ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 14 maggio 2022

#notizieinpillole, le mostre da vedere a Bologna

Volge al termine «Arte Fiera», la kermesse mercantile più longeva d’Italia, che per la sua quarantacinquesima edizione ha portato a Bologna centoquarantadue gallerie, 103 nella Main Section e 39 nelle tre sezioni curate e a invito. Sabato 14 maggio l’intera città fa festa con la «Art City White Night», una notte bianca all’insegna dell’arte con oltre duecento proposte, molte a ingresso gratuito, che coinvolgeranno musei, fondazioni, spazi istituzionali e gallerie indipendenti della città. Tra gli appuntamenti da non perdere ci sono quelli del «Main Program» di «Art City» come la bella personale di Italo Zuffi al Mambo (nella fotografia), che chiude domenica 15 maggio, o il progetto di Tino Sehgal per piazza Maggiore. Ma sono tante le mostre da vedere in città in occasione della «Art City White Night» o, perché no, nelle prossime settimane, durante un fine settimana all’insegna della cultura e delle bellezze di Bologna. Dalle «Folgorazioni figurative» di Pier Paolo Pasolini alle provocazioni in forma di fotografia di Oliviero Toscani, senza dimenticare l’omaggio a Lucio Dalla, vi proponiamo una selezione di dieci mostre da vedere in città. L'intero ventaglio delle proposte espositive può essere scoperto consultando il sito https://www.culturabologna.it

A Bologna le «Folgorazioni figurative» di Pier Paolo Pasolini
Fu nell’autunno del 1941 a Bologna, in una piccola aula universitaria di via Zamboni 33, che Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) si innamorò dell’arte. Il merito fu di un insegnante speciale: Roberto Longhi (Alba, 28 dicembre 1890 – Firenze, 3 giugno 1970). Il critico d’arte piemontese aveva un modo tutto suo di leggere i dipinti. Proiettava sullo schermo dell’aula i vetrini che riproducevano le immagini di alcuni particolari delle opere d’arte analizzate. Partiva così da un viso, una mano, un lembo di stoffa per ricostruire lo stile dell’artista e le fasi del suo percorso.
«I fatti di Masaccio e Masolino» erano l’argomento di studio di quell’anno accademico, che plasmò lo sguardo di Pier Paolo Pasolini e che lasciò una traccia indelebile nella sua anima, pronta a riemergere negli anni Sessanta e Settanta in tanti suoi film. I capolavori dell’arte medievale e rinascimentale rivivono, infatti, nel cinema dell’intellettuale bolognese; sono riferimento visivo costante delle sue inquadrature e sono anche protagonisti di tableaux vivant, quadri viventi.
Lungo un percorso cronologico che va dall’esordio del 1961 con «Accattone» a «Salò» del 1975, film uscito postumo, la Cineteca di Bologna prova a raccontare questo aspetto dell’arte di Pier Paolo Pasolini nella mostra «Folgorazioni figurative», a cura di Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli. Fotografie di scena, riproduzioni di capolavori della storia dell’arte, parole di PPP e sequenze di film compongono il percorso espositivo, allestito fino al prossimo 16 ottobre nei nuovi spazi espositivi del Sottopasso di piazza Re Enzo.
Ogni pellicola dell’intellettuale bolognese è «la costruzione – racconta Marco Antonio Bazzocchi - di una bellezza che saccheggia ampie zone dell’arte italiana ed europea».
L’armonia compositiva di Giotto che per primo porta la terza dimensione in pittura, la drammaticità di El Greco, i colori corposi e vividi di Pontormo, le forme eleganti di Piero della Francesca, i rossi di Rosso Fiorentino, la ricchezza narrativa del fiammingo Pieter Brueghel, la luce e la ruvidezza espressiva del Caravaggio convivono nei film dell’artista bolognese, disegnando «una storia dell’arte in forma di cinema».
I rimandi sono numerosi e, di «folgorazione» in «folgorazione», si giunge all’ultimo capitolo del percorso espositivo e anche della vita di Pier Paolo Pasolini. Siamo nell’ottobre del 1975, un mese prima della morte. Il giovane fotografo Dino Pedriali realizza una serie di ritratti dell’intellettuale bolognese. In uno di questi, il regista di «Mamma Roma» e «Medea» sta disegnando a carboncino un ritratto di Roberto Longhi, il suo maestro della visione. Pasolini sembra voler chiudere il cerchio della sua avventura intellettuale pagando il giusto debito al maestro. 
Per maggiori informazioni: www.cinetecadibologna.it. (annamaria sigalotti)

Nelle immagini: 1.Pasolini sul set di Teorema 1968 © Cineteca di Bologna / Angelo Novi ; 2. Rosso Fiorentino Deposizione 1521 Olio su tavola, 201x341 Pinacoteca e Museo Civico, Volterra Per gentile concessione della Pinacoteca Civica di Volterra ; 3. La ricotta, episodio da Ro.Go.Pa.G. 1963 Still da restauro  

«Anche se il tempo passa», a Bologna una mostra su Lucio Dalla
«Noi la vita la annusiamo in tutti i posti / Ma lei passa senza neanche un ciao / Oppure vola come i ladri sopra i tetti / Se ci provi non la puoi fermare». Era il 2011 e, nell’album «Questo è amore», Lucio Dalla raccontava in musica la precarietà della nostra vita. Il titolo di quella canzone, «Anche se il tempo passa», è lo stesso della mostra-evento allestita fino al 17 luglio al Museo civico archeologico di Bologna, prima tappa di un importante percorso nazionale che, nei prossimi mesi, toccherà Roma, Napoli e Milano.
A dieci anni dalla scomparsa e in vista dell’ottantesimo dalla nascita, che si ricorderà nel 2023, la Fondazione Lucio Dalla ripercorre - attraverso una ricca selezione di materiali, molti dei quali inediti, e con l’aiuto del curatore Alessandro Nicosia - l’intero percorso umano e artistico di quel «folletto» libero e geniale dagli interessi molteplici, che ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica, dello spettacolo e della cultura.
«La dotta e la grassa» Bologna, città creativa della musica Unesco, era la casa di Lucio Dalla e, all’ombra delle due torri, in molti conservano un ricordo personale di quel cantautore, volato via troppo presto, «che sapeva dare musicalità alle parole e un sentimento alle note» e che ci ha lasciato in dono canzoni indimenticabili, una vera e propria colonna sonora alla nostra vita, da «L’anno che verrà» «a «Caruso», da «4 marzo 1943» a «Piazza Grande».
Ma Lucio Dalla, con la sua acuta curiosità, non è stato solo un cantautore e un musicista, è stata anche un attore cinematografico, uno scrittore, un regista teatrale, un amante dello sport, un appassionato di motori, uno showman televisivo, uno scrittore, un collezionista e un gallerista con la sua «No code». «Lucio era, dunque, – ricorda Vincenzo Mollica - «musica, cinema, canzoni, teatro, danza, opera lirica, pittura, letteratura. Era tutto quello che sognava di essere, tutto quello che voleva essere. Era un coltivatore diretto dell’avventura umana. Era un cercatore affamato di poesia che sapeva trovare comunque sia. Era un funambolo del pensiero».
Tutti questi aspetti rivivono nella mostra bolognese in un percorso espositivo, articolato in dieci sezioni, che mette insieme foto, cimeli, testi autografi, quaderni di appunti, abiti di scena, dichiarazioni dell’artista e degli amici, gli amati cappelli e l’indimenticabile clarinetto. Al Museo civico archeologico c’è, dunque, tutto l’«universo Dalla», con quella «sostenibile leggerezza dell’essere» che non dimenticheremo mai.
Per maggiori informazioni: www.mostraluciodalla.it. (annamaria sigalotti)

