ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
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mercoledì 24 febbraio 2021

In mostra a Milano i tappeti di René Gruau, l’illustratore di moda che raccontò lo stile Dior

È stato uno dei più celebri illustratori italiani che hanno segnato la storia della moda. René Gruau, al secolo Renato Zovagli Ricciardelli delle Caminate (Rimini, 4 febbraio 1909 – Roma, 31 marzo 2004), ha collaborato con i più grandi stilisti del Novecento, da Dior a Yves Saint-Laurent, da Chanel a Balenciaga.
Il suo talento viene riconosciuto quasi subito, quando da Rimini si trasferisce prima a Milano, dove lavora per il mensile «Lidel», diretto da Vera Rossi Lodomez, e disegna figurini in stile Déco per varie case di moda, e, poi, a Parigi, dove il suo inconfondibile tratto conquista le pagine della rivista «Fémina», antagonista dell’edizione francese di «Vogue». È il 1937 e il nome di René Gruau con la sua inconfondibile firma – una G con sopra una macchiolina a forma di stella - inizia ad accompagnarsi a quello di altri già celebri illustratori del tempo: Pierre Mourgue, Bernard Blossac e Claude Simon.
In quegli stessi anni arriva la collaborazione con «Marie Claire», dove l’artista riminese rimane per tutto il periodo della Seconda guerra mondiale. Con la Liberazione sono «Vogue», «L’Officiel de la Couture», «Harper’s Bazaar», «Flair», «Très Chic» e ancora «Fémina» a richiedere il suo segno grafico, curvilineo e marcato, dai colori forti e contrastanti, con una predominanza di rosso, nero e bianco.
Sempre in quegli anni, «L’Album de la Mode du Figaro» pubblica per il suo sesto numero, uscito a cavallo tra il 1945 e il 1946, trentatrè disegni di René Gruau – che occupano più di un quarto della rivista da soli – illustrando le collezioni di trenta diversi stilisti tra cui Marcel Rochas, Nina Ricci, Jean Patou e Lucien Lelong.
Il passo verso le grandi maison di moda è breve. Arrivano, infatti, le collaborazioni con i più grandi couturier del tempo, da Pierre Balmain a Cristóbal Balenciaga, da Hubert de Givenchy a Yves Saint-Laurent, da Christian LacroixChanel, senza dimenticare l’italiana Laura Biagiotti, per cui l’illustratore riminese studia il logo e l’immagine coordinata.
Fin dalla sfilata d'esordio nell'immediato Dopoguerra, quella del 12 febbraio 1947, René Gruau è accanto a Christian Dior, l’artefice della rinascita della moda francese, con il quale condivide la stessa visione stilistica sulla femminilità, dando così vita al leggendario New Look, che dimentica la cupezza e le restrizioni degli anni appena trascorsi, quelli del conflitto bellico, con abiti dalle spalle arrotondate e dalla vita stretta, con gonne ampie e lunghe simili a corolle, con orli svolazzanti in un turbinio di sete e chiffon.
È con lo stilista francese che René Gruau inizia a occuparsi di un nuovo settore: la pubblicità. Tutto ha inizio con il profumo «Miss Dior», per cui l’illustratore riminese disegna anche la boccetta. Arrivano, poi, le affiches per la Martini, per le case produttrici di cosmetici Pajor ed Elizabeth Arden, per i tessuti di Dormeuil e Rodier, per la biancheria di Scandale e Léjaby, per gli ombrelli e gli impermeabili del marchio Ortalion. Non manca, poi, nel curriculum la cartellonistica per le fodere Bemberg, per le camicie Pancaldi, per i guanti Perrin, per i cappelli Montezin, per le auto della Maserati, per le scarpe dei Fratelli Rossetti, per il profumo «Schu-Schu» di Schuberth e per il centocinquantesimo anniversario dei Bagni di Rimini.
René Gruau dedica il suo tratto anche al mondo dello spettacolo, collaborando con famosi locali di Parigi quali Moulin Rouge e il Lido, disegnando l’affiche per il film «La dolce vita» di Federico Fellini, realizzando le scenografie per l’Opéra Comique e per il Theâtre du Palais Royal.
Dalla sua matita esce un mondo elegante, sensuale, gioioso e pieno di humor, che crea atmosfere più che ritrarre la realtà. Le figure femminili vaporose e danzanti, emblemi delle eleganti viveuses dell’epoca, strizzano l'occhio a Giovanni Boldini ed Henri de Toulouse-Lautrec: sono donne consapevoli del proprio fascino e della loro capacità di seduzione. La cartellonistica, essenziale e raffinata, non può, poi, fare a meno di riferimenti importanti come Leonetto Cappiello, Jules Chéret e Marcello Dudovich, maestri di un’epoca d’oro per il settore dell’affiche come la Belle Époque.
Da vent’anni, dal 2000, René Gruau è protagonista di una mostra permanente al Museo della Città di Rimini. Litografie, schizzi, disegni, bozzetti, dipinti, riviste di moda, pagine e affiche pubblicitarie, oggetti in tessuto, cartoline, opuscoli, piatti in ceramica e libri documentano la parabola creativa dell’illustratore, a partire dagli anni Venti per giungere agli anni Novanta del XX secolo. Il museo romagnolo, che conserva in archivio oltre quattrocento opere dell’artista, è, dunque, un ottimo punto di partenza per conoscere la storia di un uomo «nato con la matita in mano», per usare un’espressione cara allo stesso René Gruau, che con il suo stile inconfondibile ci ha lasciato un mondo lussuoso e sognante, dal fascino intramontabile.
L’illustratore riminese è protagonista, in questi giorni, anche di una mostra a Milano, negli spazi dello showroom Amini, dove sono esposti, fino al 13 marzo, i tappeti nati dai suoi disegni tratti dall’archivio storico di Fede Cheti. Già presentati a Parigi nel 2020, in occasione della Paris Déco Home, questi manufatti consegnano al visitatore uno stile dalle suggestioni orientaliste, dal tratto grafico e dal gusto tipico dei primi anni del Novecento.
«À la mode de Gruau» - così si intitola l'esposizione milanese - allinea una selezione di disegni, scritti e fotografie accanto a tre tappeti figurativi, realizzati in un blend pregiato di lana e seta annodati a mano: «Cap», «Man» e «Woman». «Come in un frame cinematografico, - raccontano allo spazio di via Borgogna - le tre figure sembrano dialogare attraverso un passaggio veloce di sguardi, divertiti, educati».
Questi tappeti rappresentano, dunque, bene la strategia comunicativa dell’epoca: «i primissimi piani dei soggetti, le inquadrature e lo sviluppo del disegno su linee diagonali – raccontano ancora dallo showroom di Amini - sono espedienti per catturare l’attenzione dell’osservatore e guidarne lo sguardo, per animare così la rappresentazione».
Nello specifico, «Cap» raffigura un corpo colto nel gesto scanzonato e divertito di coprirsi con un cappello; una realtà gioiosa, libera da imposizioni e stereotipi, racconta un’immagine che evoca con forza il gusto di un’epoca. «Man» è, invece, la rappresentazione di un uomo e allo stesso tempo di un’atmosfera; il segno incisivo di René Gruau illustra meglio di una fotografa una figura maschile, emblema di un immaginario di vizi e virtù tipico delle località balneari del XX secolo. Con «Woman», infine, emerge tutta la dedizione e l’attenzione dell’illustratore nella raffigurazione della figura femminile. La donna è, infatti, rappresentata con l’obiettivo di coglierne i tratti più sensuali e maliziosi; la sua posa è ammiccante. René Gruau ci rimanda così tutta l’allure degli anni del Dopoguerra, con le sue donne di classe, i grandi cappelli, la bocca sinuosa, i guanti lunghi, le schiene nude allusive, la vita che sembra un’opera d’arte.

