ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 19 giugno 2020

«Cinque minuti con Monet», a Genova un inusuale «tu per tu» con le ninfee

È il 1883 quando Claude Monet, al seguito della seconda moglie, Alice Hoschedé, e degli otto figli, si trasferisce in una casa colonica a Giverny, piccolo e tranquillo paese immerso nella campagna della Normandia, a poca distanza da Parigi.
Di quel suo buen retiro, dove visse oltre quarant’anni, l’artista francese ama la luce «unica», vibrante: «non si trova uguale in nessun’altra parte del mondo», diceva.
Qualche anno dopo, quella casa diventa di proprietà dello stesso Monet che, nell’estate del 1893, decide di trasformare il modesto orto che la circonda in un affascinante giardino alla francese, il clos Normand.
L’artista ottiene, in quello stesso periodo, anche l’autorizzazione a deviare il corso dell’Epte che costeggiava allora il villaggio di Giverny.
Alla fine dell’anno, i lavori sono conclusi e Monet, che da giardiniere e botanico esperto cura i dettagli del suo giardino, fa piantare quattro salici piangenti della varietà cosiddetta «di Babilonia» sul perimetro dello stagno delle ninfee; uno in prossimità del ponte giapponese, due sul lato lungo del laghetto parallelamente alla strada e un ultimo sulla riva opposta al ponte.
La piantagione di essenze esotiche accentua ancora di più l'orientalismo di questo gioiello acquatico.
In questo bucolico mondo costruito su misura -cavalletto, colori e pennello alla mano- Monet si mette a dipingere en plein air; nel 1897 le ninfee colpiscono la sua attenzione e l’artista le dipinge più e più volte.
Lo stesso soggetto viene rappresentato da angolazioni leggermente diverse, in varie ore del giorno, in differenti stagioni e con una luce sempre differente. «E, naturalmente, -raccontava lo stesso artista- l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo accompagnamento. L’elemento base è lo specchio d’acqua il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono conferendogli vita e movimento».
Alla fine il ciclo dedicato alle ninfee costa di oltre duecentocinquanta tele, che documentano l’evoluzione del pittore, capostipite della corrente impressionista, verso uno sfilacciamento delle forme e una fluidità della pennellata che lo avvicinano al linguaggio astrattista.
Una di queste opere, quella di proprietà del Musée Marmottan Monet di Parigi, è attualmente in mostra a Genova, negli spazi di Palazzo Ducale, grazie alla collaborazione con Arthemisia e con il progetto Generali Valore Cultura, il programma della compagnia assicurativa italiana per promuove l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale - famiglie, giovani, clienti e dipendenti - al mondo dell’arte.
L’opera di Monet è al centro di un inusuale progetto espositivo, attento a tutti i protocolli anti-Covid diffusi dal Mibact: misurazione della temperatura all’ingresso, utilizzo della mascherina all’interno della mostra, rispetto della distanza di sicurezza tra le persone seguendo il percorso segnalato all’interno delle sale espositive.
Il distanziamento sociale che stiamo vivendo in questi mesi per l’emergenza sanitaria da Coronavirus diventa l’occasione per un’esperienza estetica immersiva ed emozionante: cinque minuti esclusivi da soli, o con qualche familiare, a tu per tu con uno dei quadri più famosi del grande pittore impressionista.
La mostra, in programma fino al prossimo 23 agosto, si trasforma così in una sfida alla riscoperta della contemplazione, del contatto e della forza espressiva di un’opera. «In un tempo che ci costringe a costruire barriere per proteggerci, -raccontano da Arthemisia- l’invito è quello a un incontro diretto con un capolavoro, per metterci in ascolto di quanto l’arte con grande capacità narrativa riesce a dire di sé, ma anche di noi».
La mostra si impreziosisce di un’altra piccola chicca, invito a scoprire - con sempre maggiore profondità - il patrimonio culturale genovese, soprattutto in questi mesi dove molti trascorreranno le vacanze in Italia, a poca distanza dalle proprie case.
Nel 1894 fu Giovanni Boldini, pittore italiano e uno dei massimi rappresentanti della Belle Époque, a sollecitare la conoscenza di Monet in Italia. E qui, oggi come allora, è ancora l’artista ferrarese a introdurre l’incontro con l’opera del maestro francese. E lo fa con un altro capolavoro, appunto uno dei tesori artistici della città di Genova: il dipinto «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», proveniente dalle Civiche raccolte Frugone di Nervi.
A corredo della mostra ci sono, poi, alcune fotografie di Monet, un video introduttivo che ne racconta la vita e un altro, d’epoca (1915 ca.), che riprende l’artista mentre dipinge nel suo giardino a Giverny.
Nelle Ninfee esposte al Ducale, il maestro francese offre la visione di un «mondo fluttuante», spazio piano dove si fa fatica a distinguere l’immagine dal suo riflesso, dove due cascate di salici, vicino ai bordi laterali, incorniciano un tappeto di ninfee su cui poggiano i riflessi delle nuvole. L’orizzonte è aperto. Non vi è né terra, né cielo. Solo l’onda e il fogliame ricoprono la tela luminosa e sovrastata da corolle di fiori eterei. Il risultato è «un incantesimo di acqua e luce», un’arte non tanto da capire, quanto – lo diceva il suo stesso autore- da amare.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Monet (1840-1926), Nymphéas, vers 1916-1919. Huile sur toile, 150x197 cm. Paris, musée Marmottan Monet, legs Michel Monet, 1966. © Musée Marmottan Monet, Paris / Bridgeman Images; [fig. 2] Giovanni Boldini, «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», 1901. Genova, Civiche raccolte Frugone di Nervi; [fig. 3] Ingresso di Palazzo Ducale a Genova; [fig. 4] Casa di Monet a Giverny