 
A Bologna una mostra per gli ottant’anni di Oliviero Toscani, il «situazionista» della fotografia
È il 1973 e Oliviero Toscani, allora già noto per i suoi servizi sulla scuola di Barbaiana e sulle contestazioni studentesche del Sessantotto, scatta la prima delle sue tante immagini destinate a fare scandalo, quella con il primo piano del fondoschiena di Donna Jordan, inguainata in un paio di short in jeans su cui campeggia la scritta «Chi mi ama, mi segua». La fotografia fa il giro del mondo e le polemiche infuriano come mai prima era successo intorno a una pubblicità. La magistratura ordina la rimozione dei manifesti; Pier Paolo Pasolini, sulla prima pagina del «Corriere della Sera», si schiera, profeticamente, a favore del fotografo. È l’inizio di un nuovo modo di comunicare i brand e la società dei consumi.
Cinquant’anni dopo Oliviero Toscani non ha perso la sua voglia di provocare e il suo spirito caustico, quello che, negli anni, ha dato vita a tante altre campagne pubblicitarie che hanno scosso l’opinione pubblica attraverso affissioni e pagine di giornali. Impossibile non pensare al bacio sexy tra un prete e una suora del 1992, ai cuori di «White/Black/Yellow» del 1996 o al manifesto «No-Anorexia» del 2007, tre campagne per «United Colors Of Benetton», il marchio di abbigliamento che, negli anni, ha permesso al fotografo di usare il mezzo pubblicitario per parlare dei problemi del mondo: il razzismo, l’Aids, la religione, la guerra, la violenza, il sesso, l’anoressia, la pena di morte.
Queste immagini, insieme a un altro centinaio di fotografie, compongono il percorso della mostra «Oliviero Toscani. 80 anni da situazionista», a cura di Nicolas Ballario, allestita fino al 4 settembre a Bologna. Nelle sale di Palazzo Albergati è possibile conoscere anche un volto meno noto del fotografo. Sono esposte, per esempio, le immagini realizzate durante la formazione alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, sotto la guida di un maestro del colore quale Johannes Itten.
Ci sono decine di ritratti a grandi protagonisti del Novecento quali Mick Jagger, Lou Reed, Carmelo Bene e Federico Fellini. Sono visibili le immagini patinate realizzate per le riviste di moda che mettono in risalto la bellezza di Monica Bellucci, Claudia Schiffer e non solo. Non mancano, e non poteva essere diversamente, le fotografie del progetto «Razza umana», con il quale Oliviero Toscani ha dato vita al più grande archivio fotografico esistente sulle differenze morfologiche e sociali dell’umanità.
In contemporanea Palazzo Albergati ospita la mostra «Photos», un viaggio nella storia della fotografia, dal 1902 al 2005, attraverso una settantina di opere, selezionate da Cristina Carrillo de Albornoz e provenienti dalla collezione di Julián Castilla, presentata per la prima volta in Italia. Alfred Stieglizt, Man Ray, Henri Cartier-Bresson, Vivian Meier, Robert Capa, André Kertèsz, Alberto Korda e Robert Doisneau, nonché fotografi spagnoli come Carlos Saura, Ramón Masats, Oriol Maspons, Isabel Muñoz, Cristina García Rodero o Chema Madoz sono i protagonisti indiscussi del percorso espositivo, con i loro memorabili scatti entrati ormai nell’immaginario collettivo come fermo-immagine del secolo scorso. Per maggiori informazioni: www.palazzoalbergati.com | www.arthemisia.it. (annamaria sigalotti)

Didascalie delle immagini: 1.Oliviero Toscani United Colors of Benetton 1991 ©olivierotoscani ; 2. Oliviero Toscani Jesus Jeans 1973 ©olivierotoscani ; 3. Oliviero Toscani United Colors of Benetton 1996 ©olivierotoscani  

In mostra a Bologna «Concerning Dante», un progetto di Jacopo Valentini sulla «Divina Commedia»
La portata culturale della «Divina Commedia» di Dante Alighieri ha travalicato, nel corso dei secoli, una sfera prettamente letteraria arrivando a influenzare vari aspetti della società, anche grazie a una vasta tradizione di trasposizioni visive. Parte da questa considerazione il progetto «Concerning Dante - Autonomous Cell» di Jacopo Valentini (Modena, 1990), vincitore del concorso «Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere» per la sezione under 35, in mostra fino al prossimo 18 settembre al Museo civico archeologico di Bologna.
Il progetto fotografico, esposto per la curatela di Carlo Sala, si configura come un viaggio attraverso l’Italia nei luoghi visitati dal «sommo poeta» o raccontati nelle pagine del suo capolavoro.
La narrazione visiva si snoda attorno a tre posti simbolici e a tre celebri illustrazioni del testo dantesco, intrecciando le bocche vulcaniche dei Campi Flegrei, la Pietra di Bismantova e il Delta del Po – interpretati come i varchi che conducono a «Inferno», «Purgatorio» e «Paradiso» – alle riletture figurative della Divina Commedia firmate da Federico Zuccari, Alberto Martini e Robert Rauschenberg.
Jacopo Valentini sé approcciato a queste interpretazioni, cartina tornasole dell’evoluzione della società nel corso dei secoli e del suo rapporto con aspetti cruciali come la religione e il potere, con la tecnica dello still life.
Il percorso parte, cronologicamente, con il «Dante Istoriato» di Federico Zuccari (1539-1609), composto da ottantotto disegni a matita nera e rossa o ad acquarello realizzati tra il 1586 e il 1588, che l’artista ambienta tra le vedute laviche di Lanzarote e i fumi delle solfatare dei Campi Flegrei, creando una analogia visiva tra finzione e realtà.
Il secondo contributo preso in considerazione risale, invece, al 1900 ed è quello in bilico tra simbolismo ed espressionismo di Alberto Martini (1876-1954) per le edizioni Alinari, di cui un corpus di 298 opere è conservato alla Pinacoteca di Oderzo. Mentre la terza presenza autoriale è quella dell’artista statunitense Robert Rauschenberg (1925-2008) che, sul finire degli anni Cinquanta, perfezionò la tecnica del «transfer a solvente» lavorando sulle immagini fotografiche delle riviste del tempo, poi riprese a matita e acquerello. La sua rilettura del capolavoro dantesco è un pretesto per parlare dell’attualità; tra i suoi personaggi compaiono, per esempio, John Kennedy e Richard Nixon.
Tra le varie nature morte realizzate da Jacopo Valentini spicca anche una fotografia che ritrae la prima edizione de «La Divina Mimesis» di Pier Paolo Pasolini, un tentativo incompiuto di riscrittura della Commedia uscito postumo nel 1975, che all’interno della mostra è una sorta di omaggio al grande scrittore di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita.
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica.

Didascalie delle immagini: 1.Jacopo Valentini from the series Concerning Dante (A. Martini, (Paradiso XXIX), Fondazione Oderzo Cultura, Treviso ; 2. Jacopo Valentini from the series Concerning Dante (R. Rauschenberg, (Inferno XXXI), Palazzo Roncale, Rovigo; 3. Jacopo Valentini from the series Concerning Dante (Purgatorio III), Gallerie degli Uffizi, Firenze Courtesy Galleria Antonio Verolino, Modena & Podbielski Contemporary, Milano  
 
Art City Bologna, Carlos Garaicoa e la sua «rete di colori» per l’oratorio San Filippo Neri
Crea una relazione viva con il settecentesco spazio dell’Oratorio San Filippo Neri di Bologna, luogo carico di memoria e di storia distrutto durante la Seconda guerra mondiale e ristrutturato negli anni Novanta, l’installazione site specific del cubano Carlos Garaicoa (L’Avana, 1967), a cura di Maura Pozzati, inserita tra i «Main Project» dell’edizione 2022 di «Art City», programma di iniziative speciali promosso in occasione di Arte Fiera.
Il percorso espositivo, realizzato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna con la Galleria Continua, riflette le tematiche care all’artista, come la ricerca sullo spazio urbano e architettonico.
La mostra, aperta fino al 15 maggio (da mercoledì 11 a venerdì 13 maggio dalle 11 alle 19; sabato 14 maggio dalle 11 alle 23; domenica 15 maggio dalle 11 alle 20; ingresso libero), si compone di vari momenti che si intrecciano tra loro. Da una parte ci sono le sculture di grandi dimensioni che ricordano le impalcature e i ponteggi dell’edilizia, ricoperte da reti colorate simili a quelle di sicurezza, una chiara allusione ai lavori di ristrutturazione nelle città; dall’altra la musica. Una composizione, scritta da Esteban Puebla e interpretata da Mahé Marty, anima lo spazio, mentre una versione musicale più dinamica accompagnerà una video-animazione di Pablo Calatayud dal titolo «Oratorio», ultimo elemento dell’installazione multimediale.
«Strutture che ricordano le impalcature per l’edilizia sono coperte da maglie illuminate per poter rivivere uno spazio che ha vissuto una storia di violenza, che vorrei potere rivendicare ed espandere. Mi attrae l’idea di approcciare la storia dell’Oratorio di San Filippo Neri, ricordare la sua penosa distruzione e la sua bella ricostruzione, usando l’elemento dell’impalcatura metallica e le reti, che avranno dunque un nuovo significato, rispetto al ruolo di semplici materiali da costruzione» afferma Carlos Garaicoa,
Anche la musica vivrà di momenti distinti ma capaci di dialogare tra loro: il pezzo musicale centrale deriva dal passato classico e barocco dello spazio, attraversa l’orrore della guerra mondiale e del fascismo, fino ad arrivare alla malattia e alla disillusione della vita contemporanea. L’organo dell’Oratorio San Filippo Neri, che in alcune giornate di apertura della mostra sarà suonato dal vivo, accompagnerà con le sue note l’animazione video, per portare uno sguardo più contemporaneo alla storia di questo edificio, attraverso una vera e propria energia cinetica, generata dall’intreccio delle luci, dei colori e dei suoni.
Per informazioni: fondazionedelmonte.it.