Vedi anche 

Informazioni utili 
# Spazio Gruau - Museo della Città di Rimini, via Tonini, 1 - Rimini. Informazioni: tel. 0541.793851, musei@comune.rimini.it. Sito internet: www.museicomunalirimini.it
# À la mode de Gruau. Amini, via Borgogna, 7 - Milano- Informazioni: tel. 02.45391455, info@amini.it. Sito web: www.amini.it. Fino al 13 marzo 2021

giovedì 4 febbraio 2021

«A History of Style», la nuova collezione di Boucheron guarda alla creatività dell’ Art Déco


Glamour, opulento, eclettico, ricercato, moderno: sono questi gli aggettivi più spesso abbinati all’Art Déco, lo «stile figlio della Prima guerra mondiale», con cui la ricca borghesia del tempo cercò di lasciarsi alle spalle gli orrori del recente passato. All’arte dei «ruggenti Anni Venti» guarda la nuova collezione di alta gioielleria «A History of Style, Art Déco» di Boucheron, proposta in occasione di Paris Haute Couture, a partire dalle creazioni del secolo scorso rivisitate oggi dall’occhio creativo di Claire Choisne
La creative director dell’azienda francese, che oggi vanta sessantasei boutiques in tutto il mondo, ha estrapolato lo spirito, la linea, la semplicità assoluta di un tempo in cui le donne parigine affermavano la propria femminilità indossando capi maschili, mettendo in bella mostra scollature, pantaloni a vita alta, collane lunghe e capelli corti.
Claire Choisne ha scelto di celebrare lo spirito dell’Art Déco, un tempo in cui lo stile era una questione di atteggiamento, focalizzandosi sul femminile e sul maschile, sull’opulenza delle linee pure, sul contrasto tra bianco e nero, accentuato da un tocco di colore.
Anelli, spille, collane, ma anche cravatte e cinture diventano così pezzi multiwear dal gusto genuinamente contemporaneo. Un gusto nuovo, ma che guarda al passato, al seme gettato dal sarto Paul Poiret, che per la prima volta, negli anni '20, propose una costruzione verticale e ripulita dalle ridondanze, quindi più pratica.
Geometrismo assoluto e stile asciutto caratterizzano, per esempio, la «Cravate Émeraude», una collana in oro bianco, soffice e delicata come la seta, su cui poggia una spilla removibile con uno smeraldo da 8,02 carati e un gioco in lacca e onice nero, che è eco della couture di quegli anni di emancipazione, in cui le donne affermavano il proprio stile indossando accessori rubati dai guardaroba dei propri compagni.
Si trasforma in un elegante cravatta anche «Lavallière Diamants», collana costellata di diamanti e decorata da tre trecce impreziosite da grandi anelli in lacca nera. Sembra, invece, una corazza il «Plastron Émeraudes», vistosa cravatta da cerimonia che si ispira alle collane Boucheron create sul finire dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento per il maharaja di Patiala. Nella tradizione del multiwear di Boucheron, questo prezioso mozzafiato - realizzato con duecento perle di smeraldo, per un totale di 1071,97 carati - è in grado di trasformarsi in choker e in un bracciale e può essere abbinato a anello grafico e a due diverse coppie di orecchini disponibili nel medesimo design.
Uno tocco di verde impreziosisce anche «Chevron Émeraude», una catena in morbido oro bianco su un pavé di diamanti, che termina con una goccia di smeraldo da 61,35 carati. L ’audacia di questo pezzo, che usa il motivo a gallone, risiede nel suo fermaglio, che permette di regolare la catena alla lunghezza perfetta e che è anche un gioiello di per sé.
Il motivo a gallone, vera e propria icona dell’Art Déco, viene usato anche in «Ruban Diamants», un gioiello versatile che può essere indossato tanto come cintura da uomo su smoking quanto come cerchietto o collarino da donna e perfino come una coppia di braccialetti genderless.
«Nœud Diamants» è un altro pezzo di alta gioielleria che gioca sui contrasti. L’occhio creativo di Claire Choisne ha fatto di un papillon una spilla in lacca nera e oro bianco, impreziosita da una base di diamanti, che può essere appuntata su un abito nero, ma anche su un’acconciatura da valorizzare. Il versatile papillon può anche essere trasformato in un anello: un solitario da 1,50 carati, con il bordo nero, oppure un anello da papillon couture.
Eleganza senza tempo emana anche la linea «Liseré Diamants», orecchini e anelli con un diamante taglio goccia da 5,27 carati, bordato di nero. 
Dal fascino intramontabile è, poi, «Col Émeraudes», una collana dal design puro, che segue la linea nitida di una scollatura a V e ci dice tanto sulle modernità dell’Art Déco e sulle inconfondibili peculiarità di Boucheron. Il suo design estremo vuole osare molto, posizionando ventotto smeraldi in orizzontale, per un totale di 24,59 carati.
Le pietre con taglio smeraldo, intagliate nel cristallo e costeggiate di onice, richiamano la forma di place Vendôme, ma anche l’eleganza cromatica che Claire Choisne desidera conferire alla sua collezione con il verde luminoso, il bianco intenso e il nero grafico. La stessa linea si trova in un anello e in una coppia di orecchini a leverback, che richiamano il motivo a ciottoli della piazza parigina.
Uno smeraldo e il richiamo stilistico a place Vendôme impreziosiscono, infine, anche «Chevalière Émeraude», anello con sigillo dal design ottagonale.
Con le sue asciutte geometrie e le sue sinuose linearità, con il suo gioco elegante di bianco e nero, accentuato da un tocco di verde, con il suo lusso sfarzoso e la sua capacità di farsi notare con eleganza, la collezione «A History of Style, Art Déco» dimostra di essere una dichiarazione di libertà e di stile, di modernità e di joe de vivre, gioia di vivere di una generazione che, appena uscito dalla guerra, guardava con fiducia al domani. Quella stessa fiducia di cui ha tanto bisogno il nostro tempo. 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Lavallière Diamants. Versione spilla; [fig. 2] Col Emeraudes. Collana; [fig. 3] Chevalière Emeraude. Anello; [fig. 4] Noeud Diamants. Versione gioiello per capelli 

Informazioni utili
www.noucheron.com 

lunedì 30 novembre 2020

«Oggetti d’autore: omaggio a Giorgio Morandi», una collezione di design firmata Paolo Castelli

