È ricco il cartellone di eventi che i Musei civici di Venezia hanno ideato in occasione della cinquantasettesima Mostra internazionale d’arte contemporanea con l’intento di essere non solo depositari della memoria storica della città, ma anche promotori di un’indagine critica e di un’esplorazione sui linguaggi più attuali della ricerca creativa. «Muve contemporaneo», progetto nato nel 2013 per iniziativa di Gabriella Belli, giunge così alla sua terza edizione anche grazie alla collaborazione con prestigiose istituzioni internazionali come il Lacma di Los Angeles, il Guggenheim di Bilbao, il Museum of Fine Arts di Boston, la Royal Academy di Londra e la Phillips Collection di Washington.
Il Museo Correr -che si affaccia su piazza San Marco, cuore pulsante della città lagunare- apre, per esempio, le sue porte a Shirin Neshat con la mostra «La casa dei miei occhi», per la curatela di Thomas Kellein, che espone parte dell’omonima serie di ritratti scattati dall’artista iraniana, di stanza a New York, tra il 2014 e il 2015 in Azerbaijan, Paese crocevia di tante lingue, etnie e religioni.
Il risultato è un grande arazzo di ventisei volti umani, sistemati in pose e abiti simili su uno sfondo scuro, che rimarrà collocato fino al prossimo 26 novembre nella Sala delle Quattro porte al secondo piano del palazzo veneziano, nell’ambito del percorso permanente.
Quasi tutte le persone raffigurate hanno le mani giunte; questo dettaglio è un richiamo ai dipinti religiosi cristiani e in particolare a quelli di El Greco. Sullo sfondo delle stampe, impresse su gelatina d’argento, appaiono testi calligrafici scritti in inchiostro che Shirin Neshat ha in parte tratto da poesie di Nizami Ganjavi, scrittore iraniano del XII secolo che visse in quello che è oggi l’Azerbaijan.
Nella stanza vicina a questa ipnotica installazione -che circonda una bella Madonna gotica in legno, tesoro della collezione dei Musei civici veneziani- è possibile vedere anche il video «Roja» (2016), riflessione, a partire dai sogni e dai ricordi della stessa artista, sulla nostalgia di legami di una donna iraniana per la sua terra e sul tema, quanto molto attuale, della migrazione e dello sradicamento dalle proprie radici.
Al Correr, fino al prossimo 10 settembre, è esposta anche una piccola mostra di Roger de Montebello, per la curatela di Jean Clair. Il lavoro dell’artista franco-americano -affermano gli organizzatori- «si potrebbe definire borderline, al limite tra astrazione e figurazione, sempre guidato da una poetica della luce di grande efficacia, con effetti in bilico tra pensiero e sensazione, che gli fanno esplorare, in una visione quasi metafisica, dettagli delle cose o delle persone, porte sull’acqua, alberi, volti, architetture affacciate sui canali veneziani, specchi in cui si riflettono immagini di architetture».
Sempre in piazza San Marco, ma nel vicino Palazzo ducale, «Muve contemporaneo» propone in anteprima mondiale, e fino al prossimo 24 novembre, il nuovo video dell’artista scozzese Douglas Gordon: «Gente di Palermo». Si tratta di un filmato amatoriale di due minuti o poco più girato dallo stesso artista con il cellulare durante una visita casuale alla Cripta dei Cappuccini a Palermo, un vasto e celebre cimitero sotterraneo che conserva migliaia di cadaveri imbalsamati ed esposti ai visitatori in lunghi e tetri corridoi.
Qui, tra le mummie dei più piccoli, Douglas Gordon si è imbattuto per caso in un delfino gonfiabile abbandonato, che fluttuava verso il soffitto. Il macabro contrasto tra l’aspetto ludico del palloncino e la drammaticità del contesto, tra la vita e la morte, è stato sintetizzato in pochi fotogrammi carichi di pathos, nei quali si racconta la macabra ironia della sorte che porta un giocattolo da luna park tra i corpi di bambini che non potranno giocare mai più.
Il percorso tra le mostre più significative di «Muve contemporaneo» non può non fare tappa a Palazzo Fortuny, dove è allestita fino al prossimo 27 novembre la mostra «Intuition», curata da Daniela Ferretti e Axel Vervoordt, con Dario Dalla Lana, Davide Daninos e Anne-Sophie Dusselier.
Artefatti antichi e opere del passato dialogano con manufatti contemporanei creando una riflessione, colta e affascinante, sui concetti di intuizione, sogno, telepatia, fantasia paranormale, meditazione e potere creativo, per giungere all’ipnosi e all’ispirazione.
Da Vassily Kandinsky a Paul Klee, da Kazuo Shiraga a Lucio Fontana, da André Breton a Joseph Beuys, senza dimenticare le sperimentazioni fotografiche di Raoul Ubac e Man Ray, le opere su carta di Henry Michaux e Joan Miró o le sperimentazioni di figure cruciali dell’attualità come Marina Abramovic e Anish Kapoor, il percorso espositivo analizza i meccanismi segreti della genesi creativa e intellettuale, soffermandosi su quei «lampi improvvisi» che ci permettono di acquisire conoscenze senza prove, indizi o ragionamento cosciente. Ad aprire la carrellata di opere in mostra sono una serie di menhir del periodo Neolitico, provenienti da antiche civiltà europee, che creano un'immediata correlazione tra cielo e terra e che da soli meritano una visita a Palazzo Fortuny.
Interessante è anche la proposta espositiva di Palazzo Mocenigo che, fino al 1° ottobre, presenta nella sua White Room la mostra «Trasformation», a cura di Inger Wästberg, con le opere-gioiello di sei artiste svedesi le cui creazioni sono già al museo nazionale di Stoccolma.
Quelli esposti non sono monili convenzionali, ma manufatti che contengono messaggi, simbolismi e riferimenti subliminali, oltre a essere ornamenti esteticamente belli e affascinanti. Metà delle artiste in mostra lavora con materiali semplici e poco costosi: ecco così -accanto ai lavori di Tobias Alm, Hanna Hedman e Märta Mattsson- le collane di crine di cavallo di Agnes Larsson, l’uso fantasioso delle pelli di salmone e pesce persico di Catarina Hallzon o la corda di cotone usata nelle collane di Sara Borgegard Alga, a sottolineare come il significato artistico possa apportare valore a un pezzo più delle pietre preziose.
Nello stesso museo, ma fuori dal circuito «Muve contemporaneo», merita una visita anche la mostra «Cabinet of Curiosities. La collezione Storp», allestita nel Pòrtego del piano nobile del palazzo per la curatela di Gergana von Heyking. «Naturalia», «Artificialia» e «Mirabilia» sono le tre sezioni in cui è divisa l’esposizione, che allinea una selezione di flaconi e contenitori per profumi, occasione creativa per esercitazioni virtuosistiche, dove il talento del design e dell’esecuzione si accompagna alla scelta di materiali pregiati, come l’oro e l’argento, e a tecniche sofisticate, come gli smalti e l’incisione, capaci di emulare in un prodigioso equilibrio estetico e cromatico la perfezione della natura che può mettere a disposizione materiali speciali come corazze di animali marini, piante e cortecce esotiche.
Poco distante da Palazzo Mocenigo merita una visita Ca’ Pesaro che, in occasione della Biennale d’arte, presenta un nuovo allestimento delle sue collezioni permanenti con l’inserimento, alle Sale 6 e 7, delle opere provenienti dalla raccolta di Chiara e Francesco Carraro. Ottantadue le opere che compongono il lascito, compresi come la splendida collezione di vetri che vede la firma, tra gli altri, di Ercole Barovier, Carlo Scarpa, Fulvio Bianconi, Napoleone Martinuzzi, Archimede Seguso, Paolo Venini e Vittorio Zecchin, o rare creazioni di arredamento di inizio del Novecento, con nomi di grido come quelli di Eugenio Quarti e Carlo Bugatti. Accanto a questi lavori è esposta una selezione di sculture e dipinti di grande livello, che spazia dal grande «Polittico Garagnani» (1957) di Gino Severini, restaurato per l’occasione, alle nature morte di Giorgio Morandi, dagli affascinanti ritratti borghesi di Antonio Donghi, tra cui si segnalano «Gli amanti alla stazione» e «Le villeggianti», alla bella formella in marmo «Maria dà luce ai pargoli cristiani» di Adolfo Wildt, senza dimenticare le sculture «La Pisana» e «Il bevitore» di Arturo Martini.
L’acquisizione a lungo termine della collezione Carraro ha offerto anche l’occasione per ripensare l’intero percorso espositivo, ora arricchito da opere provenienti dai depositi che danno conto di un movimento nato proprio in questo palazzo, quei «Ribelli di Ca’ Pesaro» che negli anni tra il 1908 e il 1924 videro il coinvolgimento di nomi quali Umberto Boccioni e Gino Rossi, o che omaggio artisti simbolo dell'arte contemporanea come Calder, Kandinskij, Klee, Picasso o Matisse.
Un programma, dunque, articolato quello offerto dai Musei civici veneziani per questa estate, che si completa con le mostre sulle isole di Murano e Burano dedicate alla sperimentazione contemporanee nel campo del vetro e del merletto di Gaetano Pesce, Dino Martens e Mario Bissacco, creando così un virtuoso cortocircuito tra ieri, oggi e domani «ideato -racconta Gabriella Belli- soprattutto per chi vive in questa città d’acqua e di terraferma, che nel consumo quotidiano della cultura può intravedere la nascita di una nuova identità. Tutto serve per proiettare la città nel futuro, portandosi appresso la grande storia del suo passato».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Shirin Neshat, «Anna», from «The Home of My Eyes» series, 2015. Silver Gelatin Print and Ink, 152.4 x 101.6cm (40 x 60 in). Courtesy Written Art Foundation, Frankfurt am Main, Germany; [fig. 2] Shirin Neshat, «Javid», from «The Home of My Eyes» series, 2015. Silver Gelatin Print and Ink, 152.4 x 101.6cm (40 x 60 in). Courtesy Written Art Foundation, Frankfurt am Main, Germany; [fig. 3] Roger de Montebello, «Porta delle Terese», 2014. Oil on canvas, 140x190cm; [fig. 4] Douglas Gordon, un frame del video «Gente di Palermo», 2017; [fig. 5] Giorgio Morandi, «Natura morta», 1943. Opera esposta a Ca'Pesaro nell'ambito dell'allestimento per la presentazione della Collezione Carraro; [fig. 6] Scarabeo diamantato. Opera esposta nella mostra «Trasformation» a Palazzo Mocenigo; [figg. 7 e 8] Veduta della mostra «Intuition» a Palazzo Fortuny
Informazioni utili
Per notizie sugli orari di apertura e sui costi dei biglietti delle mostre in corso ai Musei civici veneziani è possibile consultare il sito http://www.visitmuve.it/.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
martedì 13 giugno 2017
lunedì 12 giugno 2017
Alla Rocca di Cento una mostra su Minguzzi
Sono oltre quaranta le opere scelte dalla città di Cento per rendere omaggio al grande artista Luciano Minguzzi (Bologna 1911 – Milano 2004). Sede dell’esposizione, allestita fino al 20 agosto, è la Rocca cittadina, sorta alla fine del ‘300 per volontà del vescovo di Bologna, il cui aspetto attuale è frutto dell’impronta voluta nel 1483 da Giuliano della Rovere, futuro Papa Giulio II.
L’intreccio tra tradizione e modernità è una costante nell’arte di Luciano Minguzzi che sulle orme di Arturo Martini, Giacomo Manzù e Marino Marini, guardava agli etruschi e all’Antelami, a Nicolò dell’Arca e a Jacopo della Quercia, per assimilarne la sintesi e la potente energia espressiva, e ugualmente ammirava la scomposizione e ricomposizione di Picasso e la capacità di far vibrare la materia di Medardo Rosso. Formatosi all’Accademia delle Belle Arti di Bologna sotto la guida di Ercole Drei e Giorgio Morandi, e di Roberto Longhi all’università, soggiorna più volte a Parigi e nel 1951 si trasferisce a Milano dove prosegue la sua carriera verso il successo.
La mostra presenta opere caposaldo in un percorso emozionale e cronologico che rivela significative scoperte formali e tematiche, dove primitivismo, espressionismo e astrazione si intrecciano alimentandosi delle tendenze europee, in uno stile originale e unico.
Ad accogliere il visitatore nel piazzale della rocca, all’ingresso della mostra e in dialogo con la città, è la monumentale scultura «Grande contorsionista» (1952-89), di oltre due metri, tema molto amato dall’artista come quello degli «Acrobati» (1954) esposti nelle sale interne insieme a «Donna al trapezio», legno policromo del 1956, «Donna sul divano» (1990) e «Oplà», ultima creazione del 2000, evoluzione dinamica estrema degna del Giambologna o del Bernini che Minguzzi ha sempre ammirato, sfidando da par loro la materia.
La prima grande commissione pubblica, la V Porta del Duomo di Milano, vinta in concorso nel 1958 superando Lucio Fontana e inaugurata nel 1965, è documentata da bozzetti, disegni e dalle sculture lignee «Giangaleazzo Visconti a cavallo» e «Frate a cavallo», riprese dalle formelle narranti la storia della cattedrale. Un’opera volutamente figurativa e tradizionale nel racconto storico-religioso eppure lo stile tagliente e geometrico è in sintonia con i coevi esperimenti astratti, tra cui i «Sei personaggi» (1957), ambientati nel cortile della rocca, perché anche se Minguzzi non abbandona mai del tutto la figurazione negli anni del dibattito tra realismo e astrazione, accoglie nuovi stimoli, per esempio la scultura di Brancusi e di Harp, e raggiunge sorprendenti esiti.
