ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 20 gennaio 2015

Brafa Art Fair, una settimana di grande arte e antiquariato a Bruxelles

Spegne sessanta candeline Brafa Art Fair, una tra le fiere d'arte e di antiquariato più importanti d'Europa con i suoi oltre cinquantamila ingressi della passata edizione. Dal 24 gennaio al 1° febbraio gli oltre quindicimila metri quadrati del Tour & Taxis di Bruxelles si apriranno, dunque, ancora una volta ai più importanti professionisti del mercato artistico internazionale. Centoventisei le gallerie presenti in questa edizione della fiera, come sempre promossa dell'associazione Foire des Antiquaires de Belgique, nella quale sarà possibile ammirare oggetti realizzati in oltre cinquemila anni di storia, dall’antichità (il pezzo più datato è una kandila, un contenitore in marmo tipico delle isole Cicladi, risalente al 2800-3000 a.C.) ai giorni nostri, in un percorso che spazierà dall’arte asiatica all’oreficeria, dall’archeologia al contemporaneo, dal fumetto ad imperdibili opere di maestri fiamminghi.
Tanti i pezzi da cui farsi ammaliare, a partire dalla perfetta ricostruzione in terracotta di una nave realizzata in Cina tra il 25 e il 220 a.C.. La galleria italiana Chiale antiquariato esporrà, per esempio, una sedia pieghevole fabbricata a Firenze nel Quattrocento, mentre D'Arschot&Cie di Bruxelles metterà in mostra una bellissima spilla ungherese del XVII secolo. Per contro la belga Epoque Fine Jewels presenterà in fiera un raro pendente a forma di sirena realizzato in Francia intorno al 1870; la Stern-Pissarro Gallery di Londra, gestita da Lélia Pissarro (bis-nipote del noto pittore Camille), proporrà, invece, opere di Giorgio De Chirico, Pierre-Auguste Renoir e Marc Chagall. Un altro pezzo da non perdere è, infine, una tavola originale di Hergé valutata 2,5 milioni di euro, esposta dalla galleria belga Huberty-Breyne. Si tratta della copertina dell'albo «L’Etoile mystérieuse» («La Stella misteriosa») del 1942, decima avventura di Tintin.
A curare l’allestimento dell’evento mercantile, al quale farà da corredo un prezioso catalogo di oltre seicento pagine con la riproduzione di una selezione degli oggetti esposti e approfondimenti sulle gallerie presenti, sarà lo studio belga «Volume Architecture» di Nicolas de Liedekerke e Daniel Culot.
Questa edizione di Brafa Art Fair presenterà, poi, un appuntamento speciale: la mostra «The Belgian Collector», a cura della Fondazione Re Baldovino, ideata come omaggio a una decina di collezionisti belgi che -attraverso la propria passione- custodiscono preziosi capolavori del passato e contribuiscono a tramandarli nel tempo.
Per tutta la durata della fiera sarà, inoltre, possibile partecipare ai «Brafa Art Talks», una serie di conferenze che avranno per protagonisti curatori museali, esperti, giornalisti, collezionisti e altri importanti protagonisti del mondo dell’arte, come l’architetto Brigitte Saby, la conservatrice Dominique Dupuis-Labbé, il gioielliere Jean Boghossian (a capo della maison Bogh-Art) e l'antiquario Christian Vrouyr. Dal light design all’erotismo nella produzione di Pablo Picasso, fino a un approfondimento sul mondo dei diamanti, sono in tutto nove gli incontri promossi, con la collaborazione dei divulgatori Biapal.
Tra gli appuntamenti da segnarsi in agenda c’è quello con Anne van Greventein-Kruse e Livia Depuydt-Elbaum che giovedì 29 gennaio presenteranno l’intervento di restauro sul «Polittico dell'Agnello mistico» dei fratelli Van Eyck, un’opera monumentale straordinaria non solo per la sua bellezza, ma anche per la sua storia. Sopravvissuto alla iconoclastia del 1566, il lavoro fu spostato prima a Parigi (1794-1816) e in seguito a Berlino (1816-1920), per essere, quindi, nascosto nella miniere di salgemma di Altaussee durante la Seconda guerra mondiale.
Mentre venerdì 30 gennaio An Van Camp presenterà una selezione delle opere che saranno esposte nella mostra «In oro e argento: Da Leonardo a Jasper Johns», in programma da maggio alla National Gallery of Art di Washington, per poi spostarsi in settembre al British Museum di Londra. L’esposizione presenterà disegni di Jan van Eyck, Rogier van der Weyden, Gerard David, Rembrandt e molti altri, realizzati con punta metallica, una tecnica non molto nota, in cui disegnatore traccia le figure con una stilo in metallo (per lo più d’argento) su un foglio precedentemente preparato con materiale abrasivo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Marc Chagall, Circo, 1981. Opera esposta dalla Stern-Pissarro Gallery di Londra; [fig. 2] kandila delle isole Cicladi, 2800-3000 a.C.. Opera esposta dalla galleria Cybele di Parigi; [fig. 3]  Spilla con pendente a forma di sirena, 1870. Opera esposta dalla galleria Epoque Fine Jewels di Bruxelles

