ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 31 ottobre 2020

Trieste, Sandro Miller e John Malkovich fanno rivivere gli scatti iconici del Novecento

«Per me, John Malkovich è un genio disposto a correre rischi, con un talento che gli permette di diventare qualsiasi cosa io gli chieda». In questa dichiarazione del fotografo americano Sandro Miller sta tutto il senso della mostra «Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters», a cura di Anne Morin e Simona Cossu, allestita al Magazzino delle Idee di Trieste.
Il progetto, realizzato nel 2013 ed esposto per la prima volta in Italia, nasce come omaggio a trentaquattro maestri della fotografia, fra cui Albert Watson, Annie Leibovitz, Bill Brandt, Diane Arbus, Herb Ritts, Irving Penn, Pierre et Gilles, Richard Avedon e Robert Mapplethorpe.
In ognuno delle oltre sessanta opere in mostra John Malkovich impersona il soggetto di un celebre scatto, trasformandosi di volta in volta in Marilyn Monroe, Salvador Dalì, Mick Jagger, Muhammad Alì, Meryl Streep, John Lennon e Yoko Ono, Andy Warhol, Albert Einstein, Ernest Hemingway e in molti altri personaggi.
Ogni opera riproduce in tutti i dettagli le fotografie prese a modello esaltando le doti camaleontiche e la capacità mimetica di Malkovich. Di volta in volta, l’artista muta non solo espressione, ma anche sesso e età divenendo uomo o donna, anziano o bambino, sensuale o enigmatico, cupo o gioioso.
Importante per la realizzazione di questo lavoro è la collaborazione dei due artisti, che si conoscono dagli anni Novanta (quando si incontrarono nella sede della Steppenwolf Theatre Company), con un gruppo qualificato di costumisti, truccatori e scenografi, con i quali hanno analizzato accuratamente ogni dettaglio degli originali, scandagliando i lavori dei grandi fotografi presi a modello.
I maestri dell’obiettivo scelti sono dei veri e propri miti per Miller. «Ognuno di noi ha un eroe o una persona che ammira – ha raccontato a tal proposito il fotografo-. Li lodiamo, li veneriamo e li mettiamo su un piedistallo. Può essere una figura religiosa, un attore di Hollywood, una star dello sport come Tiger Woods o Michael Jordan. Per me i grandi maestri della fotografia sono come i campioni sportivi. Ammiro Irving Penn, Richard Avedon, Annie Leibovitz, e ogni singolo fotografo rappresentato nel mio «Homage to the Masters». Ho ricreato le fotografie dei grandi maestri in segno di rispetto, amore e ammirazione»
Il progetto fotografico ha avuto inizio con lo scatto in cui John Malkovich reinterpretava Truman Capote ritratto da Irving Penn.
Sulla scorta di questo primo scatto l’attore americano, apprezzato in film come «Il talento di mister Ripley» ed «Educazione siberiana», è diventato «la tela e la musa» del fotografo americano, che ha firmato campagne pubblicitarie per Malboro e Coca Cola. Sono nate così tutte le opere esposte in mostra, in cui l’attore interpreta una galleria di ritratti così noti da essere divenuti quasi immagini devozionali e che tuttavia non ha timore di dissacrare attraverso il proprio talento.
Malkovich si cala nella parte del Che Guevara di Korda, di Warhol come appare nel celebre autoritratto o del Mick Jagger di Bailey, sottolineando debolezze, vanità e contraddizioni dei grandi personaggi.
Conclude la mostra la sezione inedita «Malkolynch» che si compone del video «Psychogenic Fugue» (2015), un cortometraggio frutto della collaborazione tra i due artisti, che Sandro Miller ha definito «un ottovolante nella mente di David Lynch», oltre ad alcune fotografie.
In queste opere scorrono otto fra i personaggi più noti di Lynch,reinterpretati da John Malkovich. Tra questi si trovano il Frank Booth di «Velluto blu», il «Mystery Man» impersonato da Robert Blake, il protagonista di «The Elephant Man», il personaggio di Henry Spencer interpretato da John Nance nel film «Eraserhead – La mente che cancella», l’agente Dale Cooper e la Log Lady di «Twin Peaks». Per il gran finale, Malkovich interpreta Lynch in persona. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Annie Leibovitz / Meryl Streep, NYC (1981), 2014 © Sandro Miller / Courtesy Gallery FIFTHY ONE, Antwerp; [fig. 2] Albert Watson / Alfred Hitchcock with Goose (1973), 2014. © Sandro Miller / Courtesy Gallery FIFTHY ONE, Antwerp; [fig. 3] Andy Warhol / Green Marilyn (1962), 2014. © Sandro Miller / Courtesy Gallery FIFTHY ONE, Antwerp

Informazioni utili
«Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters». Magazzino delle Idee, corso Cavour, 2 – Trieste. Orari: dal lunedì al venerdì, ore 10:00-19:00; sabato e domenica è obbligatoria la prenotazione al numero 040.3774783  o info@magazzinodelleidee.it. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Sito internet: www.magazzinodelleidee.it. Informazioni: info@magazzinodelleidee.it, tel. 040.3774783. La mostra è stata prorogata al 16 maggio 2021. 

