ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 21 febbraio 2017

Renato Pozzetto sul palco del Manzoni di Busto

Dieci anni di cabaret, quindici anni di teatro e trent’anni di cinema con più di sessanta film: sono questi i numeri della carriera di Renato Pozzetto, il noto comico lombardo che venerdì 3 marzo, alle ore 21, sarà in scena al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio con l’one man show «Siccome l’altro è impegnato».
Lo spettacolo, inserito nel cartellone cittadino «BA Teatro», è il sesto appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Stefania Sandrelli a Sebastiano Somma, da Anna Galiena a Enzo Decaro.
Con questo nuovo progetto teatrale, che lo vede vestire anche i panni dell’autore e del regista, Renato Pozzetto porterà in scena nella sala bustese di via Calatafimi un nuovo e originale esperimento teatrale: il cine-cabaret. Si tratta di «un viaggio -afferma la produzione dello spettacolo- dentro tutte le sue più celebri risate con videoproiezioni e commenti, inediti e stralci dei suoi più famosi successi cinematografici».
Spezzoni ripresi da alcune delle pellicole più fortunate come «È arrivato mio fratello» e «Il ragazzo di campagna», dialogheranno, infatti, con sketch e battute dal linguaggio surreale e stralunato, ripercorrendo così, in due ore di sorprendente comicità, l’intera carriera del comico lombardo. Dagli inizi degli anni Sessanta, sul palcoscenico del Derby di Milano, alle grandi collaborazioni e amicizie degli anni a venire, come quella con Enzo Jannacci, tutto l’universo creativo di Renato Pozzetto va, dunque, in scena con lo spettacolo «Siccome l’altro è impegnato», dove l’altro è Cochi, suo partner storico.
Cornice indispensabile della serata sarà la musica, eseguita dal vivo da un’orchestra formata da quattro elementi, che permetterà al pubblico di riassaporare brani evengreen del cabarettista come «Bella bionda», «Nebbia in Val Padana» e «La vita l’è bela».
La programmazione del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio continuerà nella serata di giovedì 23 marzo, alle ore 21, con Gianluca Ramazzotti e Antonio Cornacchione protagonisti dello spettacolo «Ieri è un altro giorno», versione italiana, a firma di Luca Bercellona e David Conati, di una divertente commedia francese scritta da Silvain Meyniac e Jean Francois Cros, vincitrice del Premio Molière nel 2014, che vede alla regia Eric Civanyac.
Il costo del biglietto per lo spettacolo «Siccome l’altro è impegnato» è fissato ad euro 30,00 per la poltronissima, euro 26,00 (intero) o euro 24,00 (ridotto) per la poltrona, euro 25,00 (intero) o euro 23,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto da venerdì 24 febbraio con i seguenti orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono già acquistabili on-line sul sito www.cinemateatromanzoni.it, da poco rinnovato nella grafica e migliorato nell’usabilità grazie alla professionalità dell’azienda Crea Informatica Srl di Milano.

Informazioni utili 
«Siccome l'altro è impegnato», con Renato Pozzetto. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 – Busto Arsizio (Varese). Ingresso: poltronissima € 30,00 , poltrona € 26,00 (intero) o € 24,00 (ridotto), galleria € 25,00 (intero) o € 23,00 (ridotto). Orari botteghino: da venerdì 24 febbraio, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Informazioni: tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it. Venerdì 3 marzo 2017. 


lunedì 20 febbraio 2017

Eliseo Mattiacci al Mart di Rovereto

«Vorrei che nel mio lavoro si avvertissero processi che vanno dall’età del ferro al Tremila». Sono queste parole a fare da filo rosso alla mostra di Eliseo Mattiacci allestita fino a domenica 12 marzo al Mart di Rovereto.
La rassegna, curata da Gianfranco Maraniello,fa dialogare le monumentali installazioni dell’artista di Cagli, classe 1940, con le raccolte del museo trentino, con la visione antitradizionale della scultura di Ettore Colla e con lo spazialismo di Lucio Fontana.
Il percorso antologico, che spazia dagli esordi degli anni Settanta a oggi, racconta la parabola dello scultore, presentando opere raramente allestite o mai esposte in un museo. Tra i lavori in mostra si trova, per esempio, «Locomotiva» (1964), un lavoro degli esordi, in cui sono presenti intuizioni e temi che saranno determinanti per lo sviluppo successivo della poetica dell’artista. Nel percorso di visita si incontrano, poi, sculture che per complessità e misura sono di difficile installazione, come la celebre «Motociclista» (1981) che, esposta solo due volte nell’81 e nell’82, preannuncia il passaggio dalla dimensione terrestre a quella cosmica. Sono esposte a Rovereto anche «La mia idea del cosmo» (2001), in cui emergono una dimensione sognante e contemplativa, e «Piattaforma esplorativa» (2008).
Sono, inoltre, presenti lungo il percorso espositivo lavori entrati nella storia delle Biennali veneziane del 1972 e del 1988, entrambe a cura di Giovanni Carandente. Nella prima delle due Biennali un’intera sala era dedicata a Mattiacci, che allestì quattro opere, due delle quali inserite nella mostra di oggi al Mart: «Cultura mummificata» e «Tavole degli alfabeti primari». A Venezia nell’88 fu, invece, esposta la scultura «Esplorazione magnetica».
L’esposizione presenta anche una ventina di disegni, eseguiti principalmente in inchiostro e grafite, contrappuntano la monumentalità delle installazioni. Quello del disegno è un linguaggio per il quale Mattiacci è meno noto. Questi lavori non hanno a che fare con la progettazione delle sculture, ma costituiscono una raccolta di idee e suggestioni che si relazionano, a livello tematico e semantico, con la cosmologia dell’artista.
Una costante del suo lavoro, sottolineato in mostra con decisione, è, infatti, la messa in questione delle tendenze culturali più diffuse. I lavori del maestro scardinano la convenzionalità della compiutezza dell’opera a favore dei gesti fondativi dell’arte e di una decostruzione dei paradigmi dominanti.
Con l’artista di Cagli, la scultura abbandona presto il piedistallo e si trasforma in dispositivo che appartiene allo spazio e, al medesimo tempo, eccede i suoi confini, muovendo verso dimensioni energetiche, esistenziali, cosmologiche.
«Gli interventi di Mattiacci indirizzano –si legge nella presentazione della mostra- a un’esperienza dell’universo che si compie nel disvelamento di potenze invisibili come quelle del magnetismo e della conduzione elettrica, in ritualità arcaiche, nella propagazione delle onde sonore di un gong, nella predisposizione di unità di misura umane, tracciati orbitali e vie di conoscenza all’ignoto attraverso scritture, metriche, strumenti meccanici e tecnologici in una tensione prometeica verso l’infinito».

Informazioni utili 
Eliseo Mattiacci. Mart, corso Bettini, 43 - Rovereto. Orari: ore 10.00-18.00; venerdì, ore 10.00-21.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 11,00, ridotto € 7,00. Informazioni: tel. 800.397760; tel. 0464.438887. Sito internet: www.mart.trento.it. Fino al 12 marzo 2017. 