In contemporanea nascono opere drammatiche come «Gli uomini del Lager» (1957), eseguita in ricordo della guerra e dopo la visita ai campi di Auschwitz, di cui si ammira in mostra il bozzetto; corpi scarnificati in scatole-sepolcro provviste di ante che si possano tramutare in giochi di chiuso-aperto, dentro-fuori, ripresi poi in «Fiori chiari» ispirata alla via milanese, in «Omaggio a Gagarin», eseguito dopo il viaggio a Mosca, opere del 1969, e ne «I coniugi del n. 7» (1972) inseriti in una finestra con vere e proprie persiane, da un ricordo rimasto impresso dall’infanzia. Lo stesso “espressionismo narrativo”, che mai prescinde da una componente grottesca, si ritrova nel tema degli animali, come il fantastico «Oronte» (1970) e la «Civetta in gabbia» (1952), a cui tocca una condizione di prigionia, e certamente nella grandiosa «Porta del Bene e del Male» (1970-77), nata per San Petronio a Bologna e poi commissionata da papa Montini per San Pietro in Vaticano. Le vicende religiose sono ancora una volta l’occasione per tracciare con ironia ed epos popolare momenti di profonda sacralità in cui il dramma del martirio o delle crocifissioni sono resi con quella gestualità violenta divenuta un segno di inequivocabile distinzione.
Tra le opere degli anni Ottanta, dedicate in modo più esplicito al sentimento del destino attraverso il mito, si possono ammirare «Dafne» (1981-84), l’inedita «Grande nuotatrice» (1992), tema desunto da Martini o Carrà, e l’omaggio al poeta Nievo morto naufrago in mare ovvero l’«Ippolito» del 1989, che rivelano un sentimento di calma e serena fiducia in ciò che ci attende. Di quegli anni sono anche grandi chine dalle tinte accese, arricchite da colate di vino rosso, spesso su manifesti pubblicitari riciclati sul retro, o i più crudi disegni in pandan con le sculture ispirate alla guerra, tra cui la «Fucilazione di Giovanni Minguzzi» (1991), zio del padre che venne fucilato nel 1851 dalle forze dell’ordine a Bagnacavallo perché aveva ospitato il bandito detto Passator Cortese. Infine una curiosità poco nota che lega Luciano Minguzzi alla città di Cento è il concorso per la realizzazione del monumento a Ugo Bassi a cui partecipò negli anni ’50, documentato in mostra dal modellino e dal busto in gesso del patriota, provenienti dalla Galleria d’arte moderna centese.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luciano Minguzzi, «Il grande urlo», 1985; [fig. 2] Luciano Minguzzi, bozzetto per «Gli uomini del lager», 1957; [fig. 3] Luciano Minguzzi, «Donna sul divano», 1990
Informazioni utili
Rocca di Cento, corso del Guercino - Cento (Ferrara). Orari: venerdì, sabato, domenica e festivi, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-19.30. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.6843334 – 390 o informaturismo@comune.cento.fe.it. Sito internet: www.comune.cento.fe.it. Fino al 20 agosto 2017.
L’intreccio tra tradizione e modernità è una costante nell’arte di Luciano Minguzzi che sulle orme di Arturo Martini, Giacomo Manzù e Marino Marini, guardava agli etruschi e all’Antelami, a Nicolò dell’Arca e a Jacopo della Quercia, per assimilarne la sintesi e la potente energia espressiva, e ugualmente ammirava la scomposizione e ricomposizione di Picasso e la capacità di far vibrare la materia di Medardo Rosso. Formatosi all’Accademia delle Belle Arti di Bologna sotto la guida di Ercole Drei e Giorgio Morandi, e di Roberto Longhi all’università, soggiorna più volte a Parigi e nel 1951 si trasferisce a Milano dove prosegue la sua carriera verso il successo.
La mostra presenta opere caposaldo in un percorso emozionale e cronologico che rivela significative scoperte formali e tematiche, dove primitivismo, espressionismo e astrazione si intrecciano alimentandosi delle tendenze europee, in uno stile originale e unico.
Ad accogliere il visitatore nel piazzale della rocca, all’ingresso della mostra e in dialogo con la città, è la monumentale scultura «Grande contorsionista» (1952-89), di oltre due metri, tema molto amato dall’artista come quello degli «Acrobati» (1954) esposti nelle sale interne insieme a «Donna al trapezio», legno policromo del 1956, «Donna sul divano» (1990) e «Oplà», ultima creazione del 2000, evoluzione dinamica estrema degna del Giambologna o del Bernini che Minguzzi ha sempre ammirato, sfidando da par loro la materia.
La prima grande commissione pubblica, la V Porta del Duomo di Milano, vinta in concorso nel 1958 superando Lucio Fontana e inaugurata nel 1965, è documentata da bozzetti, disegni e dalle sculture lignee «Giangaleazzo Visconti a cavallo» e «Frate a cavallo», riprese dalle formelle narranti la storia della cattedrale. Un’opera volutamente figurativa e tradizionale nel racconto storico-religioso eppure lo stile tagliente e geometrico è in sintonia con i coevi esperimenti astratti, tra cui i «Sei personaggi» (1957), ambientati nel cortile della rocca, perché anche se Minguzzi non abbandona mai del tutto la figurazione negli anni del dibattito tra realismo e astrazione, accoglie nuovi stimoli, per esempio la scultura di Brancusi e di Harp, e raggiunge sorprendenti esiti.
In contemporanea nascono opere drammatiche come «Gli uomini del Lager» (1957), eseguita in ricordo della guerra e dopo la visita ai campi di Auschwitz, di cui si ammira in mostra il bozzetto; corpi scarnificati in scatole-sepolcro provviste di ante che si possano tramutare in giochi di chiuso-aperto, dentro-fuori, ripresi poi in «Fiori chiari» ispirata alla via milanese, in «Omaggio a Gagarin», eseguito dopo il viaggio a Mosca, opere del 1969, e ne «I coniugi del n. 7» (1972) inseriti in una finestra con vere e proprie persiane, da un ricordo rimasto impresso dall’infanzia. Lo stesso “espressionismo narrativo”, che mai prescinde da una componente grottesca, si ritrova nel tema degli animali, come il fantastico «Oronte» (1970) e la «Civetta in gabbia» (1952), a cui tocca una condizione di prigionia, e certamente nella grandiosa «Porta del Bene e del Male» (1970-77), nata per San Petronio a Bologna e poi commissionata da papa Montini per San Pietro in Vaticano. Le vicende religiose sono ancora una volta l’occasione per tracciare con ironia ed epos popolare momenti di profonda sacralità in cui il dramma del martirio o delle crocifissioni sono resi con quella gestualità violenta divenuta un segno di inequivocabile distinzione.
Tra le opere degli anni Ottanta, dedicate in modo più esplicito al sentimento del destino attraverso il mito, si possono ammirare «Dafne» (1981-84), l’inedita «Grande nuotatrice» (1992), tema desunto da Martini o Carrà, e l’omaggio al poeta Nievo morto naufrago in mare ovvero l’«Ippolito» del 1989, che rivelano un sentimento di calma e serena fiducia in ciò che ci attende. Di quegli anni sono anche grandi chine dalle tinte accese, arricchite da colate di vino rosso, spesso su manifesti pubblicitari riciclati sul retro, o i più crudi disegni in pandan con le sculture ispirate alla guerra, tra cui la «Fucilazione di Giovanni Minguzzi» (1991), zio del padre che venne fucilato nel 1851 dalle forze dell’ordine a Bagnacavallo perché aveva ospitato il bandito detto Passator Cortese. Infine una curiosità poco nota che lega Luciano Minguzzi alla città di Cento è il concorso per la realizzazione del monumento a Ugo Bassi a cui partecipò negli anni ’50, documentato in mostra dal modellino e dal busto in gesso del patriota, provenienti dalla Galleria d’arte moderna centese.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luciano Minguzzi, «Il grande urlo», 1985; [fig. 2] Luciano Minguzzi, bozzetto per «Gli uomini del lager», 1957; [fig. 3] Luciano Minguzzi, «Donna sul divano», 1990
Informazioni utili
Rocca di Cento, corso del Guercino - Cento (Ferrara). Orari: venerdì, sabato, domenica e festivi, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-19.30. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.6843334 – 390 o informaturismo@comune.cento.fe.it. Sito internet: www.comune.cento.fe.it. Fino al 20 agosto 2017.
venerdì 9 giugno 2017
Shakespeare sotto le stelle di Roma
Lo spettacolo, in cartellone fino al 2 luglio, è già stato ospite al Silvano Toti Globe Theatre così come il secondo appuntamento della rassegna estiva che, dal 7 al 16 luglio, rivedrà salire sul palco Gigi Proietti in veste di attore con «Edmund Kean» di Raymond Fitz Simons. Il testo è un'occasione per entrare nel segreto del camerino, luogo in cui monologhi, battute, idee prendono e perdono forma. In scena c’è un attore solo, colto poco prima di salire sul palcoscenico e di dar vita a una storia. Beve, si trucca ma soprattutto interpreta e si interroga sulle parole di Shakespeare, passando in rassegna una vita di battaglie e successi. È Edmund Kean, grande interprete inglese del primo Ottocento, idolatrato dal pubblico e dalla critica che ne decretarono l'ascesa dal ruolo di Arlecchino ai grandi protagonisti shakespeariani, e poi la rovinosa decadenza. Il suo merito è quello di aver scardinato la forma classica della recitazione, in contrapposizione alle interpretazioni di un altro grande attore inglese, John Kemble, inventando una recitazione emozionale e moderna.
Gigi Proietti lascerà il palco a un altro attore molto amato: Daniele Pecci che, dal 21 luglio al 6 agosto, proporrà al pubblico l’«Enrico V», vestendo anche i panni del regista.
La programmazione proseguirà con uno spettacolo cult del Silvano Toti Globe Theatre: dal 9 al 20 agosto, andrà in scena per l’undicesimo anno consecutivo «Sogno di una notte di mezza estate», a firma dell’indimenticabile Riccardo Cavallo. Grandi e piccoli potranno emozionarsi con le magnifiche scene e i costumi da sogno di questa storia che racconta il tempo breve della felicità con un sottile sottofondo di malinconia. L’opera è stata scritta in occasione di un matrimonio e rappresenta, come una scatola cinese, un mondo stregato in cui dominano il capriccio e il dispotismo. Linguaggi diversi vi si intrecciano: quello delle fate che alterna al verso sciolto, canzoni e filastrocche, e quello degli artigiani, in cui la prosa di ogni giorno è interrotta dalla goffa parodia del verso raffinato.
Spettacolo non nuovo per il pubblico del Silvano Toti Globe Theatre è anche quello in agenda dal 24 agosto al 10 settembre, quando Loredana Scaramella firmerà ancora una volta la regia de «Il mercante di Venezia», ) un testo dai toni contrastanti, in cui si affronta il tema della tolleranza e lo scontro fra clemenza e giustizia.
Nuovo, invece, l’allestimento del «Macbeth», curato da Daniele Salvo, in cartellone dal 15 settembre al 1° ottobre. La volontà di potere e di predominio che divora tutto è al centro della tragedia, che si configura in questo allestimento, regolato dalle leggi del sogno e del sonno, come «un precisissimo iter all'interno del cuore e della mente di un uomo che sembra destinato al vertice della società, ma che diviene invece vittima della fragilità e della manipolazione. Vittima del suo stesso lato oscuro che si fa carne in un alter ego formidabile: Lady Macbeth».
Toni più gioiosi, uniti ad altri più cupi si ritrovano, invece, in Much Ado About Nothing (Molto rumore per nulla), il nuovo spettacolo in lingua inglese, con la regia di Chris Pickles, che va in scena dal 5 al 15 ottobre , a chiusura della stagione.
A corredo del cartellone ci saranno anche una serie di appuntamenti speciali. Si inizierà con un viaggio tra i sonetti d’amore del Bardo, per la regia di Melania Giglio (lunedì 26 giugno, 10 luglio, 28 agosto e 4 settembre). Si proseguirà con «Playing Shakespeare», un percorso alla scoperta dello scrittore inglese, tra musica e parole, con qualche sorpresa, gioco e molta leggerezza (giovedì 13 luglio, lunedì 18 e 25 settembre, lunedì 9 e martedì 10 ottobre). Infine con «Il canto di Shakespeare» (lunedì 24 e 31 luglio), il Silvano Toti Globe Theatre di Villa Borghese ospiterà per la prima volta un concerto elisabettiano originale con musica e parole. Le musiche di scena saranno portate in palcoscenico dall'ensemble rinascimentale «Musica Antiqua Latina», diretta da Giordano Antonelli, con il tenore Andrès Montilla Acurero; la lettura e l'interpretazione sarà affidata a Pamela Villoresi. La drammaturgia è di Michele Di Martino, la regia di Francesco Sala.