Normativa anti-Covid
È necessaria la prenotazione al numero 040.3774783 o via email info@magazzinodelleidee.it. A seguito delle normative anti Covid la capacità massima del Magazzino delle Idee è di 50 persone alla volta.

venerdì 30 ottobre 2020

«Trésors de Venise», trasferta francese per la Fondazione Giorgio Cini

I tesori della Fondazione Giorgio Cini volano all’estero, e più precisamente in Francia. L’istituzione veneziana, che ha sede sull’isola di San Giorgio, ha annunciato, nei giorni scorsi, l’apertura di una mostra sulle opere della sua collezione al Centre d’art Hôtel de Caumont, riferimento culturale e artistico di Aix-en-Provence.
«Trésors de Venise» è il titolo del progetto espositivo, in cartellone dal 17 dicembre al 28 marzo, che vede la curatela di Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di storia dell’arte, in collaborazione con l’architetto Daniela Ferretti.
Dai dipinti ai disegni, dalle miniature alle stampe, senza dimenticare le sculture, gli avori e gli smalti, il percorso allineerà un’ottantina di opere, inclusi capolavori raramente visibili, consentendo ai visitatori di scoprire il gusto collezionistico, raffinato ed eclettico, di Vittorio Cini, il mecenate che Bernard Berenson definì come «l’italiano più faustiano che io abbia mia conosciuto».
Accanto a nomi della pittura toscana come Botticelli, Beato Angelico, Filippo Lippi e Piero di Cosimo, ci saranno maestri veneziani del calibro di Lorenzo e Giandomenico Tiepolo, Giambattista Piranesi e Giuseppe Porta detto il Salviati.
La mostra presenterà anche opere del Rinascimento ferrarese, in un percorso che spazierà da Cosmè Tura a Ludovico Mazzolino. E permetterà, infine, di vedere lavori di artisti contemporanei quali Vik Muniz, Adrian Ghenie ed Ettore Spalletti, che in anni recenti hanno dialogato con le opere esposte nella casa-museo di Vittorio Cini.
«La mostra ad Aix-en-Provence - spiega il curatore Luca Massimo Barbero - è un primo felice e importante tentativo di proporre a un pubblico internazionale alcuni esempi emblematici delle opere conservate nella casa-museo di Palazzo Cini accanto a una selezione dei tesori di cui il mecenate ha voluto dotare l’Istituto di storia dell’arte con munifica generosità. Percorrere le sale dell’Hôtel de Caumont è, quindi, per il pubblico come godere idealmente di ciò che potranno vedere in una vera e propria visita a Venezia».
L’appuntamento si rivela importante per la fondazione, che il prossimo anno festeggerà i settant’anni di attività, e che così potrà far scoprire anche al pubblico straniero la sua ricca e articolata collezione. 
Va ricordato che Vittorio Cini dotò l’istituzione di opere d’arte provenienti sia dalla sua raccolta personale sia dal frutto di acquisti e donazioni di rilievo. 
Fu proprio grazie alle acquisizioni del mecenate che nel 1962 nacque il pregevole e apprezzato Gabinetto dei disegni e delle stampe, una vera e propria gemma per gli amanti dell’arte. Qui confluirono le collezioni appartenute a Giuseppe Fiocco, Antonio Certani, Elfo Pozzi e Daniele Donghi e il corpus di miniature e manoscritti già Hoepli. 
Ad accrescere ulteriormente la consistenza e l’importanza delle raccolte si sono aggiunti nel tempo i lasciti di personalità della cultura, collezionisti e artisti legati da rapporti di amicizia con il fondatore o persuasi dal prestigio dell’istituzione. 
Non meno pregevole è la raccolta di Palazzo Cini a San Vio, dal 1919 residenza dell’imprenditore e dal 1984 casa-museo in seguito alla donazione da parte della principessa Yana Cini Alliata di Montereale, figlia del mecenate, di un cospicuo gruppo di dipinti toscani, alcune sculture di pregio e diversi oggetti di arte decorativa. 
Nel 1989 si è aggiunto a questo nucleo un gruppo di tavole ferraresi in deposito per gentile concessione dell’altra figlia di Vittorio Cini, Ylda Cini Guglielmi di Vulci; nel 2015 gli eredi Guglielmi hanno, infine, donato al museo altre opere d’arte di pregio, tra dipinti, maioliche e arredi. 
La casa, aperta al pubblico stagionalmente dopo i restauri del 2014, è oggi una tappa obbligata per gli amanti dell’arte insieme agli altri musei del cosiddetto Dorsoduro Museum Mile: la Gallerie dell’Accademia, la Collezione Peggy Guggenheim e Palazzo Grassi – Punta della Dogana. 
In tempi di spostamenti difficili a causa dell’emergenza sanitaria per il Covid-19, la Fondazione Cini porta così Oltralpe un angolo amato di Venezia, la Serenissima che conquistò tanti francesi illustri, da Marcel Proust a Claude Monet, e di cui Guy de Maupassant diceva: «esiste una città più ammirata, più celebrata, più cantata dai poeti, più desiderata dagli innamorati, più visitata e più illustre? […] Esiste un nome nelle lingue umane che abbia fatto sognare più di questo?»