venerdì 17 febbraio 2017

Mart di Rovereto, un anno tra grandi mostre e promozione del territorio

Si preannuncia ricco il calendario espositivo del Mart per il 2017. Dopo il successo della passata stagione, che ha visto un aumento dei visitatori e una riorganizzazione delle collezione museali, l’istituzione trentina lavorerà quest’anno seguendo tre principali direttive: la valorizzazione del patrimonio e dell’architettura, la produzione di grandi mostre e la promozione del territorio.
A quattordici anni dalla sua inaugurazione, si rende necessario un restyling della struttura per migliorarne gli standard museali e la qualità della fruizione; il lavoro sarà eseguito ancora una volta da Mario Botta, che, progettando il museo, ne ha definito la forte identità architettonica.
Grande spazio nella programmazione avranno soprattutto le collezioni permanenti, che permettono di attraversare centocinquanta anni di storia dell’arte, dalla fine del XIX secolo a oggi, attraverso opere di autori quali Alberto Burri, Lucio Fontana, Pietro Manzoni, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz e Salvatore Scarpitta.
In questo quadro si preannunciano focus tematici sulle opere provenienti dalle raccolte di Alessandra Allaria, Panza di Biumo e Gemma De Angelis Testa che fanno parte e entreranno a far parte del patrimonio museale dell’istituzione roveretana.
La prima collezione, quella di Alessandra Allaria, porterà con sé un nucleo significativo di lavori firmati da Mario Sironi (dal 5 marzo all’11 giugno 2017); mentre la mostra «Collezione Panza di Biumo. La materia della forma» (dal 2 aprile 2017) permetterà una miglior messa a fuoco della scuola minimalista e concettuale attraverso la presentazione di opere come «43 Drawings» (1971-1972) di Hanne Darboven, «Wall Drawing No.152» (1973) di Sol LeWitt e «An Eleven Day Wandering Walk. Australia» (1982) di Hamish Fulton, solo per fare qualche esempio. La collezione di Gemma De Angelis Testa permetterà, invece, di confrontarsi con artisti come Fischli & Weiss, Adrian Paci e Mark Leckey.
All’interno della politica di valorizzazione del patrimonio museale, risultano chiaramente centrali la figura di Fortunato Depero e la Casa d’arte futurista a lui intitolata, che sarà anche essa oggetto di interventi tecnici volti ad aumentare gli standard museali. L’opera dell’artista trentino verrà promossa con particolare attenzione nella programmazione roveretana, ma anche in grandi mostre organizzate altrove come la monografica «Depero il Mago» alla Fondazione Magnani Rocca (18 marzo – 2 luglio 2017) o l’esposizione «Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia» ai Musei San Domenico di Forlì (11 febbraio- 18 giugno 2017).
A Casa Depero è, invece, visibile per la prima volta la celebre scenografia ideata dall’artista per «Le chant du Rossignol», il balletto ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen, musicata da Igor Strawinskij. La scenografia fu commissionata a Depero nel 1916 da Sergej Pavlovič Djagilev, impresario dei Balletti Russi, ma venne realizzata solo nel 2000 quando il teatro Massimo di Palermo decise di proporre lo spettacolo e costruì quadri scenici e costumi partendo da materiali originali deperiani.
Ricco è anche il programma delle grandi mostre che verranno proposte durante il 2017 dal Mart, confermando l’impegno del museo sui fronti della ricerca e della qualità della proposta. La primavera porterà, per esempio, a Rovereto la grande e attesa mostra «Grazia Toderi e Orhan Pamuk. Words and stars» (dal 2 aprile al 2 luglio 2017), a cura di Gianfranco Maraniello, nella quale il premio Nobel per la letteratura 2006 dialogherà con la nota artista contemporanea sulle affinità esistenti tra ingenue domande metafisiche e la gioia di guardare le stelle.
L’estate sarà, invece, dedicata alla mostra «Un’eterna bellezza - Capolavori dell’arte italiana nel primo Novecento» (dal 2 luglio al 5 novembre 2017), realizzata in collaborazione con la Fundación Mapfre di Madrid. L’idea di classicità e la ricerca di un canone volti a creare una nuova modernità sono i due temi che faranno da filo conduttore alla rassegna, a cura di Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari. Sempre nei mesi estivi sarà possibile vedere una mostra su Armando Testa (dal 22 luglio al 15 ottobre 2017), il più importante pubblicitario italiano del secolo scorso, a cura di Gianfranco Maraniello.
Mentre durante l’autunno il Mart proporrà, in collaborazione con il Madre di Napoli, la prima retrospettiva italiana su Carlo Alfano, per la curatela di Denis Isaia e Gianfranco Maraniello, e una mostra, a cura di Alberto Salvadori, sulla breve e densa esperienza creativa di Francesco Lo Savio.
L’anno si chiuderà con una grandiosa esposizione internazionale, che accompagnerà i visitatori nel 2018: «Realismo Magico: l'arte italiana tra metafisica e nuova oggettività 1920-1930» (3 dicembre 2017 – 4 marzo 2018), a cura di Gabriella Belli, Valerio Terraroli e Alessandra Tiddia.
La promozione del territorio sarà, invece, centrale nella sede della Galleria civica di Trento, dove peraltro viene portata avanti l’attività dell’Adac, l’Archivio degli artisti attivi in Trentino.
Una prima mostra sulle pratiche architettoniche e artistiche degli anni Settanta a Trento è quella curata insieme a Campomarzio. Con «Almanacco 70», l’istituzione culturale narra il territorio e la sua storia più recente, mettendo in campo una sinergia con un giovane collettivo indipendente il cui nome ha superato da tempo i confini provinciali per giungere fino alla Biennale di Architettura di Venezia. La seconda mostra, «Legno | Lën | Holz», a cura di Gabriele Lorenzoni, porterà a Trento le rinomate sculture lignee degli artisti regionali più rilevanti attualmente attivi nell’area dolomitica, con una particolare attenzione alla scuola gardenese, che per quantità e qualità non ha pari in Europa. Chiude l’anno la prima personale di Jacopo Mazzonelli, curata da Margherita de Pilati e da Luigi Fassi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Christiane Löhr, Zusammentreffen (Incontro), 2003, semi di edera e semi di caglio, Panza Collection, Mendrisio. Photo: Alessandro Zambianchi - Simply .it, Milano; [fid. 2] Menabò originale di Documento Sud n. 5, 1960, Mart, Archivio del '900, fondo Martini; [fig. 3] Felice Casorati Ritratto di Renato Gualino, 1923-1924 olio su compensato, 97 x 74,5 cm Istituto Matteucci, Viareggio

Informazioni utili 
www.mart.trento.it 


giovedì 16 febbraio 2017

«Lo schermo dell’arte», a Venezia tre giorni tra cinema e creatività

«Lo schermo dell’arte», film festival fiorentino diretto da Silvia Lucchesi, ritorna a Venezia. Da giovedì 2 a domenica 5 marzo il teatrino di Palazzo Grassi ospiterà, per il quarto anno consecutivo, la rassegna che indaga le relazioni esistenti tra cinema e arte contemporanea. Dieci i film d’artista e i documentari in agenda a cominciare dal lungometraggio «Eva Hesse» di Marcie Begleiter, in cartellone alle ore 18 di giovedì 2 marzo.
Il film ricostruisce la storia dell’artista americana, figura fondamentale nella definizione dell’estetica minimalista, attraverso i diari, la corrispondenza con l’amico e mentore Sol LeWitt e le testimonianze di artisti che la conobbero e la frequentarono come Carl Andre, Robert e Sylvia Mangold, Richard Serra e Dan Graham. Ne emerge la figura di una donna forte che, con la sua tenacia, è stata capace di lasciare un segno indelebile a New York, in un ambito dominato da artisti pop e minimalisti di sesso maschile.
La sua breve carriera -Eva Hesse morirà di tumore all'età di 34 anni- è stata contrassegnata da una produzione complessa nella quale la pittura è contraddistinta non come una superficie bidimensionale, ma come objets trouvés fatti di materiali di vario tipo come corde, spago, fili, gomma e vetroresina che si protendono nello spazio dell’osservatore. Le sue sculture realizzate in lattice, fibra di vetro e plastica hanno contribuito alla nascita del minimalismo degli anni ’60 e ’70 e hanno influenzato una nuova generazione di artisti.
La programmazione proseguirà, alle ore 20, con le proiezioni dei film «A Brief Story of Princess X» di Gabriel Abrantes e «Ismyrne» del duo artistico libanese composto da Joana Hadjithomas e Khalil Joreige. Il primo film racconta la storia dell’eccentrica e altezzosa principessa Marie Bonaparte, pronipote di Napoleone, che fu scrittrice, psicoanalista e pioniera della libertà sessuale. Di lei rimane la nota opera «Principess X» (1916), firmata da Costantin Brâncuși, ovvero una testa ovoidale leggermente inclinata e dal collo lungo che termina in un busto pieno, dall’ambiguo significato: una sinuosa forma fallica in bronzo specchiante. Il secondo film indaga, invece, sui concetti di identità e appartenenza raccogliendo le parole della poetessa e artista Etel Adnan.
Venerdì 3 marzo, dalle ore 18, il teatrino di Palazzo Grassi ospiterà due proiezioni. Si incomincerà con il documentario «Hockney» di Randall Wright, ritratto dell’artista britannico David Hockney, esponente negli anni Sessanta della pittura Pop britannica, conosciuto anche per le sperimentazioni figurative tramite l’uso di Polaroid, fax, iPhone e iPad. Seguirà la visione di «Where is Rocky II? », nuova opera del premio Oscar francese Pierre Bismuth, narrazione in bilico tra diversi generi cinematografici, basata sulla ricerca ossessiva di un finto masso dipinto e in seguito nascosto nel Mojave Desert da Ed Ruscha nel 1979.
Sabato 4 marzo, sempre alle ore 18.00, il programma è introdotto da «#Artoffline» di Manuel Correa, una riflessione sulle modalità di fruizione on-line delle opere e su come queste abbiano modificato il nostro approccio nei confronti dell’arte. A seguire è in agenda la proiezione di «Sudan», il documentario di Luca Trevisani che racconta l’esistenza dell’ultimo esemplare vivente di rinoceronte bianco settentrionale, attraverso inquadrature lente e ravvicinate che ne descrivono il prezioso corpo come se si trattasse di un’opera d’arte morente. Conclude la serie «Remainder», il primo lungometraggio di finzione firmato da Omer Fast, che riflette sulle oscillazioni tra verità e realtà fittizia, svelando la natura effimera della mente umana, a partire dall’omonimo romanzo di Tom McCarthy.
Il programma si chiuderà domenica 5 marzo con la proiezione di due titoli dedicati al mondo dell’arte contemporanea. Si inizierà con «The Chinese Lives of Uli Sigg» di Michael Schindhelm, che tratta la vicenda del grande collezionista svizzero che per primo si è interessato alla nuove generazioni cinesi. La cinepresa ci accompagnerà nella visita agli atelier di artisti come Ai Weiwei, Wang Guangyi e Fang Lijun, per poi far vedere il cantiere del nuovo progetto per M +, museo progettato da Herzog & de Meuron, che aprirà nel 2019 a Honk Kong, al quale Uli Sigg ha ceduto la maggior parte delle opere di arte cinese contemporanea della sua raccolta.
A chiudere la programmazione sarà, invece, la proiezione di «Don’t Blink Robert Frank», un esclusivo ritratto del celebre fotografo e documentarista americano che per la prima volta accetta di lasciarsi intervistare dalla sua collaboratrice e montatrice Laura Israel. Il film narra della sua vita come artista e, soprattutto, come uomo: le sperimentazioni cinematografiche oltre il documentario, i progetti fotografici, la vita privata, le amicizie e la drammatica perdita della figlia. Ne scaturisce uno straordinario ritratto, poetico e ruvido insieme, assimilabile ai lavori stessi di uno dei più celebri fotografi del nostro tempo.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Una scena di «Eva Hesse» di Marcie Begleiter; [fig. 2] Una scena di «Hockney» di Randall Wright; [fig. 3] Una scena di «A Brief Story of Princess X» di Gabriel Abrantes; [fig. 4] Una scena di «The Chinese Lives of Uli Sigg» di Michael Schindhelm 

