ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 15 luglio 2020

Da Soffici a Lodola, da Zannier a Benvenuto: la ricca estate del Mart di Rovereto

Ballerini, animali, creature fantastiche alte fino a tre metri accolgono il visitatore al Mart di Rovereto in questa estate 2020. La scenografica installazione è opera di Marco Lodola (Dorno, 4 aprile 1955), che ha voluto creare per la piazza del museo un carosello di luci e colori ispirato alla visionarietà dell’arte circense e un tributo all’immaginazione che sembra scaturita dalla potenza narrativa delle fiabe.
Sempre all’esterno del museo, nel giardino delle sculture, in questi giorni è possibile vedere il «Monumento alla resistenza», un branco di cani prodotti da Vasco Vitali (Bellano, 1960) con materiali per lo più provenienti dalla cantieristica edile, come ferro, catrami, piombo, reti metalliche, cemento.
Spunto per la creazione di questa serie è l’osservazione dell’abusivismo edilizio e dei progetti incompiuti che costellano l’Italia. Minaccioso, curioso, silenzioso, il branco di Vitali, proposto al Mart in collaborazione con ArteSella, introietta, dunque, e trasla, su un piano umanissimo, il dibattito sulla fragilità del paesaggio e sulla sua tutela.
All’interno del museo è ancora aperta, fino al 23 agosto, la rassegna su Italo Zannier (Spilimbergo, 9 giugno 1932), intellettuale, docente, primo titolare di una cattedra di Storia della fotografia in Italia e, come ama dire lui, «fotografo innocente».
Attraverso un centinaio di immagini, realizzate a partire dagli anni Cinquanta, e preziosi albi illustrati provenienti dall’archivio personale dello studioso si delinea l’evoluzione dell’immagine riprodotta: dalla pre-fotografia, con volumi del XVI secolo, all'archeologia fotografica, tra incisioni e dagherrotipi, fino alle sperimentazioni contemporanee.
È ancora visitabile fino al 23 agosto anche l’altra mostra del Mart che aveva chiuso i battenti a causa del lockdown, quella dedicata a Yervant Gianikian (Merano, 1942) e Angela Ricci Lucchi (Lugo, 1942 ‒ Milano, 2018), vincitori nel 2015 del Leone d'oro alla Biennale d'arte di Venezia.
Il museo trentino presenta, per l’occasione, l’ultima produzione del duo entrata a far parte delle sue collezioni: «I diari di Angela. Noi due cineasti. Capitolo secondo» (2019), racconto dell’esperienza cinematografica, complessa e personale, con cui i due artisti hanno custodito e ricucito le storie più tragiche del Novecento: diaspore, guerre, genocidi.
L’opera dialoga in mostra con il «Trittico del XX secolo» (2002-2008): una video installazione co-prodotta dal Mart, presentata al pubblico nel 2008 e riallestita per l’occasione negli ampi spazi del secondo piano.
La rassegna di punta di questa estate è, invece, «Carlo Benvenuto. L’originale», curata da Gianfranco Maraniello con Daniela Ferrari e Chiara Ianeselli.
L’esposizione, visitabile fino al prossimo 18 ottobre, allinea una sessantina di lavori tra fotografie, sculture e dipinti, realizzati dagli anni Novanta a oggi, che vanno a comporre una raffinata e spaesante metafisica del quotidiano e che, spesso, riflettono sul tema del doppio, attraverso un gioco di abbinamenti e ripetizioni.
Riprodotti in dimensioni reali, collocati fuori da un tempo e da uno spazio riconoscibili, gli oggetti raffigurati dall’artista piemontese perdono, infatti, la propria funzionalità trasformandosi in immagini di misteriosa poesia.
Massimiliano Gioni, nel testo in catalogo, ritrova, in questo percorso creativo, «l’atmosfera sospesa del Realismo magico, il rigore e la sobrietà di Luigi Ghirri o l’ossessione per i dettagli di Domenico Gnoli, i teatrini metafisici di de Chirico, Savinio e de Pisis e l’attenta orchestrazione dell’immagine delle nature morte di Giorgio Morandi».
