milanese di corso Vittorio Emanuele), sono passate star nostrane come Sophia Loren, Claudia Cardinale, Silvana Mangano, Lucia Bosè e Gina Lollobrigida. Stiamo parlando di Elio Luxardo (Sorocaba, 1º agosto 1908 – Milano, 27 novembre 1969), a cui la Casa del Cinema di Roma, spazio culturale gestito da Zetema e diretto da Giorgio Gosetti, dedica fino al prossimo 1° dicembre una mostra, per la curatela di Roberto Mutti, che  racconta i rapporti dell'artista con la settima arte e con gli artisti di Cinecittà.
«Luxardo e il cinema», questo il titolo dell’esposizione, allinea nello specifico trentadue scatti, provenienti dalla Fondazione 3M, istituzione permanente di ricerca e formazione, proprietaria di uno storico archivio fotografico di circa centodiecimila immagini (lastre, cartoline fotografiche, negativi, stampe vintage e riproduzioni), provenienti dalla storica azienda fotografica italiana Ferrania e da una serie di donazioni e di acquisizioni avvenute nel tempo e recenti.
Sophia Loren, Claudia Cardinale, Silvana Mangano, Lucia Bosè, Marisa Merlini e Gina Lollobrigida, ma anche Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Silvana Mangano, Sergio Tofano e Giorgio Albertazzi sono alcuni dei più noti protagonisti del cinema italiano, i cui ritratti sono visibili nella rassegna romana.
Elio Luxardo, nato da genitori di origini italiane in Brasile, si affermò inizialmente come atleta e come autore di documentari. Dal padre, fotografo di professione, imparò molto lavorando con i fratelli nello studio di famiglia. Nel 1932 si trasferì a Roma e si iscrisse al Centro sperimentale di cinematografia col sogno di diventare regista. Abbandonò, però, quasi subito la scuola per entrare nello studio del fotografo Sem Bosch e ne rilevò, poi, l’attività affermandosi rapidamente come ritrattista. Proprio in questa veste, il fotografo, che per anni ha immortalato anche le Miss Italia, è stato in particolar modo apprezzato dai divi di Cinecittà e dagli attori di teatro per la sua capacità di ricercare la bellezza nei volti e nei corpi, e di realizzare scatti mai ripetitivi.
Il fotografo, appassionato di cinema, aveva imparato sul set a utilizzare in maniera innovativa le luci per valorizzare i volti. Nei suoi scatti, rigorosamente in bianco e nero, emergono così le caratteristiche di ognuno dei soggetti raffigurati, di cui l’artista sottolinea l’ironia di uno sguardo e la forza seduttiva di un altro, le posture più classiche e quelle insolite. Le opere di Elio Luxardo trasmettono, inoltre, un senso di plasticità, grazie alla scelta delle riprese laterali, che vedono corpi e volti occupare lo spazio in diagonale.
Raffinatezza, eleganza e divismo sono, dunque, i protagonisti della mostra romana alla Casa del Cinema, che celebra una delle massime griffe fotografiche degli anni della Dolce Vita.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Marisa Merlini; [fig. 2] Gina Lollobrigida; [fig. 3] Silvana Mangano

Informazioni utili 
Casa del cinema, Largo Marcello Mastroianni, 1 – Roma. Orari: lunedi – venerdì,ore16.00 – 20.00; sabato – Domenica, ore 10.00 – 13.00 / 16.00 – 20.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 060608. Sito internet: www.casadelcinema.it | www.060608.it. Fino al 1° dicembre 2019.

venerdì 8 novembre 2019

«Il volo di Leonardo», al Piccolo Teatro di Milano la storia leggendaria del «grande nibbio»