Informazioni utili 
«Lo schermo dell’arte». Teatrino di Palazzo Grassi, San Marco 3260 – Venezia. Ingresso libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Informazioni: www.schermodellarte.org o www.palazzograssi.it. Dal 2 al 5 marzo 2017.

mercoledì 15 febbraio 2017

Duecento anni di Duprè. Siena e la Contrada dell’Onda celebrano lo scultore

Il 2017 sarà, per Siena, l’anno di Giovanni Duprè. La Contrada capitana dell’Onda, dove l’artista nacque il 1° marzo 1817, ha deciso, infatti, di festeggiarne i duecento anni dalla nascita con una serie di eventi, promossi in collaborazione con il Comune di Siena.
Le celebrazioni si apriranno il 4 marzo con un pomeriggio di studi nella Cripta della Chiesa di San Giuseppe, al quale interverranno Ettore Spalletti, massimo esperto dell’artista, e Carlo Sisi, relatore di un approfondimento dal titolo «Il dibattito in Accademia - La cultura artistica del Duprè».
All’incontro saranno presenti anche Silvestra Bietoletti, la quale traccerà una mappa delle opere senesi dello scultore ondaiolo, e Bruno Santi, già soprintendente delle Belle arti a Siena, che parlerà del Duprè fiorentino e delle sue sculture per la facciata della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Mentre a fare gli onori di casa saranno il priore della Contrada, Massimo Castagnini, e Simonetta Losi, presidente dell’associazione «Policarpo Bandini».
Tra le altre iniziative in programma ci sono, inoltre, una mostra di Amalia Ciardi Duprè, realizzata in collaborazione con l’omonima fondazione , e un concorso di scultura che coinvolgerà gli studenti del liceo artistico «Duccio di Buoninsegna di Siena».
In occasione delle celebrazioni per i duecento anni di Giovanni Duprè, sarà anche possibile visitare il «MOnd», nuovo museo della Contrada ondaiola -ubicato nella cripta della chiesa di San Giuseppe, a pochi passi da piazza del Campo- che conserva la gipsoteca dell’artista toscano e le opere dei suoi discendenti.
Nato a Siena il 1° marzo 1817, al numero 10 della via che oggi porta il suo nome e che gli venne dedicata quando era ancora in vita, Giovanni Duprè si trasferì giovanissimo a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti per, poi, iniziare la sua carriera di scultore. A rileggere i suoi «Ricordi autobiografici» ne emerge il ritratto di un personaggio schivo, «modernista saldo come insegnante e maestro», amico di Gioachino Rossini e Tommaseo, ma soprattutto artista scomodo, comunque da discutere, osannato o misconosciuto a seconda delle occasioni o degli schieramenti di parte.
La sua carriera fu improntata allo stile naturalistico; mentre l’opera che gli dette la fama è l’«Abele morente», realizzata nel 1842 e oggi conservata nell’Ermitage di San Pietroburgo.
Le sue sculture sono sparse in varie città d’Europa, da Roma a Torino, da Firenze all’antica capitale degli Zar. La sua fama, che lo portò addirittura a vedersi dedicare una locomotiva in servizio fra Empoli e Siena, gli valse nella sua città l’appellativo di «lustro e decoro dell’arte e del Rione».

Informazioni utili
www.contradacapitanadellonda.com/giovanni-dupre/

martedì 14 febbraio 2017

«Uno sguardo dal ponte», Sebastiano Somma racconta l'immigrazione italiana al Manzoni di Busto Arsizio

Ci sono pagine di storia destinate a ripertersi. Non è, infatti, molto lontano il tempo in cui il sogno di un futuro migliore spinse milioni di italiani a cercare fortuna in America. La loro speranza venne tradita dalla realtà dei fatti, che li vide vivere in condizioni disagiate e avere difficoltà a inserirsi in un nuovo contesto socio-culturale. Ce lo ricorda Sebastiano Somma con lo spettacolo «Uno sguardo dal ponte» di Arthur Miller, nella traduzione di Masolino D’Amico e con la regia di Eugenio Maria Lamanna, in cartellone nella serata di giovedì 16 febbraio, alle ore 21, al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
La piéce, inserita nel programma della rassegna cittadina «BA Teatro», è il quinto appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea come Stefania e Amanda Sandrelli, Enzo De Caro, Anna Galiena, Gianluca Ramazzotti e Antonio Cornacchione.
Sul palco per questa nuova produzione teatrale, realizzata con il contributo del Mibac – Ministero per i beni e le attività culturali, saliranno, oltre a Sebastiano Somma, gli attori Sara Ricci e Gaetano Amato, con Cecilia Guzzardi, Edoardo Coen, Maurizio Tesei, Matteo Mauriello e Antonio Tallura. Le musiche portano la firma di Pino Donaggio. Le scene sono firmate da Massimiliano Nocente e i costumi da Ilaria Carannante; mentre il disegno luci è opera di Stefano Pirandello.
Il testo, considerato uno dei capolavori della drammaturgia americana del Novecento, fu scritto nel 1955 e riprende realisticamente una delle pagine più drammatiche del sogno americano vissuto da milioni di italiani approdati nella New York degli anni Cinquanta alla ricerca di un futuro migliore. Lo scrittore americano racconta, infatti, -si legge nella scheda di presentazione dello spettacolo- «la miseria degli immigrati italiani, la loro difficoltà ad adattarsi al nuovo mondo, l’incapacità di comprendere un sistema di leggi che ritengono differente dall’ordine naturale delle cose e, soprattutto, la vacuità del sogno americano: questo porta ad una tragedia annunciata fin dall’inizio, perché quelle condizioni sommate a quei sentimenti, a quelle passioni, non possono portare che ad un unico risultato, un risultato tragico».
Lo spettacolo riprende, nello specifico, il dramma interiore di Eddy Carbone (interpretato da Sebastiano Somma), un immigrato siciliano che vive nella New York degli anni Cinquanta con la moglie Beatrice e la nipote Katerine, accolta in casa dopo la morte della madre come fosse una figlia naturale. Nonostante le asperità economiche, l’idillio familiare procede scorrevolmente fino all’arrivo di due cugini approdati negli Stati Uniti in maniera clandestina: Marco, padre di famiglia desideroso di lavorare, e Rodolfo, un giovane attratto dalle luci di Broadway e dalla delicatezza di Katerine.
L’equilibrio familiare si rompe ed Eddy Carbone prova gelosia per quella giovane nipote che vede crescere ed emanciparsi. «La ama -si legge ancora nella scheda di presentazione dello spettacolo- e la mette al riparo come una ceramica preziosa da non scalfire. Un sogno da coccolare al di là del ponte, sotto un cielo di stelle misto ad un mare dove si naufraga in una voglia di tenerezza».
Sul palcoscenico non si consumerà, però, solo la tragedia di un uomo e dei suoi affetti personali ma anche, e soprattutto, lo scontro fra diverse culture e tradizioni, il dramma dell’emarginazione sociale: temi vivi ieri esattamente come oggi.
La programmazione del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio continuerà nella serata di venerdì 3 marzo, alle ore 21, con Renato Pozzetto che porterà in scena, insieme con un’orchestra di quattro elementi, lo spettacolo «Siccome l’altro è impegnato». Si tratta di un nuovo e originale esperimento teatrale, il cine-cabaret, con il quale il comico lombardo propone «un viaggio dentro tutte le sue più celebri risate con videoproiezioni e commenti, inediti e stralci dei suoi più famosi successi cinematografici, in un percorso artistico che attraversa dieci anni di cabaret, quindici anni di teatro e trent’anni di cinema».
Il costo del biglietto per lo spettacolo «Uno sguardo dal ponte» è fissato ad euro 30,00 per la poltronissima, euro 26,00 (intero) o euro 24,00 (ridotto) per la poltrona, euro 25,00 (intero) o euro 23,00 (ridotto) per la galleria. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio è aperto con i seguenti orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono acquistabili anche on-line sul sito della sala, da poco rinnovato nella grafica e migliorato nell’usabilità grazie alla professionalità dell’azienda Crea Informatica Srl di Milano.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì e nei giorni di apertura del botteghino) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.