È, dunque, tutto pronto a Roma per una nuova stagione di grande teatro shakespeariano immersi nel verde di Villa Borghese Un’occasione, questa nuova rassegna capitolina, per ricordarci ancora una volta che «siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita».
Informazioni utili
Stagione 2017 del Silvano Toti Globe Theatre. Villa Borghese, largo Aqua Felix (piazza di Siena)- Roma. Orari:. Ingresso: con biglietto | botteghino dal 14 giugno in viale P. Canonica (tutti i giorni, dalle 15 alle 19, e nei giorni di spettacolo fino alle 21.15) | circuito Ticket One. Informazioni: tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00-21.00) . Sito internet: www.globetheatreroma.com. Dal 22 giugno al 15 ottobre 2017.
giovedì 8 giugno 2017
«Corso Polonia», a Roma un festival sulla cultura della Vistola
È considerata la «regina dei fiumi» polacchi, con i suoi oltre mille chilometri di lunghezza. Attraversa città come Varsavia, Cracovia, Danzica, Toruń, Płock, Bydgoszcz, Kazimierz Dolny e Sandomierz. Da qualche anno è anche una dei protagonisti della dinamica vita culturale e sociale del Paese, con la sua flora incontaminata, i suoi locali alla moda e le tante attività ricreative. Stiamo parlando della Vistola, «luogo di nascita e connessione di civiltà, comunità e organizzazioni politiche, da sempre legato in modo particolare alla vita della Polonia». A questo fiume, di cui quest’anno il Parlamento della Repubblica polacca festeggia la prima apertura al libero utilizzo, datata 1467, è dedicata anche la quindicesima edizione di «Corso Polonia», il festival della cultura polacca, con cui si festeggiano anche i venticinque anni di attività dell’Istituto polacco di Roma (la festa sarà in agenda nella serata di mercoledì 14 giugno, dalle ore 18.30).
Dalle arti figurative allo sport, dalla danza alla musica, dal cinema all’enogastronomia: guarda a tutti i linguaggi della cultura la manifestazione capitolina, in programma dall’8 al 24 giugno, offrendo al pubblico mostre, concerti, spettacoli, film e incontri, attraverso cui conoscere i vari volti di un fiume che è stato ed è tuttora l’arteria economica del Paese.
Ad inaugurare il cartellone saranno due esposizioni: una con le fotografie della Vistola, l’altra con un omaggio di Jan Michalak alla città di Kazimierz Dolny, uno dei borghi più suggestivi e vivaci della Polonia, del quale saranno presentate anche le eccellenze del settore vinicolo (giovedì 22 giugno, alle ore 18.00).
Il cartellone proporrà, dunque, al teatro San Carlino di Villa Borghese lo spettacolo «Il drago di Cracovia» (sabato 10 giugno, alle ore 17.30, e domenica 11 giugno, alle ore 11.30 e 17.30), basato su una fiaba tradizionale polacca, in lingua italiana, con musiche dal vivo, attori, burattini e danzatori.
Al termine di ogni rappresentazione i bambini presenti saranno coinvolti in un laboratorio creativo (su prenotazione) per la realizzazione di una maschera a forma di drago in gomma crepla; mentre all’esterno del teatro sarà allestito un laboratorio pittorico per creare una scultura di cartapesta, che i più piccoli potranno dipingere liberando la propria fantasia.
Tra gli spettacoli si segnalano anche il concerto «Visegrad Random Trip (mercoledì 21 giugno, ore 21) e la pantomima «Alla corte della regina» dell’ensemble Cracovia Danza, che porterà gli spettatori all’interno del Castello di Wawel, ai tempi degli ultimi sovrani della dinastia degli Jagelloni e alla corte di Bona Sforza, figlia del duca di Milano Gian Galeazzo Sforza e di Isabella d’Aragona, divenuta regina di Polonia nel 1518. L’avventura polacca della nobildonna italiana iniziò proprio cinquecento anni fa, nel dicembre del 1517, quando sposò per procura il re Sigismondo il Vecchio, per partire l’anno successivo alla volta della Polonia, dove portò il meglio della cultura italiana, contribuendo, tra l’altro, a far entrare nel castello reale la danza e instaurando la moda dei balli in maschera e delle feste di corte.
Lo spettacolo, in cartellone nel teatro di Villa Torlonia (venerdì 16 giugno, dalle ore 20), trasporterà il pubblico nel mondo del Carnevale rinascimentale, in uno spazio di fantasia e di sogno, d’amore e di intrighi di corte, grazie alla sceneggiatura di Romana Agnel, alle maschere di Maciej Luściński e ai costumi di Monika Polak-Luścińska. Grazie alle coreografie originali di Fabritio Caroso e Cesare Negri sarà, inoltre, possibile scoprire alcune danze in stile italiano come la pavana, la gagliarda, la corrente e la volta.
Il festival prevede anche, dal 12 al 16 giugno, una rassegna dedicata alla giovane scena artistica contemporanea polacca: «What's the Weather in Poland?».
Si tratta di due appuntamenti, ideati da Marcello Smarrelli, direttore artistico della Fondazione Pastificio Cerere, in collaborazione con Ania Jagiello, che coinvolgono quattro giovani curatori italiani -Simone Ciglia, Alessandra Troncone, Marco Trulli e Saverio Verini- e altrettanti giovani artisti polacchi -Alicja Bielawska, Cezary Poniatowski, Dominik Ritszel e Jakub Woynarowski- che parleranno della loro formazione e delle loro sperimentazioni. I due talk saranno seguiti da un dj-set nella corte interna del Pastificio Cerere (in cartellone il 12 e il 16 giugno, dalle ore 18 alle ore 23).
A chiudere la programmazione sarà il cinema con la rassegna «Omicidi sulla Vistola» (sabato 24 giugno, dalle ore 11), un’intera giornata in compagnia del cinema polacco, con tre pellicole in cui alcune delle più belle città sulla Vistola faranno da sfondo a tre avvincenti storie all’insegna del thriller: «L’implicazione» del regista Jacek Bromski (2011), «Nel silenzio della notte» di Tadeusz Chmielewski e «11 minuti» (2015) di Jerzy Skolimowski.
Mentre, in serata (sabato 24 giugno, dalle ore 22), su un barcone sul Tevere, si terrà il concerto «Rejs» («La crociera») del dj/vj Mr. Krime, ispirato a un omonimo film cult in Polonia degli anni Settanta; gran finale, al termine dell’esibizione, con i wianki, il tradizionale lancio delle ghirlande nel fiume nella notte di San Giovanni.
Informazioni utili
Corso Polonia. Sito web ufficiale: www.istitutopolacco.it. Informazioni: tel. 06.36000723 o segreteria@instytutpolski.org. Dall’8 al 24 giugno 2017.
Dalle arti figurative allo sport, dalla danza alla musica, dal cinema all’enogastronomia: guarda a tutti i linguaggi della cultura la manifestazione capitolina, in programma dall’8 al 24 giugno, offrendo al pubblico mostre, concerti, spettacoli, film e incontri, attraverso cui conoscere i vari volti di un fiume che è stato ed è tuttora l’arteria economica del Paese.
Ad inaugurare il cartellone saranno due esposizioni: una con le fotografie della Vistola, l’altra con un omaggio di Jan Michalak alla città di Kazimierz Dolny, uno dei borghi più suggestivi e vivaci della Polonia, del quale saranno presentate anche le eccellenze del settore vinicolo (giovedì 22 giugno, alle ore 18.00).
Il cartellone proporrà, dunque, al teatro San Carlino di Villa Borghese lo spettacolo «Il drago di Cracovia» (sabato 10 giugno, alle ore 17.30, e domenica 11 giugno, alle ore 11.30 e 17.30), basato su una fiaba tradizionale polacca, in lingua italiana, con musiche dal vivo, attori, burattini e danzatori.
Al termine di ogni rappresentazione i bambini presenti saranno coinvolti in un laboratorio creativo (su prenotazione) per la realizzazione di una maschera a forma di drago in gomma crepla; mentre all’esterno del teatro sarà allestito un laboratorio pittorico per creare una scultura di cartapesta, che i più piccoli potranno dipingere liberando la propria fantasia.
Tra gli spettacoli si segnalano anche il concerto «Visegrad Random Trip (mercoledì 21 giugno, ore 21) e la pantomima «Alla corte della regina» dell’ensemble Cracovia Danza, che porterà gli spettatori all’interno del Castello di Wawel, ai tempi degli ultimi sovrani della dinastia degli Jagelloni e alla corte di Bona Sforza, figlia del duca di Milano Gian Galeazzo Sforza e di Isabella d’Aragona, divenuta regina di Polonia nel 1518. L’avventura polacca della nobildonna italiana iniziò proprio cinquecento anni fa, nel dicembre del 1517, quando sposò per procura il re Sigismondo il Vecchio, per partire l’anno successivo alla volta della Polonia, dove portò il meglio della cultura italiana, contribuendo, tra l’altro, a far entrare nel castello reale la danza e instaurando la moda dei balli in maschera e delle feste di corte.
Lo spettacolo, in cartellone nel teatro di Villa Torlonia (venerdì 16 giugno, dalle ore 20), trasporterà il pubblico nel mondo del Carnevale rinascimentale, in uno spazio di fantasia e di sogno, d’amore e di intrighi di corte, grazie alla sceneggiatura di Romana Agnel, alle maschere di Maciej Luściński e ai costumi di Monika Polak-Luścińska. Grazie alle coreografie originali di Fabritio Caroso e Cesare Negri sarà, inoltre, possibile scoprire alcune danze in stile italiano come la pavana, la gagliarda, la corrente e la volta.
Il festival prevede anche, dal 12 al 16 giugno, una rassegna dedicata alla giovane scena artistica contemporanea polacca: «What's the Weather in Poland?».
Si tratta di due appuntamenti, ideati da Marcello Smarrelli, direttore artistico della Fondazione Pastificio Cerere, in collaborazione con Ania Jagiello, che coinvolgono quattro giovani curatori italiani -Simone Ciglia, Alessandra Troncone, Marco Trulli e Saverio Verini- e altrettanti giovani artisti polacchi -Alicja Bielawska, Cezary Poniatowski, Dominik Ritszel e Jakub Woynarowski- che parleranno della loro formazione e delle loro sperimentazioni. I due talk saranno seguiti da un dj-set nella corte interna del Pastificio Cerere (in cartellone il 12 e il 16 giugno, dalle ore 18 alle ore 23).
A chiudere la programmazione sarà il cinema con la rassegna «Omicidi sulla Vistola» (sabato 24 giugno, dalle ore 11), un’intera giornata in compagnia del cinema polacco, con tre pellicole in cui alcune delle più belle città sulla Vistola faranno da sfondo a tre avvincenti storie all’insegna del thriller: «L’implicazione» del regista Jacek Bromski (2011), «Nel silenzio della notte» di Tadeusz Chmielewski e «11 minuti» (2015) di Jerzy Skolimowski.
Mentre, in serata (sabato 24 giugno, dalle ore 22), su un barcone sul Tevere, si terrà il concerto «Rejs» («La crociera») del dj/vj Mr. Krime, ispirato a un omonimo film cult in Polonia degli anni Settanta; gran finale, al termine dell’esibizione, con i wianki, il tradizionale lancio delle ghirlande nel fiume nella notte di San Giovanni.
Informazioni utili
Corso Polonia. Sito web ufficiale: www.istitutopolacco.it. Informazioni: tel. 06.36000723 o segreteria@instytutpolski.org. Dall’8 al 24 giugno 2017.
mercoledì 7 giugno 2017
Pietro Sassi, Pinot Gallizio e il loro «bisogno ossessionante di cosmo» in mostra a Roma
A separarli c’è un secolo di distanza, scandito da due guerre mondiali, dalla rivoluzione delle Avanguardie, dalla radicale trasformazione sociale, economica e culturale che ha interessato il loro Paese d’origine, l’Italia, e l’Europa intera. Eppure la pittura di Pietro Sassi (1834 – 1905) e di Pinot Gallizio(1902 – 1964), entrambi piemontesi -il primo di Alessandria, il secondo di Alba– sembra accomunata da una caratteristica peculiare ad entrambi: la convivenza dell’attaccamento viscerale alla propria terra d’origine, alle sue tradizioni, ai suoi costumi, con una sperimentazione aperta alle istanze della cultura figurativa europea, a loro coeva, più avanzata.
Se, infatti, Pietro Sassi, poco più che trentenne, dopo un primo periodo di formazione svolto nella sua città natale e a Torino, viaggia per l’Europa seguendo le tappe formative dei pittori di paesaggio della seconda metà dell’Ottocento, toccando dapprima Ginevra, dove frequenta lo studio di Alexandre Calame, quindi la Savoia e, per ultimo, Parigi, dove, nel 1865, soggiorna per un mese, visitando musei ed esposizioni.
Pinot Gallizio, dal canto suo, farà di Alba un laboratorio di sperimentazione creativa capace di mettere in contatto il piccolo centro del cuneese con alcuni protagonisti della neoavanguardia europea. Ad Alba, infatti, nel 1955 l’artista fonda con il danese Asger Jorn e Piero Simondo, il Laboratorio sperimentale del movimento internazionale per una Bauhaus immaginista, sede di ricerca artistica ed elaborazione teorica, la cui attività risulterà fondamentale per la creazione dell’Internazionale Situazionista che lo stesso Gallizio fonderà nel 1957, con, fra gli altri, Guy Debord, Michèle Bernstein, Ralph Rumney e Constant.