Attraverso assonanze e riflessi, la mostra -come dichiara lo stesso Benvenuto- «orbita, idealmente, attorno a un centro nel quale trovano sede quattro forme di autoritratto». Per questo motivo è stato pensato anche un cameo sulle collezioni del museo con l’esposizione degli autoritratti di tre grandi maestri del primo Novecento: Giorgio de Chirico, Giorgio Morandi e Renato Guttuso.
Il Mart propone, inoltre, per questi mesi estivi tre focus sulle sue collezioni, che attraversano oltre centocinquanta anni di storia dell’arte, dal XIX secolo a oggi.
Il primo è dedicato alla pittura di Ardengo Soffici (1879-1964), ma vuole ricordare anche il settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, avvenuta nel 1321.
Il progetto espositivo, a cura di Beatrice Avanzi, si sviluppa attorno al dipinto «Incontro di Dante e Beatrice» (1906), parte di un ciclo decorativo realizzato tra il 1905 e il 1906, destinato al salone delle feste dell’allora Grand Hôtel des Bains di Roncegno Terme Bains e andato perduto quasi completamente durante la Prima guerra mondiale.
L’opera testimonia una delle prove più rilevanti che precede l’adesione dell’artista all’avanguardia cubista e futurista.
Accanto a questo lavoro sono esposte alcune opere successive di Ardengo Soffici presenti nelle collezioni del Mart, dal «Paesaggio» di gusto cézanniano del 1912 al quadretto che raffigura Poggio Caiano del 1962, eco di immagini popolari della campagna toscana.
Il museo trentino rende, poi, omaggio a Claudia Gian Ferrari, tra le maggiori galleriste italiane, indiscussa figura di riferimento per la valorizzazione dell’arte del XX secolo, di cui ricorrono i dieci anni dalla scomparsa.
Il focus presenta un nucleo di straordinarie ceramiche di Fausto Melotti realizzate a partire dagli anni Trenta. Queste opere, donate dalla gallerista al museo trentino, vengono presentate in un inedito dialogo con una selezione di lavori realizzati da alcuni protagonisti dell’arte italiana che Claudia Gian Ferrari ha amato e sostenuto con particolare dedizione: Boccioni, Casorati, Sironi, Marussig, Funi, de Pisis, Cagnaccio di San Pietro, Dudreville, Pirandello.
Chiude il ciclo di focus proposti per questa estate «After Monet. Il pittorialismo nelle collezioni del Mart», a cura di Denis Isaia, che allinea una selezione di opere fotografiche, tese a illustrare un tema centrale della storia dell’arte contemporanea: il dialogo e lo scontro tra fotografia e pittura.
Nelle esperienze creative più recenti gli artisti e i fotografi hanno, infatti, contaminato sempre più i confini delle singole discipline, sviluppando una fluidità di linguaggi e media che ha dato esiti innovativi.
La mostra parte dai fotogrammi realizzati da Luigi Veronesi negli anni Quaranta, prosegue con l’opera di Wolfgang Tillmans, che lavora direttamente in camera oscura, e trova la sua conclusione nel lavoro di Vik Muniz, in cui Monet rimane faro fondamentale.
Un programma, dunque, intenso quello del Mart di Rovereto che permette di spaziare dalla fotografia alla pittura, dall’esperienza cinematografica alla ceramica e alla contaminazione di generi, per scoprire i tanti volti dell’arte contemporanea.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Ardengo Soffici (Rignano sull'Arno, FI, 1879 - Vittoria Apuana, LU, 1964), Incontro di Dante e Beatrice, 1906. Palace Hotel, Roncegno Terme; [fig. 2] Ardengo Soffici (Rignano sull'Arno, FI, 1879 - Vittoria Apuana, LU, 1964), Spiaggia tirrena, 1928. Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto / Collezione privata; [fig. 3] Fausto Melotti (Rovereto, TN, 1901 - Milano, 1986), Vaso, 1950. Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Lascito Claudia Gian Ferrari; [fig. 4] Carlo Benvenuto (Stresa, VB, 1966), Senza titolo, 2015. 31 x 22 cm; [fig. 5] Carlo Benvenuto (Stresa, VB, 1966), Senza titolo, 2018. 63 x 47 cm. Galleria Mazzoli, Modena

