ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 10 dicembre 2019

«Artonauti», un nuovo album di figurine dedicate al Novecento e ai Monuments Men

Le figurine da collezione non sono più riservate solo al mondo dei calciatori e dei cartoni animati. Dallo scorso marzo per i più piccoli è stato pensato anche un album dedicato alla storia dell’arte: «Artonauti».
Il primo numero, incentrato sui grandi artisti e sulle opere celebri dei secoli compresi tra la preistoria e Paul Gauguin, è stato un vero e proprio successo con ben quattro ristampe in pochi mesi.
Grazie alla creatività e alla passione di Daniela Re e di Marco Tatarella, fondatori dell’impresa sociale non-profit WizArt, Ale, Morgana e il cane Argo ritornano così in edicola, dal prossimo 13 dicembre, con una nuova avventura. Questa volta si va alla scoperta delle Avanguardie storiche del primo Novecento insieme a nonna Artemisia e ai Monuments Men, gli eroi silenziosi che durante la Seconda guerra mondiale hanno salvato il patrimonio artistico europeo da uno dei più grandi furti della storia.
I tre protagonisti si ritroveranno magicamente catapultati negli Stati Uniti del 1943, nello Studio Ovale del presidente Franklin Delano Roosvelt, che li manderà in Europa alla ricerca della «Madonna di Bruges», capolavoro di Michelangelo trafugato dai nazisti. Qui Ale, Morgana e il cane Argo avranno modo di conoscere i grandi protagonisti delle Avanguardie storiche, spesso vittime di censura da parte del regime nazista per aver prodotto «arte degenerata».
Le opere pubblicate non corrispondono, però, a quelle storicamente ritrovate dai Monuments Men: sono alcuni dei principali capolavori di Matisse, Picasso, Munch, Klee, Kandinsky, Marc, Klimt, Miró, Chagall, Modigliani, Goncharova, Boccioni e Mondrian, tra gli altri.
«Il Novecento: alla ricerca dei tesori perduti», questo il titolo del nuovo album dedicato alla memoria di Khaled al-Asaad (archeologo siriano decapitato dall’Isis), è ancora più ricco e interattivo del precedente: si compone di centosedici pagine, quindici tavole di illustrazione, ben centododici opere d’arte da ricostruire grazie a trecentoventiquattro figurine e ventiquattro indovinelli, tra «aguzza la vista», rebus e giochi di parole, oltre a veri e propri indizi per portare avanti la caccia al tesoro e ritrovare la «Madonna di Bruges».
Venticinque coppie di Twin Cards collezionabili consentiranno ai bambini dai 7 ai 14 anni, questo il target del nuovo album, di allenare la memoria, riconoscendo le opere a partire dai dettagli.
Sarà, inoltre, possibile scoprire i luoghi dove sono conservate le tele pubblicate grazie a una mappa.
Infine per raccontare lo stretto legame tra arti visive e musica che ha caratterizzato il Novecento, sette QR code permetteranno di ascoltare altrettante proposte musicali legate a sette diversi artisti presenti nell’album.
Ma c’è di più, grazie al concorso «In viaggio con gli Artonauti» i fortunati che troveranno un Golden Ticket nei propri pacchetti di figurine, potranno godere di un’esperienza creata ad hoc con Elesta Art Travel, tour operator specializzato in viaggi culturali che ha predisposto itinerari speciali, dedicati ai vincitori: una visita a una città d’arte, a un museo o un tour esperienziale alla scoperta delle bellezze di una città italiana, per un totale di ventuno premi.
Grazie al classico gioco «ce l’ho, ce l’ho, mi manca», con le figurine di «Artonauti» l’arte diventa, dunque, un gioco da ragazzi, che conquista anche i più grandi, a partire dagli insegnanti che subito hanno intuito le sue potenzialità dell'album come stimolo culturale per i più giovani e per le famiglie.