Informazioni utili

Cinque minuti con Monet. A tu per tu con le Ninfee. Palazzo Ducale, piazza Matteotti, 9 – Genova. Orari: lunedì, ore 14 – 19; dal martedì alla domenica, ore 10 – 19 (la biglietteria chiude un’ora prima dell’orario di chiusura). Ingresso: intero 7,00 €, bambini dai 6 ai 14 anni 3 €. Biglietti online: www.vivaticket.it. Fino al 23 agosto 2020

giovedì 18 giugno 2020

Da Helmut Newton alle «Storie del Marocco»: un'estate di grandi mostre per la Fondazione Torino Musei

«La moda è stato il mio primo desiderio, sin da ragazzo. E, ovviamente, volevo diventare un fotografo di Vogue»: così, semplicemente, Helmut Newton (Berlino, 1920 ‒ Los Angeles, 2004) raccontava il suo sogno di bambino diventato realtà. Su quella rivista prestigiosa, capace di dettare lo stile di più di un’epoca, il fotografo tedesco naturalizzato australiano, uno dei maestri indiscussi del Novecento, pubblicò, a partire dagli anni Sessanta, i suoi scatti, facendosi conoscere nel mondo per quel suo stile provocante e provocatorio, di certo rivoluzionario per il tempo, nel quale convivevano voyerismo, eleganza, seduzione, gioco e ironia.
Davanti al suo obiettivo sfilavano donne semi-vestite o nude, dai corpi scultorei e dall'evidente tensione erotica, immortalate in eleganti suite d’albergo o per le strade di una città, in luoghi banali come un garage, un bagno o un bar, trasformati per l’occasione in palcoscenici teatrali per storie che strizzavano, velatamente, l’occhio alle pratiche sadomaso e all’amore omossessuale.
Ci fu, allora, chi gridò allo scandalo; ed Helmut Newton, caustico e tranchant, provò a zittirli: «Non m’interessa il buon gusto. (...) Mi piace essere l'enfant terrible» e, ancora, «bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione».
Oggi tutto è cambiato. Quella fotografia non appare più così trasgressiva e in parte lo si deve proprio alla costanza del fotografo berlinese, classe 1920, nel continuare incessantemente una ricerca fotografica che ha sdoganato un genere, oggi conosciuto come porno-chic, che in tanti cercano di copiare ed emulare.
A cento anni dalla nascita, la Fondazione Torino Musei, con la collaborazione di Civita, ha voluto rendere omaggio ad Helmut Newton con una grande retrospettiva, a cura di Matthias Harder, direttore della fondazione berlinese dedicata all’artista, di cui rimarrà documentazione in un bel catalogo edito da Taschen.
Negli spazi della Gam – Galleria d’arte moderna, che ha riaperto i battenti il 12 giugno dopo la serrata per l’emergenza sanitaria da Covid-19, sfilano sessantotto fotografie che presentano una panoramica, la più ampia possibile, del lavoro del fotografo, dagli anni Settanta, con le numerose copertine per «Vogue», sino all’opera più tarda con il bellissimo ritratto di Leni Riefenstahl, datato 2000.
Delle importanti campagne fotografiche di moda sono esposti, tra l’altro, alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998. Interessante è, poi, la galleria di ritratti a personaggi famosi del Novecento, tra i quali spiccano Andy Warhol (1974), Gianni Agnelli (1997), Paloma Picasso (1983), Catherine Deneuve (1976), Anita Ekberg (1988), Claudia Schiffer (1992) e Gianfranco Ferré (1996). In questa serie di lavori, che ha raggiunto milioni di persone grazie alle pagine di giornali e riviste, ma anche nei suoi celebri nudi, molti ritratti nell'elegante bianco e nero, si ritrovano quelli che per Helmut Newton erano i tre concetti della fotografia: «il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare».
In occasione della riapertura, la Gam permette al suo pubblico di ammirare ancora, per tutta estate, anche la maestosa «Fiera di Saluzzo» di Carlo Pittara, presentata nel 1880 alla IV Esposizione nazionale di Belle arti di Torino e nelle sue collezioni dal 1917, a seguito della donazione del barone Ignazio Weil-Weiss.