La Galleria Ottocento di Roma celebra questi due importanti artisti piemontesi con una doppia esposizione, allestita in occasione dell’inaugurazione della sua nuova sede espositiva in via Monserrato, sistemata accanto allo storico locale sito nel centro storico capitolino e pensato come spazio riservato a una contaminazione fra la pittura da cavalletto dell’Ottocento e la ricerca di nuovi linguaggi espressivi deflagrata nel Novecento, mettendo in dialogo la ricerca di artisti, lontani per formazione, cultura e sensibilità, ma capaci di incarnare, con analogo talento e furore creativo, il genio italico.
La mostra «Un bisogno ossessionante di cosmo», a cura di Alessio Ponti, si configura pertanto come un percorso costruito su due binari paralleli, lungo i quali, si snodano due significativi percorsi artistici. Da un lato, la pittura ad olio, protesa alla ricerca di soluzioni formali che esaltino i raccordi formali del paesaggio, adottata da Pietro Sassi, si squaderna nella serie di impressioni dal vero eseguite nella città eterna, dove nel 1875 il pittore di Alessandria si trasferisce definitivamente. Dall’altro, le resine plastiche, i pigmenti metallici, le tempere grasse, sismografi del vorticoso ductus pittorico delle opere di Gallizio realizzate nei primi anni Sessanta, rivelano, come scrisse la grande critica d’arte Carla Lonzi, «un bisogno ossessionate di cosmo». La stessa ricerca di infinito che anima le vedute di una «Roma sparita», quella dipinta da Pietro Sassi dalla terrazza del suo studio, dal cuore dei monumenti di età imperiale, dagli scorci ariosi e sconfinati della periferia cittadina e della campagna laziale.
Ad arricchire il percorso espositivo, al fine di documentare il milieu artistico frequentato dall’architetto Marta Lonzi, dalla cui collezione proviene l’intero corpus delle opere di Gallizio in mostra, alcuni lavori realizzati da Carla Accardi ed Enrico Castellani, fra i quali spicca la «Lampada A. L. 70,» un doppio cilindro di metacrilato serigrafato realizzato dalla Accardi proprio in collaborazione con la Lonzi nel 1970.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Pietro Sassi, Il pellegrinaggio alla Madonnina dell’Arapietra, olio su tavola, 15 x 23 cm, firmato e datato sul recto in basso a sinistra P. Sassi 1901. Sul verso, presenti le iscrizioni a matita Espo Roma 1902 e 1901 Luglio 14;. [fig. 2] Pinot Gallizio, Senza titolo, 1963, tecnica mista su cartoncino (resine plastiche, pigmenti metallici, tempere), 50 x 70 cm, dedicato, firmato e datato sul verso a Marta / Pinot / Alba maggio 63, Collezione Marta Lonzi; [fig. 3] Marta Lonzi e Carla Accardi, Lampada A.L.70, 1970. Collezione Marta Lonzi
Informazioni utili
«Un bisogno ossessionante di cosmo». Galleria Ottocento, via di Monserrato, 8 - 9 - Roma. Orari: dal lunedì al sabato, ore 10.00-13.00 e ore 16.00-20.00 (possono variare, verificare sempre via telefono). Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 06.6871425 o alessio@ottocento.it. Sito internet: www.ottocento.it. Fino al 19 giugno 2017.
Se, infatti, Pietro Sassi, poco più che trentenne, dopo un primo periodo di formazione svolto nella sua città natale e a Torino, viaggia per l’Europa seguendo le tappe formative dei pittori di paesaggio della seconda metà dell’Ottocento, toccando dapprima Ginevra, dove frequenta lo studio di Alexandre Calame, quindi la Savoia e, per ultimo, Parigi, dove, nel 1865, soggiorna per un mese, visitando musei ed esposizioni.
Pinot Gallizio, dal canto suo, farà di Alba un laboratorio di sperimentazione creativa capace di mettere in contatto il piccolo centro del cuneese con alcuni protagonisti della neoavanguardia europea. Ad Alba, infatti, nel 1955 l’artista fonda con il danese Asger Jorn e Piero Simondo, il Laboratorio sperimentale del movimento internazionale per una Bauhaus immaginista, sede di ricerca artistica ed elaborazione teorica, la cui attività risulterà fondamentale per la creazione dell’Internazionale Situazionista che lo stesso Gallizio fonderà nel 1957, con, fra gli altri, Guy Debord, Michèle Bernstein, Ralph Rumney e Constant.
La Galleria Ottocento di Roma celebra questi due importanti artisti piemontesi con una doppia esposizione, allestita in occasione dell’inaugurazione della sua nuova sede espositiva in via Monserrato, sistemata accanto allo storico locale sito nel centro storico capitolino e pensato come spazio riservato a una contaminazione fra la pittura da cavalletto dell’Ottocento e la ricerca di nuovi linguaggi espressivi deflagrata nel Novecento, mettendo in dialogo la ricerca di artisti, lontani per formazione, cultura e sensibilità, ma capaci di incarnare, con analogo talento e furore creativo, il genio italico.
La mostra «Un bisogno ossessionante di cosmo», a cura di Alessio Ponti, si configura pertanto come un percorso costruito su due binari paralleli, lungo i quali, si snodano due significativi percorsi artistici. Da un lato, la pittura ad olio, protesa alla ricerca di soluzioni formali che esaltino i raccordi formali del paesaggio, adottata da Pietro Sassi, si squaderna nella serie di impressioni dal vero eseguite nella città eterna, dove nel 1875 il pittore di Alessandria si trasferisce definitivamente. Dall’altro, le resine plastiche, i pigmenti metallici, le tempere grasse, sismografi del vorticoso ductus pittorico delle opere di Gallizio realizzate nei primi anni Sessanta, rivelano, come scrisse la grande critica d’arte Carla Lonzi, «un bisogno ossessionate di cosmo». La stessa ricerca di infinito che anima le vedute di una «Roma sparita», quella dipinta da Pietro Sassi dalla terrazza del suo studio, dal cuore dei monumenti di età imperiale, dagli scorci ariosi e sconfinati della periferia cittadina e della campagna laziale.
Ad arricchire il percorso espositivo, al fine di documentare il milieu artistico frequentato dall’architetto Marta Lonzi, dalla cui collezione proviene l’intero corpus delle opere di Gallizio in mostra, alcuni lavori realizzati da Carla Accardi ed Enrico Castellani, fra i quali spicca la «Lampada A. L. 70,» un doppio cilindro di metacrilato serigrafato realizzato dalla Accardi proprio in collaborazione con la Lonzi nel 1970.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Pietro Sassi, Il pellegrinaggio alla Madonnina dell’Arapietra, olio su tavola, 15 x 23 cm, firmato e datato sul recto in basso a sinistra P. Sassi 1901. Sul verso, presenti le iscrizioni a matita Espo Roma 1902 e 1901 Luglio 14;. [fig. 2] Pinot Gallizio, Senza titolo, 1963, tecnica mista su cartoncino (resine plastiche, pigmenti metallici, tempere), 50 x 70 cm, dedicato, firmato e datato sul verso a Marta / Pinot / Alba maggio 63, Collezione Marta Lonzi; [fig. 3] Marta Lonzi e Carla Accardi, Lampada A.L.70, 1970. Collezione Marta Lonzi
Informazioni utili
«Un bisogno ossessionante di cosmo». Galleria Ottocento, via di Monserrato, 8 - 9 - Roma. Orari: dal lunedì al sabato, ore 10.00-13.00 e ore 16.00-20.00 (possono variare, verificare sempre via telefono). Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 06.6871425 o alessio@ottocento.it. Sito internet: www.ottocento.it. Fino al 19 giugno 2017.
martedì 6 giugno 2017
Al Forte di Bard una mostra sui «mountain Men» di Steve McCurry
Affronta il tema della complessa interazione tra uomo e terre di montagna la mostra «Steve McCurry. Mountain Men», allestita fino al prossimo 26 novembre negli spazi del Forte di Bard.
Una selezione di paesaggi, ritratti e scene di vita quotidiana mette in evidenza il continuo e necessario processo di adattamento delle popolazioni al territorio montano che influenza ogni aspetto dello stile di vita delle persone: dalle attività produttive al tempo libero, dalle tipologie di insediamento, di coltivazione e di allevamento ai sistemi e mezzi di trasporto.
Il tema della mostra è la vita in montagna, ossia evidenziare attraverso un percorso di immagini le specifiche antropologiche delle popolazioni che vi vivono, i legami e le interazioni fra gli uomini e l’ambiente e la terra in aree non pianeggianti. La montagna influenza il modo di vivere e tutte le attività dell’uomo, dai trasporti al tempo libero, dall’agricoltura alla produzione di energia, al costo stesso della vita.
Il percorso è incardinato su settantasette immagini del celebre fotografo americano, membro dell’agenzia Magnum dal 1986 e veterano di National Geographic, stampate e allestite in formati diversi e selezionate dai suoi archivi rispetto al concept del progetto.
Sono immagini di popolazioni di montagna raccolte da Steve McCurry nel corso dei suoi innumerevoli viaggi in Afghanistan, Pakistan, India, Tibet, Nepal, Brasile, Etiopia, Myanmar, Filippine, Marocco, Kashmir, Slovenia e Yemen.
Oltre a far conoscere al pubblico la vasta produzione di Steve McCurry, la mostra propone in anteprima assoluta, il frutto di una campagna fotografica condotta in tre periodi di scouting e shooting, tra il 2015 e il 2016, che ha avuto come teatro la Valle d’Aosta. Si è trattato di un vero e proprio mountain lab, laboratorio a cielo aperto sulle specifiche della vita di montagna, nel quale spiccano, tra l’altro, i quattro 4.000 metri delle Alpi: Monte Bianco, Cervino, Gran Paradiso e Monte Rosa. Ben dieci gli scatti in mostra destinati a entrare nella collezione del Forte di Bard, tutti risultato dell'assiduo lavoro svolto in Valle d'Aosta dal fotoreporter americano.
L’esposizione offre, inoltre, ai visitatori la possibilità di assistere alla proiezione in altissima risoluzione di oltre duecentonovanta scatti iconici del maestro e di un video che racconta il backstage e il making of dello shooting valdostano.
Il progetto espositivo, accompagnato da un catalogo pubblicato dalle edizioni Forte di Bard, prevede anche, per i più appassionati, la possibilità di iscriversi ad un workshop con Steve McCurry della durata di due giorni e mezzo con inizio al venerdì e termine la domenica, in programma dal 15 al 17 settembre, e con numero chiuso di quindici partecipanti (per informazioni eventi@fortedibard.it).
Un’ottima occasione, dunque, quella proposta dal Forte di Bard per avvicinarsi all’opera di un artista dell’obiettivo, autore del celeberrimo reportage sulla ragazza divenuta icona del conflitto afghano sulle pagine del «National Geographic» nel mondo, che ha fatto del viaggio la sua dimensione di vita: «solo viaggiare e approfondire la conoscenza di culture diverse, -ha dichiarato, infatti, una volta Steve McCurry- mi procura gioia e mi dà una carica inesauribile».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Steve McCurry, Monk at Jokhang Temple. Lhasa, Tibet, 2000; [fig. 2] Saint-Pierre, Valle d'Aosta, Italia - 2016. ®Steve McCurry; [fig. 3] Wadi Hadhramaut, Yemen - 1999 - ®Steve McCurry
Informazioni utili
Steve McCurry. Mountain Men. Cantine Forte di Bard. Orari: martedì-venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; sabato, domenica e festivi, dalle ore 10.00 alle ore 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 9,00, ridotto € 7,00 (gruppi, 6-18 anni, studenti universitari, over 65 anni), gratuito per i minori di 6 anni e le persone con disabilità. Informazioni: Associazione Forte di Bard, tel. 0125.833811 o info@fortedibard.it. Sito web: fortedibard.it. Fino al 26 novembre 2017
Una selezione di paesaggi, ritratti e scene di vita quotidiana mette in evidenza il continuo e necessario processo di adattamento delle popolazioni al territorio montano che influenza ogni aspetto dello stile di vita delle persone: dalle attività produttive al tempo libero, dalle tipologie di insediamento, di coltivazione e di allevamento ai sistemi e mezzi di trasporto.
Il tema della mostra è la vita in montagna, ossia evidenziare attraverso un percorso di immagini le specifiche antropologiche delle popolazioni che vi vivono, i legami e le interazioni fra gli uomini e l’ambiente e la terra in aree non pianeggianti. La montagna influenza il modo di vivere e tutte le attività dell’uomo, dai trasporti al tempo libero, dall’agricoltura alla produzione di energia, al costo stesso della vita.
Il percorso è incardinato su settantasette immagini del celebre fotografo americano, membro dell’agenzia Magnum dal 1986 e veterano di National Geographic, stampate e allestite in formati diversi e selezionate dai suoi archivi rispetto al concept del progetto.
Sono immagini di popolazioni di montagna raccolte da Steve McCurry nel corso dei suoi innumerevoli viaggi in Afghanistan, Pakistan, India, Tibet, Nepal, Brasile, Etiopia, Myanmar, Filippine, Marocco, Kashmir, Slovenia e Yemen.