L’estremo equilibrio compositivo delle sue nature morte, intrise di luce e poesia, ne hanno fatto uno degli artisti più amati e quotati del Novecento. Il bolognese Giorgio Morandi, figura caratterialmente schiva e creativamente estranea alla lezione dei grandi movimenti pittorici del suo tempo, è stato capace di dare una solennità pacata e austera a tanti oggetti semplici e banali, protagonisti involontari della nostra quotidianità: bottiglie, vasi, brocche, caffettiere, ciotole, fiori, scatole, utensili da cucina.
Il mondo del design contemporaneo non poteva non guardare alle sue tele, dai colori tenui, dai delicati accordi cromatici e dai complessi equilibri compositivi come a dei modelli iconici imprescindibili.
Tra le aziende che portano nelle nostre case lo stile minimale, semplice ed elegante di Giorgio Morandi, il «pittore delle architetture», per usare un’espressione cara a Carlo Ludovico Ragghianti, c’è anche la Paolo Castelli di Ozzano dell’Emilia che nel 2009, in occasione dei lavori di riallestimento del museo dedicato all’artista, ha iniziato un sodalizio creativo con l’Istituzione Bologna Musei.
Ne è nata una collezione di interior decoration ispirata non solo alle opere del pittore bolognese, ma anche agli oggetti presenti nel suo studio di via Fondazza 36, una stanza di media grandezza, con una finestra che dava su un piccolo cortile, all’interno della quale c’erano un letto, un vecchio scrittoio, un tavolo da disegno, il cavalletto e poi tutt'intorno, su stretti scaffali, l'arsenale delle semplici cose che conosciamo attraverso le nature morte.
La collezione «Oggetti d’autore. Omaggio a Morandi» è frutto -raccontano dalla Paolo Castelli- di «un’osservazione minuziosa, contemplativa e reiterata nel tempo» degli elementi che si trovano tutt’oggi all’interno della camera-studio dell’artista, luogo di riflessione e lavoro tra le mura della casa tra Strada Maggiore e via Santo Stefano, in pieno centro storico, dove il pittore visse con le sorelle dal 1910 al 1964.
Sedute, tavolini, lampade, ma anche morbidi cuscini, carte da parati e ceramiche per la tavola compongono la collezione, pura art de vivre, dal sapore fortemente artigianale.
Gli oggetti creati, tutti realizzati a mano e rigorosamente made in Italy, sottolineano, infatti, l’importanza della figura dell’artigiano e delle tecniche di lavoro manuale, rispecchiandosi perfettamente nel concetto di interior design sviluppato dall’azienda emiliana nel corso della propria storia.
L’eccellenza di ogni singola soluzione comincia prima di tutto con il materiale, come il frassino ecosostenibile e non selezionato, l’ottone naturale, il vetro di Murano, la ceramica di Vietri, crine di cavallo e cuoio rigenerato, solo per citarne alcuni, e con la produzione di elementi dal design durevole.
Paolo Castelli e Istituzione Bologna Musei hanno conferito ad Artemest, piattaforma di e-commerce con sedi a Milano e a New York, specializzata in prodotti di design di alta gamma nelle categorie di arredo, illuminazione, home décor e lifestyle, l’esclusiva della vendita on-line dei nuovi oggetti d'autore.
Tra le inusuali soluzioni creative della collezione ci sono un appendiabiti a forma di cavalletto, cuscini e tovagliette in lino, set di piatti decorativi che richiamano la tavolozza di un pittore, fermalibri a forma di testa, brandine pieghevoli, bicchieri e tanti altri eleganti «segni d’autore» per una casa dell’eleganza sofisticata e dal forte valore identitario. Una casa dove il design di qualità parla il linguaggio della grande arte del Novecento.

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martedì 20 ottobre 2020

«Protect and respect!», quattro mascherine d’artista per il Maxxi di Roma

Sono diventate il simbolo della crisi sanitaria per il Covid-19 e accompagneranno ancora a lungo la nostra quotidianità. Per un obbligo di legge, ma anche (e si spera soprattutto) per rispetto verso gli altri, le mascherine hanno finito per diventare un accessorio imprescindibile. Introvabili nella prima fase della pandemia, oggi sono diventate sempre più originali e hanno inevitabilmente finito per incontrare anche il mondo dell’arte.
Lo scorso maggio la Galleria Contini di Venezia aveva lanciato la sua collezione, con opere, tra gli altri, di Fernando Botero, Manolo Valdés, Pablo Atchugarry e Igor Mitoraj. Poi sono arrivate le mascherine di Independent Republic e di Skira, con soggetti che spaziano dalla «Notte stellata» di Vincent Van Gogh a «La grande onda di Kanagawa» di Hokusai, da «L’urlo» di Edvard Munch a «La Venere» di Sandro Botticelli.
Il connubio tra arte e mascherine si arricchisce ora di una nuova proposta: «Protect and respect!», un’iniziativa di Alcantara a sostegno del Maxxi - Museo nazionale delle arti del XXI secolo, fortemente colpito dalla chiusura durante i mesi della quarantena. Quattro gli autori coinvolti: Andrea Anastasio, Gentucca Bini, Elena Salmistraro e Sissi.
Gli artisti hanno lavorato insieme al dipartimento RD del brand italiano, ubicato tra Milano e la cittadina umbra di Nera Montoro, che ha sviluppato soluzioni ad hoc per rispondere agli input creativi e realizzare mascherine filtranti con finalità precauzionale destinate alla collettività. Stampato, tagliato al laser, in colori e decori diversi, l’Alcantara si è dimostrato ancora una volta un medium versatile, capace di ispirare e dare forma alla creatività. Il risultato è a tutti gli effetti una produzione artistica. I quattro progettisti, afferenti a diverse discipline (arte, moda, design), hanno disegnato, nello specifico, oggetti che partono da loro ricerche precedenti sul significato antropologico e simbolico del «mascheramento».
Andrea Anastasio, sensibile artista e designer romano affascinato dallo studio delle poetiche dell’arte concettuale e delle sue potenziali convergenze con l’industrial design, disegna una farfalla iridescente con le ali giuntate al contrario. Nel suo progetto «Battiti» la forma bivalve della mascherina diviene occasione per considerare ciò che in natura ha una morfologia simmetrica e speculare, dalle conchiglie agli uccelli, alle farfalle. Il disegno presenta due ali che vengono cucite per il lato lungo, all’opposto di come avviene in natura, generando un ibrido che fa riflettere sull’azione dell’artificiale sul mondo naturale e sui suoi effetti sull’ecosistema.
Gentucca Bini, stilista e designer milanese, strizza, invece, l’occhio a uno dei rituali che ci manca di più - il bacio - e lo fa con l’ironia. Nel suo progetto «Kiss me Zorro» la componente di gioco identitario della maschera si coniuga con quella protettiva della mascherina. «Tipico costume della tradizione popolare, -raccontano gli ideatori del progetto- Zorro è qui trasformato nell’eroe di una storia a lieto fine, dove l’obiettivo è quello di proteggere gli altri e noi stessi senza perdere il buonumore, con uno spirito che coniuga prudenza e divertimento».
Ha un’anima vivace e colorata e un significato che pesca nell’antropologia culturale «Gargolla», la mascherina firmata dalla designer e artista milanese Elena Salmistraro. L’effetto apotropaico e scaramantico è una delle più forti armi della comunicazione simbolica delle immagini. «I gargoyle delle cattedrali gotiche -raccontano ancora da Alcantara- ne sono un chiaro esempio: la loro funzione statica nell’ingegneria delle cattedrali si accompagna a quella simbolica di repulsione del maligno. Il disegno di questa mascherina recupera con un tratto contemporaneo l’antica finalità, utilizzata qui per esorcizzare un male altrettanto invisibile e per proteggerci dai suoi reali effetti deleteri».
Infine, Alcantara ha incontrato l'universo creativo di Sissi (alias Daniela Olivieri) eclettica artista e sperimentatrice bolognese, la cui ricerca si caratterizza per un’analisi quasi scientifica del corpo umano e per la necessità di ridisegnarne le forme. Le anatomie fantastiche dell’artista prendono possesso di una mascherina con un disegno che vive al limite tra organicità botaniche e fisicità corporee: la sua «Fioritura linguale» è un fiore fatto di lingue che fa anche pensare alla parola repressa o comunque modificata dall’uso di questo dispositivo di protezione, rendendo la nostra comunicazione meno verbale e più simbolica.
Le ali di farfalla di Andrea Anastasio, la maschera di Zorro di Gentucca Bini, il gargoyle protettivo di Elena Salmistraro e il fiore di Sissi sono, dunque, le quattro nuovo proposte di Alcantara, tutte pensate per «proteggersi con arte», ma anche per sfruttare il potere terapeutico della creatività. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] «Gargolla» di Elena Salmistraro; [figg. 2 e 3] «Battiti» di Andrea Anastasio; [fig. 4]  «Fioritura linguale» di Sissi; [fig. 5]  «Kiss me Zorro» di Getucca Bini