«No, Neon, No Cry», al Mambo una storia «disordinata» della galleria neon di Bologna
Cinquantadue artisti per un viaggio alla scoperta di una fucina di talenti nata all’ombra della Basilica di San Petronio: è questo ciò che propone «No, Neon, No Cry», mostra a cura di Gino Gianuizzi, in programma fino al 4 ottobre nella Project Room del MAMbo – Museo d’arte moderna di Bologna, contenitore tematico che accoglie, ricostruisce, racconta e valorizza le esperienze artistiche del territorio bolognese ed emiliano-romagnolo.
Attraverso i lavori di Maurizio Cattelan, Cuoghi Corsello, Eva Marisaldi, Marco Samorè, Luca Vitone, Francesco Voltolina e molti altri ancora, l’esposizione tenta una narrazione della complessa, sfaccettata, «disordinata» storia della galleria neon.
Nata nel 1981 «senza un programma, senza strategia, senza budget e senza obiettivi predeterminati», la realtà bolognese è stata «un laboratorio permanente, una comunità per artisti, critici e curatori e un luogo di formazione per tutte le persone che vi hanno collaborato». Dal suo archivio risultano oltre tre-cento mostre all’attivo, alle quali si sono aggiunte nel tempo numerosissime attività collaterali, collabo-razioni e iniziative esterne.
Questa immensa mole di materiali ha posto una sfida al curatore, da sempre anima della galleria, che si è chiesto come approcciarsi alla magmatica attività ultra quarantennale di neon per raccontarla attraverso una mostra. Meglio limitarsi al progetto strettamente documentale o, all’opposto, tentare un impossibile «best of» degli artisti e delle opere che vi hanno trovato accoglienza? Gino Gianuizzi ha fatto ricorso alla formula della wunderkammer: lo spazio della Project Room è così abitato da un ac-cumulo visivo in cui inoltrarsi con circospezione tentando di decifrare i singoli lavori e di ricondurli agli artisti.
Sebbene sia volutamente escluso l’approccio sistematico e ancor di più il percorso cronologico, in mostra sono rintracciabili testimonianze dei diversi momenti che neon ha vissuto nel tempo. Il racconto espositivo spazia dalla Bologna post ’77, momento caratterizzato da un rapporto privilegiato con Francesca Alinovi, ai decenni successivi, con l’organizzazione di mostre come «Nuova Officina Bo-lognese» (1991, Galleria d’arte moderna, Bologna) e «Soggetto/soggetto. Una nuova relazione nell'ar-te di oggi» (1994, Castello di Rivoli, Torino), per giungere alla nascita di neon>campobase e alle esperienze milanesi di neon>projectbox e neon>fdv, spazi moltiplicatori di re-lazioni e di collaborazioni, con una nuova spinta alla ricerca in cui si affaccia l’ultima generazione di artisti e curatori, le cui attività si chiudono nel 2011.
Per maggiori informazioni: www.mambo-bologna.org

Foto di Ornella De Carlo


«La memoria del futuro», Mario Ramous tra arte e poesia
Poeta, latinista, italianista, critico d’arte, direttore editoriale, cultore del bello e ricercatore della «perfezione»: le molte sfaccettature di Mario Ramous (Milano, 18 maggio 1924 - Bologna, 8 luglio 1999) sono raccontate fino al 4 settembre a Bologna, negli spazi di Palazzo Accursio, attraverso un percorso espositivo, curato da Maura Pozzati e Michele Ramous Fabj, che tratteggia l’affresco di una stagione culturale italiana, quella dal secondo Dopoguerra, prospera e forse irripetibile.
Manoscritti di poesie e traduzioni, disegni pubblicitari inediti, spartiti musicali, articoli di critica e rari volumi degli anni Sessanta e Settanta documentano i molteplici linguaggi e gli incontri amicali che l’intellettuale bolognese intrattenne con grandi nomi del ’900, come Pietro Bonfiglioli, Pirro Cuniberti, Francesco Flora, Marino Marini, Giorgio Morandi, Concetto Pozzati, Sergio Romiti, Gianni Scalia, Emilio Scanavino, Mario Sironi, Adriano Spatola.
La mostra, intitolata «La memoria del futuro. Mario Ramous un intellettuale a Bologna, dal dopoguerra agli anni Novanta», allinea anche edizioni a tiratura limitata, di cui lo studioso bolognese è stato curatore e autore, tra «Il libro delle odi. Versioni da Orazio» (1962), con dodici litografie di Bruno Cassinari, e «Programma n°» (1966), con alcune sue poesie e sei litografie di Emilio Scanavino.
Non mancano lungo il percorso espositivo opere d’arte di pregio appartenenti alla collezione personale di Mario Ramous, a partire da «Piatti» (1915), un disegno di Giorgio Morandi, segno dell’amore che il poeta e scrittore d’arte aveva per il pittore bolognese, tanto da dedicargli uno dei suoi testi d’arte più bello e intenso: il saggio «I disegni di Giorgio Morandi» (1949). Sono, poi, visibili la tecnica mista «Forma e campionario» (1965) di Rodolfo Aricò, un mobile bar con disegno di Pirro Cuniberti e il grande olio «Omaggio a Carpaccio» di Concetto Pozzati (1964), opera che «sancisce il passaggio dall’informale giovanile alla fase dialettica dell’ironia e della bifrontalità tipiche della pop art».
Il progetto espositivo, ideato in occasione della pubblicazione di alcune poesie inedite dello studioso confluite nel volume «Archivio21. Poesie 4660/29», sarà corredato da un convegno di studi «Prima e ‘Dopo la critica’ (… bisogna spendere molte parole | tutte le parole | (e non basteranno). Mario Ramous (poeta, latinista, studioso, critico d’arte, direttore editoriale), un lungo itinerario nella cultura italiana del Novecento», in agenda venerdì 18 maggio, anniversario della nascita dello studioso.
L’intero progetto – racconta Michele Ramous Fabj - «vuole fare incontrare nuovamente vecchi amici, vuol provare a raccontare quegli anni a chi non li ha vissuti, vuole restituire i tanti aspetti di Mario Ramous e di tutti gli intellettuali che hanno illuminato Bologna per un’intensa stagione, vuole gettare uno sguardo sul passato nella consapevolezza che la memoria è ciò che ci permette di costruire il futuro».
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica | www.scriptamaneant.com.