Oltre a far conoscere al pubblico la vasta produzione di Steve McCurry, la mostra propone in anteprima assoluta, il frutto di una campagna fotografica condotta in tre periodi di scouting e shooting, tra il 2015 e il 2016, che ha avuto come teatro la Valle d’Aosta. Si è trattato di un vero e proprio mountain lab, laboratorio a cielo aperto sulle specifiche della vita di montagna, nel quale spiccano, tra l’altro, i quattro 4.000 metri delle Alpi: Monte Bianco, Cervino, Gran Paradiso e Monte Rosa. Ben dieci gli scatti in mostra destinati a entrare nella collezione del Forte di Bard, tutti risultato dell'assiduo lavoro svolto in Valle d'Aosta dal fotoreporter americano.
L’esposizione offre, inoltre, ai visitatori la possibilità di assistere alla proiezione in altissima risoluzione di oltre duecentonovanta scatti iconici del maestro e di un video che racconta il backstage e il making of dello shooting valdostano.
Il progetto espositivo, accompagnato da un catalogo pubblicato dalle edizioni Forte di Bard, prevede anche, per i più appassionati, la possibilità di iscriversi ad un workshop con Steve McCurry della durata di due giorni e mezzo con inizio al venerdì e termine la domenica, in programma dal 15 al 17 settembre, e con numero chiuso di quindici partecipanti (per informazioni eventi@fortedibard.it).
Un’ottima occasione, dunque, quella proposta dal Forte di Bard per avvicinarsi all’opera di un artista dell’obiettivo, autore del celeberrimo reportage sulla ragazza divenuta icona del conflitto afghano sulle pagine del «National Geographic» nel mondo, che ha fatto del viaggio la sua dimensione di vita: «solo viaggiare e approfondire la conoscenza di culture diverse, -ha dichiarato, infatti, una volta Steve McCurry- mi procura gioia e mi dà una carica inesauribile».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Steve McCurry, Monk at Jokhang Temple. Lhasa, Tibet, 2000; [fig. 2] Saint-Pierre, Valle d'Aosta, Italia - 2016. ®Steve McCurry; [fig. 3] Wadi Hadhramaut, Yemen - 1999 - ®Steve McCurry
Informazioni utili
Steve McCurry. Mountain Men. Cantine Forte di Bard. Orari: martedì-venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; sabato, domenica e festivi, dalle ore 10.00 alle ore 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 9,00, ridotto € 7,00 (gruppi, 6-18 anni, studenti universitari, over 65 anni), gratuito per i minori di 6 anni e le persone con disabilità. Informazioni: Associazione Forte di Bard, tel. 0125.833811 o info@fortedibard.it. Sito web: fortedibard.it. Fino al 26 novembre 2017
lunedì 5 giugno 2017
«Scoprendo l’Umbria», dai «Tesori della Valnerina» alle visite guidate al Deposito di Spoleto
Trenta opere straordinarie per un omaggio a una terra, l’Umbria, che sa reagire al terremoto con la forza del suo patrimonio culturale: si presenta così la mostra «Tesori della Valnerina», allestita nelle sale della Rocca Albornoziana – Museo nazionale del Ducato di Spoleto, per la curatela di Marica Mercalli, Antonella Pinna e Rosaria Mencarelli.
Sculture, dipinti, manufatti, oggetti di oreficeria, arredi e volumi sacri tratti in salvo da chiese danneggiate dal terremoto della scorsa estate e dal Museo della Castellina di Norcia, anch’esso chiuso per inagibilità, restituiscono tutta la ricchezza artistica del «cuore verde d’Italia», un territorio che offre al visitatore più di centosettanta siti tra musei, ecomusei e siti archeologici.
Le opere esposte -riportate a nuova vita con l'aiuto e il sostegno dei restauratori dei Musei Vaticani, dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze e della Soprintendenza all'Archeologia, Belle arti e paesaggio dell'Umbria- rappresentano i diversi contesti di appartenenza delle zone colpite, così che tutte le comunità della Valnerina possano sentirsi rappresentate, e sono espressione di devozione popolare, tradizione artigiana e natura etnoantropologica.
La presenza, tra gli altri lavori esposti, anche di una campana proveniente dall’Abbazia di Sant’Eutizio di Preci è stata voluta per rappresentare, tra le tante campane ricoverate a Spoleto, gli edifici e segnatamente i campanili distrutti dal sisma, simboli, spesso, di quanto oggi non esiste più come nel caso delle campane di Castelluccio di Norcia.
La mostra, che permette anche di ammirare il frutto di un impegno nella salvaguardia dell’ambiente, cominciato subito dopo le prime scosse, e la professionalità e la competenza dei tecnici chiamati a vario titolo a operare nel campo della tutela e del restauro dei beni culturali, è strettamente legata alla campagna di raccolta fondi aperta per sostenere il restauro di opere danneggiate dal terremoto, a cui si può contribuire attraverso la piattaforma web Starteed (https://valorecultura.starteed.com/it/lightquake).
In occasione dell’esposizione, Sistema Museo ha organizzato, a cadenza settimanale, una serie di visite guidate al Deposito di sicurezza per i Beni culturali di Santo Chiodo di Spoleto, dove sono “ricoverati” oltre quattromilacinquecento beni storico artistici, librari e documenti storici recuperati dai luoghi danneggiati a seguito del recente terremoto nel Centro Italia.
Durante la visita -in agenda fino al 30 luglio, tutti i giovedì, con un doppio appuntamento alle ore 15 e alle ore 16 (prenotazioni obbligatorie ai numeri tel. 0743.224952, cell. 340.5510813 o all’indirizzo e-mail spoleto@sistemamuseo.it; quota di partecipazione € 6,00)- uno storico dell’arte illustrerà il lavoro di recupero delle opere, le funzioni e le caratteristiche del deposito stesso, attraverso riproduzioni di immagini. La visita comprende anche l’ingresso nel laboratorio di restauro dove i restauratori illustreranno loro stessi fasi, tecniche e procedura di questi delicati interventi.
L’evento si inserisce nel programma «Scoprendo l’Umbria», fortemente voluto e promosso dalla Regione per sostenere e valorizzare le attività dei musei, un’esperienza autentica da vivere in oltre centosettanta tra musei, ecomusei e siti archeologici.
Solo una piccola parte dell'Umbria ha avuto danni diretti dal terremoto e, anche se le immagini delle chiese gravemente danneggiate della Valnerina hanno colpito il cuore di tutti, la volontà della comunità umbra è di non farsi piegare dagli eventi e di continuare a valorizzare il proprio patrimonio storico e artistico, la bellezza delle terre del Perugino, di Giotto, del Signorelli e di Burri. Alle ferite del sisma enti e cittadini reagiscono, dunque, invitando tutti gli amanti del «cuore verde d’Italia» a visitare i musei e i monumenti che sono aperti, vitali e offrono uno straordinario spaccato di storia, arte, ambiente e tradizioni.
Il progetto è corredato da un sito internet e da una pagina Facebook ,attiva dal 5 marzo, che è seguita da oltre 4350 fan, con una crescita costante del numero di utenti e dell'interesse suscitato, tanto che con un solo post sono state raggiunte 35mila persone. Il sito internet ha, invece, superato le 6200 visualizzazioni e offre costanti aggiornamenti su centinaia di proposte, itinerari e curiosità in grado di suscitare emozioni intense in chi le vive.
A tutto questo si aggiunge la grande risposta da parte dei musei del territorio regionale: oltre ottanta, infatti, hanno aderito a questo progetto di promozione offrendo sconti sugli ingressi previa esibizione di una card a tema.
Un invito a scoprire e riscoprire testimonianze artistiche che hanno segnato la storia di questa terra e oggi diventano parte viva del contemporaneo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Orvieto, museo archeologico; [fig. 2] Città della Pieve, Museo civico; [fig. 3] Spoleto, Palazzo Collicola Arti visive; [fig. 4] Magione, Museo della pesca del lago Trasimeno
Informazioni utili
«Tesori della Valnerina». Rocca Albornoziana – Museo Nazionale del Ducato di Spoleto (Perugia). Orari: dal martedì alla domenica, dalle ore 9.30 alle ore 19.30, lunedì dalle ore 9.30 alle ore 13.30; aperture straordinarie in occasione di eventi speciali, ponti e festività. Ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso: intero € 7,50, ridotto € 3,75 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del Mibact; ingresso gratuito la prima domenica del mese; Spoleto Card - Red Card € 9,50, Green Card € 8,00 (+ 65, da 7 a 25 anni, gruppi oltre 15 persone). Catalogo: il 70% del ricavato dalle vendite del catalogo contribuirà al restauro di opere d’arte danneggiate dal sisma. Informazioni e prenotazioni: Sistema Museo biglietteria e accoglienza tel. 0743.224952, cell. 340.5510813, spoleto@sistemamuseo.it. Sito internet: www.scoprendolumbria.it. Fino al 30 luglio 2017. Chiusura posticipata al 5 novembre 2017.
Sculture, dipinti, manufatti, oggetti di oreficeria, arredi e volumi sacri tratti in salvo da chiese danneggiate dal terremoto della scorsa estate e dal Museo della Castellina di Norcia, anch’esso chiuso per inagibilità, restituiscono tutta la ricchezza artistica del «cuore verde d’Italia», un territorio che offre al visitatore più di centosettanta siti tra musei, ecomusei e siti archeologici.
Le opere esposte -riportate a nuova vita con l'aiuto e il sostegno dei restauratori dei Musei Vaticani, dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze e della Soprintendenza all'Archeologia, Belle arti e paesaggio dell'Umbria- rappresentano i diversi contesti di appartenenza delle zone colpite, così che tutte le comunità della Valnerina possano sentirsi rappresentate, e sono espressione di devozione popolare, tradizione artigiana e natura etnoantropologica.
La presenza, tra gli altri lavori esposti, anche di una campana proveniente dall’Abbazia di Sant’Eutizio di Preci è stata voluta per rappresentare, tra le tante campane ricoverate a Spoleto, gli edifici e segnatamente i campanili distrutti dal sisma, simboli, spesso, di quanto oggi non esiste più come nel caso delle campane di Castelluccio di Norcia.
La mostra, che permette anche di ammirare il frutto di un impegno nella salvaguardia dell’ambiente, cominciato subito dopo le prime scosse, e la professionalità e la competenza dei tecnici chiamati a vario titolo a operare nel campo della tutela e del restauro dei beni culturali, è strettamente legata alla campagna di raccolta fondi aperta per sostenere il restauro di opere danneggiate dal terremoto, a cui si può contribuire attraverso la piattaforma web Starteed (https://valorecultura.starteed.com/it/lightquake).
In occasione dell’esposizione, Sistema Museo ha organizzato, a cadenza settimanale, una serie di visite guidate al Deposito di sicurezza per i Beni culturali di Santo Chiodo di Spoleto, dove sono “ricoverati” oltre quattromilacinquecento beni storico artistici, librari e documenti storici recuperati dai luoghi danneggiati a seguito del recente terremoto nel Centro Italia.
Durante la visita -in agenda fino al 30 luglio, tutti i giovedì, con un doppio appuntamento alle ore 15 e alle ore 16 (prenotazioni obbligatorie ai numeri tel. 0743.224952, cell. 340.5510813 o all’indirizzo e-mail spoleto@sistemamuseo.it; quota di partecipazione € 6,00)- uno storico dell’arte illustrerà il lavoro di recupero delle opere, le funzioni e le caratteristiche del deposito stesso, attraverso riproduzioni di immagini. La visita comprende anche l’ingresso nel laboratorio di restauro dove i restauratori illustreranno loro stessi fasi, tecniche e procedura di questi delicati interventi.
L’evento si inserisce nel programma «Scoprendo l’Umbria», fortemente voluto e promosso dalla Regione per sostenere e valorizzare le attività dei musei, un’esperienza autentica da vivere in oltre centosettanta tra musei, ecomusei e siti archeologici.
Solo una piccola parte dell'Umbria ha avuto danni diretti dal terremoto e, anche se le immagini delle chiese gravemente danneggiate della Valnerina hanno colpito il cuore di tutti, la volontà della comunità umbra è di non farsi piegare dagli eventi e di continuare a valorizzare il proprio patrimonio storico e artistico, la bellezza delle terre del Perugino, di Giotto, del Signorelli e di Burri. Alle ferite del sisma enti e cittadini reagiscono, dunque, invitando tutti gli amanti del «cuore verde d’Italia» a visitare i musei e i monumenti che sono aperti, vitali e offrono uno straordinario spaccato di storia, arte, ambiente e tradizioni.
Il progetto è corredato da un sito internet e da una pagina Facebook ,attiva dal 5 marzo, che è seguita da oltre 4350 fan, con una crescita costante del numero di utenti e dell'interesse suscitato, tanto che con un solo post sono state raggiunte 35mila persone. Il sito internet ha, invece, superato le 6200 visualizzazioni e offre costanti aggiornamenti su centinaia di proposte, itinerari e curiosità in grado di suscitare emozioni intense in chi le vive.
A tutto questo si aggiunge la grande risposta da parte dei musei del territorio regionale: oltre ottanta, infatti, hanno aderito a questo progetto di promozione offrendo sconti sugli ingressi previa esibizione di una card a tema.