Informazioni utili 
Le mascherine di Alcantara sono in vendita presso il bookshop del Maxxi di Roma e on-line nel canale e-commerce ad esso collegato al link: https://www.booktique.info/categoria-prodotto/maxxi-lifestyle/ al prezzo simbolico di 14,90 euro. Ufficio stampa: press@fondazionemaxxi.it | bf@share-pr.it. Per informazioni: www.maxxi.art | www.alcantara.com

lunedì 1 giugno 2020

Da #lifeviralart ai dispositivi protettivi della Contini: quando la mascherina diventa un’opera d’arte

Monouso o riutilizzabili. Chirurgiche o di tendenza. Griffate o fatte in casa. A strisce, a pois, a tinta unita, a fantasia floreale, animalier e molto altro ancora. Le mascherine sono diventate le nostre immancabili compagne di vita, una protezione utile per rendere ancora più efficace la lotta al Coronavirus. Dallo scorso 4 maggio il Governo ha reso il loro uso obbligatorio nei luoghi chiusi accessibili al pubblico o quando diventa difficile mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro dagli altri. La mascherina ha finito così per diventare un oggetto di moda. Da strumento sanitario, quale dovrebbe essere, è stata trasformata in un accessorio di tendenza al pari di scarpe, borsette e foulard.
«Proteggersi con stile» sembra essere diventato il must have dell’estate 2020 e anche il mondo dell’arte non è rimasto indifferente a questa nuova moda.
Il collettivo romano TeamLife ha deciso di lanciare il progetto #lifeviralart, una mostra interattiva on-line che invita artisti e creativi (ma non solo) a condividere le proprie mascherine d’autore sul Web utilizzando l’hashtag di riferimento o inviando l’immagine direttamente all’indirizzo e-mail dell’associazione (life.viralart@gmail.com).
I partecipanti sono invitati, inoltre, a un atto di solidarietà con una donazione diretta al nuovo centro di terapia intensiva Columbus Covid2 Hospital - Policlinico Gemelli di Roma o a un'altra struttura ospedaliera del territorio nazionale impegnata nella lotta in prima linea contro l'emergenza.
Tra i primi artisti che hanno aderito al progetto si segnalano lo stencil artist About Ponny, il duo Elastic Group, Susanne Kessler e Alessia Babrow, nota performer recentemente salita agli onori delle cronache con la sua rielaborazione dell’«Ascensione» di Heinrich Hoffman, divenuta l’immagine del francobollo celebrativo della Pasqua 2020 scelto dal Vaticano.
Un’altra idea originale è quella del maestro Carlo Iacomucci, incisore e pittore maceratese, che, attraverso i sette colori dell’arcobaleno e le immagini di manichini sartoriali, ha dipinto la speranza sui suoi dispositivi protettivi.
Anche la pittrice fiorentina Elisabetta Rogai, grazie a una partnership con l'azienda Agile di Pelago (Firenze), ha voluto creare la sua limited edition con marchio Mask-in©.
Interessante è, infine, il progetto della galleria Contini di Venezia: «Mascherine d’artista», un’iniziativa volta al sostegno del rispetto delle misure di protezione individuale che, al contempo, ha lo scopo di sensibilizzare sull’importanza della creatività e della cultura nel nostro quotidiano.
Tutti gli artisti rappresentati dalla galleria marciana, che ha sede anche a Cortina d’Ampezzo, hanno accettato con entusiasmo la proposta e sono stati realizzati così venti soggetti diversi di mascherine, con opere di Fernando Botero, Manolo Valdés, Pablo Atchugarry, Julio Larraz, Enzo Fiore, Mario Arlati, Paolo VegasCarla Tolomeo, Giacomo Braglia, Francesco Salvi, Andrea Valleri, Sophia Vari, Paolo Vegas e Carla Tolomeo. Non poteva mancare, inoltre, un sentito omaggio a un artista simbolico della galleria come Igor Mitoraj, del quale è stata interpretata la grande sensibilità attraverso la dolcezza delle sculture «Bacio dell’Angelo» (2003) e «Sotto Laguna II» (2005).
A tutti coloro che nei prossimi giorni si recheranno in galleria, nella sede di Calle Larga XXII Marzo, verranno donate le «mascherine d’artista», realizzate in una carta speciale sanificabile e stampate con inchiostro anallergico. 
Al dono è collegato un contest: per partecipare basta postare una propria foto con indosso le mascherine della Contini su Facebook e/o Instagram, inserendo i tag #continiartgallery #mascherinadartista e taggando la galleria marciana. 
Le venti foto più belle, o che meglio esprimeranno il messaggio, verranno omaggiate con una mascherina firmata dagli artisti rappresentati dalla Contini.
Un modo originale, questo, per riportare la bellezza e il messaggio dell’arte non solo sui social, ma anche nelle strade delle città e sui nostri volti.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Stefano Contini e Riccarda Grasselli Contini nella sede della galleria Contini di Venezia con le Mascherine d'artista; [fig. 2] Mascherine d'artista delle Galleria Contini di Venezia; [fig. 3] Mascherine d'Artista- Scultura e mascherina di Igor Mitoraj; [fig. 4] Mascherine d'Artista - Scultura e mascherina di Fernando Botero

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martedì 24 settembre 2019

«Morandi-esque»: il design contemporaneo incontra le nature morte di Morandi

L’estremo equilibrio compositivo delle sue nature morte, intrise di luce e poesia, ne hanno fatto uno degli artisti più amati e quotati del Novecento. Il bolognese Giorgio Morandi, figura caratterialmente schiva e creativamente estranea alla lezione dei grandi movimenti pittorici del suo tempo, è stato capace di dare una solennità pacata e austera a tanti oggetti semplici e banali, protagonisti involontari della nostra quotidianità: bottiglie, vasi, brocche, caffettiere, ciotole, fiori. Il mondo del design contemporaneo non poteva non guardare alle sue tele, dai colori tenui e dai delicati accordi cromatici, come a dei modelli iconici imprescindibili. Basti pensare, solo per fare un esempio, alle candele artistiche e ai vasi in ceramica di Sonia Pedrazzini per la serie «Le Morandine», che portano nelle nostre case lo stile inimitabile del maestro bolognese con i suoi silenzi compositivi e i suoi oggetti dalla linearità senza tempo, straordinariamente contemporanei pur essendo tradizionali.
In occasione di Cersaie 2019, il salone internazionale della ceramica per l’architettura che si tiene alla Fiera di Bologna dal 23 al 28 settembre, il mondo del design contemporaneo torna a guardare all’insegnamento di quello che una vulgata fin troppo riduttiva ha definito «il maestro delle bottiglie».
Casa Morandi - realtà afferente allo straordinario patrimonio dell’Istituzione Bologna Musei con il Mambo, Villa delle Rose e il Museo della memoria di Ustica- presenta il progetto espositivo «Morandi-esque».
L’originale dimora–atelier al numero 36 di via Fondazza, dove il maestro ha vissuto e lavorato dal 1910 al 1964, ospita i lavori in stampa digitale e i modelli in 3D realizzati dagli studenti partecipanti al workshop dedicato alla relazione fra le tecniche architettoniche e l’arte di Giorgio Morandi, ideato e condotto nel 2018 da Zaid Kashef Alghata, fondatore di House of Zka e docente di design architettonico all’Università del Barhain.
Il tema su cui si è sviluppato il percorso formativo è stata la verifica progettuale su quanto il lavoro di Morandi abbia in comune con concetti e schemi usati nello studio dell’architettura e quanto allo stesso tempo il metodo e l’approccio dell’artista abbiano influenzato lo studio dell’architettura.
Incentrato sulle procedure architettoniche di interpretazione, il workshop ha proposto la comprensione dello spostamento da una prospettiva pittorica, che l’architetto statunitense Peter Eisenman descrive come una «semplice membrana, una linea fra una figura e una superficie» a «un profilo architettonico a tre dimensioni, a un recipiente con una sua propria forma», producendo così un divario nelle sembianze fra ciò che può essere costruito, sia come speculazione della immaginazione del pittore che come realtà fisica dell’oggetto originario. In una sorta di ribaltamento del processo creativo morandiano, gli studenti sono partiti dall'esito pittorico per tornare alla forma originale attraverso un percorso inverso. La correlazione leggibile fra rappresentazione e oggetto della rappresentazione, inerente alla pratica di architettura, fra il disegno e il modello o il disegno e l’edificio, coinvolge tecniche di analisi e costruzione, interpretazione e documentazione.
I partecipanti al workshop sono partiti analizzando una decina di dipinti dell’artista bolognese, ridefinendoli e ridisegnandoli da un punto di vista architettonico, ma sempre rifacendosi ad un’interpretazione precisa e letterale del dipinto. Pur tentando di rendere gli oggetti con un certo grado di autonomia, si sono sempre assicurati che questi combaciassero con la fonte originale. L’esercizio iniziale ha richiesto un metodo geometrico rigoroso nel tracciare le silhouettes degli oggetti attraverso l’uso di archi e cerchi, ripetendo gli stessi gesti compiuti dallo stesso Morandi nel segnare la posizione dei suoi modelli sul piano di lavoro. Le tracce sono state poi rese in tridimensione attraverso le proiezioni, mantenendo come riferimento la distanza dell’oggetto dalla linea dell’orizzonte presente nel dipinto e il loro angolo prospettico, per limitare così la distorsione del disegno morandiano originale. Sfruttando le sottili variazioni operate da Morandi nel rappresentare sempre lo stesso gruppo di oggetti, le inevitabili discrepanze immaginative hanno creato delle differenze formali e prodotto oggetti dalle molteplici fogge. Questo lavoro è stato guidato dal pensiero e dal fondamentale insegnamento del noto storico e critico dell’architettura Robin Evans che riteneva il disegno architettonico «non dominante ma sempre interagente con ciò che rappresenta» e ha offerto al contempo un’ulteriore riflessione sui metodi di rappresentazione attraverso le nuove tecnologie digitali.
Un’occasione, dunque, quella offerta dalla mostra a Casa Morandi per parlare ancora una volta della modernità di quello che Roberto Longhi chiamava «il solitario di via Fondazza», un artista che ha reso pittura la riservatezza e la bellezza semplice della sua anima.