Informazioni utli
MartRovereto, corso Bettini, 43 - Rovereto (Trento). Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; venerdì, ore 10.00-21.00; lunedì chiuso. Tariffe: intero 11 Euro, ridotto 7 Euro, gratuito fino ai 14 anni e persone con disabilità. Informazioni: 800397760 o tel. 0464.438887. Sito internet: www.mart.trento.it

martedì 14 luglio 2020

Gilbert & George, cinquant'anni di provocazioni in mostra a Locarno

Irriverente, caustico, spiazzante, provocatorio, colorato e divertente: sono tanti gli aggettivi usati per classificare il lavoro di Gilbert & George, all'anagrafe Gilbert Prousch (San Martino in Badia, 1943) e George Passmore (Plymouth, 1942), una delle coppie più famose e osannate dell’arte contemporanea, che fin dall’esordio, nel 1967, ha fatto proprio il motto «Art for All», ovvero «Arte per tutti», producendo opere democratiche, comprensibili da chiunque, e dal forte impatto comunicativo, che analizzano in profondità la condizione umana, il nostro mondo sempre più moderno e veloce.
Amore, sesso, razza, soldi, politica, religione, identità, paura, speranza sono, da sempre, i temi cardine della ricerca dei due artisti che ha come palcoscenico la casa-studio nell’East End londinese, un quartiere dove convivono diverse fasce sociali ed etnie, e che permette al duo di essere costantemente in contatto con i molteplici aspetti della vita quotidiana di una grande metropoli.
È nato qui anche il progetto di «Gilbert and George. The Locarno Exibition 2020», la mostra che porta sulle sponde del Verbano elvetico, negli spazi di Casa Rusca, una sessantina di opere, anche di grandi dimensioni, afferenti a cinque gruppi tematici realizzati tra il 2008 e il 2016.
I due artisti, da sempre allergici alla figura del curatore, hanno, infatti, chiesto a Rudy Chiappini, direttore del museo svizzero, una planimetria precisa delle sale, con indicazione di ogni dettaglio, con anche la disposizione delle prese di corrente, e hanno restituito un modellino completo di tutto con l'esposizione allestita.
Il risultato è un percorso caleidoscopico, che trasforma ogni sala in un affresco dalle cromie violente, dove il linguaggio della pop art si unisce a quello fotografico, ma anche a titoli di giornale, pubblicità erotiche, iconografia religiosa, bandiere e slogan per dare vita a un ricco repertorio di immagini allo stesso tempo elettrizzanti e spaventose, teatrali e austere.
L'esposizione di Casa Rusca si apre con la serie «Utopian pictures» (2014), caratterizzata da un proliferare di proclami e insinuazioni: «Vietato urinare», «Vietato giocare con la palla», «Niente alcool», «Niente razzisti», «Niente nazisti», «Cercasi escort maschi e femmine».
Gilbert & George fissano lo spettatore mascherati o con delle corone. I loro corpi sono parzialmente oscurati dalla calligrafia che riproduce le iniziali di re Giorgio VI. In sovraimpressione appaiono degli avvisi che trasmettono un’atmosfera cupa di minaccia e di sfida, tra le voci dell’ordine civico e l’esortazione a ribellarsi, tra l’accettazione e la sicurezza delle regole e il volatile libero arbitrio dell’individuo.
Le «Utopian Pictures» forse intendono suggerire che la cosiddetta «società perfetta» sia in realtà frutto della tolleranza, dal permettere e dal coesistere di dissonanza e dissenso.
Il percorso espositivo continua con le «Jack Freak Pictures» (2008), dove la bandiera britannica è ridotta a pattern decorativo all’interno di un mondo denso di figure specchiate e di simboli enigmatici.