Informazioni utili 
Brafa Art Fair 2015 – Edizione numero 60. Tour & Taxis, Avenue du Port 86 C, B-1000 Bruxelles (Belgio). Orari: tutti i giorni, ore 11.00-19.00; giovedì 29 gennaio, apertura notturna fino alle ore 22.00. Ingresso: € 20,00; gruppi e minori di 26 anni € 10,00, gratuito per i bambini fino ai 12 anni. Catalogo: disponibile in mostra (€ 10,00). Informazioni: tel. +32(0)25134831 o info@brafa.be. Sito internet: www.brafa.be. Da sabato 24 gennaio a domenica 1° febbraio 2015.




lunedì 19 gennaio 2015

Venezia, un anno all’insegna dei fratelli Pollock alla collezione Geggenheim

Si è concluso con un record di visitatori il 2014 della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Nel corso dell’anno il museo lagunare ha, infatti, contato 396077 presenze durante i suoi 316 giorni di apertura, con una media giornaliera di 1253 ospiti. Questo eccezionale numero include i 7000 studenti e gli oltre 1000 insegnanti che hanno preso parte al programma di formazione «A scuola di Guggenheim», i 1500 bambini che hanno frequentato i laboratori domenicali del progetto «Kids Day» e le oltre 7700 persone che hanno visitato la collezione in occasione di inaugurazioni, visite speciali ed eventi istituzionali e privati.
Il 2015, che ha appena visto la chiusura della mostra «Azimut/H. Continuità e nuovo», visitata da oltre 110000 persone, renderà omaggio ai fratelli Pollock.
Tre mostre, tre percorsi allestitivi, unici e sorprendenti, porteranno i visitatori a contatto non solo con due massimi capolavori del genio indiscusso dell'Espressionismo astratto americano, Jackson Pollock, ma anche con le opere del meno noto fratello maggiore Charles.
Si comincia il 14 febbraio con una mostra scientifica a cura di Luciano Pensabene Buemi, conservatore della Collezione Peggy Guggenheim, e di Roberto Bellucci, restauratore all’Opificio delle pietre dure di Firenze. «Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia» è il titolo dell’esposizione, in programma fino al 6 aprile, che nasce da un importante progetto di studio e di conservazione delle opere dell’artista americano e che svela attraverso video, riproduzioni in 3D, touch-screen e strumenti interattivi l’esplosione dei colori ritrovati dopo il lungo intervento di pulitura alla quale è stata sottoposta la tela «Alchimia» («Alchemy»). Per l’occasione, l’opera, realizzata nel 1947, sarà esposta senza teca protettiva permettendo così al pubblico l’esatta lettura della sua complessa superficie tridimensionale.
La stagione espositiva proseguirà il 23 aprile con la prima tappa europea della mostra itinerante «Jackson Pollock Mural. L'energia resa visibile», curata da David Anfam, che fino al 9 novembre permetterà al pubblico di vedere a Palazzo Venier dei Leoni l'immenso «Murale» (1943, University of Iowa Museum of Art, Iowa City) realizzato dall'artista per l'appartamento newyorkese di Peggy Guggenheim. Il lavoro, con i suoi 6 metri di lunghezza, è la più grande opera di Pollock esistente al mondo, oggi considerata da una parte della critica il dipinto singolo più importante del XX secolo.
Parallelamente, le sale destinate alle mostre temporanee, presenteranno, fino al 14 settembre, la prima grande retrospettiva dedicata a Charles. La mostra, curata da Philip Rylands e realizzata grazie alla collaborazione dell'archivio Pollock di Parigi, allineerà un centinaio di opere tra dipinti, materiali e documenti, in parte inediti, oltre a lettere, fotografie e schizzi che analizzeranno il rapporto tra i due fratelli.
L'anno si concluderà con un tributo, il primo in assoluto nella storia, all'artista indiano Vasudeo Santu Gaitonde (1924–2001), visitabile dal 3 ottobre al 10 gennaio 2016. Con circa quarantacinque dipinti e opere su carta provenienti da oltre trenta importanti istituzioni pubbliche e collezioni private tra Asia, Europa e Stati Uniti, la mostra, intitolata «V.S. Gaitonde. Pittura come processo, pittura come vita» e curata da Sandhini Poddar, rivelerà al pubblico la produzione di questo solitario e singolare artista che sviluppò un proprio stile non-oggettivo impiegando spatole, rulli e un particolare procedimento di «rimozione».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ritratto di Jackson Pollock; [fig. 2] Jackson Pollock, «Alchimia» («Alchemy»), 1947. Olio, pittura d'alluminio (e smalto?) e spago su tela, 114,6 x 221,3 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 76.2553 PG 150; [fig. 3] Una sala della collezione Guggenheim di Venezia con opere di Jackson Pollock