Didascalie delle immagini
Per tutte le fotografie: Credito / Credit: House of ZKA | @houseofzka | www.houseofzka.com

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«Morandi-esque». Casa Morandi, via Fondazza 36 | 40125 Bologna. Orari: dal 24 al 29 settembre (Bologna Design Week), ore 17.00–21.00; dal 4 ottobre fino al 1° dicembre (solo su appuntamento) venerdì e sabato, ore 14.00–16.00; domenica, ore 11.00–13.00. Ingresso: libero. Informazioni:  tel. 051.300150/6496611. Sito internet: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Inaugurazione: martedì 24 settembre 2019 h 18.00. Dal 25 settembre al 1° dicembre 2019. 

martedì 9 aprile 2019

Milano Design Week 2019, milleduecento eventi per tutti i gusti

Erano i primi anni Ottanta, quelli della Milano da bere e da guardare, quando dalla volontà di aziende attive nel settore dell'arredamento e del design industriale, come Alchimia e Memphis, veniva posato il primo mattone di quello che sarebbe stato il Fuorisalone: non un salon des refusés, ma uno spazio alternativo, slegato dalle regole tipiche di un evento commerciale come era il Salone del mobile, nato nel 1961 al quartiere fieristico.
Negli anni Novanta, grazie alla felice intuizione di Gilda Bojardi, direttore della rivista «Interni», il Fuorisalone aveva il suo battesimo ufficiale con la creazione di un logo e la pubblicazione di una guida.
Da allora sono passati più di vent’anni e Milano sta vivendo una nuova edizione di quella che è diventata, anno dopo anno, una manifestazione dalle dimensioni tentacolari, una vera e propria festa, con i suoi oltre milleduecento eventi tra mostre, installazioni, party, percorsi culinari, concerti e appuntamenti culturali distribuiti in tutta la città.
La manifestazione clou del Fuorisalone, oggi chiamato anche Milano Design Week, è ancora firmata da «Interni». Quest’anno si intitola «Human Spaces» e propone in quattro sedi cittadine -l’Università degli Studi, l’Arco della pace, l’Orto botanico di Brera e la Torre Velasca- una selezione di progetti di architettura e design che mettono al centro l’uomo e le sue esigenze di vita.
Cuore pulsante della manifestazione, in programma fino a domenica 14 aprile, sono, poi, i distretti. Quelli storici sono Tortona, Brera e Lambrate; quelli più recenti Isola, Porta Venezia, Porta Romana, Sant’Ambrogio e le cosiddette 5Vie, una zona ricca di vestigia romane nei dintorni di piazza Missori.
Gli ultimi nati sono il DOS Design Open' Spaces, distretto diffuso promosso da Re.Rurban Studio ed Emilio Lonardo Design che riapre spazi recentemente riqualificati, e il Parenti District, progetto nato da un’idea di Andrée Ruth Shammah, anima del teatro Franco Parenti, che interesserà il quartiere compreso tra piazza Medaglie d’Oro e corso di Porta Vittoria.
Vedere tutti gli eventi in cartellone è praticamente impossibile. Raccontare dove andare, proponendo una selezione del meglio in programma, è altrettanto difficile. Ognuno ha i propri gusti. C’è chi ama gli allestimenti volutamente teatrali e molto chiacchierati, come la «Maestà sofferente» di Gaetano Pesce in piazza Duomo, metafora della violenza sulle donne ispirata alla storica poltrona «Up 5&6» o il vicino bosco di ulivi secolari a «La Rinascente» o, ancora, il «Pratofiorito» di Davide Fabio Colaci per Eataly Milano Smeraldo in piazza XXV aprile.
C’è chi è goloso e non vede l’ora che a CityLife, il nuovo salotto buono della città, Bosch Elettrodomestici inauguri «MuffinLove», un’installazione a forma di mega muffin che sprigionerà un profumo inebriante di dolci appena sfornati e che permetterà a tutti i visitatori di dare sfogo alla propria fantasia e creatività, realizzando la ricetta del proprio muffin perfetto su totem interattivi e con il supporto virtuale dei forni della Serie 6.
C’è, poi, chi non vuole perdersi i progetti più nuovi e sarà, per esempio, incuriosito da «Rent is More», la «casa del lifestyle in affitto» nel centralissimo corso di Porta Ticinese, in cui è possibile scoprire come il fenomeno dell’affitto abbia cambiato le abitudini e lo stile di vita delle persone, coinvolgendo anche i mobili di design per la casa, l’abbigliamento delle grandi firme e le opere d'arte.
C’è, ancora, chi, stanco dalla maratona infinita di opening e di presentazioni, cercherà uno spazio dove riposarsi e lo troverà, forse, in Zona Tortona, al NYX hotel Milan, che accoglie un’installazione di maxi-sedute, realizzate da Kubiko by Skygreen in polietilene, rivestite di erba fucsia e turchese, sulle quali arrampicarsi, magari schiacciando un sonnellino in una Lilliput formato design.
A Milano, nei giorni concitati del Salone del mobile, arriva anche chi ama la moda e non potrà non rimanere incuriosito dall’installazione dei fratelli Campana, Fernando e Humberto, per Melissa e per la presentazione della sua nuova collezione «Crochet», composta da tre inediti prodotti in plastica, dalla caratteristica trama a uncinetto, tra cui un'iconica ballerina in sette differenti colori.
L’appuntamento per gli amanti del genere è in via Palermo, nel cuore pulsante del Brera Design District, zona in cui merita una visita anche «Home Sweet Home», un environment di Alessandra Roveda per il Missoni Showroom di via Solferino, che, con i fili di lana colorati lavorati ancora una volta a uncinetto, riveste oggetti e arredi della memoria.
Non molto distante, alla Galleria Moshe Tabibnia, è possibile, invece, confrontarsi con «Mīror», un progetto del collettivo di design «The Ladies’ Room», formato da Ilaria Bianchi, Agustina Bottoni, Astrid Luglio e Sara Ricciardi.
Si tratta -racconta il gruppo- di «un’installazione di tre sculture riflettenti che nasce dall’esplorazione dell’immagine in un gioco di illusioni ottiche e di alterazione della percezione, alla ricerca di un preciso istante, quello in cui stupirsi scoprendo una forma, un dettaglio, un vuoto, un riflesso o se stessi».