Vedi anche 
Artonauti, arrivano in edicola le figurine della storia dell'arte 

Per saperne di più 
www.artonauti.it

lunedì 9 dicembre 2019

Parma, alla Pilotta l’Epifania secondo Rembrandt

Il 2019 verrà ricordato in Italia come l’anno del cinquecentenario dalla morte di Leonardo da Vinci. Ma il mondo dell’arte ricorda quest’autunno anche la scomparsa di un altro autore rappresentativo per la pittura europea, e più precisamente per il «secolo d’oro olandese»: Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Leida, 15 luglio 1606 – Amsterdam, 4 ottobre 1669), artista molto prolifico con il suo catalogo di circa seicento tele, duemila disegni e quattrocento incisioni, ma poco presente nelle collezioni pubbliche del nostro Paese.
Le opere di Rembrandt sono, infatti, conservate solo in quattro sedi italiane: la Galleria Sabauda di Torino, gli Uffizi di Firenze, Capodimonte a Napoli e il Museo interreligioso di Bertinoro, sulle appendici dell’Appennino forlivese, che nelle antiche segrete medioevali e nella cinquecentesca cisterna della Rocca vescovile propone un dialogo tra cristianesimo, ebraismo e islam.
Si rivela, dunque, prezioso l’appuntamento promosso dalla città di Parma, grazie a un accordo con il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, che ricorda l’anniversario rembrandtiano dei trecentocinquanta anni dalla morte, con l’esposizione dell’«Adorazione dei Magi» (1632), vero e proprio manifesto del fare pittorico del maestro di Leida.
A ospitare la tela è, fino al prossimo 26 gennaio, il Complesso monumentale della Pilotta, imponente palazzo simbolo del potere ducale dei Farnese, la cui Galleria nazionale è un vero e proprio scrigno di tesori con opere significative come, per esempio, «La scapigliata» di Leonardo (attualmente al Louvre), la «Madonna dell’umiltà» del Beato Angelico, la «Guarigione del nato cieco» di El Greco, la «Schiava turca» del Parmigianino, l’«Incoronazione della Vergine» del Correggio, il «Ritratto di Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia» di Antonio Canova e «La spiaggia» di Renato Guttuso.
L’«Adorazione dei Magi», dipinta intorno al 1632, è un olio su carta incollato su tela di piccole dimensioni (45 x 39 centimetri), che si rifà a un passaggio del Vangelo secondo San Matteo, nel quale è scritto: «udito il re, essi [i magi], partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. / Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. / Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra».
L’opera appartiene a una fase di emancipazione creativa di Rembrandt, uscito da poco dalla bottega del maestro Pieter Lastman, pittore celebre per le sue scene bibliche, mitologiche e storiche, che aveva studiato e lavorato in Italia esportando nel suo Paese alcune delle caratteristiche principali della pittura barocca, a partire dalla lezione di Caravaggio sull’uso della luce e da quella della famiglia Carracci sullo studio rigoroso del vero, fondamento imprescindibile per le loro scene costruite con una grande ricchezza e varietà di dettagli e personaggi.
In risposta ai codici formali del tardo-manierismo italiano, l’artista fiammingo riprende, infatti, iconografie provenienti da Oriente, meta in quegli anni dei viaggi commerciali della Compagnia delle Indie e oggetto di crescente attenzione, che con il loro esotismo sembrano perfetti per evocare un mondo lontano e sconosciuto come quello della Terra Santa narrato nell’antico Testamento e nei Vangeli. Turbanti, mantelli preziosi, armature, gioielli e, al centro della scena, un grosso ombrello parasole sono gli accessori insoliti che Rembrandt sceglie per animare la sua composizione a più figure, con vari personaggi in abiti orientali e sul lato destro la Madonna e il Bambino, due figure, queste, che presentano legami non totalmente recisi con l’arte italiana del tempo.
La struttura della scena è caratterizzata da un attento gioco focale e da un’esaltazione illusionistica del dettaglio tale da rivelare, attraverso la pittura, la tessitura teologica della storia: la luce si concentra sulla figura del saggio con la barba bianca inginocchiato, che china il suo capo davanti al Cristo tenuto in braccio da Maria, mentre al centro della rappresentazione appare un altro Re magio con gli occhi rivolti verso chi guarda e il braccio teso a benedire il Bambino. L’interesse di Rembrandt sta, dunque, tutto nel tributo che gli antichi saperi magici e astronomici d’Oriente riservano a un Principe divino più potente di tutti, quindi destinato a superare e a sussumere a sé la parzialità dei poteri pagani che lo hanno preceduto.
La tela è stata realizzata in parallelo a una serie di incisioni preparatorie riferite a episodi della vita e della passione di Cristo, mai portate a termine, ed è dipinta in grisaille, chiaroscuro quasi privo di colore introdotto per la prima volta a Roma nella prima metà del Cinquecento.
Un tono prevalentemente marrone si combina con il grigio o l’azzurro: in primo piano domina un morbido color seppia, mentre in secondo piano e in profondità prevale un freddo color grigio precisamente calcolato per essere confrontato con la morbidezza del resto del soggetto. Le tenui gradazioni di colore che avvolgono dalla penombra i singoli dettagli danno alla rappresentazione una sfumatura drammatica, anche questa tipica del linguaggio rembrandtiano.
Le elevate qualità pittoriche della grisaille dell’Ermitage hanno portato i soprintendenti del museo russo ad attribuire la tela all’artista di Leida, dopo una prima fase di incertezza: all’epoca dell’acquisizione, nel 1932, l’opera era, infatti, stata considerata una copia di un dipinto pressoché identico, ma di dimensioni maggiori, che si trova al Museo d’arte di Göteborg (71 x 65,8 cm.).
L’attribuzione è stata confermata dall’analisi della tela ai raggi X, che ha evidenziato correzioni da parte dell’autore, pentimenti che costituiscono, dunque, una prova della sua autenticità. Un’autenticità che si ravvisa anche nei colori autunnali dell’«Adorazione dei Magi», avvolti da forti effetti di chiaroscuro, che ci parlano del recupero di una lettura diretta delle Sacre Scritture caratterizzate da un confronto spesso mistico con il divino, più in linea con la spiritualità popolare e borghese dei paesi del Nord di area protestante.