Un invito a scoprire e riscoprire testimonianze artistiche che hanno segnato la storia di questa terra e oggi diventano parte viva del contemporaneo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Orvieto, museo archeologico; [fig. 2] Città della Pieve, Museo civico; [fig. 3] Spoleto, Palazzo Collicola Arti visive; [fig. 4] Magione, Museo della pesca del lago Trasimeno
Informazioni utili
«Tesori della Valnerina». Rocca Albornoziana – Museo Nazionale del Ducato di Spoleto (Perugia). Orari: dal martedì alla domenica, dalle ore 9.30 alle ore 19.30, lunedì dalle ore 9.30 alle ore 13.30; aperture straordinarie in occasione di eventi speciali, ponti e festività. Ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso: intero € 7,50, ridotto € 3,75 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del Mibact; ingresso gratuito la prima domenica del mese; Spoleto Card - Red Card € 9,50, Green Card € 8,00 (+ 65, da 7 a 25 anni, gruppi oltre 15 persone). Catalogo: il 70% del ricavato dalle vendite del catalogo contribuirà al restauro di opere d’arte danneggiate dal sisma. Informazioni e prenotazioni: Sistema Museo biglietteria e accoglienza tel. 0743.224952, cell. 340.5510813, spoleto@sistemamuseo.it. Sito internet: www.scoprendolumbria.it. Fino al 30 luglio 2017. Chiusura posticipata al 5 novembre 2017.
giovedì 1 giugno 2017
Una nuova opera alla Guggenheim. Arriva a Venezia «Ragazza con il bavero alla marinara» di Modigliani
La Fondazione Solomon R. Guggenheim si arricchisce di una preziosissima quanto rara perla pittorica: la tela «Ragazza con il bavero alla marinara» («La femme en blouse marine») di Amedeo Modigliani, lascito della collezionista veneziana Luisa Toso. L’opera, datata 1916, sarà esposta alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia a partire da giugno, in seguito a un delicato intervento di restauro intrapreso dal dipartimento di conservazione del museo. Tale progetto di conservazione è stato reso possibile grazie al generoso supporto di Efg, Institutional Patron del museo e già partner di progetti di restauro di opere della collezione.
«Ragazza con il bavero alla marinara» arricchisce il patrimonio artistico-museale della città di un inestimabile capolavoro, secondo il volere della stessa donatrice. Inoltre la tela di «Modì», soprannome dell’artista livornese mutuato dal termine francese maudit (maledetto), si unisce ad altri tre suoi lavori appartenenti alla collezione newyorkese del museo Solomon R. Guggenheim, ma posteriori a questa, tutte datate 1917-18.
Protagonista della tela è una giovane donna, con un caschetto di capelli neri che accentua l’ovale del viso e insieme ne esalta, con lo sfondo e l’abito ugualmente scuri, l’incarnato roseo del viso.
Lo stesso soggetto compare in un’altra opera dell’artista, dello stesso anno, «La servetta seduta». La tinta del vestito suggerisce di collocare l’opera in inverno, poiché nella bella stagione il «marinière», detto anche «French Riviera Style», adottato dai figli dei parigini e londinesi altoborghesi che frequentavano la Costa Azzurra, prevedeva colori chiari.
La parvenza leggermente androgina e l’astrazione rappresentativa rispondono all’esigenza, costante in Modigliani, di trasferire sulla tela l’inconscio, il mistero dell’istintività della razza umana. Nell’allungamento anatomico che, a partire dalla seconda metà del Novecento, caratterizza tutte le sue opere, affiorano echi delle precedenti esperienze in ambito scultoreo, con reminiscenze africane e orientali.
La tela, identificata con «La femme en blouse marine», viene esposta in occasione della personale dell’artista organizzata dal suo mercante Léopold Zborowski, nel dicembre del 1917 nella galleria parigina di Berthe Weill.
L’esposizione suscitò scandalo per i nudi femminili esposti in vetrina, tanto da dover chiudere in anticipo. Nel 1917 il dipinto venne acquistato dal mercante d’arte Paul Guillaume ed esposto in rarissime occasioni, al Palais des Beaux-Arts, a Bruxelles, nel 1933 e alla Kunsthalle Basel, a Basilea, nel 1934, per poi entrare nella collezione Toso di Venezia, nel 1952.
Successivamente, nel corso degli anni, «Ragazza con il bavero alla marinara» è stata esposta a Milano, Roma, Padova, Verona, Venezia, Ancona, Caserta e Torino, dopo che lo Stato Italiano l’ha notificata quale opera di altissimo valore artistico e storico.
Prima della sua esposizione, la tela è stata oggetto di un intervento di restauro, ad opera del capo-conservatore della Collezione Peggy Guggenheim e reso possibile grazie al prezioso sostegno di Efg, che ha abbracciato con entusiasmo il progetto comprendendone l’importanza storico-artistica. Luciano Pensabene Buemi è intervenuto sulla superficie del dipinto rimuovendo lo spesso strato di vernice non originale, ossidata e ingiallita, applicata in occasione di un precedente intervento di restauro, che ne aveva falsato i colori, rendendo illeggibili soprattutto i toni freddi, grigi e blu, del dipinto e l’incarnato roseo che era ormai era diventato color ocra. Grazie all’intervento i colori hanno nuovamente assunto le tonalità originali e anche le tracce di ossidazioni e sbiancamenti, visibili in più parti sulla tela, sono state colmate.
Informazioni utili
Collezione Peggy Guggenheim - Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 - Venezia | tel. 041.2405415 o guggenheim-venice.it
«Ragazza con il bavero alla marinara» arricchisce il patrimonio artistico-museale della città di un inestimabile capolavoro, secondo il volere della stessa donatrice. Inoltre la tela di «Modì», soprannome dell’artista livornese mutuato dal termine francese maudit (maledetto), si unisce ad altri tre suoi lavori appartenenti alla collezione newyorkese del museo Solomon R. Guggenheim, ma posteriori a questa, tutte datate 1917-18.
Protagonista della tela è una giovane donna, con un caschetto di capelli neri che accentua l’ovale del viso e insieme ne esalta, con lo sfondo e l’abito ugualmente scuri, l’incarnato roseo del viso.
Lo stesso soggetto compare in un’altra opera dell’artista, dello stesso anno, «La servetta seduta». La tinta del vestito suggerisce di collocare l’opera in inverno, poiché nella bella stagione il «marinière», detto anche «French Riviera Style», adottato dai figli dei parigini e londinesi altoborghesi che frequentavano la Costa Azzurra, prevedeva colori chiari.
La parvenza leggermente androgina e l’astrazione rappresentativa rispondono all’esigenza, costante in Modigliani, di trasferire sulla tela l’inconscio, il mistero dell’istintività della razza umana. Nell’allungamento anatomico che, a partire dalla seconda metà del Novecento, caratterizza tutte le sue opere, affiorano echi delle precedenti esperienze in ambito scultoreo, con reminiscenze africane e orientali.
La tela, identificata con «La femme en blouse marine», viene esposta in occasione della personale dell’artista organizzata dal suo mercante Léopold Zborowski, nel dicembre del 1917 nella galleria parigina di Berthe Weill.
L’esposizione suscitò scandalo per i nudi femminili esposti in vetrina, tanto da dover chiudere in anticipo. Nel 1917 il dipinto venne acquistato dal mercante d’arte Paul Guillaume ed esposto in rarissime occasioni, al Palais des Beaux-Arts, a Bruxelles, nel 1933 e alla Kunsthalle Basel, a Basilea, nel 1934, per poi entrare nella collezione Toso di Venezia, nel 1952.
Successivamente, nel corso degli anni, «Ragazza con il bavero alla marinara» è stata esposta a Milano, Roma, Padova, Verona, Venezia, Ancona, Caserta e Torino, dopo che lo Stato Italiano l’ha notificata quale opera di altissimo valore artistico e storico.
Prima della sua esposizione, la tela è stata oggetto di un intervento di restauro, ad opera del capo-conservatore della Collezione Peggy Guggenheim e reso possibile grazie al prezioso sostegno di Efg, che ha abbracciato con entusiasmo il progetto comprendendone l’importanza storico-artistica. Luciano Pensabene Buemi è intervenuto sulla superficie del dipinto rimuovendo lo spesso strato di vernice non originale, ossidata e ingiallita, applicata in occasione di un precedente intervento di restauro, che ne aveva falsato i colori, rendendo illeggibili soprattutto i toni freddi, grigi e blu, del dipinto e l’incarnato roseo che era ormai era diventato color ocra. Grazie all’intervento i colori hanno nuovamente assunto le tonalità originali e anche le tracce di ossidazioni e sbiancamenti, visibili in più parti sulla tela, sono state colmate.
Informazioni utili
Collezione Peggy Guggenheim - Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 - Venezia | tel. 041.2405415 o guggenheim-venice.it
mercoledì 31 maggio 2017
Milano, una settimana all'insegna della fotografia
Mostre, incontri, visite guidate, laboratori, progetti editoriali e proiezioni urbane: è ricco il cartellone della Milano PhotoWeek, prima edizione di una rassegna promossa dall'Assessorato alla Cultura -con la collaborazione di ArtsFor e con il supporto di Fondation Carmignac e di Leica- che da lunedì 5 a domenica 11 giugno coinvolgerà più di cento sedi espositive e offrirà alla città oltre centocinquanta appuntamenti.
Dai grandi scatti d’autore ai reportage di guerra, dalle immagini di moda e architettura che hanno reso celebre Milano nel mondo alla storia dei principali interpreti dell'obiettivo è uno sguardo a trecentosessanta gradi sul mondo della fotografia quello che propone l'intensa settimana meneghina, nata con l'intento di valorizzare e promuovere quest'arte in tutte le sue possibili espressioni e forme per offrire ai cittadini, appassionati e non, una proposta diversificata e di qualità.
Ad aprire il programma sarà, lunedì 5 giugno, il progetto «365+1 Ritratti a Milano», ideato da Leica Camera Italia, che vedrà oltre trenta professionisti milanesi fotografare coppie di persone che vivono e abitano Milano o che la visitano, vi studiano, lavorano o vi passano parte del proprio tempo, con l’intento di sottolineare i valori di identità, multiculturalità, attrattività e accoglienza che appartengono alla città.
Sempre lunedì 5 giugno, a partire dalle ore 21, ci sarà a Base Milano «Common Thinking», una serata interamente dedicata ai collettivi fotografici dal mondo, nuove forme di associazione, alternativa alle agenzie, che permettono ai fotografi di produrre idee e progetti, distribuirli, trovare finanziamenti. Sarà così possibile conoscere i francesi Fractures, i portoghesi Colectivo Photo, i peruviani Versus Photo, i serbi Kamerades, gli americani MJR e gli italiani Cesura. Mentre in via Maroncelli inaugurerà il progetto «Icon Magazine: 5 mostre d’autore», una rassegna diffusa in cinque gallerie milanesi in cui altrettanti temi -moda, ritratto, luoghi, storie e talent- saranno raccontati attraverso una video proiezione dei servizi fotografici autoriali realizzati per Icon.
Il giorno di apertura del festival vedrà anche, allo Spazio Big Santa Marta, l'inaugurazione della mostra «The Anachronism of the Shaman Power», in cui l'artista Gianluca Balocco presenta una serie di opere fotografiche dedicate alle sciamane andine e alle loro cerimonie anacronistiche in dialogo con un'installazione site-specific di foglie che ricordano il rituale della chakana, richiamano le simbologie del potere economico occidentale e di quello cosmico delle curandere.
Nel lavoro esposto –scrive Francesca Bacci nel testo critico che accompagna la mostra, allestita fino al 30 giugno– «l’artista crea una precisa iconologia della guarigione. I ritratti delle sciamane andine sono costruiti per il nostro linguaggio visivo, così da portarci più vicino a un punto origine che un tempo ci apparteneva. Sono donne dalle sapienti mani-ponte, che cercano costantemente il punto di contatto con un’altra riva – o meglio, lo offrono».
La rassegna proseguirà martedì 6 giugno con una serata dedicata alla fotografia africana negli spazi dei Frigoriferi Milanesi. Il Lagos Photo Festival proporrà la proiezione «Snapshots», nella quale saranno proposti racconti e linguaggi di grande forza che aprono a un mondo e a un’iconografia per noi ancora sconosciuti. Contestualmente ci saranno la proiezione del documentario «African Photo. Mama Casset» di Elisa Mereghetti e la presentazione del catalogo della mostra «Il cacciatore bianco» con opere di Seydou Keita, Malik Sidibé e Guy Tillim.
Il giorno successivo, alle ore 21, nel chiostro di Fondazione Stelline si terrà l'anteprima del documentario «Robert Doisneau: Through the Lens» di Clémentine Deroudille; l'appuntamento si inserisce in «SHOT! Grandi fotografi su grande schermo», una piccola rassegna proposta da CineWanted che omaggia alcuni tra i più grandi e conosciuti fotografi della storia: Bill Cunningham, Tim Hetherington, Vivian Maier, Mapplethorpe e Robert Frank.