L’arte tessile va in scena anche a Palazzo Reale, nella Sala degli arazzi, con la mostra «De/Coding» (fino al 12 maggio), per la curatela di Domitilla Dardi e Angela Rui, attraverso la quale si esplorano le qualità dell’alcantara come materiale per l’arte e il design. Quattro artisti contemporanei - Constance Guisset, Qu Lei Lei, Sabine Marcelis e il duo Space Popular, formato da Lara Lesmes e Fredrik Hellberg- si confrontano attraverso installazioni site specific, che richiedono l’interazione del pubblico, con il tema del mito, dalle pluriformi dimensioni di Medea all’incarnazione di Scilla, per poi sperimentare la compagnia virtuale degli Argonauti, a partire dalle «Metamorfosi» di Ovidio.
Mentre in un altro spazio istituzionale della città, il Mudec – Museo delle culture, va in scena la rassegna «Moka Alessi. Design e Re-Design», che racconta l’evoluzione delle caffettiere dell’azienda, da Richard Sapper (1979) fino all'ultima, nuovissima, di David Chipperfield (2019). In mostra ci sono anche due opere del cineasta Virgilio Villoresi: un film e un’installazione che è una sorta di «fiaba in movimento», evocativa degli esperimenti pre-cinema. Infine, il bistrot si trasforma in Mokeria, un bar dall’anima super pop e coloratissima per una pausa all’insegna dell’allegria.
In Triennale, invece, c’è da visitare, tra l’altro, il nuovo Museo del design, uno spazio che ripercorre la storia del mondo dal 1946 al 1981 attraverso gli oggetti iconici creati in quegli anni: dal telefono Grillo alla radio Brionvega, dalla poltrona «Proust» di Alessandro Mendini ai Moon Boot, dalla sedia «Superleggera» di Giò Ponti alla mitica «Valentine» di Ettore Sottsass Junior e Terry King per Olivetti.
Alla storia della progettazione guarda anche Knoll, che, nel suo showroom di piazza Bertarelli, omaggia il Bauhaus, scuola tedesca che ebbe un’influenza unica sul progetto della modernità, di cui ricorrono quest’anno i cent’anni dalla nascita.
Il progetto espositivo -curato da Oma, studio co-fondato dall’architetto olandese Rem Koolhaas, con la collaborazione di Domitilla Dardi- «si articola in quattro ambienti/cluster -racconta Ippolito Pestellini Laparelli- che agiscono come scenari di un teatro che invita lo spettatore alla partecipazione, seguendo il più noto degli insegnamenti della scuola tedesca, il celebre «Learning by Doing».
Entrando nei quattro ambienti è possibile toccare con mano oggetti e arredi che sono gli attori principali della scena, creando partiture del racconto che mutano seguendo l’esperienza di ogni partecipante».
Al centro del percorso ci saranno alcuni prodotti iconici di Marcel Breuer, Mies Van Der Rohe e Florence Knoll.
Storia e contemporaneità si incontrano anche a Palazzo Dugnani, dove per pochi giorni sarà visibile la mostra «Ipervisualità. Rendere visibile l'invisibile» (fino al 14 aprile), a cura di Philipp Bollmann, che presenta per la prima volta in Italia, e in generale fuori dalla Germania, una selezione di opere della Wemhöner Collection, una delle più importanti collezioni tedesche d’arte contemporanea. Sei videoinstallazioni di formato museale di alcuni tra i massimi protagonisti della scena artistica internazionale – Isaac Julien, Masbedo, Julian Rosefeldt e Yang Fudong – entrano in dialogo con gli spazi affascinanti e monumentali del palazzo milanesi, edificio storico normalmente chiuso al pubblico che conserva un magnifico affresco del Tiepolo oltre a opere di Ferdinando Porta e della scuola veneta del Settecento.
Il debutto del Parenti Distrect al Fuorisalone vivrà, invece, uno dei suoi eventi più interessanti con la mostra «Immersione libera» (fino al 18 maggio), a cura di Giovanni Paolin, che porterà negli spazi della Palazzina dei Bagni Misteriosi, recentemente riscoperta e resa accessibile al pubblico, i lavori site-specific di dodici giovani artisti italiani. Interazione, libertà e ricerca sono le parole chiave del progetto espositivo, voluto e sostenuto dall’imprenditrice e collezionista Marina Nissim.
Tra gli appuntamenti più attesi di questa edizione della Milano Design Week c’è, infine, la grande installazione sull’acqua di Marco Balich che rende omaggio, alla Conca dell’Incoronata, al genio di Leonardo da Vinci, raccontando, tra ragione e incanto, un piccolo frammento del Rinascimento e del futuro di Milano. Sempre nel segno del maestro toscano, di cui ricorrono quest’anno i cinquecento anni dalla morte, è la mostra all’Ippodromo di San Siro, ideata da Snaitech e curata da Cristina Morozzi, nella quale sono presentate tredici reinterpretazione in chiave pop e avveniristica della celebre statua bronzea del cavallo leonardesco.
Per tutta la settimana saranno visibili anche le mostre inaugurate in occasione della Milano Art Week, l’altra grande manifestazione che, in occasione della fiera internazionale Miart, ha colorato di arte e creatività ogni angolo di Milano e che ora lascia il testimone al mondo del design con i suoi più di mille eventi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alessandro Mendini, Poltrona di Proust, 1978. Uno degli oggetti iconici esposti al nuovo Museo del design di Milano;  [fig. 2] La ballerina  della nuova collezione «Crochet» di Melissa, presentata in via Palermo a Palazzo Reale di Milano; [figg. 4 e 5] «Home Sweet Home», environment di Alessandra Roveda per il Missoni Showroom di via Solferino, a Milano; [fig. 6] Frame del video «A new moka is blooming» di Virgilio Villoresi per Alessi; [fig.7] Progetto dell'installazione  «Aqua» di Marco Balich per la Conca dell'Incoronata a Milano; [fig. 8] Progetto per la mostra sul Bauhaus  da Knoll, nello showroom di piazza Bertarelli, a Milano;  [figg. 9 e 10]Vista della mostra  «Ipervisualità. Rendere visibile l'invisibile» a Palazzo Dugnani di Milano 

Informazioni utili 
Orari, luoghi ed eventi del Fuorisalone 2019 sono consultabili sul sito https://fuorisalone.it/

domenica 7 aprile 2019

«La foresta dei violini» protagonista a «Human Spaces», la mostra di «Interni» per la Milano Design Week