Ogni opera è costituita da più livelli in cui si giustappongono i corpi degli artisti in molteplici pose: distorti, smembrati, strizzati o abnormi. Il cerchio e la croce ricorrono in maniera quasi ossessiva, avviluppate con degli elementi materici (medaglie e amuleti).
La serie «Jack Freak» è invadente, mostruosa e claustrofobica e suscita l’impressione che Gilbert & George celebrino tutto ciò che è intrinsecamente strano (tradotto dall’inglese, freak indica appunto qualcuno o qualcosa di inusuale, singolare).
Nelle «Scapegoating Pictures» (ossia capro espiatorio), serie del 2013, i due artisti compaiono, invece, insistentemente in una successione di forme mascherate o come se fossero stati fatti esplodere in mille pezzi.
Protagoniste delle composizioni sono le bombolette di gas esilarante all’ossido d’azoto, conosciute come hippy crack.
Queste «bombe», sinistramente onnipresenti, sembrano asserire le conseguenze del dare la colpa ad altri: la produzione costante di odio e risentimento, la determinazione ad aggredire, a schierarsi, a radicalizzarsi.
Le «Scapegoating Pictures» raccontano così la complessa coesistenza di fedi, politiche e stili di vita, in tutte le loro sfumature, dal fondamentalismo religioso al laicismo capitalista.
Si prosegue con il risultato di una collezione pluriennale di strilli giornalistici: le «London Pictures» (2011), che riportano annunci di violenza, passione, squallore e avidità. Ogni pannello allinea titolazioni accomunate da un termine forte accompagnate da una raffigurazione della regina Elisabetta II, tratta da una moneta.
Sempre più ultraterreni nell’abitare i loro quadri, nella serie conclusiva «Beard Pictures» (2016) Gilbert & George sono raffigurati con il volto e il corpo di un rosso vivo, gli occhi ombreggiati e imperscrutabili, circondati da recinzioni di filo spinato, spesso dinnanzi ad uno sfondo nero che evoca il vuoto. Indossano barbe follemente esagerate, vividamente colorate di un color malva-verde-viola, congiunte in strane forme architettoniche. Oppure assumono le sembianze di personaggi fumettistici dai corpi piccoli e dalle teste enormi. Dietro di loro uno stravagante fogliame ornamentale, numeri di telefono di escort, allarmi di vigilanza consumati dalle intemperie, profili numismatici di papi, monarchi o eroi.
Le allucinanti «Beard Pictures» sono un’intensificazione di temi e sentimenti che gli artisti testano, esplorano e ritraggono da più di cinquant’anni, fedeli a pochi comuni denominatori: l’ironia pungente, il rifiuto delle etichette e la voglia di mettere tutto in discussione, senza necessariamente fornire risposte alle domande suscitate.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Gilbert & George, UNION DANCE, 2008. Tecnica mista, 226 x 190 cm © 2020 Gilbert & George - courtesy Arndt Collection; [fig. 2]  Gilbert & George, GOD SAVE THE BEARD, 2016. Tecnica mista, 254 x 377 cm © 2020 Gilbert & George - courtesy Galerie Thaddaeus  Ropac, London, Paris, Salzburg; [fig. 3] Gilbert & George RIDLEY ROAD, 2013 Tecnica mista, 254 x 337 cm © 2020 Gilbert & George - courtesy Galerie Thaddaeus Ropac,  London, Paris, Salzbur; [fig. 4] Gilbert & George, BEARDBABY BEARDBABY, 2016. Tecnica mista, 151 x 127 cm © 2020 Gilbert & George - courtesy Galerie Thaddaeus Ropac, London,  Paris, Salzburg; [fig. 5] Gilbert & George, E II R, 2014 Tecnica mista, 254 x 226 cm © 2020 Gilbert & George - courtesy The Artist and White Cube