Informazioni utili
Collezione Peggy Guggenheim - Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 - Venezia. Orari: 10.00-18.00; chiuso il martedì. Ingresso: intero € 14.00; ridotto convenzioni € 12.00; ridotto senior 65 € 11,00, studenti fino ai 26 anni € 8.00; gratuito 0-10 anni. Informazioni: tel. 041.2405411, fax 041.5206885, e-mail: info@guggenheim-venice.it. Sito web: www.guggenheim-venice.it.


venerdì 16 gennaio 2015

Bologna, trent’anni di Lawrence Carroll in mostra al Mambo

Sono gli anni Novanta quando Lawrence Carroll (Melbourne, 1954), uno dei maggiori rappresentanti della pittura contemporanea, noto per aver esposto al Padiglione della Santa Sede nell'ultima edizione della Biennale di Venezia, visita il Museo Morandi di Bologna. Il linguaggio intimo e privato del maestro emiliano, la sua ricerca focalizzata sulla rappresentazione di oggetti d'uso quotidiano sono una rivelazione. L'artista australiano, che deve la propria notorietà all'interesse del conte Giuseppe Panza di Biumo, collezionista appassionato e instancabile che gli fornirà la possibilità di esporre in spazi di particolare valenza architettonica come la varesina Villa Panza o il Palazzo della Gran Guardia a Verona, trova in Giorgio Morandi il suo maestro ideale.
Riveste, dunque, particolare interesse la grande retrospettiva che il Mambo - Museo d'arte moderna di Bologna dedica, in questi primi mesi del 2015, all'artista di Melbourne, le cui opere sono conservate in spazi quali il Moca di Los Angeles, la Galerie der Stadt Stuttgart di Stoccarda o il Guggenheim di New York.
«Ghost House», questo il titolo della mostra bolognese, racconta un percorso artistico di oltre trent'anni grazie a una sessantina di lavori prodotti dalla metà degli anni Ottanta a oggi, in molti casi mai esposti in precedenza e in alcuni realizzati per l'occasione.
Le opere, selezionate da Gianfranco Maraniello, saranno visibili fino a lunedì 6 aprile; la loro esposizione non segue un criterio cronologico: nell’area destinata alle mostre temporanee sono, infatti, stati creati degli ambienti «costruiti sulla memoria», per usare le parole dell’artista, nei quali «opere di diversi periodi sono messe in dialogo tra loro e con il contesto espositivo, nella convinzione -spiegano al Mambo- che un senso possa essere ricercato non solo nei singoli lavori, ma anche nelle relazioni tra di essi, considerati collettivamente e attraverso il tempo, come gli intrecci narrativi di una storia».
Costruendo da sé i telai, come usava fare Giorgio Morandi, Lawrence Carroll sperimenta le diverse possibilità della tela di porsi in relazione con lo spazio e di diventare tridimensionale come una scultura. Forme e volumi diversi, ora concavi ora convessi, interagiscono così con l’ambiente; ad arricchirli ci sono elementi e oggetti di vario genere, che si rivelano come inauditi frammenti poetici: fiori, lampadine, fili elettrici, scarpe, bastoni, stracci di tessuto.
Elemento costante nel lavoro dell’artista è, poi, l’utilizzo del monocromo: una particolare tonalità di bianco, definita dallo stesso a Carroll «off white color», ottenuta tramite strati successivi di pittura che lasciano trasparire imperfezioni, trame, tracce di interventi precedenti.
Si tratta di un panna-avorio lattescente che vuole essere quanto più possibile vicino a quello della tela; l’artista lo sceglie agli esordi senza sapere che diventerà una costante per i successivi trent'anni e a tutt'oggi non ne ha ancora esaurito le possibilità.
Il ricorso al bianco e l’uso di residui di vita quotidiana nelle tele -due, dunque, dei caratteri costanti nella produzione di Lawrence Carroll- creano un’atmosfera di studiata compostezza e di semplicità francescana nelle sale del museo bolognese. Passo dopo passo, il visitatore si trova immerso in un mondo di pura poesia, che è anche un invito a riflettere sulla drammaticità della vita e sulla finitezza di cui ogni uomo è testimone e protagonista. Lo documentano bene tutte le fasi creative dell’artista: dai box paintings ai page paintings, passando per i calendar paintings, gli slip paintings, i light paintings, gli erasure paintings e il più recente freezing painting. Quest'ultimo lavoro, noto per l'uso di novecento litri di acqua ghiacciata, che in qualsiasi momento possono ritornare dallo stato solido a quello liquido, è stato conosciuto dai più in occasione dell’ultima Biennale di Venezia.
Nuovi sono, invece, due dipinti di grandi dimensioni in cui predomina il giallo e altri che incorporano una fonte luminosa, ulteriore tappa, questa, di uno studio sul tema della luce, che ha caratterizzato il lavoro di Lawrence Carroll fin dagli inizi. (sam)