Didascalia del quadro
Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), Adorazione dei Magi, 1632. Olio su carta incollato su tela, 45x39 cm. Courtesy Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo

Informazioni utili
«Un Rembrandt dall’Ermitage 1669 - 2019: 350 anni dalla morte del maestro». Complesso monumentale della Pilotta, Strada alla Pilotta, 15 – Parma. Orari: da martedì a domenica, ore 8.30 – 19.00; domenica e festivi, ore 13.00-19.00 . Ingresso: la visita alla sala dedicata all’Adorazione dei Magi di Rembrabdt è compresa nel biglietto di ingresso alla Galleria nazionale | intero € 10,00, ridotto gruppi € 8,00, ridotti dai 18 ai 25 anni € 2,00 | fino ai 18 anni gratuito. Informazioni per il pubblico: tel. 0521.233309, cm-pil.info@beniculturali.it. Ufficio stampa: Carla Campanini, carla.campanini@beniculturali.it, tel. 0521.233309 | Lara Facco press@larafacco.com. Fino al 26 gennaio 2020

venerdì 6 dicembre 2019

Firenze, al Museo de’ Medici un ritratto di Cosimo I

Ha scritto tre secoli di storia di Firenze, dal XV al XVIII secolo, e ha lasciato in eredità un patrimonio storico e artistico di grande rilevanza. Stiamo parlando della famiglia de’ Medici, alla quale è stato da poco dedicato nella città toscana un museo.
La neonata istituzione, ubicata a metà strada tra la Cattedrale e la Basilica della Santissima Annunziata, è frutto della passione di Samuele Lastrucci, giovane direttore d'orchestra e studioso di musica antica e barocca.
Aperto non a caso nell’anno in cui si festeggia il doppio cinquecentenario della nascita di Cosimo I e di Caterina de’ Medici, il museo ha come suo location il piano nobile di un antico palazzo fiorentino in via de’ Servi, quello di Sforza Almeni, che vide camminare tra le sue stanze Eleonora di Toledo e artisti come Bartolomeo Ammannati e Giorgio Vasari.
In queste sale, fatte costruire da Piero d'Antonio Taddei, i visitatori possono ammirare dalla scorsa estate reliquie e cimeli provenienti da collezioni private, installazioni multimediali e opere d’arte, scoprendo così la storia della casata medicea, che ebbe il controllo del Gran Ducato di Toscana dal 1424 al 1737, ovvero dalla signoria di Cosimo il Vecchio a quella di Gian Gastone.
La prima sala è dedicata alla genealogia e offre un ritratto della famiglia de’ Medici attraverso un suggestivo cinema olografico.
La stanza seguente racconta, invece, la nascita del Granducato, le ville di proprietà della famiglia, la flotta dei Cavalieri di Santo Stefano, fondata da Cosimo I°, e la famosa battaglia di Anghiari, combattuta tra le truppe milanesi della famiglia Visconti e l’esercito fiorentino.
Il museo continua, poi, con una grande sala dedicata al mecenatismo artistico, caratteristica peculiare della dinastia, nella quale, oltre a una galleria di pittura virtuale e a una preziosa collezione di monete originali dal XV al XVIII secolo, è possibile ammirare una scultura di Giovanni Battista Foggini ritraente Ferdinando II.
Il percorso continua, quindi, con una sezione dedicata alla moda del tempo, con alcune statue per banchetti su modelli del Giambologna (realmente fuse nello zucchero), e una sala sulla scienza, in cui sono conservate una collezione storica di animali imbalsamati, una serie di minerali e alambicchi legati all'alchimia, un modello del telescopio con il quale Galileo Galilei scoprì i pianeti medicei e persino un documento originale del papa che condannò l'astronomo pisano.