Informazioni utili 
«Uno sguardo dal ponte», con Sebastiano Somma. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 – Busto Arsizio (Varese). Ingresso: poltronissima € 30,00 , poltrona € 26,00 (intero) o € 24,00 (ridotto), galleria € 25,00 (intero) o € 23,00 (ridotto). Informazioni: tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì e nei giorni di apertura del botteghino) o info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it. Giovedì 16 febbraio 2017. 

lunedì 13 febbraio 2017

A Nuoro la prima antologica italiana su Berenice Abbott

Sarà il Man di Nuoro ad ospitare la prima grande antologica che il nostro Paese dedica a Berenice Abbott (1917-1991), una delle più originali e controverse protagoniste della storia fotografica del Novecento. L’esposizione, realizzata grazie al contributo della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna, si intitola «Topografie» e raccoglie ottantadue stampe originali realizzate tra la metà degli anni Venti e i primi anni Sessanta, che Anne Morin ha suddiviso in tre macrosezioni intitolate «Ritratti», «New York» e «Fotografie scientifiche».
Nata a Springfield, in Ohio, nel 1898, Berenice Abbott si trasferisce a New York nel 1918 per studiare scultura. Qui entra in contatto con Marcel Duchamp e con Man Ray, esponenti di punta del movimento dada. Con quest’ultimo, in particolare, stringe un rapporto di amicizia che la spingerà a seguirlo a Parigi e a lavorare come sua assistente tra il 1923 e il 1926.
Sono di questo periodo i primi ritratti fotografici dedicati ai maggiori protagonisti dell’avanguardia artistica e letteraria europea, da Jean Cocteau a James Joice, da Max Ernst ad André Gide.
Allontanatasi dallo studio di Man Ray per aprire il proprio laboratorio di fotografia –frequentato da un circolo di intellettuali come Jane Heap, Sylvia Beach, Eugene Murat, Janet Flanner, Djuna Barnes e Betty Parson – la Abbott entra in contatto con il fotografo francese Eugène Atget, conosciuto per le sue immagini delle strade di Parigi, volte a catturare la scomparsa della città storica e le mutazioni nel paesaggio urbano.
Per l’artista è un punto di svolta. La fotografa decide di abbandonare la ricerca portata avanti fino a quel momento e di fare propria la poetica del negletto Atget – del quale, alla morte, acquisterà gran parte dell’archivio, facendolo conoscere in Europa e negli Stati Uniti - dedicandosi, da quel momento in poi, al racconto della metropoli di New York.
Tutti gli anni Trenta, dopo il rientro negli Stati Uniti, sono, infatti, dedicati alla realizzazione di un unico grande progetto, volto a registrare le trasformazioni della città in seguito alla grande depressione del 1929. La sua attenzione si concentra sulle architetture, sull’espansione urbana e sui grattacieli che progressivamente si sostituiscono ai vecchi edifici, oltre che sui negozi e le insegne. Il risultato è un volume, tra i più celebri della storia della fotografia del XX secolo, intitolato «Changing New York» (1939), che raccoglie una serie straordinaria di fotografie caratterizzate da forti contrasti di luci e ombre e da angolature dinamiche, a esaltare la potenza delle forme e il ritmo interno alle immagini.
Nel 1940 Berenice Abbott diventa picture editor per la rivista «Science Illustrated». L’esperienza maturata nelle strade di New York la porterà a guardare con occhi diversi le immagini scientifiche, che diventano per lei uno spazio privilegiato di osservazione della realtà oltre il paesaggio urbano. In linea con le coeve ricerche artistiche sull’astrazione, l’artista realizza allora una serie di fotografie di laboratorio, concentrandosi sul dinamismo e sugli equilibri delle forme, con esiti straordinari.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Van De Graaff Generator, Cambridge, MA, c.1958 © Berenice Abbott/Commerce Graphics/Getty Images. Courtesy of Howard Greenberg Gallery, New York; [fig. 2] Nightview, New York, 1932 © Berenice Abbott/Commerce Graphics/Getty Images. Courtesy of Howard Greenberg Gallery, New York Dorothy Whitney, Paris, 1926 © Berenice Abbott/Commerce Graphics/Getty Images. Courtesy of Howard Greenberg Gallery, New York Fifth Avenue

Informazioni utili
Topografie. Antologica di Berenice Abbott .Museo Man, via S. Satta, 27- Nuoro. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00; gratuito per gli under 18 e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 0784.252110. Sito internet: www.museoman.it. Dal 17 febbraio al 21 maggio 2017.