«Nessuna guarda a cosa c’è davanti ai suoi piedi. Tutti guardano le stelle», diceva il poeta e drammaturgo romano Quinto Ennio, il padre della letteratura latina.
Forse proprio quegli occhi rivolti al cielo, a seguire il moto degli astri, a studiare i fenomeni meteorologici o a guardare il librare degli uccelli, sono all'origine di uno dei sogni più ricorrenti nella storia dell’umanità: volare.
Tutti, almeno per sentito dire, conoscono il mito greco di Icaro, il figlio dell’inventore Dedalo, che riuscì a fuggire dal labirinto del re cretese Minosse e dal suo Minotauro, grazie a un paio di ali di cera, anche se quel volo gli fu fatale: inebriato dall'esperienza, il giovane si avvicinò troppo al sole e precipitò in mare.
Ma quello di Dedalo è solo uno dei tanti miti nati nell'antichità, prima di ogni invenzione rivoluzionaria, quando l’uomo poteva volare solo con la fantasia. Basti pensare, per esempio, ai tappeti volanti delle antiche favole orientali o alla divinità egizia di Iside, ritratta con le ali, o ancora a Weland il fabbro, mitologico personaggio di origine germanica capace di fabbricare spade indistruttibili, armature e ali per volare grazie alle tecniche apprese dai nani, abili forgiatori di metalli.
Anche Leonardo da Vinci non fu immune al fascino del volo. Mentre Filippo Brunelleschi sfidava le grandi altezze con la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, che avrebbe eclissato qualsiasi altra costruzione del primo Rinascimento con la solennità dei suoi centoquattordici metri di altezza. Leonardo cercava di oltrepassare i limiti umani con i suoi studi contenuti nel «Codice di volo degli uccelli», fascicoletto composto da diciotto fogli di ventuno per quindici centimetri, fitto di note, schizzi, osservazioni, disegni e intuizioni scientifiche sulle leggi fisiche che permettono a passeri, rondini e colombi di librarsi in volo.
Scritto nel 1505, il Codice, oggi conservato alla Biblioteca reale di Torino, rappresenta il primo passo di quell'ardito esperimento che, secondo la leggenda, Leonardo compì nel 1506 sul Monte Ceceri, nei pressi di Fiesole, con il suo prototipo di macchina da volo: «il grande nibbio».
Prende spunto da questa storia lo spettacolo «Il volo di Leonardo», in cartellone da sabato 9 a domenica 24 novembre a Milano, nella Scatola magica del Teatro Strehler.
In occasione dei cinquecento anni dalla morte del genio vinciano, Flavio Albanese racconta ai più piccoli «i sogni, il pensiero, la vita, le peripezie, i segreti» di quello che è universalmente riconosciuto come uno più grandi geni dell’umanità, un uomo dalla personalità particolarissima personalità e dall'indomita e inesauribile voglia di conoscere e insegnare.
A raccontare la figura di Leonardo è il suo amico e collaboratore prediletto: Tommaso Masini detto Zoroastro, che fu protagonista anche dell’esperimento con «il grande nibbio», una delle invenzioni leonardesche più visionarie e anticipatrici. L’esperimento non funzionò perfettamente, ma la fede di Leonardo nel volo umano restò sempre immutata, a testimonianza di una altrettanto profonda fede: quella nella capacità dell’uomo di superarsi e di imparare dall'esperienza, che, al di là dei risultati, è sempre maestra di vita.
Attraverso gli occhi del giovane Tommaso, interpretato da Albanese (che è anche autore e regista dello spettacolo), i bambini dai 9 anni in su faranno così un viaggio avventuroso tra esperimenti scientifici, azzardi culinari e la realizzazione dell’«Ultima Cena», per scoprire come i sogni, prima o poi, possano diventare realtà. L’importante è crederci e non focalizzare l’attenzione sull'errore.
Risultano così profetiche le parole dello stesso Leonardo: «Una volta che avrete imparato a volare, camminerete sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare».

Informazioni utili
Il volo di Leonardo. scritto, diretto e interpretato da Flavio Albanese. Per bambini dai 9 anni in  su. Piccolo Teatro Strehler - Scatola Magica, Largo Greppi, 1 – Milano. Orari: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, ore 9.45 e 11.15; sabato, ore 15 e 16.30; domenica, ore 11. Durata: 55 minuti senza intervallo. Biglietto: posto unico 10 euro. Informazioni e prenotazioni: tel. 0242411889. Sito web: www.piccoloteatro.org. Dal 9 al 24 novembre 2019. 