Ci sono storie che sembrano uscite da un libro di favole. Quella del liutaio cremonese Antonio Stradivari che, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, se ne va in val di Fiemme a cercare, tra mille sfumature di verde, i legni perfetti per i suoi violini, quelli dell’abete rosso, è una di queste. Quando tra il 29 e il 30 ottobre scorsi un'ondata di maltempo, con venti a duecento chilometri orari, ha sconvolto l’equilibrio secolare di quella parte delle Dolomiti, la notizia dei danni alla foresta di Paneveggio, detta anche «il bosco che suona», ha fatto il giro del mondo, perché è ancora lì, dove la natura si fa musica, che i maestri liutai di Cremona trovano la materia ideale per la costruzione della casse armoniche dei loro violini, violoncelli, clavicembali e arpe.
A questa storia ha rivolto la propria attenzione Piuarch -lo studio milanese di architettura fondato nel 1996 da Francesco Fresa, Germán Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Tricario- per la propria partecipazione alla Milano Design Week, il calendario di mostre, installazioni, party, percorsi culinari ed eventi culturali (in tutto 1256 appuntamenti), in programma da lunedì 8 a domenica 14 aprile, in occasione della 58esima edizione del Salone del mobile.
Ne è nata un’installazione evocativa, intitolata «La foresta dei violini», in mostra all’Università Statale di Milano, su concept progettuale di Nemo Monti, consulente nei processi di comunicazione per le imprese, specializzato nel racconto dell’architettura e del design, e grazie alla sponsorizzazione del progetto CityLife.
Due grandi tronchi di abete rosso emergono dal loggiato del Cortile d’onore: le radici sospese nel vuoto si affacciano a sbalzo dalla balaustra sulla corte, sorrette da un cavalletto architettonico realizzato anch’esso in abete rosso, ma lavorato.
Quelli utilizzati per questa installazione sono alberi della secolare foresta di Paneveggio, spezzati e sradicati dal vento lo scorso autunno, perdendo così il loro legame forte e intimo con la madre terra e diventando, per mano dell’uomo, frammenti di una memoria da preservare.
«Le radici esposte -racconta, a tal proposito, Giuseppe Pino Scaglione, professore di Progettazione urbana e del paesaggio all’Università di Trento (ente patrocinatore dell’evento)- gridano il dolore, il trauma, la ferita, la loro -così come la nostra- provvisorietà; mostrano come una vita lunga possa essere recisa, improvvisamente, in una notte buia e tempestosa da colpi di vento violenti e imprevedibili. Urlano, allo stesso tempo, una denuncia: il nostro pianeta è in pericolo».
Quei due abeti rossi messi davanti agli occhi dei visitatori della Milano Design Week, simbolo degli oltre dodici milioni di alberi distrutti lo scorso ottobre lungo l’arco alpino, sono, dunque, un invito a riflettere sulla natura violata e su ciò che noi possiamo fare per l’ambiente.
Questo è uno dei temi guida di «Human Spaces» (dall’8 al 19 aprile), la mostra diffusa promossa dalla rivista «Interni», dentro la quale si trova appunto «La foresta dei violini» di Piuarch, in cui una serie di installazioni sperimentali e interattive, frutto della collaborazione tra architetti di fama internazionale e aziende di riferimento, oltre che istituzioni e start-up, raccontano come il mondo della progettazione e il design possano e debbano essere a servizio dell’uomo e delle sue esigenze, perché -come diceva Oscar Niemeyer- «la vita è più importante dell’architettura».
I progetti esposti estendono il concetto di «Human Spaces» all’ambiente e alla sostenibilità, a partire da emergenze come l'inquinamento dei mari, il cambiamento climatico o l'esaurimento delle risorse, per raccontare come nell’ambito della progettazione, dalla produzione alla ricerca dei materiali, si possa ancora correre ai ripari grazie ad azioni virtuose.
Ideale punto di partenza della mostra è, nel cortile d’onore dell’Università degli Studi, il lavoro di Maria Cristina Finucci: quattro gigantesche lettere, fatte con circa due tonnellate di tappi di plastica, posizionate sul prato a comporre la lapidaria scritta «Help», che la sera si illuminerà trasformandosi -raccontano gli organizzatori- in «una ferita sanguinaria di magma incandescente», come fosse «un grido dell'umanità al fine di frenare il disastro ambientale dell'inquinamento dei mari, attualmente in corso».
Al mondo marittimo si ispira anche «From shipyard to courtyard», il lavoro ideato da Piero Lissoni per il Cortile del 700: un’imponente costruzione lunga 33 metri, dipinta di rosso, che reinterpreta, astraendolo, lo scafo di uno yacht e che richiama alla mente le strutture in legno costruite, in passato, dai maestri d’ascia, figure di spicco dei cantieri navali.
Di grande impatto scenografico è anche «Sleeping Piles», il progetto dei fratelli Fernando e Humberto Campana per il Cortile della farmacia: sette torri di cinque metri rivestite d'erba che riprendono, rovesciandole, le curve architettoniche delle arcate e dei pilastri del colonnato, invitando i visitatori a vedere quello spazio come un luogo deputato al riposo nei giorni caotici del Salone del mobile.
A dialogare con la storia del Cortile dei bagni e delle sue vasche centrali, costruite a partire dal XVIII secolo, sarà, invece, Piscine Laghetto con «Miraggi», progetto di Luigi Spedini, per il landscape design di Bearesi Giardini.
Acqua e luce sono i due elementi su cui è giocata questa installazione onirica, formata da due aree benessere organizzate intorno a due mini piscine, Playa Living e Dolcevita Divina, che la sera si tingeranno di blu grazie al light design di Davide Groppi, per omaggiare -racconta il progettista- «i corsi d’acqua e il cielo di Milano che si uniscono in un grande sogno».
Tra i tanti progetti esposti non potranno, poi, sfuggire all’attenzione dei visitatori le due monumentali giraffe dall’aria trasognata che sostengono un lampadario classico in stile Maria Teresa, progettate dal designer Marcantonio per il brand Qeeboo, o, sempre nel Cortile d’onore, l’installazione «The Perfect Time», pensata da Ico Migliore con M+S lab per Whirlpool, una grande bolla trasparente nella quale viene presentato il forno W Collection che, grazie a tecnologie di ultima generazione, è in grado di essere programmato anche da remoto, restituendo così all’uomo il valore del proprio tempo.
M + S Architects, ovvero il duo Migliore e Servetto, firma anche il progetto dell’installazione «Abitare il paese» nella hall dell’Aula Magna, ideato con l'intento di promuovere l’adozione di politiche pubbliche per le città e un programma nazionale di rigenerazione urbana. Mentre, al Loggiato Ovest, Fabio Novembre ha ideato per il brand PerDormire, della storica azienda pistoiese Materassificio Montalese, l’installazione «One upon a time», in cui un letto rosso lungo ventuno metri invita i visitatori a fermarsi per condividere spazi, momenti e pensieri, allietati dalla musica classica.
Come ogni anno la mostra di «Interni» esce anche fuori dalle mura dell’Università degli Studi per animare altri luoghi della città. Quest’anno tocca all’Arco della Pace, dove si svolgerà la settima edizione di Audi City Lab, un hub di analisi e riflessione sulla mobilità del futuro, a partire, ovviamente, da quella elettrica. La Torre Velasca, edificio simbolo di Milano, sarà, invece, trasformata in un'icona di luce da Ingo Maurer e Axel Schmid, con un progetto che guarda al cielo, prodotto da Urban Up – Unipol Projects Cities del Gruppo Unipol, proprietario dello storico edificio. «La maestosa torre brillerà in una magia blu, mistica e profonda, -raccontano gli organizzatori- mentre fasci di luce bianca proietteranno la sua geometria nell’infinità del cielo», proiettando una scritta che recita «nel blu dipinto di blu».
Infine, all’Orto botanico di Brera, lo Studio Carlo Ratti Associati racconterà con Eni l’economia circolare, attraverso l’uso di un materiale da costruzione inaspettato: i funghi, la cui radice fibrosa –il micelio–è stata impiegata per creare delle strutture monolitiche ad arco, alte circa quattro metri, che, al termine della mostra, saranno smantellate e riutilizzate in qualità di fertilizzante. Un’installazione, questa, che spiega bene il senso di «Human Spaces», raccontare come l'unico futuro possibile sia in sintonia con la natura e rispettoso dell'ambiente.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1, 2 e 3] Courtesy of Piuarch; [Figg. 6, 7 e 8] Courtesy of Migliore+Servetto Architects