venerdì 10 febbraio 2017

Da McCurry ai settant’anni di Magnum: a Brescia è di scena la fotografia

Riflettori puntati sulla fotografia a Brescia. Dal 7 al 12 marzo la città lombarda ospiterà, per iniziativa dei musei cittadini e del Macof, la prima edizione di un photo festival internazionale, destinato a diventare un appuntamento fisso nel calendario. «People» è il tema scelto come filo conduttore della kermesse in cantiere nel 2017, anche grazie alla collaborazione di Silvana editoriale e del Laba, alla cui creatività si devono il logo e l’immagine coordinata del festival. Mostre, workshop, incontri e dibattiti caratterizzeranno il cartellone della manifestazione, articolato in due sedi principali: il Museo di Santa Giulia e il Ma.Co.. Ricco sarà, però, anche il calendario del «fuori festival» che toccherà gallerie e spazi privati, oltre al cinema Eden, dove è in programma la proiezione di un ciclo di film documentari con le biografie dei grandi fotografi.
A tenere a battesimo il festival sarà una prima mondiale da non perdere: la mostra «Leggere» di Steve McCurry, inedita produzione made in Brescia, realizzata con il contributo di Civita Mostre e il progetto di allestimento di Peter Bottazzi, destinata a girare il mondo. L’esposizione è collegata alla fortunata serie di immagini che il fotografo statunitense ha riunito in un magnifico volume, che è anche un best seller del settore a livello mondiale. Ma quelle pubblicate nel libro saranno solo alcune delle foto che popoleranno la più ampia mostra che Steve McCurry proporrà a Brescia sul tema della lettura, realizzata con la curatela di Biba Giacchetti e, per i contributi letterari, di Roberto Cotroneo.
Ma a connotare questa edizione del festival sarà soprattutto la concomitanza con un anniversario di rilievo nella storia della fotografia: i settant’anni dalla fondazione della agenzia internazionale di fotogiornalismo Magnum Photo, che vede al suo interno alcuni tra i più grandi fotografi del mondo. Tre le mostre in agenda, in programma fino al 3 settembre al Museo di Santa Giulia e nella sede della locale Camera di commercio. Si parte, negli spazi del Museo di Santa Giulia, con «Magnum First», che ripropone, per la prima in Italia, oltre ottanta stampe vintage in bianco e nero di Henri Cartier-Bresson, Marc Riboud, Inge Morath, Jean Marquis, Werner Bischof, Ernst Haas, Robert Capa ed Erich Lessing, accompagnate dagli scritti degli autori.
Questa mostra è stata fortunosamente ritrovata nel 2006, ancora chiusa nelle sue casse, dopo essere stata dimenticata in una cantina di Innsbruck nel lontano 1956 e riemerge, ora, per la prima volta dopo essere stato restaurato.
Sempre a Santa Giulia ci sarà anche «Magnum - La première fois», rassegna a cura di François Hébel, con i servizi che hanno reso celebri venti conosciuti fotografi Magnum, tramite proiezioni e stampe originali. Inoltre, nella sede della Camera di commercio di Brescia, sarà possibile ammirare per la prima volte le proiezioni di «Brescia Photos», tre reportage su Brescia ed il suo territorio realizzati nel 2003 da tre celeberrimi reporter Magnum: Harry Gruyaert, Alex Majoli e Chris Steele-Perkins.
Non meno affascinanti le numerose proposte espositive del Ma.Co.f (Centro italiano di fotografia), il cui comitato scientifico, presieduto da Gianni Berengo Gardin, ha voluto, coerentemente con il percorso finora individuato privilegiare la fotografia italiana. Due le produzioni del Brescia Photo Festival per due novità assolute: una mostra di circa duecento immagini di Uliano Lucas, sicuramente uno dei testimoni più attenti degli ultimi cinquant’anni della storia della fotografia, e la prima antologia mai realizzata sul lavoro di Caio Mario Garrubba, un omaggio doveroso ad un indiscusso maestro del fotogiornalismo italiano ed internazionale, che non ha avuto ancora riscontri e riconoscimenti adeguati, nonostante le prestigiose collaborazioni con «Life» e «Der Spiegel».
L’esordio di Brescia Photo Festival è anche caratterizzato da un nuovo premio internazionale per la fotografia intitolato a Mario Dondero. La giuria che esaminerà le opere è composta da Gianni Berengo Gardin, Uliano Lucas, Maddalena Dondero, Renato Corsini, Walter Guadagnini e Gianluigi Colin.

Didascalie delle immagini
[Figg. 2 e 3] © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos 

Informazioni utili 
http://bresciaphotofestival.it/teaser/

giovedì 9 febbraio 2017

«Le 100 facce della musica italiana» in mostra a Parma

Dalla A di Alessandra Amoroso alla Z di Zucchero, passando per Vasco Rossi e Paolo Conte, Luciano Ligabue e Francesco De Gregori, Mario Biondi e i Negramaro: in questi giorni il mondo della musica italiana è sotto i riflettori non solo a Sanremo, ma anche a Parma.
Nelle sale del Palazzo del Governatore va, infatti, in scena una galleria di ritratti firmati da Giovanni Gastel, uno dei più celebri fotografi italiani al mondo.
Il progetto espositivo, intitolato «Le 100 facce della musica italiana», è stato ideato e realizzato dal team della rivista «Rolling Stone», punto di riferimento della pop culture contemporanea, sotto la supervisione di Denis Curti e con la produzione esecutiva di Ankamoki.
Sguardi profondi, sorrisi luminosi, gesti misurati: con questi cento suoi lavori, Giovanni Gastel racconta ed esprime l’anima e la personalità di ognuno dei personaggi immortalati. Dalla popstar al rapper, dal discografico al gruppo rock, quello che scorre lungo le pareti del Palazzo del Governatore è così un vero e proprio mappamondo artistico del nostro mondo delle sette note. Elisa e Giorgia, due tra le cantanti pop più conosciute, sono, infatti, affiancate in mostra a star dell’hip hop e del rap come Emis Killa, Club Dogo, Fedez, J- Ax e Fabri Fibra e ad autori quali Mogol.
Quello di Giovanni Gastel non è un semplice progetto fotografico ma un vero e proprio atto di amore per la musica italiana, i suoi volti e il suo suono. Dal suo lavoro è, infatti, nato un caleidoscopio di immagini che traducono su pellicola le anime dei musicisti che più hanno segnato la storia contemporanea.
La mostra, della quale rimarrà documentazione in un numero speciale della rivista «Rolling Stone», ha avuto una lunga gestazione. A raccontarla è il curatore Denis Curti: «Gastel ha voluto riprendere tutti i suoi cento soggetti in studio. Ha voluto guardarli negli occhi, parlare con loro ed essere certo che la sua luce a led, progettata per l’occasione, riflettesse negli occhi di ognuno. Ha voluto un segno distintivo e coerente. Ha voluto raccogliere i pensieri sparsi. I sorrisi precari. Ha cercato la fascinazione nella curiosità degli sguardi. E quella luce, alla fine, è diventata la doppia firma di questi ritratti. Le sue fotografie riescono a varcare quell’invisibile linea di confidenza, d’intimità, che appartiene a ognuno di noi».
Le fotografie di Giovanni Gastel catturano così, con uno stile inconfondibile ed elegante, un mondo che lo stesso autore ha voluto raccontare con queste parole: «Dicono che Dioniso girasse per il mondo con un festante carriaggio di musici e cantori in una gioiosa e un po’ ebbra pantomima di invasione del mondo. Ecco, quando la musica italiana è entrata nel mio studio e io ho aperto la porta a quella sorridente brigata di artisti e personaggi, ho subito pensato che Dioniso fosse infine arrivato a invadere anche me. E forse così è stato! La musica è entrata sorridendo e con una quantità di personalità forti e diverse tra loro».

Didascalie delle immagini
[Fig.1] Elisa. © Giovanni Gastel per Rolling Stone; [fig. 2] Negroamaro. © Giovanni Gastel per Rolling Stone. 

Informazioni utili 
«Rolling Stone e Giovanni Gastel - Le cento facce della musica italiana». Palazzo del Governatore, piazza Giuseppe Garibaldi - Parma. Orari:giovedì-domenica, ore 11.00-19.00; martedì e mercoledì su prenotazioni per gruppi e scolaresche (min.18 pp). Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 4,00 per gruppi e scolaresche, ingresso gratuito per under 6, accompagnatori gruppi scolastici, accompagnatore disabile che presenti necessità, accompagnatore o guida per i gruppi prenotati, giornalisti iscritti all’albo, altre categorie o promozioni per sponsor convenzionati.Informazioni  e prenotazione al pubblico: tel. 0521.218035 o info@ankamoki.com. Sito web: www.facebook.com/Parmale100facce/. Fino al 19 marzo 2017. 