Nelle foto: 1. Ritratto di Ramous; 2. Copertina del volume dedicato a Giorgio Morandi pubblicato da Edizione d’Arte Licinio Cappelli nel 1949 quale primo quaderno della collana d’arte contemporanea italiana “Documenti”, diretta da Mario Ramous 500 esemplari ; 3. Bruno Cassinari tempera a colori su carta, cm 41 × 54, 1966 Da questa tempera è stata tratta una litografia per il volume Dal libro di Catullo Collezione privata  

Bologna, in mostra al Padiglione de l’Esprit Nouveau le tante anime creative di Giulia Niccolai
Fotografa, poetessa, traduttrice, narratrice, curatrice di riviste, monaca buddista: i mille volti di Giulia Niccolai (Milano, 21 dicembre 1934 - Alassio, 22 giugno 2021) (vanno in scena a Bologna in occasione di «Art City», il cartellone di eventi promosso dal Comune in occasione della quarantacinquesima edizione di Arte Fiera.
Al Padiglione de l’Esprit Nouveau, gioiello architettonico che replica fedelmente l'edificio ideato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret per l'Esposizione universale di Parigi del 1925, il pubblico può ripercorrere le tappe salienti della vita professionale dell’intellettuale lombarda tramite documenti, fotografie, testi, registrazioni e opere provenienti dall’archivio Maurizio Spatola, dalla Fondazione Echaurren-Salaris, dalla Biblioteca italiana delle donne di Bologna e da archivi privati.
«Perché lo faccio perché. La vita poetica di Giulia Niccolai»
, questo il titolo della mostra, è curata da Allison Grimaldi Donahue e Caterina Molteni e sarà visibile fino al prossimo 5 giugno. Accanto ai materiali d’archivio, una performance di Giulia Crispiani, un laboratorio di scrittura e una lettura di Allison Grimaldi Donahue, una video-intervista di Bes Bajraktarević e un progetto filmico di Sergio Racanati e Manuela Gandini si propongono come strumenti per riflettere oggi sul lascito intellettuale e artistico della Niccolai.
Già fotografa negli anni Cinquanta, l’intellettuale lombarda si afferma come poetessa concreta, visiva e sonora tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Ottanta partecipando in modo attivo a esperienze chiave per il rinnovamento del linguaggio poetico del tempo come il Gruppo 63, la rivista «Tam Tam», la casa editrice Geiger e il Dolce Stil Suono).
La sua ricerca poetica, visiva e sonora di questi anni si distingueva per un particolare utilizzo del nonsense e della giocosità. Traduttrice e intermediaria per numerosi poeti e poetesse straniere, oltreché redattrice in riviste di settore, la Niccolai si è distinta per una posizione partecipante ma spesso tenuta ai margini della storia ufficiale, diventando una figura essenziale ma non adeguatamente riconosciuta nei circuiti di arte e poesia.
Nel corso della mostra sono previsti una serie di appuntamenti aperti al pubblico: la lettura collettiva «Giulia Niccolai e la sua poesia» (13 maggio, ore 18:30), la lettura performata «Il gesto/The gesture» con Allison Grimaldi Donahue (14 maggio, ore 18), la performance «se io fossi in te se tu fossi in me» di Giulia Crispiani (14 maggio, ore 19), i workshop «Facciamo - Because Because Because» (14 e 28 maggio, ore 15-16:30), una lettura di Gian Paolo Roffi (5 giugno, ore 16:30).
Per ulteriori informazioni: artcity.bologna.it - www.mambo-bologna.org.

Nelle foto: Perché lo faccio perché. La vita poetica di Giulia Niccolai | Veduta di allestimento della mostra presso Padiglione de l’Esprit Nouveau, Bologna | Nell’ambito di ART CITY Bologna 2022 |Foto Valentina Cafarotti e Federico Landi - Migliorare con l’età MCE Stories | Courtesy Istituzione Bologna Musei


«Fresco», Davide D’Elia in mostra al Museo Davia Bargellini di Bologna
Passato e presente, pittura accademica e «gesto» pittorico convivono in «Fresco», la prima personale di Davide D’Elia (Cava de’ Tirreni, 1973) a Bologna. Promossa nell’ambito di Art City, l’esposizione mette in mostra al Museo Davia Bargellini otto quadri in plexiglas realizzati dall’artista campano durante un precedente intervento site specific operato nel 2018 sugli affreschi del Salone delle feste del Palazzo Atti-Pensi di Todi, dimora cinquecentesca che si erge al centro della piazza principale della città umbra. Questi lavori vengono riproposti, dal 13 maggio al 25 settembre, all’interno del museo bolognese, in relazione ai dipinti e alle sculture commissionate dal mecenatismo dei Bargellini, tra le famiglie bolognesi che hanno ricoperto importanti cariche nel Senato cittadino.
Per realizzare il ciclo «Fresco» a Todi, Davide D’Elia non è intervenuto direttamente sugli affreschi ma vi ha apposto delle strutture in plexiglas appositamente progettate. Ciò gli ha consentito di stendere campiture di pittura «iris blue» celando talvolta gli elementi organici del paesaggio, talvolta le architetture nell'intento di far emergere la costruzione dei dipinti degli affreschi sottostanti. Una volta rimossi dagli affreschi, gli otto quadri sono diventati pitture astratte - o «assolute», come le definisce l'artista - su cui si è conservata la traccia dell’indagine compositiva creando un discorso tra «pittura assente» e «pittura presente».
La mostra, a cura di Elisa Del Prete, è completata a Bologna da due nuovi interventi site specific, «Zero» e «Zero1», realizzati su due dipinti della collezione del Museo Davia Bargellini, entrambi dal titolo «Paesaggio con figure» di Vincenzo Martinelli (fine sec. XVIII). Le due opere, nel momento in cui lasceranno il luogo in cui sono stati create per essere esposte altrove, attiveranno a loro volta un processo di traslazione portandosi dietro il contesto primario. La visita propone, inoltre, un’esperienza di realtà virtuale grazie alla quale il visitatore si fa testimone della simultaneità dell’opera ricongiungendo il ciclo alla sua fonte originaria e mettendo così in dialogo spazi tra loro geograficamente distanti.
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica | www.artcity.bologna.it.

Nelle immagini:  Davide D’Elia, Fresco, 2022. Installation view della mostra. Museo Davia Bargellini, Bologna. photo © M3S Roma


BOOMing: a Bologna c’è anche la fiera dell’«arte emergente»

25 gallerie
, 3 sezioni tematiche, 3 special project, 5 talk, una mostra off e, poi, visite guidate, premi, performance: sono questi i numeri della seconda edizione di BOOMing - Contemporary Art Show, la fiera sull’arte emergente in programma a Bologna, al Binario centrale di DumBO, da giovedì 12 (dalle ore 20 alle ore 24) a domenica 15 maggio (13 maggio, ore 16.00 - 24.00 | 14 maggio, ore 15.00 - 24.00 | 15 maggio, ore 11.00 – 20.00).
Prodotto da Doc Creativity e diretto da Simona Gavioli, l’evento mercantile si articola in tre sezioni. In «Arena» si vedrà una selezione di opere e gallerie chiamate specificatamente a interpretare il concetto di «querencia», dal verbo «querer», che indica quel luogo così carico di amore e forza dove un toro, durante la corrida, riesce a ricaricarsi per uscirne più vigoroso e combattivo che mai, metafora perfetta della rinascita post-pandemica.
«FeminisMAS» concentrerà, invece, l’attenzione sui femminismi e sul ruolo delle donne ancora sottorappresentate nel sistema e nel mercato dell’arte. Mentre «Afuera» proporrà un focus sull’attualità dell’arte urbana, attraverso un percorso tra opere di Banksy, Keith Haring, Shepard Fairey e Jef Aerosol, ma anche di artisti più contemporanei come Eron, Corn79, Ericailcane, Andrea Casciu, 108, Kiki Skipi e Laurina Paperina.
Al Binario centrale di DumBO è prevista anche una «Special Area», dove la Fondazione Rocco Guglielmo presenterà «Moon», un’anteprima del progetto dedicato alla luna come rappresentazione della divinità femminile, a cura di Simona Caramia e Simona Gavioli, in programma nei prossimi mesi al Museo Marca di Catanzaro. Alla luna è dedicata anche l’installazione partecipativa del duo Antonello Ghezzi: i visitatori potranno, con l’ausilio di un tapis roulant, camminare insieme fino ad azzerare la distanza che ci separa dal satellite.
Durante l’evento mercantile verrà, inoltre, lanciata la prima edizione del «Premio Sustainability Art Giorgio Morandi», rivolto ad artisti under 40 impegnati sul tema delle emergenze ambientali. Il prescelto, dopo una residenza nei luoghi cari all’artista emiliano, restituirà la sua opera entro la fine dell’anno 2022 per un evento appositamente organizzato al Grand Hotel Majestic già Baglioni.
BOOMing avrà anche un evento off a Palazzo Bentivoglio con la mostra «Toccami», a cura di Simona Gavioli, ispirata al genio di Bruno Munari e alla celebre frase «Vietato non Toccare». Aron Demetz, Gonçalo Mabunda, Massimiliano Pelletti, Alex Pinna, Antonio Tropiano, Antonio Violetta e Zeroottouno sono stati invitati a riflettere sul nostro bisogno di esperienza tattile, acuito dal periodo pandemico e dalla tensione sempre maggiore al virtuale.
Per ulteriori informazioni: www.boomcontemporaryart.com.