Informazioni utili
«Gilbert and George. The Locarno Exibition 2020». Museo Casa Rusca, piazza Sant’Antonio - Locarno. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-12.00 e ore 14.00-17.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero CHF 12.-; ridotto CHF 10.-; studenti dai 16 anni CHF 6.-. Prenotazioni: +41(0)917563185. Informazioni: tel. 41(0)917563170 ⏐servizi.culturali@locarno.ch. Sito web: www.museocasarusca.ch | www.locarno.ch. Fino al 18 ottobre 2020. La mostra è stata prorogata fino al 6 gennaio 2021. 

lunedì 13 luglio 2020

Torna il festival «Tones on the Stones». Paolo Fresu suona nella cava di Oira

Come ridare valore ai termini «sociale» e «socialità» nell’epoca del distanziamento? Come costruire una nuova relazione tra noi e l’ambiente naturale? Quale strada seguire per un diverso concetto di benessere personale e collettivo? Sono queste le domande che tessono la trama e l'ordito del programma di «Tones on the Stones/Nextones 2020».
«Before and After», ovvero «Prima e dopo», è il titolo scelto per il cartellone di questa edizione del festival, la numero quattordici, che si svolgerà dal 19 al 26 luglio a Baveno, sul Lago Maggiore, nella cava dismessa Roncino di Oira di Crevoladossola e a Ghesc di Montecrestese, borgo in pietra della Val D’Ossola.
Musica, danza, performance, arte visiva, circo contemporaneo, architettura, filosofia, incontri, workshop ed escursioni sono i differenti linguaggi che la soprano Maddalena Calderoni, direttrice artistica della manifestazione, ha scelto per raccontare questo nostro tempo complicato e difficile, che ci ha messo davanti alla fragilità delle nostre esistenze e del nostro sistema di vivere, con l’intento di trasformare il momento di crisi che stiamo attraversando in «un’occasione di riflessione, ricerca e progettazione per il futuro dell’uomo, dell’ambiente e delle performing arts».
Accanto agli spettacoli dal vivo, che si terranno nel pieno rispetto delle regole sanitarie, del distanziamento sociale e del contingentamento del pubblico, ci sarà così anche una residenza-laboratorio lunga una settimana, un’«opera-studio» (per usare la definizione di Maddalena Calderoni), che vedrà la partecipazione di artisti, creativi, studiosi e professionisti del settore.
Ad accompagnare questo percorso di ricerca è stato ideato un diario di bordo multimediale, curato dalla scrittrice Veronica Raimo, che, giorno per giorno, racconterà questa quattordicesima edizione attraverso dirette web, streaming di video autoriali, contributi testuali degli studiosi e gallery fotografiche.
Ma «Before and After» non sarà solo un cantiere di idee, ma anche un cantiere vero e proprio: il festival, molto coraggiosamente, ha deciso di riqualificare la cava dismessa di Oira per trasformare questo ex spazio industriale in un teatro immerso nella natura, in uno spazio permanente dedicato all’espressione creativa dove artisti e pubblico possano incontrarsi per «ritrovare la bellezza».
A tenere a battesimo il programma sarà, nella serata di domenica 19 luglio, lo spettacolo multimediale «Fellini 100», ideato in occasione del centenario dalla nascita del grande regista romagnolo che ha reso l’Italia famosa nel mondo come il paese della «Dolce vita». Nel piazzale antistante la splendida chiesa romanica di Baveno, il compositore e pianista jazz Roberto Olzer –in quartetto con Fulvio Sigurtà, strumentista in rapidissima ascesa (tromba e flicorno), Yuri Goloubev (contrabasso) e Mauro Beggio (batteria)– incontrerà le visioni della videoartista Anna Frigo e le acrobazie della compagnia milanese di circo contemporaneo Quattrox4.
Mentre lunedì 20 luglio, alle ore, 18 il villaggio di Ghesc ospiterà «La costruzione del Movimento. Esercizi di estensione meccanica del corpo umano», un talk con Riccardo Blumer, allievo di Mario Botta e fondatore del gruppo «Blumer&Friends» dedito allo studio delle relazioni fra design e natura. A seguire Joseph Tagliabue, figura di spicco della scena alternativa italiana, proporrà un viaggio musicale e temporale fra folk ed elettronica contemporanea, spaziando dall’avanguardia ai ritmi etnici.