mercoledì 8 febbraio 2017

Settant’anni di Magnum in cinque mostre

Era il 1947 quando sulla terrazza del Museo d’arte moderna di New York prendeva vita l’agenzia fotografia Magnum. Si andava così concretizzando il progetto messo a punto da Robert Capa durante la guerra civile spagnola e discusso con altri fotografi come Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour e William Vandivert. L’esigenza era quella di salvaguardare il lavoro del fotoreporter, rispettandone dignità professionale, sia dal punto di vista etico che da quello economico.
Attraverso la formula della cooperativa, i fotografi diventavano così proprietari del loro lavoro, prendevano decisioni collettivamente, proponevano autonomamente alle testate i propri servizi e mantenevano i diritti sui negativi, garantendo così una corretta diffusione delle loro immagini.
Alcuni protagonisti di quest’avventura fotografica individuarono specifiche aree geopolitiche e culturali di interesse: Henri Cartier-Bresson scelse l'Asia e grazie a questa scelta compì diversi viaggi in Cina, India, Birmania e Indonesia; David Seymour si concentrò sull'Europa e George Rodger sull'Africa; mentre Robert Capa, dall'America, fu pronto a partire per ogni dove, dai principali teatri di guerra del mondo a luoghi meno noti.
Proprio questo modo di essere al centro dei grandi e piccoli eventi dell’umanità ha creato il mito di Magnum, agenzia che ha, di fatto, connotato e cambiato la percezione della cronaca e della storia del mondo. E ancora oggi Magnum, con le sue sedi a New York, Parigi, Londra e Tokyo, resta, nonostante le innovazioni del mondo dell’informazione, la fonte più autorevole di immagini per chi si occupa di veicolare notizie.
Per commemorare il settantesimo anniversario dalla nascita di questa prestigiosa agenzia fotografica nata da un’idea di Robert Capa, la più storica e la più autorevole nel mondo, l’Italia promuove ben cinque mostre tra Torino, Cremona e Brescia.
Ad aprire le celebrazioni sarà Camera – Centro italiano per la fotografia con la rassegna «L’Italia di Magnum. Da Cartier-Bresson a Pellegrin» (dal 2 marzo al 21 maggio 2017), a cura di Walter Guadagnini e Arianna Visani.
Una carrellata di oltre duecento immagini racconterà eventi grandi e piccoli, personaggi e luoghi dell'Italia dal Dopoguerra a oggi, in un affascinante intreccio di fotografie iconiche e di altre meno note.
Una ventina gli autori in mostra, a partire da Robert Capa, del quale è esposta una serie di fotografie dedicate all’Italia del post-conflitto bellico, e da David Seymour, che nel 1947 riprese i turisti che tornavano a visitare la Cappella Sistina, l’eterna bellezza dell’arte italiana raccontata come il segno della rinascita di un’intera nazione.
Lungo il percorso si troveranno, quindi, le fotografie di Elliott Erwitt dedicate a Roma e alle sue bellezze. René Burri porterà, invece, lo spettatore all’interno della storica mostra di Picasso che si tenne a Milano nel 1953, un evento indimenticabile per la cultura italiana, che tornava a confrontarsi con i grandi miti della contemporaneità. Mentre Herbert List metterà lo spettatore «a tu per tu» con Cinecittà ai tempi che videro la nascita dell'«Hollywood sul Tevere».
Tra gli episodi italiani dei quali renderà conto la mostra torinese ci sono, poi, i funerali di Togliatti ripresi da Bruno Barbey, il trionfo di Cassius Clay alle Olimpiadi del 1960 raffigurato da Thomas Hoepker, le giornate del G8 di Genova negli scatti di Thomas Dworzak,la veglia per la morte di papa Giovanni Paolo II nelle immagini di Paolo Pellegrin.
Le celebrazioni proseguiranno a Cremona, al Museo del violino, dove si terrà la mostra «Life – Magnum. Il fotogiornalismo che ha fatto la storia», a cura di Marco Minuz.
L’esposizione intende analizzare, per la prima volta in assoluto, il rapporto tra l’agenzia fotografica ideata da Robert Capa e il leggendario settimanale «Life», creato nel 1936 da Henry Luce, già editore di «Time», le cui pubblicazione continuarono fino al 1972 e contribuirono a creare un’identità e una cultura nazionale americana.
Tra le serie fotografie che sarà possibile vedere si segnalano quella di Dennis Stock su James Dean, quella di Philippe Halsman con i ritratti di Marylin Monroe, Salvador Dalì e Mohamed Ali, ma anche il racconto che Bruno Barbey offre della guerra del Vietnam e le immagini dello sbarco in Normandia visto attraverso gli occhi di Robert Capa.
A chiudere la carrellata di mostre italiane dedicate alla Magnum è Brescia che, in occasione della prima edizione del Brescia Photo Festival (dal 7 al 12 marzo 2017), ospiterà ben tre esposizioni (tutte aperte fino al 3 settembre 2017).
Si parte, negli spazi del Museo di Santa Giulia, con «Magnum First», che ripropone, per la prima in Italia, oltre ottanta stampe vintage in bianco e nero di Henri Cartier-Bresson, Marc Riboud, Inge Morath, Jean Marquis, Werner Bischof, Ernst Haas, Robert Capa ed Erich Lessing, accompagnate dagli scritti degli autori.
Questa mostra è stata fortunosamente ritrovata nel 2006, ancora chiusa nelle sue casse, dopo essere stata dimenticata in una cantina di Innsbruck nel lontano 1956 e riemerge, ora, per la prima volta dopo essere stato restaurato.
Sempre a Santa Giulia ci sarà anche «Magnum - La première fois» con i servizi che hanno reso celebri venti conosciuti fotografi Magnum, tramite proiezioni e stampe originali. Inoltre, nella sede della Camera di commercio di Brescia, sarà possibile ammirare per la prima volte le proiezioni di «Brescia Photos», tre reportage su Brescia ed il suo territorio realizzati nel 2003 da tre celeberrimi reporter Magnum: Harry Gruyaert, Alex Majoli e Chris Steele-Perkins.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Roberto Cavalli. Milan, Italy 2007. © Paolo Pellegrin/Magnum Photos; [fig. 1] Il pittore spagnolo Salvador Dalì. «Dali Atomicus». 1948 © Philippe Halsman/Magnum Photos; [fig. 2] Usa. New York City. 1955. James DEAN haunted Times Square© Dennis Stock/Magnum Photos; [Fig. 3] Roberto Cavalli. Milan, Italy 2007. © Paolo Pellegrin/Magnum Photos;  [fig. 4] Steve McCurry: Afghanistan, 2002. © Magnum Photos 

Informazioni utili 
«L’Italia di Magnum. Da Henri Cartier-Bresson a Paolo Pellegrin». Camera – Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine, 18 – Torino. Orari (Ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura): lunedì, ore 11.00 – 19.00; martedì chiuso; da mercoledì a domenica, ore 11.00 – 19.00; giovedì, ore 11.00-21.00. Ingresso: intero € 10,00; ridotto (fino a 26 anni e over 70) € 6,00; gratuito per bambini fino a 12 anni, possessori della Torino+Piemonte Card e iscritti all’Ordine dei giornalisti. Informazioni: camera@camera.to. Sito internet: www.camera.to. Dal 23 marzo fino al 21 maggio 2017. 

«Life – Magnum. Il fotogiornalismo che ha fatto la storia». Museo del violino, piazza Marconi - Cremona. Orari: dal lunedì al giovedì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; dal venerdì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 19.00. Ingresso: intero € 10,00. Informazioni: cell. 0372.080809 o info@museodelviolino.org. Sito internet: www.museodelviolino.org. Dal 4 marzo all'11 giugno 2017. La mostra è prorogata fino al 2 luglio 2017. 

 «Brescia Photo Festival». Sito internet: www.bresciaphotofestival.it. Dal 7 al 12 aprile 2017.

martedì 7 febbraio 2017

«Leo», ovvero «il viaggio straordinario di un uomo ordinario»

Se improvvisamente cambiassero le leggi della gravità che cosa succederebbe? È questa domanda a fare da filo rosso a «Leo», spettacolo per la regia del canadese Daniel Brière, ideato e interpretato da Tobias Wegner, con il quale il Funaro apre la sua stagione teatrale in occasione di Pistoia Capitale italiana della cultura 2017. Le date da fissarsi in agenda per questo appuntamento, che porterà per la prima volta e in esclusiva in Toscana una delle migliori produzioni internazionali, sono quelle del 10 e dell’11 febbraio.
Presentato in molti Paesi dell’America e dell’Europa, in Russia, Australia, Giappone, Cina, Corea, e Africa, in un tour quasi ininterrotto che è iniziato nel 2012, «Leo» è vincitore di prestigiosi premi fra i quali il Fringe Festival di Edimburgo. Si tratta di uno spettacolo surreale, divertente, sorprendente e toccante di teatro fisico, rivolto a un pubblico di tutte le età, costruito su un’ingegnosa interazione tra performance dal vivo e proiezioni video, che sfida e destabilizza i sensi e la percezione della realtà fisica. Tobias Wegner racconta, infatti, il viaggio straordinario di un uomo ordinario, il cui mondo è fisicamente sconvolto. Quando lo si vede appararire in scena per la prima volta, il protagonista è solo con la sua valigia in una semplice stanza e cerca di far passare il tempo, ma più il tempo passa, più si rende conto che non tutto è ciò che sembra. Piano piano aumenta la sua consapevolezza e anche il suo modo di reagire cambia: passa dalla preoccupazione e insicurezza, alla curiosità, all’allegria di scoprire che il rovesciamento radicale di prospettiva non è un problema ma una possibilità. Giocando col limite si distrae, ma non al punto da superare la solitudine che vive in quella stanza straordiaria di cui è ostaggio. Torna il turbamento che deriva dalla necessità di rompere i limiti della sua prigione. Nel suo tentativo di evasione, Leo sfrutta tutto ciò che ha imparato fino a quel momento nelle sue esplorazioni ma soprattutto scopre un nuovo alleato: se stesso. E così arriva ad affrontare il tema chiave dello spettacolo: la ricerca della libertà.
La programmazione del Funaro proseguirà, quindi, nelle giornate dal 22 al 26 febbraio con un workshop di drammaturgia tenuto da Enrique Vargas e dal Teatro de los Sentidos, compagnia che ha condotto tra Barcellona, Italia, Danimarca, Belgio e Francia, una ricerca sulle possibili applicazioni della pratica sensoriale non solo in ambito teatrale. «Il giardino delle delizie. Il corpo tra il sentire e il senso» è il titolo del progetto, che riconosce crediti formativi per gli iscritti al corso di laurea Dams e il Corso di laurea Pro.ge.A.S dell’Università degli studi di Firenze.
Altre proposte formative da segnarsi in agenda sono il seminario «Alla scoperta del proprio clown» con Giovanni Carli e Romina Breschi (dal 31 marzo al 2 aprile), quattro giorni dedicati al teatro e alla danza con Cristiana Morganti (dal 22 al 25 giugno) e un workshop sull’arte delle marionette giapponesi (l’8 luglio).
Fino a dicembre 2017, dopo «Leo», il Funaro presenterà il lavoro, tra gl altri, di Clara Bauer, Florence Cestac, Daniel Pennac, Irina Brook, Stefano Massini, Fabio Pappacena, Giacomo Vezzani, Alessandro Bergonzoni, Cristiana Morganti, Enrique Vargas e i Fratelli Forman. Questi artisti porteranno a Pistoia la cultura di sei Paesi (Canada, Francia, Germania, Inghilterra, Spagnae Repubblica Ceca), con dieci spettacoli di cui quattro in debutto nazionale. Un cartellone internazionale, dunque, quello del Funaro, che si intreccia ai progetti non solo teatrali pensati soprattutto per il territorio, dalle residenze artistiche alla formazione per professionisti e non, dalle letture agli incontri con maestri della scena contemporanea. Il tutto seguendo le due direttrici che animano la produzione del centro toscano dal 2009: mondo e territorio.