venerdì 13 maggio 2022

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 9 al 15 maggio 2022

«Questa notte è di nuovo nostra»
. La scritta che campeggia sui manifesti romani che pubblicizzano la Notte europea dei Musei 2022 racconta bene il senso di rinascita che sta vivendo in queste ultime settimane il settore della cultura. Dopo due anni di stop a causa della pandemia, sabato 14 maggio, in tutta Italia, musei, complessi monumentali, parchi e siti archeologici apriranno le porte in orario serale al costo simbolico di 1,00 euro. 
 L’elenco completo dei siti che parteciperanno alla diciottesima edizione della Notte europea dei Musei 2022 - iniziativa ideata dal Ministero della cultura francese e patrocinata dall’Unesco, dal Consiglio d’Europa e da Icom - è consultabile sulla pagina istituzionale del Ministero della cultura: https://cultura.gov.it/evento/notteeuropeadeimusei-2022
Tra le città che daranno lustro a questa grande festa dell’arte c’è Bologna dove, in occasione della quarantacinquesima edizione di «Arte Fiera», la kermesse mercantile più longeva d’Italia, si terrà la «White Night» di «Art City», il cartellone di iniziative che riunisce, sotto l’egida del Comune, musei, gallerie private, fondazioni e spazi della cultura cittadini. 
Questa settimana sulla pagina Facebook vi abbiamo parlato di alcune delle mostre che animeranno il capoluogo felsineo durante il fine settimana, ma anche della nuova Orangerie del Museo Poldi Pezzoli di Milano, del rinnovato percorso di visita della Galleria nazionale delle Marche, e di molto altro ancora. Buona lettura! 

«I luoghi del cuore», al via il nuovo censimento del Fai – Fondo per l’ambiente italiano
Per Alessio Boni è l’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, un meraviglioso esempio di architettura romana. Per Amanda Sandrelli è Viareggio, la città dove è nata sua madre e dove ha trascorso l’infanzia. Per Michelle Hunzikher è il borgo ligure di Varigotti, dove portava la figlia da bambina a giocare sulla riva della spiaggia a piedi nudi. Ognuno di noi ha un posto che ama e che vuole salvare dall’abbandono e dall’oblio, consegnandolo alle future generazioni. Proprio a questa speciale carta geografica dell’anima guarda il censimento «I luoghi del cuore», promosso dal Fai – Fondo per l’ambiente italiano con Intesa San Paolo, che dal 2003 ha raccolto 9,6 milioni di voti in favore di oltre 39.000 luoghi in più di 6.500 comuni.
L’undicesima edizione è appena partita
. Fino al 15 dicembre si possono segnalare castelli, palazzi, chiesette, eremi arroccati, teatri, musei, parchi e anche interi borghi, luoghi cari da salvare dall’abbandono, dal degrado o dall’oblio, perché, per il bene di tutti, siano recuperati e valorizzati, conosciuti e frequentati.
La potenza e la chiave del successo di questo grande censimento spontaneo del patrimonio culturale italiano sta nel rendere possibile con un piccolo gesto alla portata di tutti, un voto on-line o cartaceo, qualcosa che sembrava difficile anche da sognare. Lo provano i 139 progetti di restauro e valorizzazione realizzati, negli ultimi dieci anni, in 19 regioni.
Basta un click sul sito www.iluoghidelcuore.it o attraverso i moduli di raccolta firme e i luoghi più votati verranno premiati a fronte della presentazione di un progetto (50.000, 40.000 e 30.000 euro saranno assegnati rispettivamente al primo, secondo e terzo classificato, scelti tra i siti che avranno ricevuto almeno 2500 voti).
In questa edizione è previsto, inoltre, un premio speciale di 20mila euro per i borghi, quell'Italia interna, spesso dimenticata dallo sviluppo del Paese, che soffre lo spopolamento e un conseguente degrado di territori e comunità, ma che è anima vera del vivere italiano.
Alcuni comitati sono già attivi e si preparano a raccogliere quanti più voti possibili. È il caso del villaggio operaio di Crespi d'Adda, della Ferrovia Sulmona-Rieti, della splendida ma poco conosciuta Chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia, della Fascia olivata Assisi-Spoleto, paesaggio unico che non ha uguali in Umbria, e degli scavi di «Halaesa Arconidea», vicino a Messina.
Per informazioni e votazioni: www.iluoghidelcuore.it.

Inaugurata la nuova Orangerie del Museo Poldi Pezzoli di Milano
Non tutti lo sanno, ma, un tempo, la centralissima via Manzoni di Milano era chiamata corsia «del Giardino» per la presenza di un antico grande orto, quasi un quartiere a sé. Su questa direttrice, dal XVII secolo iniziarono a erigersi palazzi nobiliari e tra questi anche quello che oggi noi conosciamo come il museo Poldi Pezzoli.
Il palazzo, acquistato nel 1777 da Giuseppe Pezzoli d’Albertone (1743- 1818), zio del padre di Gian Giacomo, ha sempre avuto il suo giardino, un gioiello verde nascosto agli occhi dei più, che nel corso dei secoli è stato rivisitato più volte a seconda dei gusti del tempo. Nel 1787 il giardino è disposto «all’italiana» dall’architetto Simone Cantoni (1736-1818), «con quattro aiuole geometriche collegate centralmente da una piccola rotonda». Nel 1838 Rosina Trivulzio, la mamma di Gian Giacomo, fa trasformare l’oasi naturale del palazzo «all’inglese», secondo la moda romantica. Lo spazio è «diviso in diversi tappeti verdi con piante fruttifere, esotiche, fori e con cespugli con montagnata fra vialetti sabbiosi e sul retro due statue di Adone e Diana con un carro e due colombi». Nel 1853, con Gian Giacomo, il giardino viene riprogettato con un impianto a rondò e aiuole collegate fra loro in vari percorsi. Nel 2021 lo spazio verde è nuovamente rivisitato dalla società Square Garden grazie al finanziamento dell’ingegnere Mario Franzini e, in questa occasione, nasce la «nuova» Orangerie del Museo Poldi Pezzoli.
Lo spazio, appena inaugurato, è una sala polifunzionale di oltre cento metri quadri. La struttura, in acciaio e vetro, ha una copertura realizzata in lamiera lavorata e piegata manualmente, come le pensiline dei primi anni del secolo scorso, con vetrate e decori in ferro battuto finemente lavorati: creste Versailles sul colmo e mantovane in stile Milano al di sotto della gronda. I serramenti perimetrali sono anch’essi realizzati in acciaio, come il ferro finestra dei palazzi dell’epoca. La pavimentazione è in legno massello. Il nuovo spazio si presta ad ospitare laboratori, conferenze, attività per tutti i pubblici, oltre a esclusivi eventi privati come aperitivi, cene placée e meeting aziendali.
Il Museo Poldi Pezzoli di Milano apre così – racconta la direttrice Annalisa Zanni - «una grande finestra dalla quale contemplare il giardino, al tempo ‘oasi’ privata di serenità di Gian Giacomo e di cui ora si potrà ammirare la bellezza complessiva», svolgendo anche attività a contatto con la natura.
Informazioni: www.museopoldipezzoli.it