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Lawrence Carroll, Untitled, 1984. Olio su tela, 185,5 x 89 x 5 cm. Collezione dell'artista. Photo credit: Carroll Studio; [fig. 2] Lawrence Carroll, Untitled, 1984. Olio su tela, 254 x 180,3 x 3,8 cm. Collezione dell'artista. Photo credit: Carroll Studio; [fig. 3] Lawrence Carroll, Untitled, 1990. Olio, cera e tela su legno, 91,5 x 147,3 x 30,5 cm. Collezione dell'artista. Photo credit: Carroll Studio; [fig. 4] Lawrence Carroll, «Victory», 2009-2010. Olio, cera, tela, lampadine, fili elettrici, giornali, legno, 291 x 220 x 18 cm. Collezione: Dublin  City Hugh Lane Museum. Image courtesy: Dublin City Hugh Lane Museum. Photo credit: Carroll studio

Informazioni utili 
«Ghost House» - mostra personale di Lawrence Carroll. Mambo – Museo d’arte moderna di Bologna, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì e venerdì, ore 12.00-18.00; giovedì, sabato, domenica e festivi, ore 12.00-20.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 6,00; ridotto € 4,00. Informazioni: tel. 051.6496611 o info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 6 aprile 2015.



giovedì 15 gennaio 2015

Dalla Grande guerra alle trasformazioni urbane degli anni Ottanta: sguardi sulla Roma di ieri