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Piero di Cosimo, Madonna con bambino e due angeli, circa 1505–1510, olio su tavola, 163 x 133 cm. Palazzo Cini a San Vio, Venezia, Fondazione Giorgio Cini© Fondazione Giorgio Cini; [fig. 2] Luca Signorelli (?), Madonna con Bambino, circa 1470-1475, tempera su tavola, 61,8 x 53,3 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini; [fig. 3] Giuseppe Porta, detto il Salviati, Resurrezione di Lazzaro, 1540-1545, olio su tela, 162 x 264 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini; [fig. 4] Manifattura veneziana del XV-XVI secolo, Piatto in rame smaltato, rame champlevé smaltato, inciso e dorato, 29,8 cm diametro x 4cm spessore. Palazzo Cini a San Vio, Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini

Informazioni utili
Trésors de Venise. La collection Cini. Hôtel de Caumont - Centre d’art d’Aix-en-Provence, 3, rue Joseph Cabassol - 13100 Aix-en-Provence, Francia. Sito internet: www.caumont-centredart.com. Dal 17 dicembre al 28 marzo 2021

giovedì 29 ottobre 2020

«Il primato dell’opera», nuovo allestimento per le collezioni novecentesche della Gam di Torino

È la «Natura morta con salame» (1919) di Giorgio De Chirico ad aprire il nuovo allestimento delle collezioni permanenti dedicate al Novecento della Gam - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino.
Articolato in diciannove sezioni, il percorso espositivo allinea centonovantaquattro opere, una quarantina delle quali provenienti dalla collezione Ettore De Fornaris, grazie alle quali è possibile approcciarsi alle principali correnti artistiche del secolo appena scorso, dalla Metafisica all’Arte povera, in un percorso che spazia anni Venti del Novecento all’inizio di questo millennio con la proposta di Giulio Paolini e della sua installazione «Requiem» (2003-2004).
«Il primato dell’opera» è il titolo del progetto espositivo, che è stato studiato con l’intento di permettere il confronto tra opera e opera; le sequenze di dipinti, sculture, installazioni, esposte secondo un taglio storico-artistico, sono affiancate così da poche informazioni essenziali che introducono alla lettura dei diversi linguaggi che gli artisti hanno elaborato.
«La prima sala -racconta Riccardo Passoni, direttore della Gam di Torino- è dedicata a tre delle figure che maggiormente hanno influito, su diversi piani, sulla principale arte italiana e internazionale del Novecento. Giorgio de Chirico ha generato un nuovo modo di pensare l’opera d’arte, alla ricerca di una rappresentazione che fosse anche disvelamento filosofico. Giorgio Morandi ha sviluppato un culto della forma e delle sue illimitate varianti, in una sorta di disciplina concettuale, con una continuità mentale e temporale che permette di presentare, all’inizio del percorso, anche le sue tarde Nature morte. Infine Filippo de Pisis, che ha tramandato una lezione di libertà totale da condizionamenti di tipo accademico, ma anche da scelte avanguardistiche, creando quasi uno stile-ponte solitario tra Impressionismo e Informale».
A questa premessa fa seguito un ordinamento che, sala dopo sala, ripercorre alcune fasi fondamentali della storia dell’arte novecentesca. Si inizia con le Avanguardie storiche, documentate, tra l’altro, dallo studio preliminare dell’opera «La città che sale» (1910) di Umberto Boccioni (capolavoro futurista conservato a New York), dagli esperimenti sul dinamismo del colore di Giacomo Balla, dai collage «immaginosi» e dadaisti di Max Ernst, dalla tela «Le baiser» (1925-1926) di Francis Picabia, senza dimenticare le ricerche di Gino Severini, Enrico Prampolini, Otto Dix e Paul Klee.
Vi è, quindi, una sezione dedicata alle stimolanti proposte artistiche nate a Torino tra le due guerre mondiali, dove scorrono le opere della maggior parte dei Sei di Torino, che si affermarono in Italia e all’estero intorno agli anni Trenta. A tal proposito, Riccardo Passoni racconta: «Enrico Paulucci, nei paesaggi scarni intende ripercorrere le strade maestre di Cézanne e Matisse. Carlo Levi, nella grande composizione ‘Aria’ (1929), sembra volersi confrontare con l’opera di Seurat, poi di Modigliani. Gigi Chessa (1898 – 1935) sembra eliminare ogni necessità di disegno e contorno, nelle sue opere, a favore di nuove soluzioni cromatiche e luministiche di grande fascino. […] Nella Marchesini sembra rendere omaggio critico al maestro Casorati».