«Se mi dura questo entusiasmo finirò come Narciso», a Venezia un viaggio fotografico nella vita di Eleonora Duse
La Fondazione Giorgio Cini di Venezia si prepara al centenario della morte di Eleonora Duse (Vigevano, 3 ottobre 1858 – Pittsburgh, 21 aprile 1924), «la Divina del teatro italiano», che si impose all’attenzione della critica e del pubblico con un tipo di recitazione febbrile e di forte impatto emotivo e visivo, lontano dai consueti canoni recitativi dell'epoca, conquistando vasta fama e ammirazione.
Sull’Isola di San Giorgio Maggiore, dove è conservato l’archivio dell’artista, donato nel 1968 dalla nipote Eleonora Ilaria Bullough, conosciuta anche come Sister Mary Mark, riapre, dopo due anni, la Stanza di Eleonora Duse, uno spazio permanente dedicato alla memoria della grande attrice italiana, dove poter ammirare, di volta in volta, lettere, libri, copioni, alcuni dei quali autografati dalla diva o dall’autore del testo, abi¬ti, mobilio, fotografie e molti oggetti personali, provenienti anche dal fondo Signorelli, che accoglie vari e preziosi materiali raccolti negli anni da Olga Resnevič Signorelli, amica e prima biografa dell’attrice.
Dal 13 maggio l’Istituto per il teatro e melodramma, diretto da Maria Ida Biggi, presenta, dunque, una serie di tre mostre preparate in occasione della grande ricorrenza del 2024, che vogliono indagare rispettivamente il rapporto dell’attrice con Venezia e il Veneto (2022), il successo in Italia nel contesto teatrale nazionale (2023) e la fama internazionale (2024). La Stanza di Eleonora Duse sarà visitabile solo su prenotazione contattando il numero 041.2710236 o scrivendo all’indirizzo teatromelodramma@cini.it.
«Se mi dura questo entusiasmo finirò come Narciso. Un viaggio fotografico nella vita della grande attrice. Parte I Eleonora e Venezia»
, la prima di queste rassegne, è curata da Maria Ida Biggie Marianna Zannoni. Fino al 16 dicembre, sarà esposta una ricca selezione del fondo fotografico dell’Archivio Duse, che ritrae l’attrice in momenti privati e mentre posa in abiti di scena, insieme a una serie di suoi oggetti e documenti.
Il legame di Eleonora Duse con la città di Venezia è forte e duraturo e affonda le radici nell’infanzia. Il nonno, l’attore Luigi Duse, era originario di Chioggia e l’attrice, dopo aver passato i primi anni di vita in laguna, istaura con la città un legame unico e indissolubile. Nel corso della relazione con il compositore e letterato Arrigo Boito (Padova, 1842 – Milano, 1918) Eleonora Duse esprime più volte il desiderio di ritirarsi a Venezia con lui e la figlia Enrichetta alla fine della propria carriera. Dopo averlo tanto desiderato, nel 1894 l’attrice si trasferisce per un periodo a palazzo Barbaro-Wolkoff, sul Canal Grande, di fronte alla Casetta Rossa che ospiterà Gabriele D’Annunzio. Venezia sarà per Eleonora Duse anche una «piazza» di lavoro importante, scenario di episodi centrali per la sua crescita artistica.
Per maggiori informazioni: www.cini.it.

Nelle fotografie: 1. Eleonora Duse in gondola, fotografia di Primoli, 1894 ca., Archivio Duse, Ve FGC 2. Ritratto di Eleonora Duse, 1910 ca., Archivio Duse, Ve FGC

«Opera vita», un’opera di Matteo Baroni per le Serre Torrigiani di Firenze
Un giardino urbano versatile e fruibile. Un luogo di gioco e di riflessione per adulti e bambini. Un’oasi di pace, dove godere del fresco e dei profumi. Un’opera d’arte che incontra la natura. Tutto questo è «Opera viva», la monumentale installazione di Matteo Baroni realizzata alle Serre Torrigiani, all’interno dell’omonimo giardino all’italiana nel cuore di Firenze. Si tratta di una sorta di chiosco fatto di tondini di ferro, studiato per integrarsi con l’ambiente circostante. Grazie al verde che la circonda e che la abita questa struttura, costruita come un antico pergolato di campagna o come la pagoda arabescata di un elegante giardino liberty, non apparirà mai la stessa, ma si evolverà con il passare delle stagioni.
La scultura, che appare come una grande cupola, pervade lo spazio e si espande in altezza, trovando il suo compimento in una grande cupola di otto metri. Sedute e tavoli si sviluppano dalle colonne portanti, mentre dall’alto cadono due altalene e vasi, sempre sorretti dagli intrecci di ferro.
Se la struttura ferrea può dirsi conclusa e fruibile dal pubblico, l’operazione nel suo insieme si modifica invece costantemente, come le sensazioni di chi la usa. Le piante, infatti, con i loro effetti benefici sull’ambiente e sulle persone, sono le vere protagoniste di quest’opera ambientale, che a loro si ispira, nei materiali e nella forma che, con i suoi rami di ferro, rimanda immediatamente al mondo vegetale.
«Opera viva» - spiega il critico d’arte Gianni Pozzi, autore dei testi del giornale che accompagna il visitatore - «è un intervento ambientale, ma anche un’opera che si aggiunge alle tante che caratterizzano lo spazio: la statua di Osiride, dio dei morti e della rinascita, posta all’ingresso, quella di Pio Fedi con ‘Seneca e il giovane Piero Torrigiani’, e poi i vari tempietti, torri e laghetti che costituiscono un singolare percorso esoterico all’interno di questo che è uno dei grandi giardini storici italiani. Non una delle tante installazioni temporanee cittadine ma la ripresa – da parte della ricerca e della committenza artistica – di una reale progettualità ambientale».
Per ulteriori informazioni: https://matteobaroni.it/.

Foto di Nicoletta Filardi 

«Un/Veiled», a Roma Cy Twombly tra arte e musica

Concerti, video proiezioni, musica diffusa e una mostra nel segno di Cy Twombly: è questo il ricco programma multidisciplinare messo in campo dalla Fondazione Nicola Del Roscio di Roma per «Un/veiled». Il cartellone, in agenda da sabato 20 maggio a sabato 11 giugno, prevede il coinvolgimento di musicisti e artisti di fama internazionale: Harold Budd (selezione di ascolti), Eraldo Bernocchi, Nils Petter Molvær e Petulia Mattioli (20 e 21 maggio), Isabella Summers (27 e 28 maggio), Thierry Balasse (10 e 11 giugno 2022), Devendra Banhart e Sudan Archives (documentazione di performance).
La rassegna in sei appuntamenti è il frutto inedito di un’ampia ricognizione condotta nel corso degli ultimi tre anni dalla Cy Twombly Foundation nelle sue sedi di Roma e Gaeta per volontà di Nicola Del Roscio, che ha voluto riordinare le composizioni musicali firmate da musicisti internazionali che si sono lasciati ispirare o hanno tentato di costruire un dialogo intimo con le opere di Cy Twombly. Ne è nato un archivio ricco e sorprendente che riunisce le opere di quattordici musicisti afferenti a differenti generi musicali, dal jazz alla musica classica, passando alle esperienze elettroniche più sperimentali.
Gli occhi degli artisti invitati diventano i filtri attraverso cui lo spettatore ha la possibilità di osservare le opere di Cy Twombly da punti di vista nuovi e inusitati, scoprire i riferimenti alla mitologia, alla poesia e alla letteratura moderna, tematiche attraverso le quali l’artista costruiva caleidoscopi per riscoprire il reale.
Per l’occasione sarà possibile ammirare una piccola ma preziosa selezione di opere su carta dei primi anni Settanta, come i due «Study for Treatise on the Veil» nati dall’ascolto del pezzo di Pierre Henry, «Le Voile d’Orphée». Si tratta di lavori nelle quali i segni, le linee e le iscrizioni numeriche si dipanano sulla superficie quasi a suggerire l’idea degli spartiti delle avanguardie musicali del secondo Dopoguerra. Le opere a loro volta sono poste in dialogo con le composizioni in filodiffusione del musicista californiano Harold Budd, tratte dagli album «In the Mist» (2011) e «Bandits of Stature» (2012). L’autore, recentemente scomparso, ha composto i brani «Mars and the Artist (after Cy Twombly)» (2011) e «Veil of Orpheus (Cy Twombly’s)» (2012) ispirandosi a sua volta all’opera di Cy Twombly. Completano il percorso espositivo due video performance dei musicisti Devendra Banhart e Sudan Archives.
Per maggiori informazioni: https://fondazionenicoladelroscio.it/la-fondazione/.