Vent’anni di Roma in ottanta fotografie firmate da nove tra i più noti e indiscussi maestri italiani dell’obiettivo contemporaneo: si potrebbe riassumere così la mostra «Basilico, Berengo Gardin, Bossaglia, Chiaramonte, Cresci, Ghirri, Guidi, Jemolo, Koch», allestita fino a domenica 8 marzo nelle sale espositive del primo piano di Palazzo Braschi.
Dalla basilica di San Pietro a Castel Sant’Angelo, da piazza Navona al Pantheon, da Trastevere a Campo de’ Fiori, dalla Via Sacra al Palatino, sono tanti i luoghi familiari e inconfondibili che scorrono sotto gli occhi dei visitatori, mostrando le numerose e importanti trasformazioni che la città ha subito negli ultimi decenni, dal 1986 al 2006.
Emblematici in questo percorso urbano e fotografico sono, per esempio, due scatti dell’Ara Pacis, nei quali il monumento compare nell’assetto precedente e durante i lavori per l’attuale sistemazione ideata da Richard Meier.
La mostra a Palazzo Braschi offre, nel contempo, un’opportunità di riflessione sulla fotografia contemporanea e sulla sua ricerca di nuove iconografie del paesaggio urbano. L’arco di tempo raccontato focalizza, infatti, l’attenzione anche sul passaggio, importantissimo, dall’analogico al digitale e in questi anni nei quali si abbandonano i processi di ripresa sviluppo e stampa, la fotografia intesa come documento diventa opera d’espressione, superando la classica distinzione fra artista e fotografo. Appare così evidente lungo il percorso espositivo come gli autori in mostra non abbiano avuto come scopo primario quello di documentare una piazza o un palazzo, ma di interpretare i luoghi ritratti con il proprio inconfondibile linguaggio espressivo.
Le immagini esposte, selezionate da Anita Margiotta, provengono dalla sezione contemporanea dell’Archivio di Palazzo Braschi, depositario di una raccolta storica di notevole importanza e consistenza che testimonia l’evoluzione dell’arte fotografica a Roma dalle origini alla prima metà circa del Novecento.
Dallo stesso fondo giungono le trentacinque immagini selezionate per la mostra «Roma e la Grande Guerra. 1915 – 1918», a cura di Anita Margiotta e Maria Elisa Tittoni, che illustra come l’Urbe, pur lontana dal teatro degli scontri, affrontò da protagonista quegli anni.
Si scoprono così testimonianze di una città, dal 1870 capitale del regno d’Italia, ormai adeguata alle moderne funzioni di rappresentanza, con le ampie strade costruite dopo l’Unità, da via Veneto a via Tritone.
Tra gli scatti esposti ce ne sono alcuni attribuiti a Giuseppe Primoli che documentano l’incontro fra Guglielmo II e Leone XIII in Vaticano, e altri, assegnati a Carlo Tenerani, che mostrano il passaggio del corteo di Edoardo VII d'Inghilterra su via Nazionale, durante la sua visita del 1903. Henri Le Lieure De L’Aubepin, fotografo prediletto della corte sabauda e dell’aristocrazia piemontese, testimonia, invece, con le sue immagini la visita dell’imperatore Guglielmo II al Quirinale; mente alcuni scatti della Fotografia Molinari registrano l’arrivo di Gabriele D’Annunzio e l’attesa per il suo discorso in Campidoglio, nel maggio 1915, in favore dell’entrata in guerra.
Arricchisce la piccola, ma preziosa esposizione una carrellata di ritratti dei protagonisti di quegli anni: dai reali d’Italia a papa Benedetto XV, fermo oppositore del conflitto, dal presidente del Consiglio Antonio Salandra al ministro degli esteri Sidney Sonnino, entrambi favorevoli all’entrata in guerra a fianco della Francia e dell’Inghilterra, che avvenne ufficialmente il 24 maggio 1915.
Nella vetrina al centro della sala si trova, infine, esposta una preziosa testimonianza sulla difficile vita al fronte e su alcuni azioni di guerra nelle zone del Col di Lana, del Sas, de Stria o del costone di Bocche. Queste immagini sono tratte da due album provenienti da una collezione privata, fonte diretta di tre reduci romani che parteciparono al conflitto: i fratelli Emilio e Mario Giglioli e l’archeologo Giulio Quirino Giglioli.

Didascalie delle immagini
[Fig.1] Andrea Jemolo,Nuovo Ingresso dei Musei Vaticani, 2006. Archivio fotografico di Palazzo Braschi, Roma; [fig. 2] Luigi Ghirri, Campo dei Fiori, 1990. Stampa cromogenica. Archivio fotografico di Palazzo Braschi, Roma; [fig. 3] Carlo Tenerani, Passaggio del corteo di Edoardo VII in via Nazionale in occasione della sua visita a Roma, 27 aprile 1903. Archivio fotografico di Palazzo Braschi, Roma

Informazioni utili
«Basilico, Berengo Gardin, Bossaglia Chiaramonte, Cresci, Ghirri, Guidi, Jemolo, Koch. Fotografie di Roma dal 1986 al 2006.  Donazioni e committenze» e «Roma e la Grande Guerra. 1915 – 1918» Palazzo Braschi - Sale della fotografia, ingresso da Piazza Navona, 2 e da Piazza San Pantaleo, 10 - Roma. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00; la biglietteria chiude alle ore 19.00. Ingresso (integrato museo e mostra) intero € 11,00, ridotto € 9,00. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00 - 21.00). Sito internet: www.museodiroma.it. Fino all'8 marzo 2015.  