Informazioni utili 
Human Spaces. Sedi: Università degli Studi di Milano (Via Festa del Perdono, 7): dall'8 al 14 aprile 2019, ore 10.00-24.00; dal 15 al 18 aprile, ore. 10.00-22.00; 19 aprile, ore 10.00-18.00; Orto Botanico di Brera – CircularEni (via Fratelli Gabba, 10; via Brera, 28): dall'8 al 14 aprile, ore 10.00-23.00; dal 15 al 18 aprile, ore 10.00-22.00; 19 aprile, ore 10.00-18.00; Arco della Pace e Caselli Daziari - Audi City Lab (piazza Sempione): 8 aprile, ore 10.00-24.00; 9 aprile, ore 10.00-16.00; 10 aprile, ore 20.00-24.00; dall'11 al 14 aprile, ore 10.00-24.00; Torre Velasca: dall'8 al 14 aprile, ore 20.00-03.00. Sito internet: internimagazine.com.

lunedì 11 giugno 2018

Arezzo, sessant'anni di moda italiana alla Basilica di San Francesco

Dalle linee sinuose degli abiti della Belle Époque a quelle scivolate e audaci dell'epoca Decò, dalla moda austera del periodo bellico alla rivoluzionaria minigonna degli anni Sessanta: racconta l’evoluzione dello stile italiano, nei primi decenni del Novecento, la mostra «Moda e Modi. Stile e costume in Italia 1900-1960», ospitata fino al 4 novembre ad Arezzo, negli spazi della Basilica di San Francesco. L’esposizione, per la curatela di Mariastella Margozzi e Laura Mancioli, allinea una ricca selezione di abiti d’epoca, accessori di moda, oggetti, dipinti, disegni, acquerelli e fotografie, che raccontano non solo la moda indossata in quegli anni, ma anche quella che si ammirava sulle riviste o che veniva rappresentata da artisti reporter come Ottorino Mancioli o da pittori come Fazi, Sobrero, Avenali, ritrattisti della «vita quotidiana».
A raccontare lo stile italiano nella rassegna sono anche oggetti che hanno segnato il Novecento come il grammofono, la radio, il telefono e la televisione.
Il ventesimo secolo ha visto cambiamenti incredibili in ogni campo e ha significato per tutte le classi sociali, ma soprattutto per quelle medio basse, una integrazione continua all'ambiente della vita, ai cambiamenti epocali delle modalità del lavoro, a quelli che inevitabilmente si registrano nei costumi, nelle abitudini, nelle mode e nei modi di rappresentarsi da parte della società a tutti i suoi livelli.
Le città si caratterizzano sempre più come luoghi della modernità, delle fabbriche che impiegano operai, degli alloggi collettivi nei palazzoni, delle ferrovie e della viabilità automobilistica. La vita è frenetica, i tempi dell’esistenza sono ritmati dagli orari di lavoro ancora troppo lunghi, la vita familiare risente moltissimo di questo cambiamento, soprattutto quando le donne lavorano e c'è ancora pochissimo a disposizione per organizzare la giornata dei bambini.
La moda, quella comune e di tutti i giorni, cambia per esigenze di praticità e molto del lavoro femminile ha come prodotto gli indumenti perché con la diffusione dei grandi magazzini destinati agli acquisti delle classi medie, nascono numerosi laboratori sartoriali, nei quali vengono confezionati a cottimo con taglie prestabilite i vari capi.
Non è una moda nel senso del lusso e dell'esclusività quella che si vuole raccontare ad Arezzo attraverso abiti, accessori, dipinti e fotografie; è il gusto condiviso dalla maggioranza delle persone, che non disdegnano di vestire e comportarsi come gli altri, anzi cercano di appartenere a un gruppo, a una categoria, omologandosi nella scelta dei capi d'abbigliamento, nell’arredo della casa, nei comportamenti sociali, nei modi di essere. È la moda della musica ascoltata al grammofono e dei balli sfrenati come il charleston, delle comunicazioni attraverso il telefono, delle trasmissioni della radio e poi della televisione.
Tutti gli oggetti che vengono presentati hanno accompagnato nei sei decenni in esame soprattutto la vita delle donne e hanno fatto parte del loro mondo: borsette e cappelli, abiti per ogni ora importante della giornata, accessori frivoli, ma anche oggetti essenziali per il loro tempo libero: ricami, letture, giochi. E ci sono anche quelli legati ai loro affetti: ai bambini e al loro piccolo universo di abiti e giochi; agli uomini, che pure si rappresentano con i loro cappelli e smoking, con i loro sport, descritti negli anni '30 da Ottorino Mancioli, artista attento a rappresentare la società a lui contemporanea anche nei divertimenti come il ballo o le chiacchiere in spiaggia, mentre Emilio Sobrero restituisce l’intimismo del ritratto degli anni ’30. Nei più problematici e difficili anni '40 la moda e i modi di differenti femminilità sono raccontate da Rolando Monti e da Marcello Avenali, capaci di leggere il profondo legame con il mondo che li circonda attraverso l'immagine di una casalinga o di una donna alla moda.
Le fotografie dell’album di famiglia dai ritratti in posa dei primi decenni del secolo, singoli o di gruppo, teatrini dell'apparire, sorta di biglietto da visita da lasciare come testimonianza di avvenimenti particolari e per essere ricordati, si arricchiscono negli anni ’50 e ’60 di immagini estemporanee, di pose spontanee, di espressioni non convenzionali. Sempre di memoria tuttavia si tratta, di quel senso del tempo, del qui e ora, che solo la fotografia può restituire, con quel suo essere immagine apparentemente immota, eppure generatrice della riappropriazione di un attimo, del recupero di un ricordo. E proprio perché i ricordi siano più reali, negli anni ’60 essi si affidano anche alla cinepresa, oggetto divenuto in quegli anni un must, come il suo uso è divenuto uno degli hobby più praticati dagli uomini.
La «vita come racconto» attraverso i ricordi è l’idea che percorre questa mostra; ogni oggetto evoca non solo momenti che un tempo sono stati personali, ne sottolinea oggi il comune sentire delle epoche, l’appartenenza di mode e modi a intere generazioni che in essi si sono identificate.
La rassegna è arricchita da una sezione speciale con tre abiti riproducono le vesti della Vergine nell’Annunciazione, della Regina di Saba nell’episodio dell’incontro con Re Salomone e di un’ancella nella scena dell’Adorazione del Sacro Legno, raffigurati negli affreschi di Piero della Francesca. Le opere, realizzate dagli studenti della sezione di Design della moda e del costume teatrale del Liceo artistico, coreutico e scientifico Internazionale «Piero della Francesca», annesso al Convitto nazionale «Vittorio Emanuele II» di Arezzo, consentono un suggestivo confronto tra le rappresentazioni pittoriche rinascimentali e le ricostruzioni, realizzate quasi 600 anni dopo, di quegli stessi abiti, tessuti, decorazioni e ornamenti.

Informazioni utili
«Moda e Modi. Stile e costume in Italia 1900-1960».Basilica di San Francesco / Affreschi di Piero della Francesca, piazza S. Francesco – Arezzo. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 9:00 alle ore 19:00, sabato dalle ore 9:00 alle ore 18:00 e la domenica dalle ore 13:00 alle ore 18:00. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00, scuole gratuito. Informazioni: tel. 0575 352727. Sito internet: www.pierodellafrancesca-ticketoffice.it; www.munus.com. Fino al 4 novembre 2018.