Nella fotografia:Cy Twombly, Study for Treatise on the Veil, 1970 [Anacapri], Collage/ (drawing paper, transparent adhesive tape), pencil, wax crayon, coloured pencyl, 70.5 x 100 cm, Collection Cy Twombly Foundation, © Cy Twombly Foundation, photo Mimmo Capone 

«Lì troverete una Renault 4 rossa», a Roma gli scatti di Gianni Giansanti raccontano «L’affaire Moro»
«Io abitavo a Monte Mario e tutte le mattine in moto passavo da via Fani per arrivare in ufficio. Come al solito alle 8.30, io e Osvaldo Restali, maestro e socio, leggevamo i giornali e ascoltavamo la radio sintonizzata sulle onde corte della polizia. Illegale, ma di routine. A un certo punto sentiamo la voce trafelata di un agente e le parole confuse ‘sequestro di persona, via Fani’. Prendo la moto, la strada la conosco a memoria, arrivo sul posto insieme alla prima ambulanza. Saranno state le dieci meno un quarto, tutto era appena successo, un'apocalisse». Così Gianni Giansanti (Roma, 1956- Roma, 18 marzo 2009), uno tra i più apprezzati fotogiornalisti internazionali, ricordava in un'intervista di Laura Leonelli, pubblicata sul «Sole24Ore» il 1° marzo 2008, la genesi degli scatti che nel 1978 gli valsero, appena ventunenne, la menzione d’onore al World Press Photo. Quelle immagini, il primo documento del rapimento di Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916-Roma, 9 maggio 1978) e dell'uccisione della sua scorta, sono in mostra fino al 13 maggio a Roma, alla Camera dei Deputati. 
 L’apertura della mostra è coincisa con il giorno in cui, nel 1978, il corpo del politico e accademico pugliese, leader della Democrazia cristiana, fu ritrovato all’interno della famosa Renault 4 rossa, in via Caetani a Roma, assassinato dopo cinquantacinque giorni di rapimento da parte delle Brigate Rosse. Anche questa scena, con la strada piena di agenti e la disperazione dei politici, viene consegnata all'opinione pubblica dal fotografo romano, protagonista con i suoi scatti dei successivi trent’anni di storia nazionale e internazionale, dalla strage di Bologna al disastro di Tesero, fino al lungo pontificato di Giovanni Paolo II.
Gianni Giansanti è sempre stato mosso nel suo lavoro dalla voglia di testimoniare «i momenti veri», semplicemente scattando secondo un raro istinto giornalistico. Lo si evince dalle sue stesse parole che arricchiscono il percorso della mostra romana, significativamente intitolata «Lì troverete una Renault 4 rossa»: «[...] la folla degli agenti -raccontava il fotografo a Laura Leonelli - si avvicina alla Renault e un poliziotto si gira e si mette una mano sulla faccia, disperato. Contemporaneamente, dalla televisione accesa nell'appartamento in cui mi trovavo, si sente un annuncio: ‘Ci arriva in questo istante la notizia che il corpo dell'onorevole Moro è stato ritrovato in via Caetani’. E io stavo là e allora era lui nella macchina. Dalla strada mi vede un poliziotto che mi punta la pistola e mi ordina di scendere e consegnargli i rulli. Mi ritiro dalla finestra e seguo la scena dal riflesso sul vetro. Con me ho una sola macchina e tre obiettivi, un 35, un 50 e soprattutto un 200. Sono l'unico ad averlo. Ma a quel punto a cacciarmi è il padrone di casa, spaventato. Esco e salgo sul tetto del palazzo. […] Mi sporgo, ma è troppo pericoloso. Scendo di corsa e nella confusione assoluta rientro nella casa di prima e il proprietario neanche se ne accorge. Metto il 200 ed è come essere a pochi centimetri dalla scena. Gli artificieri squarciano il portellone, scatto, lo aprono. Tolgo il rullo a colori e lo nascondo negli slip. Rimetto il bianco e nero». Quell’immagine a colori con il corpo di Aldo Moro privo di vita diventa storia. Una storia che, a quarantaquattro anni di distanza, presenta ancora tanti punti oscuri.
Per maggiori informazioni: www.camera.it

«La Vergine col Bambino e santi», la lunetta di Luca Della Robbia è tornata a Urbino
È da poco ritornata a Urbino, alla Galleria nazionale della Marche, la grande lunetta di Luca Della Robbia raffigurante la «Vergine col Bambino e i santi Domenico, Tommaso D’Aquino, Alberto Magno e Pietro martire», realizzata con ogni probabilità intorno al 1450. Dallo scorso 10 maggio, l’opera, restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, può essere nuovamente ammirata dal pubblico in tutta la sua straordinaria bellezza, nonostante l’ultima parte dell’intervento di ripristino si svolgerà proprio alla Galleria nazionale delle Marche, nella Sala della Jole.
La lunetta era stata commissionata da Maso di Bartolomeo per il portale della Chiesa di San Domenico di Urbino. E lì era rimasta fino all’inizio degli anni Ottanta del Novecento quando fu rimossa e ricoverata in Palazzo ducale «onde evitare l’aggravarsi irreparabile di uno stato di degrado», come si legge nell’analisi che proprio i tecnici dell’istituto di restauro fiorentino stilarono allora durante l’intervento che comprese vari ritocchi pittorici e integrazioni di materiali.
A distanza di quaranta anni, la lunetta robbiana ha avuto bisogno di nuove cure: se n’è fatta carico Laura Speranza, direttore del settore restauro materiali ceramici e plastici dell’Opificio, insieme al suo team: «Siamo intervenuti per evitare che lo smalto si staccasse dalla terracotta - afferma la restauratrice - e quindi abbiamo consolidato alcune parti. Inoltre abbiamo realizzato un intervento estetico sulle parti in terracotta, adesso stuccate in bianco utilizzando materiali naturali, come la polvere di marmo. In più abbiamo rimosso il vecchio supporto ligneo, troppo sensibile alle variazioni climatiche, sostituendolo con uno nuovo, rimovibile in qualsiasi momento, in resina e ‘aereolam’, materiale inerte di notevole garanzia».
In questi ultimi mesi, la Galleria nazionale delle Marche ha anche studiato un nuovo percorso di visita che sta portando, nell’anno in cui si festeggiano i sei secoli dalla nascita di Federico da Montefeltro, a un aumento del 75% del patrimonio fruibile dal pubblico. In totale stanno uscendo dai depositi per farsi ammirare dal pubblico 115 dipinti e 5 sculture, circa 150 maioliche di rara bellezza e una selezione di ceramiche. A tutto ciò si aggiungeranno, di volta in volta, 24 disegni (molti di Barocci e per lo più inediti) che verranno mostrati a rotazione per periodi al massimo di quattro mesi), oltre a due di grandi dimensioni che, proprio per questa natura, saranno permanenti: il «San Gennaro trascinato al martirio con i compagni Festo e Desiderio» e «Il trionfo di Sileno». Sei nuove sale al secondo piano hanno riaperto ai primi di aprile, il resto del riallestimento sarà visibile a partire dal prossimo 14 luglio.
Per informazioni: www.gallerianazionalemarche.it.

«Arte», una tela bianca e un’amicizia in crisi sul palco di Casa Fools
Si chiude all’insegna dell’arte il programma di «Futura», la stagione 2022 di Casa Fools – Teatro Vanchiglia a Torino, decisa insieme al pubblico scegliendo fra le oltre 300 proposte giunte da varie parti d’Italia.
Venerdì 13 e sabato 14 maggio i riflettori saranno puntati sulla compagnia Asterlizze, nucleo di attori e attrici la cui ricerca si concentra sulle connessioni tra artisti e pubblico per interrogarsi su temi attuali attraverso una contaminazione di linguaggi: drammaturgia, performance, arti visive, Nuovi media e partecipazione viva dello spettatore caratterizzano anche l’allestimento di «Arte», commedia brillante e ironica scritta da Yasmine Reza alla fine degli anni ‘80, interpretata da Mauro Bernardi, Alessandro Cassutti ed Elio D’Alessandro – autore anche delle musiche - , con la regia di Alba Porto.
Lo spettacolo si interroga sul valore dell’arte contemporanea e che ha come protagonisti tre amici di lunga data che incarnano tre differenti tipi umani: un dermatologo amante dell’arte, un ingegnere aeronautico e un rappresentante di articoli di cartoleria. L’acquisto da parte di uno dei tre di una tela bianca per duecentomila euro, si trasforma nel confronto fra le certezze e i punti di vista dei tre che si riveleranno estremamente differenti. Il testo, pungente e acuto, scandaglia con sarcasmo le relazioni umane e rivela come i rapporti più stretti possano rapidamente degenerare di fronte a un dissenso. Attraverso una riflessione sull'arte contemporanea, «Arte» pone interrogativi universali sulle dinamiche psicologiche ed emotive della natura umana quando si parla di amicizia fra uomini, fatta anche di egoismi, ipocrisie e falsità.
Il costo del biglietto varia dai 12 agli 8 euro. Per info e prenotazioni scrivere a prenotazioni@casafools.it o chiamare il numero +39.392.340.6259.
Per maggiori informazioni: www.casafools.it.