Informazioni utili
«Leo». Il Funaro Centro Culturale, via del Funaro, 16/18 – Pistoia.  Informazioni: tel/fax. 0573.977225, tel  0573.976853, info@ilfunaro.org. Sito internet: www.ilfunaro.org. Dal 10 all’11 febbraio 2017. 

lunedì 6 febbraio 2017

Licalbe Steiner, due artisti alle origini della grafica italiana

È una storia che si lega a doppio filo quella tra Albe Steiner e Reggio Emilia. La provincia reggiana ha visto la nascita, nella seconda metà dell’Ottocento, del sistema cooperativo e, in seguito, del primo magazzino a libero scambio, ubicato in corso Garibaldi. Alla grafica di questo negozio così come del marchio originale Coop, datato 1963 e poi ridisegnato da Bob Noorda, ha lavorato proprio il designer milanese, che ha così lasciato la propria impronta in una vicenda, come quella del sistema cooperativistico, che da un secolo e mezzo contribuisce a plasmare la storia sociale ed economica del territorio reggiano. Non è, dunque, un caso che la mostra «Licalbe Steiner. Alle origini della grafica italiana», già esposta a Milano e Firenze, giunga ora a Reggio Emilia.
A rendere ancora più speciale questa esposizione è, poi, la scelta del luogo nel quale allestirla: l’antica Sinagoga della città, recentemente restaurata dal Comune.
L’edificio ottocentesco di via dell’Aquila –di straordinaria bellezza, dall’interno luminoso e monumentale, decorato con colonne e affreschi – ha riacquistato, con la sua riqualificazione architettonica, le forme pesantemente compromesse da un bombardamento nel corso del secondo conflitto e ora è aperta per eventi di vario genere. Qui, dall’11 febbraio al 16 aprile, sarà esposta una panoramica sul lavoro di quello che è riconosciuto come uno dei sodalizi professionali e personali più fecondi della grafica italiana, quello formato da Albe Steiner e sua moglie Lica diminutivo di Masal (nome ebraico corrispondente a Matilde). La mostra, curata da Anna Steiner e progettata dallo studio Origoni-Steiner, presenta la produzione dello Studio Las dai primi lavori del 1939 fino alla Liberazione e al viaggio in Messico (1946-1948), in una narrazione scandita dalle diverse sezioni – ricerca grafica e foto-grafica, editoria, pubblicità e allestimenti, marchi, presentazione di prodotto, manifesti e grafica di impegno civile, formazione professionale – per arrivare infine a toccare anche l’attività di Lica, dal 1974, anno in cui muore Albe, alla sua scomparsa, nel 2008.
La loro storia personale li ha visti così inseparabili da essere chiamati dagli amici i Licalbe, un’unica identità. Il loro lavoro fu caratterizzato da quella che spesso è stata definita una poetica dell’ottimismo, ovvero da una fiducia dichiarata nel presente e nel futuro, animata dall’idea che l’impegno in prima persona, professionale, didattico potesse segnare la differenza e una distanza abissale dal buio della guerra e del fascismo.
Nel 1939 gli Stainer aprirono insieme uno studio di grafica e lavorarono alla stampa clandestina antifascista. Appena terminata la guerra, furono tra i fondatori dei Convitti della Rinascita, curarono due mostre a Palazzo Reale sulla Liberazione e sulla ricostruzione ed ebbero la qualifica di redattori grafici per «Il Politecnico», diretto da Elio Vittorini. Partirono, poi, alla volta del Messico per riunire la famiglia di Lica, e si trovarono a lavorare con muralisti come Siqueiros, Rivera e Hannes Meyer, tra gli esuli della scuola Bauhaus. Rientrarono in Italia per partecipare alle prime elezioni libere del 1948, dove ripresero il loro lavoro professionale.
Gli Steiner furono, senza dubbio, protagonisti e interpreti della rinascita culturale italiana nel Dopoguerra, insieme a intellettuali come Elio Vittorini e Italo Calvino, diffondendo i loro ideali pedagogici e democratici e le loro idee progettuali tutt’oggi innovative.
L’esposizione è l’ultima parte di un progetto di diffusione della vita e delle opere degli Steiner, promosso da Ardaco e sostenuto da Coop, del quale fa parte anche il film documentario «Linea Rossa. Insieme per un Progetto di cambiamento» di Enzo Coluccio e Franco Bocca Gelsi (Ardaco-Orda d’Oro, 2009), visibile in mostra, in cui una intensa Lica ha lasciato la sua ultima testimonianza diretta, insieme a quella di amici, parenti, artisti come Arnaldo Pomodoro e Francesco Leonetti.

Informazioni utili
Licalbe Steiner. Alle origini della grafica italiana. Sinagoga, via dell’Aquila - Reggio Emilia. Orari: da venerdì a domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-19.00; da lunedì a giovedì solo per le scuole (su prenotazione). Ingresso: intero € 5,00, ridotto per soci Coop e under 18 € 3,00. Informazioni: tel. 0522.454437/444446 o info@palazzomagnani.it. Dall’11 febbraio al 16 aprile 2016.