La tela, di 4,08 metri di altezza per 8,11 metri di larghezza, raffigura, con un’abile resa realistica, una grande parata di cavalieri, personaggi in costume e moltissimi animali: dalle capre ai bovini, dai cavalli di razza a quelli da tiro, dagli animali da cortile ai cani, fino alla scimmietta ritratta sulla spalla di un giovane con lo scopo di attrarre l’attenzione sulla merce di un pittoresco venditore di chincaglieria.
Alla Gam riprende, inoltre, l’attività della videoteca con un progetto dedicato a Giuseppe Chiari (Firenze, 1926–2007), compositore e artista concettuale del quale vengono presentati, in collaborazione con l’Archivio storico della Biennale di Venezia, due video -«Kunst ist einfach» (1973) e «Spoleto Concert»- e i fogli disegnati per il progetto «La musica è facile» (1972).
L’offerta espositiva si arricchirà, dal 24 giugno, della mostra «Forma /Informe», dedicata alla nascita della fotografia non-oggettiva e informale in Italia, con cinquanta stampe vintage e originali in gran parte inedite di sette grandi fotografi, da Giuseppe Cavalli (1904-1961) a Luigi Veronesi (1908- 1998), da Franco Grignani (1908-1999) a Pasquale De Antonis (1908-2001), da Piergiorgio Branzi (1928) a Paolo Monti (1908-1982), per finire con Nino Migliori (1926).
Dopo l’apertura dello scorso 28 maggio di Palazzo Madama, dove è in corso una mostra su Andrea Mantegna, oltre alla Gam è ritornato di nuovo accessibile, nella giornata di venerdì 12 giugno, anche il Mao – Museo d’arte orientale, che per l’occasione propone al pubblico una nuova rotazione di stampe e dipinti giapponesi su rotolo verticale, dal titolo «La poesia del paesaggio», e il progetto «Storie dal Marocco. Oggetti testimoni di identità e memoria».
Sono, dunque, ritornati tutti fruibili gli spazi civici gestiti dalla Fondazione Torino Musei che, per la sua riapertura, si è avvalsa della consulenza del Politecnico di Torino e della società Onleco Srl, il cui aiuto ha portato alla revisione delle procedure di sicurezza imposte dall’emergenza sanitaria per il Covid-19.
Al fine di garantire un’offerta culturale più ampia, i tre musei del circuito saranno aperti quattro giorni a settimana in modo scaglionato, escluso il mercoledì, che sarà l’unico giorno di chiusura comune a tutti. La Gam sarà accessibile dal venerdì al lunedì; il Mao dal sabato al martedì; Palazzo Madama dal giovedì alla domenica. Nei giorni infrasettimanali l’orario per tutti i musei sarà dalle 13 alle 20; il sabato e la domenica dalle 10 alle 19. Mercoledì 24 giugno, festa patronale di San Giovanni, i tre musei civici di Torino saranno straordinariamente aperti dalle 10 alle 20.
Ovviamente in tutte e tre le strutture verranno rispettate le norme predisposte dal Mibact per la Fase 2 della cultura: dalla mascherina al distanziamento sociale, dalla creazione di percorsi di visita a senso unico all'agevolazione dell'acquisto dei biglietti on-line . Il tutto con l'intento di garantire ai visitatori un appuntamento con la bellezza, all'insegna della sicurezza.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Helmut Newton, Claudia Schiffer, Vanity Fair, Menton, 1992 ©Helmut Newton Estate; Helmut Newton, Stern, Monte Carlo, 1997 ©Helmut Newton Estate; [fig. 3] Helmut Newton, Andy Warhol, Vogue Uomo. Parigi, 1974 ©Helmut Newton Estate; [fig. 4] Carlo Pittara, Fiera di Saluzzo (secolo XVII), 1880. Olio su tela. Esposto alla IVª Esposizione Nazionale di Belle Arti, Torino, 1880 · Dono di Giuseppe Weil-Weiss, Lainate (Milano), 1917; [fig. 5] Andrea Mantegna, Pala Trivulzio, 1497. Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco

Informazioni utili
www.fondazionetorinomusei.it 

mercoledì 17 giugno 2020

«Pestifera», quando il cinema racconta il virus. Al via l’arena estiva del Castello di Rivoli

È inutile nasconderlo. Il mondo dell’arte è stato profondamente colpito dalle misure emergenziali per combattere il Coronavirus, prima con la chiusura forzata e ora con gli accessi contingentati, che stanno riducendo drasticamente il numero dei visitatori di un museo e quello degli spettatori di un teatro o di una sala cinematografica. Ma è lo stesso mondo dell’arte che può offrirci l’occasione per riflettere su questo momento storico incerto, offrendoci -per usare le parole del poeta Davide Mencarelli sul quotidiano «L’Avvenire» dello scorso 6 giugno- «la voce di chi sa tradurre il dolore in bellezza, di chi con le proprie mani trasforma la sofferenza presente in memoria condivisa, nei secoli».
A questa considerazione è giunto anche il Castello di Rivoli, tra i primi musei del Piemonte (e d’Italia) a riaprire i battenti, lo scorso 19 maggio, subito dopo il lockdown, nel rispetto delle norme studiate dal Mibact per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19, anzi con qualche tutela in più, visto che la distanza di sicurezza tra le persone, fatta eccezione per i nuclei familiari, è stata fissata in due metri, consentendo così l’accesso a non più di trentadue persone per piano per un totale di novantasei visitatori contemporaneamente.
In questi mesi estivi il pubblico potrà ammirare, nello specifico, una piccola selezione di lavori di Giorgio Morandi provenienti dalla collezione di Francesco Federico Cerruti e la raccolta dello svizzero Uli Sigg dedicata all’arte cinese contemporanea, oltre a un’installazione dell’inglese James Richards per le sale storiche del Castello («Alms for the Bird», 2020) e al progetto espositivo di Renato Leotta, che illumina con fari d’automobile i fasti del passato settecentesco del museo («Sole», 2020).
In occasione dell’estate il Castello di Rivoli ha, poi, voluto guardare a questo nostro tempo incerto e, nel suo giardino esterno, proporrà la rassegna serale «Pestifera», a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, Irene Dionisio e Fulvio Paganin, con il coordinamento di Roberta Aghemo e Giulia Colletti.
L’iniziativa consta di sei appuntamenti (oltre a uno on-line) che indagano la rappresentazione delle pandemie attraverso l’arte cinematografica. Ogni incontro, riservato a non più di cinquantacinque persone, sarà preceduto da quindici minuti di letture filosofiche e sonorizzazioni.
Ad aprire il cartellone sarà, venerdì 26 giugno (alle ore 21.30, come tutti gli altri incontri), «Die Pest im Florenz» (1919), film di Otto Rippert, scritto da Fritz Lang e ispirato al racconto «The Mask of the Red Death (La maschera della morte rossa)» di Edgar Allan Poe, che trasporta lo spettatore nel clima mistico e torbido del Medioevo, all’epoca della peste nera del Trecento, che decimò la popolazione fiorentina ed europea.
Realizzata tra il 1918 e il 1919, la pellicola, che venne presentata per la prima volta al Marmorhaus di Berlino, parla indirettamente del proprio tempo, ovvero dell’Europa del primo Dopoguerra attraversata dalla pandemia della febbre spagnola.
L’appuntamento al Castello di Rivoli sarà preceduto dall’introduzione dello storico medievista Giuseppe Sergi; mentre il film muto verrà appositamente sonorizzato dal compositore e artista multimediale Riccardo Mazza.
La rassegna proseguirà, quindi, nella serata di venerdì 3 luglio con «Nosferatu: Phantom der Nacht / Nosferatu, il principe della notte» (1978), per la regia di Werner Herzog.
Con questa pellicola, il regista tedesco crea un affresco onirico, surreale e allegorico che costituisce un omaggio e allo stesso tempo una rivisitazione in chiave contemporanea di un capolavoro assoluto dell’Espressionismo tedesco, il «Nosferatu» di Murnau (1922), nel quale si indaga la natura inestirpabile del male.
La parte del protagonista è stata affidata a Klaus Kinski, che interpreta un Dracula dall’animo lacerato, sospeso tra l’impossibilità di sottrarsi alla sua natura di demone immortale, personificazione della peste, e la volontà di morire per porre fine al suo eterno tormento.