mercoledì 14 gennaio 2015

«Gentō-ban», diapositive dal Sol Levante

Monaci komusō che suonano lo shakuhachi, lottatori di sumo che si preparano alla battaglia, geishe che danzano o che passeggiano tra giardini in fiori, occidentali in risciò, vedute del Monte Fuji, vecchi lampioni a gas che illuminano le vie. Offre un ritratto a tutto tondo del Sol Levante, negli anni tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, la mostra «Gentō-ban. Il Giappone dell'Ottocento nelle diapositive della collezione Perino», a cura di Monica Luraschi, allestita fino a domenica 25 gennaio al Museo delle culture di Lugano, nell’ambito della Biennale dell’immagine di Chiasso.
Al centro dell’esposizione, con la quale si festeggiano i centocinquanta anni di relazioni diplomatiche tra la Svizzera e il Paese nipponico, ci sono una ventina di fotografie all’albumina, altrettante cromolitografie tratte da stereografie su cartoncino di T. Enami e soprattutto delicate diapositive in vetro, per la precisione centotrentuno gentô-ban (termine che significa «illusione di luce»), ottenute a partire da negativi fotografici o stereografici, finemente colorate a mano da maestranze locali, per essere poi proiettate su un muro bianco con la lanterna magica, una sorta di proiettore antesignano del cinema.
Queste straordinarie opere d’arte, raccolte dal medico Claudio Perino ed esposte per la prima volta al pubblico dopo la recente donazione al Museo delle culture di Lugano, rappresentavano uno dei souvenir prediletti dei primi turisti europei e nordamericani che veicolavano così tra parenti e amici la misteriosa bellezza di un mondo esotico e lontano dai tratti mitici.
Gli anni documentati dai lavori esposti al primo piano dell’Heleneum, esemplari della cosiddetta Scuola di Yokohama (per molti anni emarginata dalla critica, perché accusata di produrre opere «turistiche», e scoperta solo negli anni Settanta del Novecento) sono quelli del tumultuoso periodo Meiji (1868-1912), un’epoca ricca di contraddizioni nella quale il Giappone si aprì all'Occidente dopo secoli di isolamento, mostrando la magnificenza di una civiltà antichissima fatta di geishe e samurai, figure sospese tra vita quotidiana, spiritualità e tradizioni immortali.
Una nota merita, infine, l’allestimento che ricrea un'atmosfera il più possibile vicina a quella che il pubblico dell’Ottocento assaporava, riproducendo fedelmente uno spettacolo cinematografico, come quello prodotto con la lanterna magica, di cui potevano godere i rappresentanti dell'alta borghesia europea e nordamericana di allora.
La realizzazione di alcuni stereoscopi da parte del laboratorio del museo luganese permette anche la visione tridimensionale delle cromolitografie, come quella prodotta dagli stereoscopi originali. L’esposizione è, inoltre, corredata da una lanterna magica d'epoca e da uno stereoscopio a colonna in prestito dal Musée suisse de l’appareil photographique di Vevey, strumenti utili per rivivere quello spettacolo luminoso, vivace ed esotico che affascinava tanto gli occidentali di ritorno dal Giappone.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Anonimo, «Veduta del Monte Fuji dal Tokaido», Fujikawa Tokaido, 1898-1910 circa © 2014 Città di Lugano, Museo delle Culture, Collezione Perino; [fig. 2] Studio di T. Enami, «Maiko guardano anatre in uno stagno», 1890-1910 circa © 2014 Città di Lugano, Museo delle Culture, Collezione Perino; [fig. 3] Studio di Nakajima Matsuchi, «Geisha mentre danza», 1875-1890 circa © 2014 Città di Lugano, Museo delle Culture, Collezione Perino

Informazioni utili
«Gentō-ban. Il Giappone dell'Ottocento nelle diapositive della collezione Perino». Heleneum - Museo delle culture, via Cortivo, 24-28 - 6976 Lugano-Castagnola (Svizzera). Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00. Ingresso: intero ChF 12.-; ridotto Chf 8.- (Avs, Ai, Lugano card, Tessera Agip Plus, Tessera di soggiorno, Touring club italiano, giovani 17-25 anni). Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo (Milano). Informazioni: tel. +41.(0)58.866.6960/62. Sito internet: www.lugano.ch/museoculture. Fino al 25 gennaio 2015.