mercoledì 1 febbraio 2017

«D’Annunzio segreto», al Manzoni di Busto l’unica data lombarda

Sarà il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio a fare da scenario all’unica data lombarda dello spettacolo «D’Annunzio segreto», per la regia di Francesco Sala e con la drammaturgia del bustocco Angelo Crespi. Le date da segnarsi in agenda per questo prestigioso appuntamento fuori stagione, promosso dall’Amministrazione comunale nella sala di proprietà della parrocchia di San Michele Arcangelo, sono quelle di mercoledì 8 febbraio, alle ore 21, e di giovedì 9 febbraio, alle ore 11.
Sul palco salirà l’attore e autore Edoardo Sylos Labini, già protagonista dello spettacolo «Gabriele D’Annunzio, tra amori e battaglie». In scena ci saranno anche Giorgia Sinicorni, Evita Ciri, Chiara Lutri, Paola Radaelli e Viola Pornaro nel ruolo di Eleonora Duse. Scene e costumi sono a cura di Marta Crisolini Malatesta, il disegno luci è di Pietro Sperduti. Firma le musiche Antonello Aprea.
«Lo spettacolo -si legge nella sinossi- si svolge nel contrasto tra giorno e notte, euforia e malinconia, commedia e dramma. Siamo nelle stanze del Vittoriale negli ultimi anni di vita di d’Annunzio. Gabriele di giorno è ancora vivo, ironico, sprezzante, gioca in modo perverso con le sue amanti -la pianista Luisa Baccara e la sua governante Amelie Mazoyer- le intrattiene, le manipola, le aizza l’una contro l’altra, progetta nuove imprese, litiga con Mussolini, pretende di essere coccolato, osannato, idealizzato. Di notte, al contrario, d’Annunzio, seduto al suo scrittoio, intesse un lungo e poetico dialogo, con l’unica donna che lo ha amato e che lui ha amato ma che ora non c’è più: il mito Eleonora Duse. Rivive le straordinarie prove teatrali della «Città morta», lo scandalo pubblico del romanzo «Il fuoco» e una travolgente versione della «Pioggia nel pineto»».
Tra amore e grande letteratura, gelosie e tradimenti arriva, dunque, sul palco della sala di via Calatafimi un «Vate degli italiani» come non si era visto mai. Il D’Annunzio eroico, che popola il nostro immaginario collettivo, lascia, infatti, in questa messa in scena il passo a un D’Annuzio inedito, anziano e «pieno di vizi e vezzi», descritto come un personaggio divertente e nello stesso tempo tragico.
Si chiude così con questo spettacolo, patrocinato dal Vittoriale degli italiani, una trilogia dannunziana curata negli ultimi anni da Edoardo Sylos Labini, attore che, in passato, aveva portato a Busto Arsizio, in occasione del BA Film Festival, anche una inedita rivisitazione del film «Le notti di Cabiria».
Ritiratosi nel suo buen retiro sul lago di Garda, il D’Annunzio della vecchiaia è un uomo che, per sua stessa ammissione, prova «orrore di se stesso». «Come una sorta di capocomico in quel gran teatro che era il Vittoriale –afferma Edoardo Sylos Labini- D’Annunzio vive tra cocaina, sesso e amanti», ma è anche un uomo dalla grande interiorità, che rivive il suo passato. «Nello spettacolo –continua l’attore romano- si raccontano, infatti, il suo rapporto con Eleonora Duse, presente sotto forma di busto e raccontata in un flashback, le telefonate con Mussolini, gli aneddoti meno conosciuti come quello della sua caduta la finestra che lo mandò in coma alla vigilia dell’incontro tra Nitti e Mussolini in cui doveva fare da mediatore per scongiurare la marcia su Roma».
Il costo del biglietto è fissato ad euro 25,00 per la poltronissima, euro 20,00 per la poltrona ed euro 15,00 per la galleria. Il costo per la replica mattutina, riservata agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, è invece, di euro 5,00; a tutti i ragazzi che prenderanno parte alla rappresentazione verrà, inoltre, donato il fumetto «Gabriele D’Annunzio, tra amori e battaglie».
Agli abbonati della stagione teatrale «Mettiamo in circolo la cultura» e della rassegna «Mercoledì d'essai» è riservata una promozione speciale, attivabile solo al botteghino, che permette di assistere allo spettacolo a un costo promozionale di euro 20,00 per la poltronissima ed euro 15,00 per la poltrona.
Il botteghino aprirà i battenti giovedì 2 febbraio con i seguenti orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 17 alle ore 19, e tutte le sere (tranne il martedì), dalle ore 20.30 alle ore 21.30. I biglietti sono già acquistabili on-line sul sito www.cinemateatromanzoni.it, da poco rinnovato nella grafica e migliorato nell’usabilità grazie alla professionalità dell’azienda Crea Informatica Srl di Milano. Il diritto di prevendita per «D’Annunzio segreto» è fissato ad 2,00 euro.

Informazioni utili 
«D’Annunzio segreto», con Edoardo Sylos Labini. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 – Busto Arsizio (Varese). Ingresso: poltronissima € 25,00, poltrona € 20,00, galleria € 15,00. Informazioni: tel. 0331.677961 (dal lunedì al venerdì, dalle 17.00 alle 19.00, e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì), info@cinemateatromanzoni.it. Apertura botteghino: giovedì 2 febbraio 2017. Ingresso:  serale - poltronissima € 25,00, poltrona € 20,00, galleria € 15,00; scolastica € 5,00. | Agli abbonati della stagione teatrale «Mettiamo in circolo la cultura» e della rassegna «Mercoledì d'essai» è riservata una promozione speciale, attivabile solo al botteghino, che permette di assistere allo spettacolo a un costo promozionale di € 20,00 per la poltronissima ed € 15,00 per la poltrona | i biglietti sono in vendita anche on-line tramite il circuito Crea Informativa; è previsto un diritto di prevendita di € 2,00. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it. Dall’8 al 9 febbraio 2017.
Prende il via giovedì 2 marzo il lungo programma di iniziative ideate per celebrare il secondo centenario dalla morte dell’architetto e disegnatore Giacomo Quarenghi (Rota d’Imagna/Bergamo 1744 - San Pietroburgo1817), tra i massimi protagonisti della cultura artistica del Settecento europeo.
Una messa in sua memoria nella chiesa dell’Arciconfraternita dei bergamaschi a Roma e il posizionamento di due lapidi a Bergamo -una al Famedio del cimitero, l’altra nella casa natale di via Donizetti- aprono le celebrazioni di quello che è stato definito l’Anno Q.
Nella stessa giornata la Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo, che conserva la più vasta raccolta al mondo di opere quarenghiane, inaugurerà un’esposizione storica; mentre il Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco a Milano renderà fruibile integralmente, sul sito Graficheincomune.it, il proprio fondo di lavori quarenghiani.
Le celebrazioni interesseranno anche diverse città europee: al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo verrà inaugurata una mostra di Pavel Demidov che rilegge con sguardo contemporaneo gli edifici realizzati da Quarenghi; a Mosca di terrà una conferenza di Letizia Tedeschi, mentre a Varsavia lo studioso Piotr Kibort darà il via al progetto di studio e pubblicazione in formato digitale del fondo di disegni quarenghiani conservati al museo nazionale.
Ma le iniziative per celebrare il maestro non terminano qui. A Bergamo, la sua città natale, la Biblioteca Civica Angelo Mai proporrà la pubblicazione in digitale del fondo di documenti di Francesco Maria Quarenghi, fratello dell’architetto, e la pubblicazione di un nuovo epistolario quarenghiano.La Fondazione Accademia Carrara provvederà, invece, al restauro, alla studio e alla pubblicazione del suo fondo quarenghiano, mentre la Fondazione Donizetti dedicherà all’artista un progetto speciale, compresa la messa in scena dell’opera donizettiana «Il borgomastro di Saardam», che vede protagonista proprio lo zar Pietro I.

A Venezia, è previsto lo studio e la pubblicazione del fondo dei disegni quarenghiani presenti alle Gallerie dell’Accademia, oltre alla pubblicazione in formato digitale dei disegni presenti nelle raccolte Fiocco e Pozzi alla Fondazione Giorgio Cini e alla valorizzazione dei materiali quarenghiani del Museo Correr. Milano, Vicenza e Bassano del Grappa dedicheranno mostre all’artista, mentre Roma ospiterà il convegno «Giacomo Quarenghi e la cultura architettonica britannica», organizzato dall’Accademia nazionale di San Luca.
Tra le iniziative all’estero si segnala quella dell’Archivio del Moderno e Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate di Mendrisio che proporrà un’esposizione tesa a indagare la presenza di Quarenghi nelle raccolte grafiche degli architetti ticinesi.
Ma il programma dell’anno Q, che verrà ricordato anche con un francobollo commemorativo, è molto più articolato ed in continua evoluzione. Ancora molte le iniziative da segnalare dedicate all’architetto che partecipò all’elaborazione del primo linguaggio moderno internazionale.
Un’ottima occasione, dunque, questo anno Q per conoscere un artista italiano che venne chiamato dall’imperatrice Caterina II come architetto di Corte degli Zar e che contribuì in modo decisivo a ridisegnare il volto di Pietroburgo. La carriera di Quarenghi, proseguita con i successori al trono Paolo I e Alessandro I, lo condusse, infatti, a diventare un vero arbitro del gusto dell’età neoclassica.
Il numero e la varietà dei suoi progetti, in gran parte realizzati, è senza pari. Suoi sono veri e propri landmarks della città di San Pietroburgo, come la Banca di Stato, l’Accademia delle scienze, l'Istituto Smol´nyj e numerosi interventi nel complesso del Palazzo imperiale come la Sala del trono e il teatro dell’Ermitage. Oggi l’esplorazione dei disegni di Quarenghi ci restituisce una cifra artistica caratterizzata da un fecondo travaso tra l’invenzione dell’architettura e il fascino rappresentativo del pittore. I prospetti dei suoi progetti, ambientati in seducenti paesaggi di ascendente italiano, evocano il mito mediterraneo proprio della sua epoca.

Informazioni utili 
www.osservatorioquarenghi.com