Giovedì 8 giugno, dalle ore 16.00, ci si sposterà in Triennale per due eventi inseriti in MiBACT per la fotografia: nuove strategie e nuovi sguardi sul territorio. Si tratta di una visita guidata alla mostra «La Terra Inquieta», a cura di Massimiliano Gioni, e di una conferenza dedicata al tema «Fotografia e società: documento o espressione artistica?», che vedrà al tavolo dei relatori Clarice Pecori Giraldi, Anna Maria Montaldo, Giovanna Calvenzi, Lorenza Bravetta, Raffaella Cortese, Filippo Maggia, Linda Fregni Nagler, Beatrice Trussardi, Bas Vroege, Tobias Zielony e Catterina Seia.
Da venerdì 9 a domenica 11 giugno, piazza Gae Aulenti ospiterà, quindi, il Wide Photo Fest 17, promosso da Aif - Associazione Italiana Foto & Digital, con un calendario di eventi e contest, dedicati a tutti, dai professionisti agli appassionati, per vedere ma soprattutto sperimentare le nuove tecnologie messe a disposizione dai principali marchi del settore.
Sabato 10 giugno si terrà un laboratorio per bambini organizzato dal fotografo Paolo Ventura in collaborazione con il Muba: una scatola di cartone, scotch, forbici, un po’ di luce naturale e i più piccoli saranno a metà strada dal costruire la loro macchina fotografica personale, una camera obscura dentro cui infilare la loro testa e accedere a un mondo fatto all’incontrario.
A chiudere il cartellone sarà domenica 11 giugno, nell’area di Porta Nuova, il progetto ponte tra la Milano PhotoWeek e la Milano ArchWeek dal titolo Milano «Open Portrait»: un'installazione a sorpresa di Antonio Ottomanelli che coniuga fotografia e architettura, promossa dalla Fondazione Riccardo Catella, che nella stessa giornata organizzerà anche l'incontro «Magazine a confronto: dialogo sulla Fotografia Narrativa. Il senso dell’immagine secondo Icon».
Informazioni utili
Milano PhotoWeek. Programma completo con orari e sedi su: www.photoweekmilano.it. Dal 5 all’11 giugno 2017.
Dai grandi scatti d’autore ai reportage di guerra, dalle immagini di moda e architettura che hanno reso celebre Milano nel mondo alla storia dei principali interpreti dell'obiettivo è uno sguardo a trecentosessanta gradi sul mondo della fotografia quello che propone l'intensa settimana meneghina, nata con l'intento di valorizzare e promuovere quest'arte in tutte le sue possibili espressioni e forme per offrire ai cittadini, appassionati e non, una proposta diversificata e di qualità.
Ad aprire il programma sarà, lunedì 5 giugno, il progetto «365+1 Ritratti a Milano», ideato da Leica Camera Italia, che vedrà oltre trenta professionisti milanesi fotografare coppie di persone che vivono e abitano Milano o che la visitano, vi studiano, lavorano o vi passano parte del proprio tempo, con l’intento di sottolineare i valori di identità, multiculturalità, attrattività e accoglienza che appartengono alla città.
Sempre lunedì 5 giugno, a partire dalle ore 21, ci sarà a Base Milano «Common Thinking», una serata interamente dedicata ai collettivi fotografici dal mondo, nuove forme di associazione, alternativa alle agenzie, che permettono ai fotografi di produrre idee e progetti, distribuirli, trovare finanziamenti. Sarà così possibile conoscere i francesi Fractures, i portoghesi Colectivo Photo, i peruviani Versus Photo, i serbi Kamerades, gli americani MJR e gli italiani Cesura. Mentre in via Maroncelli inaugurerà il progetto «Icon Magazine: 5 mostre d’autore», una rassegna diffusa in cinque gallerie milanesi in cui altrettanti temi -moda, ritratto, luoghi, storie e talent- saranno raccontati attraverso una video proiezione dei servizi fotografici autoriali realizzati per Icon.
Il giorno di apertura del festival vedrà anche, allo Spazio Big Santa Marta, l'inaugurazione della mostra «The Anachronism of the Shaman Power», in cui l'artista Gianluca Balocco presenta una serie di opere fotografiche dedicate alle sciamane andine e alle loro cerimonie anacronistiche in dialogo con un'installazione site-specific di foglie che ricordano il rituale della chakana, richiamano le simbologie del potere economico occidentale e di quello cosmico delle curandere.
Nel lavoro esposto –scrive Francesca Bacci nel testo critico che accompagna la mostra, allestita fino al 30 giugno– «l’artista crea una precisa iconologia della guarigione. I ritratti delle sciamane andine sono costruiti per il nostro linguaggio visivo, così da portarci più vicino a un punto origine che un tempo ci apparteneva. Sono donne dalle sapienti mani-ponte, che cercano costantemente il punto di contatto con un’altra riva – o meglio, lo offrono».
La rassegna proseguirà martedì 6 giugno con una serata dedicata alla fotografia africana negli spazi dei Frigoriferi Milanesi. Il Lagos Photo Festival proporrà la proiezione «Snapshots», nella quale saranno proposti racconti e linguaggi di grande forza che aprono a un mondo e a un’iconografia per noi ancora sconosciuti. Contestualmente ci saranno la proiezione del documentario «African Photo. Mama Casset» di Elisa Mereghetti e la presentazione del catalogo della mostra «Il cacciatore bianco» con opere di Seydou Keita, Malik Sidibé e Guy Tillim.
Il giorno successivo, alle ore 21, nel chiostro di Fondazione Stelline si terrà l'anteprima del documentario «Robert Doisneau: Through the Lens» di Clémentine Deroudille; l'appuntamento si inserisce in «SHOT! Grandi fotografi su grande schermo», una piccola rassegna proposta da CineWanted che omaggia alcuni tra i più grandi e conosciuti fotografi della storia: Bill Cunningham, Tim Hetherington, Vivian Maier, Mapplethorpe e Robert Frank.
Giovedì 8 giugno, dalle ore 16.00, ci si sposterà in Triennale per due eventi inseriti in MiBACT per la fotografia: nuove strategie e nuovi sguardi sul territorio. Si tratta di una visita guidata alla mostra «La Terra Inquieta», a cura di Massimiliano Gioni, e di una conferenza dedicata al tema «Fotografia e società: documento o espressione artistica?», che vedrà al tavolo dei relatori Clarice Pecori Giraldi, Anna Maria Montaldo, Giovanna Calvenzi, Lorenza Bravetta, Raffaella Cortese, Filippo Maggia, Linda Fregni Nagler, Beatrice Trussardi, Bas Vroege, Tobias Zielony e Catterina Seia.
Da venerdì 9 a domenica 11 giugno, piazza Gae Aulenti ospiterà, quindi, il Wide Photo Fest 17, promosso da Aif - Associazione Italiana Foto & Digital, con un calendario di eventi e contest, dedicati a tutti, dai professionisti agli appassionati, per vedere ma soprattutto sperimentare le nuove tecnologie messe a disposizione dai principali marchi del settore.
Sabato 10 giugno si terrà un laboratorio per bambini organizzato dal fotografo Paolo Ventura in collaborazione con il Muba: una scatola di cartone, scotch, forbici, un po’ di luce naturale e i più piccoli saranno a metà strada dal costruire la loro macchina fotografica personale, una camera obscura dentro cui infilare la loro testa e accedere a un mondo fatto all’incontrario.
A chiudere il cartellone sarà domenica 11 giugno, nell’area di Porta Nuova, il progetto ponte tra la Milano PhotoWeek e la Milano ArchWeek dal titolo Milano «Open Portrait»: un'installazione a sorpresa di Antonio Ottomanelli che coniuga fotografia e architettura, promossa dalla Fondazione Riccardo Catella, che nella stessa giornata organizzerà anche l'incontro «Magazine a confronto: dialogo sulla Fotografia Narrativa. Il senso dell’immagine secondo Icon».
Informazioni utili
Milano PhotoWeek. Programma completo con orari e sedi su: www.photoweekmilano.it. Dal 5 all’11 giugno 2017.
martedì 30 maggio 2017
Jacopo Di Cera e le sue barche di Lampedusa in mostra a Venezia
«L’uomo, cantami, dea, l’eroe dal lungo viaggio, colui che errò per tanto tempo dopo che distrusse la città sacra di Ilio. Vide molti paesi, conobbe molti uomini, soffrì molti dolori, nell’animo, sul mare, lottando per salvare la vita a sé, il ritorno ai suoi compagni». Sono queste parole dell’«Odissea» di Omero a fare da filo conduttore alla mostra «Fino alla fine del mare» che il fotografo milanese Jacopo Di Cera presenta a Venezia, negli spazi della Galleria Accorsi in Campo San Stae.
Dopo aver toccato le città di Milano, Roma, Arles, Carrara, Napoli, Torino e Parigi, l’esposizione arriva nella città lagunare, in occasione della cinquantasettesima edizione della Biennale, con l’intento di sensibilizzare su un tema di stretta attualità come quello dell’immigrazione attraverso il linguaggio dell’arte.
Trenta scatti a colori con i frammenti delle imbarcazioni che riposano nel cimitero delle barche di Lampedusa, imbarcazioni che hanno traghettato centinaia di migliaia di persone sulle coste italiane, sono esposte fino al prossimo 6 giugno anche per motivi sociali: parte del ricavato delle vendite delle opere esposte verrà, infatti, devoluto ai progetti «Informazione e sensibilizzazione» e «Minori in transito» di «Save The Children».
Il visitatore è, dunque, invitato a compiere un viaggio metaforico che parte dall'«Odissea» di Omero, da cui sono estratte le sei parole chiave del progetto -il viaggio, l'isola, il legame, la lotta, la salvezza, il ritorno-, e arriva ai riferimenti visivi di Rothko e Klein per raccontare, semplicemente attraverso le forme e i colori, tutto quello che si nasconde negli occhi di chi abbandona la propria terra per fame, disperazione e paura attraverso associazioni visive e cromatiche.
Il fotografo milanese Jacopo Di Cera, attivo ormai da quindici anni nel campo della fotografia di paesaggio, racconta, dunque, in maniera nuova e sensibile un tema molto attuale e sceglie di farlo trattando la materia viva dei viaggi della speranza, le imbarcazioni. Il risultato sono una serie di immagini stampate in alta definizione direttamente su pezzi di legno prelevati in parte dal cimitero della barche di Lampedusa, su cui riversa una resina che dà l’idea dell’acqua.
Il legno è il materiale-simbolo di questo movimento, di questo viaggio. L’uomo è completamente assente; è presente solo il mezzo che lo ha salvato o tradito, che gli ha regalato una nuova vita o che ha scritto per sempre la parola fine al suo destino.
«Tutto è nato qualche anno fa osservando un servizio sugli sbarchi nel Mediterraneo - racconta Di Cera - probabilmente per la maggior parte delle persone le barche dei migranti trasmettono un sentimento di morte o di tristezza, in realtà io ci ho visto grande speranza: in questi pezzi di legno ho sentito un cuore pulsante».
«Fino alla fine del mare» narra così di Lampedusa, una terra fatta di contraddizioni, sofferenza, approdi e speranza con la sua umanità in continuo cambiamento e movimento. Un’umanità in cerca di una nuova, dovuta opportunità.
Informazioni utili
«Fino alla fine del mare» - Mostra personale di Jacopo Di Cera. Galleria Accorsi, Campo San Stae, 30135 Santa Croce - Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 11.00-20.00. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 328.4156545 o info@finoallafinedelmare.com. Sito internet: www.finoallafinedelmare.com. Fino al 6 giugno 2017
Dopo aver toccato le città di Milano, Roma, Arles, Carrara, Napoli, Torino e Parigi, l’esposizione arriva nella città lagunare, in occasione della cinquantasettesima edizione della Biennale, con l’intento di sensibilizzare su un tema di stretta attualità come quello dell’immigrazione attraverso il linguaggio dell’arte.
Trenta scatti a colori con i frammenti delle imbarcazioni che riposano nel cimitero delle barche di Lampedusa, imbarcazioni che hanno traghettato centinaia di migliaia di persone sulle coste italiane, sono esposte fino al prossimo 6 giugno anche per motivi sociali: parte del ricavato delle vendite delle opere esposte verrà, infatti, devoluto ai progetti «Informazione e sensibilizzazione» e «Minori in transito» di «Save The Children».
Il visitatore è, dunque, invitato a compiere un viaggio metaforico che parte dall'«Odissea» di Omero, da cui sono estratte le sei parole chiave del progetto -il viaggio, l'isola, il legame, la lotta, la salvezza, il ritorno-, e arriva ai riferimenti visivi di Rothko e Klein per raccontare, semplicemente attraverso le forme e i colori, tutto quello che si nasconde negli occhi di chi abbandona la propria terra per fame, disperazione e paura attraverso associazioni visive e cromatiche.
Il fotografo milanese Jacopo Di Cera, attivo ormai da quindici anni nel campo della fotografia di paesaggio, racconta, dunque, in maniera nuova e sensibile un tema molto attuale e sceglie di farlo trattando la materia viva dei viaggi della speranza, le imbarcazioni. Il risultato sono una serie di immagini stampate in alta definizione direttamente su pezzi di legno prelevati in parte dal cimitero della barche di Lampedusa, su cui riversa una resina che dà l’idea dell’acqua.
Il legno è il materiale-simbolo di questo movimento, di questo viaggio. L’uomo è completamente assente; è presente solo il mezzo che lo ha salvato o tradito, che gli ha regalato una nuova vita o che ha scritto per sempre la parola fine al suo destino.