Segue una sezione dedicata alla riscoperta e influenza di Amedeo Modigliani sugli artisti piemontesi anche grazie agli studi di Lionello Venturi, che teneva la cattedra di Storia dell’arte all’Università di Torino.
C’è, quindi, una sezione sulle acquisizioni fatte dalla Gam alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma tra la fine degli anni Venti e tutti gli anni Trenta. 
I riflettori si spostano, quindi, sull’Astrattismo italiano, rappresentato da artisti quali Fausto Melotti, Osvaldo Licini e Lucio Fontana. Mentre le sale successive ripercorrono le vicende di Roma e della scuola di via Cavour, indagano l’arte dopo il 1945 tra figurativo e astratto, e mostrano le sorprendenti acquisizioni della galleria torinese nel periodo post-bellico. Tra queste opere si trovano, per esempio, il piccolo e magico «Dans mon pays» (1943) di Marc Chagall, le grafie drammatiche di Hans Hartung, Pierre Soulages e Tal Coat, oltre a lavori di Pablo Picasso, Jean Arp, Eduardo Chillida.
Si passa, dunque, agli anni Cinquanta e alla stagione dell’Informale con gli alfabeti segnici di Carla Accardi, Giuseppe Capogrossi e Antonio Sanfilippo, le rappresentazioni del paesaggio e della natura di Renato Birolli, Ennio Morlotti e Vasco Bendini, il gesto veemente di Emilio Vedova, ma anche le riletture informali dei piemontesi Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Giacomo Soffiantino o Paola Levi Montalcini.
Segue un focus sulla stagione del New Dada e della Pop art italiana e straniera, rappresentato tra gli altri da Piero Manzoni, Louise Nevelson, Yves Klein e Andy Warhol
Dopo un passaggio doveroso nella sezione dedicata al Museo sperimentale di arte contemporanea, con una selezione delle oltre trecento opere che arrivarono in dono alla fine del 1965 alla Gam (tra le quali si segnalano lavori di Giuseppe Uncini, Agostino Bonalumi e Carol Rama), il nuovo allestimento culmina nell’esperienza dell’Arte Povera, che si aprì a un nuovo linguaggio, alla ricerca di una libertà totale dai condizionamenti. Sono rappresentati tutti gli artisti del movimento teorizzato nel 1967 da Germano Celant e approdato per la prima volta in un museo nel 1970 proprio alla Gam di Torino: Pier Paolo Calzolari, Mario Merz, Giuseppe Penone, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio.
Tutto il percorso è intervallato da sale personali dedicate. Riccardo Possoni motiva con queste parole la sua scelta: «Felice Casorati ha lasciato una lezione indelebile nel contesto torinese e nazionale. Arturo Martini ha contribuito a cambiare le connotazioni della scultura italiana. Alberto Burri e Lucio Fontana hanno modificato la veste materica e concettuale della loro opera influenzando l’arte internazionale dopo la seconda guerra mondiale. Grazie all’incremento delle collezioni possiamo ora riproporre, in un confronto di forte contrasto, il valore di azioni fondamentali quali la realizzazione del ciclo della «Gibigianna» di un altro artista al centro di relazioni internazionali, Pinot Gallizio. A Giulio Paolini, infine, è stato dato spazio per averci indicato l’esigenza di mantenere sempre un rapporto necessitante con la storia dell’arte, i suoi segni e richiami, e il loro valore per una vivificazione concettuale della forma».
Di sala in sala, la Gam di Torino offre, dunque, un percorso nel meglio dell’arte del Novecento, mettendo al centro l’opera d’arte e permettendo un confronto tra stili ed epoche. Un confronto reso ancora più raffinato dalla scelta di colori tenui e sobri come il bianco e un grigio che sembra virare al carta da zucchero per le pareti dello spazio espositivo, dando così maggior rilievo ai lavori esposti.

Didascalie delle immagini 
Allestimento della collezione novecentesca alla Gam di Torino. Foto Robino 

Informazioni utili 
«Il primato dell’opera». Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea, via Magenta, 31 – Torino. Biglietti: intero 10,00 €, ridotto 8,00 €, ingresso gratuito Abbonamento Musei e Torino Card. Informazioni: tel. +39.011.4429518 – e-mail: gam@fondazionetorinomusei.it. Sito web: www.gamtorino.it. Dal 26 settembre 2020