L'incontro sarà preceduto dalla lettura del libro «Nel contagio» (2020) di Paolo Giordano, a cura di Marianna Vecellio.
Venerdì 10 luglio sarà, invece, la volta di «Epidemic» (1987), storia di una pandemia che sta distruggendo il mondo, per la regia di Lars von, con Allan De Waal, Ole Ernst e Michael Gelting.
La proiezione sarà preceduta dalla lettura dal vivo del libro «Per un dopo che era un prima» (2020), diffuso in una forma ridotta sul web da minima & moralia e pubblicato da nottetempo nel marzo 2020. Si tratta di una sorta di manifesto Post-Covid scritto dal filosofo Leonardo Caffo.
Mentre venerdì 17 luglio verrà proiettato «28 Days Later / 28 giorni dopo» (2002), film liberamente ispirato al romanzo «Il giorno dei trifidi» (1951) di John Wyndham, per la regia di Danny Boyle, con Cillian Murphy, Christopher Eccleston e Naomie Harris.
Si tratta di un horror post apocalittico che omaggia gli zombie movies. Protagonista è un giovane di nome Jim, che si risveglia dal coma in cui era finito dopo un incidente automobilistico. Uscito dall’ospedale, si ritrova a vagare per le strade di una Londra devastata da un virus che ne ha trasformato gli abitanti in creature affamate di carne umana.
Prima della proiezione, Carolyn Christov-Bakargiev leggerà il testo «Riflessioni sulla peste» (27 Marzo 2020) di Giorgio Agamben.
Il mese si chiuderà, venerdì 24 luglio, con la proiezione di «Buio » (2019), per la regia di Emanuela Rossi, con Valerio Binasco, Denise Tantucci e Gaia Bocci.
Confinamento obbligato dentro casa (anche se causato dalle bugie di un padre padrone), paura del mondo esterno, voglia di libertà e di rinascita sono i temi al centro di questo thriller psicologico, che ha vinto il Premio Raffaella Fioretta per il cinema italiano ad Alice nella città - Panorama Italia.
Protagonista della storia sono tre sorelle -Stella, Luce e Aria-, che trascorrono le giornate in lockdown, segregate in casa. Ogni sera, quando rientra, il padre racconta quanto sia pericoloso il mondo fuori. Un giorno l’uomo sparisce e Stella, la figlia più grande, è costretta a uscire per fare provviste, reagendo così a una vita di molestie e di volenze fisiche e psichiche.
Il film sarà preceduto dall’introduzione della regista Emanuela Rossi nonché dalla lettura dal vivo dell’artista e regista Irene Dionisio del testo «Coronavirus Capitalism» di Naomi Klein.
Il programma si concluderà a fine settembre, in una data ancora da definire, con l’artista e regista iraniano-canadese Mostafa Keshvari che presenterà in anteprima il film «Corona »(2020), attualmente in fase di realizzazione. Si tratta di un’indagine sui temi della paura e del razzismo attraverso la storia di un gruppo di persone bloccate in un ascensore durante la pandemia Covid.
Il Castello di Rivoli pensa anche al pubblico che nei mesi della quarantena lo ha seguito da casa tramite il progetto «Cosmo digitale / Digital Cosmos»: nella sala virtuale sarà visibile «The Last Man on Earth» (1964), per la regia di Ubaldo Ragona e Sidney Salkow, con Vincent Price, Franca Bettoja ed Emma Danieli. La pellicola è tratta dal romanzo «I Am Legend» (1954) di Richard Matheson e racconta di un morbo che si diffonde trasformando le vittime in vampiri.
Al Castello di Rivoli, grazie a «Pestifera», si capirà così che termini come pandemia, virus, contagio, quarantena non ci erano conosciuti: il cinema li aveva già pronunciati. Strade desolate, supermercati saccheggiati e psicosi da presunti fluidi letali costruiti in laboratorio facevano già parte del nostro immaginario. Quelli cambiati siamo noi, che ci siamo ritrovati a vivere nella realtà storie ed emozioni raccontate da fotogrammi in rapida successione.

Informazioni utili

«Pestifera». Dove: Castello di Rivoli, piazza Mafalda di Savoia – Rivoli (Torino). Quando: tutti i venerdì, dal 26 giugno al 24 luglio 2020. Come: Visita al museo dalle ore 10 alle 21 | Aperitivo dalle ore 19 alle 21 | Intervallo con letture filosofiche dalle ore 21.15 alle 21.30 | Proiezione: ore 21.30. Ingresso: € 8,50 interno, € 6,50 ridotto. Note: Il numero massimo di posti disponibili è 55 e l’ingresso alle proiezioni è consentito fino a esaurimento posti. Si consiglia di acquistare online il biglietto https://www.castellodirivoli.org/tickets/. Per informazioni: tel. 011.9565246.