«Tutto è nato qualche anno fa osservando un servizio sugli sbarchi nel Mediterraneo - racconta Di Cera - probabilmente per la maggior parte delle persone le barche dei migranti trasmettono un sentimento di morte o di tristezza, in realtà io ci ho visto grande speranza: in questi pezzi di legno ho sentito un cuore pulsante».
«Fino alla fine del mare» narra così di Lampedusa, una terra fatta di contraddizioni, sofferenza, approdi e speranza con la sua umanità in continuo cambiamento e movimento. Un’umanità in cerca di una nuova, dovuta opportunità.
Informazioni utili
«Fino alla fine del mare» - Mostra personale di Jacopo Di Cera. Galleria Accorsi, Campo San Stae, 30135 Santa Croce - Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 11.00-20.00. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 328.4156545 o info@finoallafinedelmare.com. Sito internet: www.finoallafinedelmare.com. Fino al 6 giugno 2017
lunedì 29 maggio 2017
Una ricca estate di appuntamenti culturali e visite guidate alla Certosa di Bologna
Rappresentazioni teatrali, concerti, incontri e visite guidate a tema: sono oltre cinquanta gli eventi messi in cantiere dall’Istituzione Bologna Musei | Museo civico del Risorgimento per il calendario estivo della Certosa. Ritorna così, per il nono anno consecutivo, il programma di appuntamenti che porta il pubblico alla scoperta di uno dei luoghi più suggestivi della città: il complesso monumentale risultato di oltre duemila anni di storia, che fu prima necropoli etrusca, poi -dal 1334 al 1796- monastero certosino e infine -a partire dal 1801-cimitero, dando sepoltura, tra gli altri, al pittore Giorgio Morandi, allo scrittore Giosuè Carducci, al cantante d’opera Carlo Broschi detto Farinelli, al compositore Ottorino Respighi e ai fondatori delle aziende Maserati, Ducati e Zanichelli.
Tra le principali iniziative va segnalato lo spettacolo itinerante «Zanardi: pane, alfabeto e socialismo» (ingresso € 10,00, prenotazione obbligatoria al numero 333.4774139, proposto in tre repliche dall'associazione Youkali (sabato 15 luglio, martedì 5 e 26 settembre, ore 20.30) che, grazie alla presenza in Certosa del monumento della famiglia del primo sindaco socialista della città, celebrerà il centenario dall'apertura del Forno del Pane, l'attuale sede del MAMbo - Museo d'arte moderna di Bologna. Lo spettacolo, che vedrà in scena l’attrice Simona Sagone con il musicista Salvatore Panu, racconterà la vita e l'operato di Francesco Zanardi e della sua giunta, che dal 15 luglio 1914 avviò radicali riforme, incidendo sulla vita sociale cittadina.
La danza, insieme alla musica e alla recitazione, sarà, invece, protagonista di «Viaggio nel labirinto. Io, l’Altro: la danza del doppio» (giovedì 20 luglio e sabato 16 settembre, ore 21; ingresso € 12,00, prenotazione obbligatoria al numero 340.6435704), un progetto di Emilia Sintoni dedicato al simbolo del Labirinto e al mito del Minotauro che lo abita. Il percorso, in più tappe, è inteso -si legge nella presentazione- come «metafora di un viaggio di esplorazione di diverse parti del Sé, attraverso l’incontro con il simbolo del doppio –lo specchio, l’ombra, l’eco, la statua, il sosia- e le proprie emozioni, la parte razionale e la parte istintiva».
Tra gli appuntamenti musicali e teatrali in agenda si segnala anche «Un altro Orfeo ovvero il ritorno di Euridice» (sabato 30 settembre, ore 20.30; ingresso € 10,00, prenotazione obbligatoria al numero 329.6150164), un’inedita pièce ideata e scritta da Pier Paolo Scattolin appositamente per la Certosa, che conduce attraverso i meandri del mito musicato anche da Claudio Monteverdi.
Appuntamenti con il teatro saranno promossi anche da Alessandro Tampieri con il suo «Shakespeare In Death. Passeggiate shakespeariane in Certosa» (martedì 20 giugno, 11 luglio e venerdì 25 agosto, ore 21; ingresso € 10,00, prenotazione obbligatoria al numero 338.9300148) e dal Teatro dei Mignoli che, con il gruppo Angeli alle Fer-mate e la musica dal vivo della Compagnia d’Arte Drummatica, darà vita ad «Amore e guerra» (giovedì 31 agosto e 21 settembre, ore 21; ingresso € 15,00, prenotazione obbligatoria al numero 338.3802652), un percorso storico tra gli spiriti rivoluzionari fuori e dentro la città, contaminato da romanzi quali «Guerra e Pace» o «Dottor Zivago».
Tante le visite guidate in cantiere, sia in orario diurno che notturno, grazie alle quali sarà possibile, tra l’altro, scoprire i canoviani che lavorarono alla Certosa (sabato 16 settembre, ore 17), le sculture di Alessandro Massarenti per il cimitero (domenica 24 settembre, ore 15), le storie della Bologna noir (mercoledì 7 giugno e 5 luglio, martedì 1 agosto, mercoledì 6 settembre, ore 20.30) o, ancora, le vicende della città in epoca romantica, pettegolezzi compresi (mercoledì 21 giugno, 19 luglio, 23 agosto, 20 settembre, ore 20.30).
Tornano per il secondo anno consecutivo nel cartellone estivo della Certosa di Bologna le proposte di City Red Bus, che con il suo pullman aperto collegherà piazza Maggiore al complesso cimiteriale felsineo nelle serate dedicate alla rassegna «Arte e storia fra i portici e la Certosa» (giovedì 1 giugno, 6 luglio, 3 agosto e venerdì 1 settembre, ore 20; intero € 25,00, ridotto € 15,00).
Iniziativa importante di questa edizione della rassegna bolognese è anche la raccolta fondi a favore del restauro del Monumento Strick, opera significativa di età neoclassica, realizzata nel 1822 da Giovanni Putti su progetto di Ercole Gasparini, che rappresenta l’unico elemento monumentale del piccolo recinto dedicato alla comunità protestante felsinea.
Mentre la principale novità sul fronte della valorizzazione del Cimitero monumentale della Certosa è la proiezione del programma estivo in un ambito che va oltre la scena locale, per espandersi su quella nazionale. Le iniziative bolognesi si inseriscono, infatti, in una strategia di azioni condivise di promozione turistica e sviluppo culturale dei cimiteri italiani, prevista dal protocollo d'intesa siglato lo scorso ottobre dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con Utilitalia, la federazione che annovera tra i suoi associati le aziende pubbliche che gestiscono i più importanti cimiteri italiani, dislocati sull'intero territorio nazionale.
La firma del protocollo, che si propone di trasformare i cimiteri italiani di rilevanza storico-artistica in un nuovo segmento di sviluppo dell’offerta turistica nazionale, è stata resa possibile da un lungo lavoro congiunto operato da un gruppo ristretto di realtà operanti a Bologna, Genova, Roma, Ferrara, Milano, Trento e Torino. La prima iniziativa in comune è la Settimana alla scoperta dei cimiteri europei, in agenda fino al prossimo 4 giugno, promossa dall'Asce - Association of Significant Cemeteries in Europe.
Informazioni utili
Certosa di Bologna – Cartellone estate 2017. Informazioni: Museo civico del Risorgimento, piazza Carducci, 5 – Bologna, tel. 051.347592, museorisorgimento@comune.bologna.it | Infopoint storico-artistico, tel. 051.6150840 o infopointcertosa@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/risorgimento o www.storiaememoriadibologna.it. Programma completo. www.museibologna.it/risorgimento. Fino al 30 settembre 2017.
Tra le principali iniziative va segnalato lo spettacolo itinerante «Zanardi: pane, alfabeto e socialismo» (ingresso € 10,00, prenotazione obbligatoria al numero 333.4774139, proposto in tre repliche dall'associazione Youkali (sabato 15 luglio, martedì 5 e 26 settembre, ore 20.30) che, grazie alla presenza in Certosa del monumento della famiglia del primo sindaco socialista della città, celebrerà il centenario dall'apertura del Forno del Pane, l'attuale sede del MAMbo - Museo d'arte moderna di Bologna. Lo spettacolo, che vedrà in scena l’attrice Simona Sagone con il musicista Salvatore Panu, racconterà la vita e l'operato di Francesco Zanardi e della sua giunta, che dal 15 luglio 1914 avviò radicali riforme, incidendo sulla vita sociale cittadina.
La danza, insieme alla musica e alla recitazione, sarà, invece, protagonista di «Viaggio nel labirinto. Io, l’Altro: la danza del doppio» (giovedì 20 luglio e sabato 16 settembre, ore 21; ingresso € 12,00, prenotazione obbligatoria al numero 340.6435704), un progetto di Emilia Sintoni dedicato al simbolo del Labirinto e al mito del Minotauro che lo abita. Il percorso, in più tappe, è inteso -si legge nella presentazione- come «metafora di un viaggio di esplorazione di diverse parti del Sé, attraverso l’incontro con il simbolo del doppio –lo specchio, l’ombra, l’eco, la statua, il sosia- e le proprie emozioni, la parte razionale e la parte istintiva».
Tra gli appuntamenti musicali e teatrali in agenda si segnala anche «Un altro Orfeo ovvero il ritorno di Euridice» (sabato 30 settembre, ore 20.30; ingresso € 10,00, prenotazione obbligatoria al numero 329.6150164), un’inedita pièce ideata e scritta da Pier Paolo Scattolin appositamente per la Certosa, che conduce attraverso i meandri del mito musicato anche da Claudio Monteverdi.
Appuntamenti con il teatro saranno promossi anche da Alessandro Tampieri con il suo «Shakespeare In Death. Passeggiate shakespeariane in Certosa» (martedì 20 giugno, 11 luglio e venerdì 25 agosto, ore 21; ingresso € 10,00, prenotazione obbligatoria al numero 338.9300148) e dal Teatro dei Mignoli che, con il gruppo Angeli alle Fer-mate e la musica dal vivo della Compagnia d’Arte Drummatica, darà vita ad «Amore e guerra» (giovedì 31 agosto e 21 settembre, ore 21; ingresso € 15,00, prenotazione obbligatoria al numero 338.3802652), un percorso storico tra gli spiriti rivoluzionari fuori e dentro la città, contaminato da romanzi quali «Guerra e Pace» o «Dottor Zivago».
Tante le visite guidate in cantiere, sia in orario diurno che notturno, grazie alle quali sarà possibile, tra l’altro, scoprire i canoviani che lavorarono alla Certosa (sabato 16 settembre, ore 17), le sculture di Alessandro Massarenti per il cimitero (domenica 24 settembre, ore 15), le storie della Bologna noir (mercoledì 7 giugno e 5 luglio, martedì 1 agosto, mercoledì 6 settembre, ore 20.30) o, ancora, le vicende della città in epoca romantica, pettegolezzi compresi (mercoledì 21 giugno, 19 luglio, 23 agosto, 20 settembre, ore 20.30).
Tornano per il secondo anno consecutivo nel cartellone estivo della Certosa di Bologna le proposte di City Red Bus, che con il suo pullman aperto collegherà piazza Maggiore al complesso cimiteriale felsineo nelle serate dedicate alla rassegna «Arte e storia fra i portici e la Certosa» (giovedì 1 giugno, 6 luglio, 3 agosto e venerdì 1 settembre, ore 20; intero € 25,00, ridotto € 15,00).
Iniziativa importante di questa edizione della rassegna bolognese è anche la raccolta fondi a favore del restauro del Monumento Strick, opera significativa di età neoclassica, realizzata nel 1822 da Giovanni Putti su progetto di Ercole Gasparini, che rappresenta l’unico elemento monumentale del piccolo recinto dedicato alla comunità protestante felsinea.
Mentre la principale novità sul fronte della valorizzazione del Cimitero monumentale della Certosa è la proiezione del programma estivo in un ambito che va oltre la scena locale, per espandersi su quella nazionale. Le iniziative bolognesi si inseriscono, infatti, in una strategia di azioni condivise di promozione turistica e sviluppo culturale dei cimiteri italiani, prevista dal protocollo d'intesa siglato lo scorso ottobre dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con Utilitalia, la federazione che annovera tra i suoi associati le aziende pubbliche che gestiscono i più importanti cimiteri italiani, dislocati sull'intero territorio nazionale.
La firma del protocollo, che si propone di trasformare i cimiteri italiani di rilevanza storico-artistica in un nuovo segmento di sviluppo dell’offerta turistica nazionale, è stata resa possibile da un lungo lavoro congiunto operato da un gruppo ristretto di realtà operanti a Bologna, Genova, Roma, Ferrara, Milano, Trento e Torino. La prima iniziativa in comune è la Settimana alla scoperta dei cimiteri europei, in agenda fino al prossimo 4 giugno, promossa dall'Asce - Association of Significant Cemeteries in Europe.
Informazioni utili
Certosa di Bologna – Cartellone estate 2017. Informazioni: Museo civico del Risorgimento, piazza Carducci, 5 – Bologna, tel. 051.347592, museorisorgimento@comune.bologna.it | Infopoint storico-artistico, tel. 051.6150840 o infopointcertosa@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/risorgimento o www.storiaememoriadibologna.it. Programma completo. www.museibologna.it/risorgimento. Fino al 30 settembre 2017.
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