giovedì 7 novembre 2019

«L’abisso», Davide Enia al Piccolo con il suo monologo su Lampedusa

«Noi siamo figli di una traversata in mare». Siamo figli di Europa, una fanciulla della città fenicia di Tiro che, un giorno, decise di fuggire dal suo paese in fiamme, sotto assedio. Quella giovane donna corse sulla sabbia del deserto e, quando la terra finì, attraversò il mare sul dorso di un toro bianco, sotto le cui sembianze si nascondeva il dio Zeus, per giungere sull’isola di Creta, di cui, poi, divenne regina. «Questa è la nostra origine. Ecco chi siamo [….] Scuru».
Si chiude con il racconto mitologico dedicato alla madre di Minosse -una leggenda, questa, narrata anche da Omero nell’«Iliade» e da Ovidio nelle «Metamorfosi»- «L’abisso», il monologo scritto, diretto e interpretato dallo scrittore e drammaturgo Davide Enia che, da martedì 12 a domenica 24 novembre, sarà in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano.
Le repliche saranno precedute mercoledì 13 novembre, alle ore 17, da un incontro con il pubblico al Chiostro di via Ravello, occasione utile per approfondire i temi al centro della pièce, co-produzione del Teatro di Roma, del Biondo di Palermo e dell’Accademia Perduta - Romagna Teatri, in collaborazione con il Festival internazionale di narrazione Arzo.
Tratto dal romanzo «Appunti per un naufragio», pubblicato da Sellerio editore nel 2017, lo spettacolo porta il pubblico in quella terra complessa e affascinante che è la Sicilia e in quella piccola isola del Mediterraneo, Lampedusa, che da anni si trova ad affrontare, prima tra tutti, l’emergenza dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa, i tanti sbarchi di migranti che arrivano nel nostro Paese in cerca di un futuro migliore.
«L’abisso» di cui parla l’autore nel titolo è, dunque, quello del nostro «mare magnum», che talvolta culla i sogni di chi ha detto addio per sempre alla sua patria fino alla vista di un lembo di terra che diventa sempre più grande, talaltra ingoia, tra onde gigantesche e nelle sue acque fredde, essere umani, portandosi via per sempre le loro speranze.
Davide Enia è uomo di mare. È nato a Palermo. La Sicilia è casa sua. Lampedusa la conosce bene. «Quando ho visto il primo sbarco ero con mio padre -racconta-. Approdarono tantissimi ragazzi e bambine. Era la Storia quella che stava accadendo davanti ai nostri occhi. Nell’arco degli anni sono tornato sull’isola, costruendo un dialogo continuo con i testimoni diretti: pescatori, personale della Guardia Costiera, residenti, medici, volontari e sommozzatori».
Le loro parole e, soprattutto, i loro silenzi sono diventati un racconto, testimonianza storica, percorso esistenziale: «Durante i nostri incontri -spiega ancora lo scrittore- si parlava in dialetto. Si nominavano i sentimenti e le angosce, le speranze e i traumi secondo la lingua della culla, usandone suoni e simboli. In più, ero in grado di comprendere i silenzi tra le sillabe, il vuoto improvviso che frantumava la frase consegnando il senso a una oltranza indicibile. In questa assenza di parole, in fondo, ci sono cresciuto. Nel Sud, lo sguardo e il gesto sono narrativi e, in Sicilia, ‘a megghiu parola è chìdda ca ‘un si dice, la miglior parola è quella che non si pronuncia».
La messa in scena fonde diversi registri e linguaggi teatrali: gli antichi canti dei pescatori, intonati lungo le rotte tra Sicilia e Africa, e il cunto palermitano, sulle melodie a più voci che si intrecciano fino a diventare preghiere cariche di rabbia quando il mare restituisce corpi senza vita di uomini, donne, bambini.
Non serve molto a Davide Enia per raccontare questa storia: una sedia per lui e una per il suo compagno di scena, Giulio Barocchieri, autore della partitura musicale composta secondo la logica dell’accumulo, dove «note e rumori si sommano uno all’altro, in progressione, senza scampo, creando disequilibri continui, echi distorti flebili ma persistenti».
Gli sbarchi, l’accoglienza, la cura dei profughi senza strutture sanitarie, il peso che ciascun migrante si porta addosso sono tanti piccoli frammenti di una stessa storia, non semplice da raccontare. Davide Enia si rende conto che il rischio della spettacolarizzazione della tragedia è dietro l’angolo. «Il lavoro -spiega l’autore- è indirizzato, quindi, verso la ricerca di una asciuttezza continua, in cui parole, gesti, note, ritmi, cunto devono risultare essenziali, irrinunciabili, necessari alla costruzione del movimento interno».
È la parola, dunque, la grande protagonista di questo spettacolo di narrazione e di teatro civile, che nella passata stagione si è aggiudicato i premi Hystrio Twister 2019 e Le Maschere del teatro italiano 2019, riconoscimenti più che meritati. Davide Enia parla alle nostre coscienze, le scuote e la domanda che a più riprese si pone diventa anche nostra: «che cosa posso fare?». Impossibile rimanere indifferenti.

Informazioni utili
L’abisso. Piccolo Teatro Grassi , via Rovello, 2 – Milano. Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16. Durata: 75 minuti senza intervallo. Prezzi: platea € 33,00, balconata € 26,00. Informazioni e prenotazioni: tel. 02.42411889. Sito internet: www.piccoloteatro.org. Dal 12 al 24 novembre 2019.