Martedì 21 luglio il programma inizierà già al mattino: alle ore 8, nei prati limitrofi alla cava, si terrà una puntata speciale di Radio Safari, programma sui suoni della natura andato in onda su radio e portali di Milano nel periodo della quarantena, che ha trasportato gli ascoltatori nei meandri della vita e dell’evoluzione, alla scoperta degli angoli più remoti del pianeta. Nel pomeriggio, alle ore 18.30, ci si sposterà negli straordinari scenari degli Orridi di Uriezzo, anche conosciuti come il Grand Canyon del Piemonte, per una performance musicale del percussionista Enrico Malatesta, «Occam Ocean – Occam XXVI», che con due piatti e un tamburo a cornice svilupperà un continuo divenire di risonanze, suoni fantasma e sovrapposizione di armonici e texture sonore.
Mercoledì 22 luglio si inizierà, alle 18, con un incontro con Elisa Cristiana Cattaneo, al quale seguirà, alle ore 19, uno tra gli appuntamenti più attesi del festival: Annamaria Ajmone, coreografa e danzatrice fra le più apprezzate esponenti della danza contemporanea europea, presenterà, negli spazi della Cava, «Il segreto», visionaria azione coreografica site specific con tre macchine sonore rotanti: «in un ecosistema geograficamente prossimo, aperto, terreno, indeterminato, multi-tempo, si alternano -raccontano gli organizzatori- sussurri, creature capovolte e rose del deserto».
Giovedì 23 luglio il palcoscenico di «Tones on the Stones» vedrà, invece, in scena il trombettista Paolo Fresu –senza dubbio il jazzista italiano più famoso al mondo– con Ramberto Ciammarughi, uno tra i pianisti più eclettici e schivi della scena contemporanea, e l’illustratore Gianluca Folì. La cava Roncino di Oira si riempirà, dunque, di suoni e colori, regalando al pubblico una serata indimenticabile, realizzata in co-produzione con il festival «Musica in Quota» e in collaborazione con il progetto «Di-se. Disegnare il territorio».
Un momento cardine rispetto alla tematica affrontata da «Before and After» sarà il talk del filosofo Emanuele Coccia, in programma nel pomeriggio del 24 luglio all'Alpe Devero, incantevole conca di pascoli sulle Alpi Lepontine a oltre 1.600 metri di altitudine. Il rivoluzionario del pensiero green, amato dai millenials, affronterà con la sua consueta modalità pop  la centralità del mondo vegetale a partire da un suo testo divenuto ormai un best seller, «La vita delle piante. Metafisica della mescolanza». Mentre in serata, alla Cava di Roncino, sarà in scena il trio milanese acid techno folk Acid Castello, che si esibirà nella sonorizzazione dal vivo con drum machine e sintetizzatori di un'opera cult: «Slow Action» di Ben Rivers, film di fantascienza post apocalittico che presenta lo scenario di una natura ostile dove il livello del mare è cresciuto mostruosamente e la società umana si è evoluta in piccole comunità rette da utopie iperboliche.
La performance di Acid Castello preparerà il terreno per l’ultima serata del festival, quella di sabato 25 luglio, tutta dedicata alle più ardite e radicali sperimentazioni elettroniche, in cui la Cava di Roncino si trasformerà in una vera astronave sonora pronta a trasportare il pubblico verso nuovi pianeti. Il producer Mana, il profeta della nuova elettronica Nicolàs Jaar, gli esploratori degli angoli oscuri del suono digitale Willikens & Ivkovic saranno i protagonisti della serata.
Domenica 26 luglio il festival si chiuderà con il consueto brunch a Ghesc, alla scoperta delle tipicità eno-gastronomiche del territorio della Val d’Ossola e con il long set del collettivo Gang of Ducks.
Un cartellone, dunque, vario quello del festival «Tones on the Stones», che lancia il proprio sguardo verso un futuro visionario da costruire attraverso le arti.

Informazioni utili
www.tonesonthestones.com