A tutto ciò si aggiungono la piccola sala originariamente utilizzata come cappella palatina dallo Sforza Almeni, all’interno della quale è conservato ancora oggi un prezioso soffitto affrescato del XVI secolo, e una sorta di cantinetta, dove è possibile conoscere i vini preferiti dalla famiglia de’ Medici, tutelati dallo specifico bando emesso da Cosimo III già nel 1716.
Non manca lungo il percorso espositivo anche un piccolo ambiente nel quale ammirare la più fedele ricostruzione tridimensionale al mondo della corona granducale, oggi perduta.
Nella mission della neonata istituzione c’è anche l’organizzazione di mostre temporanee, eventi, incontri, presentazioni editoriali e conferenze.
Tra le rassegne in cartellone si segnala «Cosimo I. Spolveri di un grande affresco», curata dall’antiquario Alberto Bruschi, che offre al pubblico l’occasione di vedere una quindicina di opere tra dipinti, reliquie, curiosità, manoscritti, medaglie, libri a stampa e oggetti di vario genere incentrati sulla figura del granduca toscano.
Tra i pezzi esposti si possono ammirare ben quattro medaglie della settecentesca Serie medicea, opera di Antonio Selvi, che raffigurano Cosimo I, Eleonora di Toledo, Camilla Martelli e il misterioso Don Fagoro (si tratta, in realtà, di Don Pedricco, figlio del granduca, morto a meno di un anno di età, ma raffigurato dall’incisore come un giovinetto di almeno 15 anni e in armatura).
Una delle opere più importanti esposte è il quadro-bozzetto preparatorio di Jacopo Ligozzi per il dipinto «Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini» nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, che l’artista terminò nel 1592 e il cui disegno è oggi conservato nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi.
«La scena -raccontano al Museo de’ Medici- doveva illustrare il momento in cui papa Bonifacio VIII nel 1295, vedendosi attorniato dagli ambasciatori fiorentini che gli rendevano omaggio, esclamò che i fiorentini erano il quinto elemento della Terra, alludendo ovviamente ai quattro elementi costitutivi del cosmo della filosofia presocratica. Solo che Ligozzi pose sul fondo dell’immagine la personificazione della Toscana al centro, affiancata invece che dai quattro elementi, dai quattro continenti, considerando, dunque, anche l'America».
Lungo il percorso espositivo si possono, inoltre, vedere il «Ritratto di Cosimo I» attribuito all’Allori e due reliquie di Pio V, ovvero il guanto della mano destra, con il quale il papa benedisse le truppe della Battaglia di Lepanto, e una pantofola, una di quelle che Cosimo dovette baciare il giorno della sua incoronazione granducale, avvenuta nel 1569. Un momento importante, questo, per la politica cosimiana e per il potere della famiglia de’ Medici, regina indiscussa di Firenze per ancora altri due secoli. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Bronzino (bottega). Ritratto di Cosimo I (attr. Allori); [fig. 2] J. Ligozzi, Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini, quadro-bozzetto preparatorio, ante 1592; [fig. 3] A. Haelvegh. Ritratto di Cosimo I, acquaforte.c. 1675; [fig. 4] Stemma coniugale Medici-Toledo affisso sullo sprone del Palazzo di Sforza Almeni

Informazioni utili 
Cosimo I. Spolveri di un grande affresco. Museo de’ Medici - Palazzo di Sforza Almeni (primo pano), via dei Servi 12 – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10-18. Biglietti: 9,00 euro intero, 5,00 euro ridotto (da 7 a 25 anni, gruppi di minimo 10 persone, accompagnatori di persone con disabilità, residenti di Firenze); ingresso libero (da 0 a 6 anni, persone con disabilità, guide turistiche e giornalisti accreditati). Informazioni: www.museodemedici.com |museodemedici@gmail.com. Fino al 24 marzo 2020