«Giuseppe Penone. Organica rinascita», a Milano il documentario sulla scultura «Indistinti confini» per il Bosco della Memoria di Bergamo
È stato presentato in settimana a Milano, al Museo nazionale scienza e tecnica «Leonardo da Vinci», il documentario «Giuseppe Penone. Organica rinascita», a cura della regista Valeria Parisi e di Gianluca Rapaccini, realizzato da 3D Produzioni con il contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, per raccontare la genesi dell’installazione «Indistinti confini» realizzata nel Bosco della Memoria di Bergamo, nel Parco della Trucca, in ricordo delle vittime del Covid-19.
L’opera, creata per essere esposta a Versailles nel 2013 e oggi e posizionata nel 2022, simbolicamente, di fronte all’Ospedale Papa Giovanni XXIII, si compone di una scultura in marmo bianco di Carrara di grandi dimensioni - alta quasi 3 metri e dal peso di 25 tonnellate - al centro di una sorta di anfiteatro naturale composto da 80 betulle dell’Himalaya che richiamano la profonda connessione con la natura. Pensata come luogo di riflessione e di memoria, si inserisce nella poetica dell’artista che abbatte i confini tra il mondo umano, quello minerale e quello vegetale.
«Le venature scolpite nel marmo richiamano il sistema linfatico delle piante ma anche il sistema circolatorio umano, riferimento alla vita che scorre indistinta nel corpo del mondo e al profondo legame tra uomo e natura. La simbologia dell’installazione vuole certamente rimandare al ricordo delle vittime, ma è anche un inno alla vita, alla rinascita e alla speranza», spiega l’artista. «L’arte di Giuseppe Penone – racconta il critico Gianfranco Maraniello - non è una forma di rappresentazione, ma un gesto che ci invita a trovare continuità tra il fare umano e quello della natura, individua analogie tra i nostri corpi e l’universo del vegetale così come del minerale. È un’arte che è anche processo di conoscenza e, insieme, una disposizione etica, un modo di riconoscere la solidarietà di tutto ciò che costituisce il mondo».
Nell'arte di Giuseppe Penone ogni forma di vita ha tempi diversi di trasformazione ed ogni essere vivente è accomunato da un continuo fluire della vita. Proprio questo messaggio di uguaglianza tra esseri viventi è stato scelto per ricordare le vittime del Covid-19 a Bergamo.
Per maggiori informazioni: www.museoscienza.org.

Presentazione milanese e on-line per «Arte contemporanea», la nuova enciclopedia di Treccani
4 volumi
, 435 autori, oltre 3600 voci e quasi 4000 immagini: sono questi i numeri della prima enciclopedia dedicata all’arte contemporanea a livello internazionale, pubblicata da Treccani. L’opera, che compone una accurata testimonianza delle maggiori esperienze artistiche del nostro tempo, è stata presentata in settimana a Milano, All’Armani/Silos e in streaming sui principali social della casa editrice (YouTube, Facebook e la piattaforma https://www.treccanix.it/).
All’incontro sono intervenuti Massimo Bray, direttore generale Treccani, con Valeria Della Valle e Vincenzo Trione, entrambi alla direzione scientifica dell’enciclopedia Treccani Arte Contemporanea, e con il filosofo Mauro Ceruti; ha moderato Cristina Faloci, autore di Rai Radio 3.
Con oltre 3.600 lemmi e 435 autori coinvolti, «Arte Contemporanea», questo il titolo del progetto enciclopedico, offre una raccolta ragionata del panorama artistico del XX e XXI secolo, spingendosi oltre una ricognizione fenomenologica dell’arte contemporanea e proponendo una catalogazione non solo degli artisti, ma anche di storici dell’arte, teorici, critici, curatori e di tutte le figure che hanno avuto e hanno un dialogo significativo con l’Arte. Accanto alle persone, l’enciclopedia presenta luoghi e contesti in cui si crea e si promuove l’arte, insieme ai principali movimenti e tecniche artistiche del nostro tempo.
L’opera raccoglie in una prospettiva ampia e inclusiva le componenti del sistema dell’arte dal 1900 al 2021. Ed è suddivisa in: «voci monografiche, che comprendono artisti singoli e gruppi, ma anche teorici, galleristi, collezionisti e mercanti, musei, mostre e riviste; voci tematiche, in cui sono annoverati movimenti e tendenze, temi e situazioni al confine con altre discipline, nonché città rilevanti nel dibattito artistico; voci-contenitore, che radunano in un unico lemma, esperienze, tecniche, tipologie espositive, gruppi legati a un’unica area geografica o tematica; voci interdisciplinari e transnazionali che riguardano diverse aree geografiche o tematiche».
L’enciclopedia presenta un progetto grafico innovativo curato da Polystudio e una ricca selezione di immagini e opere. In ogni volume è pubblicata un’opera d’arte inedita ispirata all’idea di enciclopedia, di alcune delle maggiori figure dell’arte contemporanea, chiamate a rappresentare uno specifico continente: Anish Kapoor l’Asia, William Kentridge l’Africa, Anselm Kiefer l’Europa e Joseph Kosuth l’America. A queste opere si aggiunge nel primo volume un portfolio di Shirin Neshat, artista che da sempre si muove tra mondi e linguaggi diversi.
Per maggiori informazioni: www.treccaniarte.com.

Allemandi pubblica il catalogo generale delle opere di Bernardino Luini
È stato presentato a Milano, negli spazi della Pinacoteca di Brera, la monografia di Cristina Quattrini dedicata a Bernardino Luini (Bernardino Scapi, Dumenza? circa 1482 – Milano 1532), pubblicata da Umberto Allemandi a fine 2019.
Molto amato dai collezionisti lombardi fra Cinquecento e Seicento ed eletto nel primo Seicento a esempio di pittura devota dal cardinale Federico Borromeo, l’artista incontra a partire dal XVII secolo una vicenda critica singolare. Fuori dalla Lombardia se ne perde il ricordo e molti suoi dipinti vengono attribuiti a Leonardo nelle più importanti raccolte d’Europa fino a che, alla fine del Settecento, Luigi Lanzi non gli restituisce un ruolo di primo piano nella sua Storia pittorica d’Italia (1795- 1796), conferendogli il titolo di «Raffaello lombardo». Durante l’Ottocento Bernardino Luini è celebrato pittore della grazia leonardesca, diventando una sorta di nazareno ante litteram. Mentre la sua fortuna nel Novecento risente in parte del giudizio negativo di Bernard Berenson.
Il volume di Cristina Quattrini, che è curatrice del settore dei dipinti piemontesi lombardi e dell’Italia centrale del Rinascimento della Pinacoteca di Brera a Milano, ricostruisce il percorso dell’artista alla luce degli studi sulla pittura lombarda e padana degli ultimi decenni, con novità sulla committenza e con il catalogo completo delle opere. La storia di Luini viene ripercorsa attraverso la narrazione dei pochi dipinti che rimandano a una formazione ancora oscura e a un soggiorno in Veneto, nel primo decennio del Cinquecento. Nel periodo successivo Bernardino si afferma fra i maggiori pittori di Milano. La sua attività si intreccia a quella di altri maestri, come Zenale e Bramantino, principali punti di riferimento per buona parte della sua attività, e a quella di leonardeschi di stretta osservanza.
Fra i suoi committenti milanesi vi sono cultori di studi sull’antico e sull’architettura, ambienti legati ai francesi presenti a Milano e portatori di istanze di riforma religiosa, e poi, negli anni Venti, anche fedeli degli Sforza tornati agli onori con la restaurazione dell’ultimo duca di Milano, Francesco II. Oltre a importanti cicli di affreschi - come quelli di San Maurizio al Monastero Maggiore a Milano, di Santa Maria dei Miracoli a a Saronno e di Santa Maria degli Angeli a Lugano - e di pale d’altare, Luini realizza un’imponente produzione di quadri a destinazione privata, che talvolta rielaborano in modo originale temi derivati da Leonardo e dalla sua cerchia.