ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 22 maggio 2017

City Lego®: una città di mattoncini in mostra a Pesaro

Il mondo dei Lego va in scena a Pesaro, negli spazi del Centro arti visive Pescheria. Sono oltre sette milioni i celebri mattoncini per le costruzioni che il Lab - Literally Addicted to Bricks ha utilizzato per comporre il grandioso diorama di quindici metri per quattro ospitato, fino al prossimo 11 giugno, nello spazio ottagonale dell’ex chiesa del Suffragio e introdotto da gigantografie a tema Lego, allestite nel Loggiato.
City Lego®, in mostra nelle Marche per iniziativa di Kornice e con la collaborazione di Giuliamaria Dotto, è il frutto della fantasia di Wilmer Archiutti, fondatore del Lab, laboratorio creativo di Roncade, in provincia di Treviso, nato allo scopo di realizzare forme e architetture di Lego, uniche e irripetibili. I celebri mattoncini-giocattolo vengono assemblati con cura certosina e uno dei giochi più creativi di sempre si è trasformato in un vero e proprio mestiere, grazie a una squadra di bricks addicted, specializzati nella creazione di scenografie incredibili. Il progetto prende il nome di City Booming ed è il risultato di circa un anno di lavoro, iniziato nel 2012, con i pezzi provenienti dalla collezione di Wilmer, raccolta in quarant’anni anni di passione.
Una città vera e funzionante, con il centro commerciale, la fioreria, la pasticceria, il negozio di giocattoli, il negozio di animali, cinema e pinacoteche, e ancora, il quartiere residenziale con il barbiere e l’investigatore privato intento a consultare le mappe con la lente d’ingrandimento: tutto è ricostruito nei minimi dettagli.
Sono ricostruite persino le vite private negli appartamenti, arredati e illuminati, nei quali, ad esempio, padre e figlio si preparano da mangiare mentre qualcuno si rilassa nella vasca a idromassaggio o si prepara un caffè in cucina.
In questa fantastica città ci sono inoltre tantissimi personaggi famosi inseriti appositamente per focalizzare l’attenzione su alcuni dettagli del diorama: supereroi quali Batman, Wonder Woman, Spiderman, Hulk e molti altri si mescolano tra la folla ed è un incentivo a riconoscere momenti noti, ad esempio, l’arrivo alla prima di un film americano con tanto di red carpet calcato dai divi del jet set internazionale come Sean Connery.
Dal centro pulsante ai numerosi particolari naturalistici, i più disparati scenari convivono permettendo al visitatore di ammirare le competenze artistiche e i virtuosismi costruttivi.
Si tratta di un’esperienza unica nel suo genere che riunisce il lato ludico al lato artistico rivolgendosi non solo ai più piccoli ma anche agli appassionati, ai curiosi e a tutti coloro che amano ampliare i loro orizzonti: la presenza di video e immagini dell’interno delle costruzioni, permette infatti al pubblico di avere una percezione reale e tecnica di quanto è nascosto dietro ogni singola riproduzione. Si possono, per esempio, ammirare i sistemi di automazione e illuminazione, gru, elevatori e i meccanismi che fanno funzionare per esempio il treno o la coloratissima ruota panoramica all’interno di un Luna Park.
Quando, nel lontano 1932, l’olandese Ole Kirk Christiansen ebbe l’idea di creare i colorati mattoncini con cui sperava di intrattenere qualche bambino, non poteva di certo immaginare che stava dando forma a uno dei successi più clamorosi di tutti i tempi: capace di vincere latitudini ed ere, gli ormai celebri mattoncini, da giocattoli comuni sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo fino a essere considerati opere d’arte.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] ©Giulia Fedel / City Lego®

Informazioni utili
City Lego®. Centro arti visive Pescheria, corso XI settembre, 18 – Pesaro. Orari: 8 aprile – 11 giugno 2017 Orario da martedì a venerdì, ore 15.00-20.00; sabato e domenica e festivi, ore 10.00-21.00; lunedì chiuso (la biglietteria chiude mezz'ora prima). Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00 o € 4,00, biglietto famiglia € 20,00 (fino a 2 adulti € 6 cad + fino a 2 bambini € 4 cad + 3° bambino omaggio); ingresso libero > bambini fino a 6 anni non compiuti; disabili più accompagnatore; giornalisti con regolare tessera dell’Ordine nazionale. Informazioni: tel. 0721.387541 o pesaro@sistemamuseo.it. Sito internet: www.pesarocultura.it. Fino all’11 giugno 2017.

venerdì 19 maggio 2017

Dal Louvre a Perugia, all’abbazia di San Pietro una mostra sul Sassoferrato


È ritornata a Perugia «L’Immacolata Concezione» di Giovan Battista Salvi, noto con il nome di Sassoferrato. La magnifica pala, che faceva parte dei tesori della millenaria abbazia benedettina di San Pietro, era stata trasferita in Francia da Dominique-Vivant Denon, direttore del Musée Napoleon, per poi essere esposta permanentemente al Louvre.
A ottenere il rientro, naturalmente temporaneo, dell’opera è stata la Fondazione per l’Istruzione Agraria, presieduta dal professor Franco Moriconi, Magnifico Rettore dell’Università degli studi di Perugia.
La pala del Sassoferrato è ora esposta accanto a una quarantina di dipinti, in parte dell’autore stesso e in parte di famosi maestri ai quali egli si ispirò, a partire da Pietro Perugino, la cui purezza formale delle immagini ha lasciato un segno indelebile nella sua mente.
L’artista marchigiano, passato alla storia con il nome di «pittore delle belle Madonne» per la copiosa produzione di immagini devozionali della Vergine di grande successo, riservò pari attenzione alle opere umbre di Raffaello. All’artista si rende omaggio, tra l’altro, con il confronto fra due copie della sua «Deposizione Borghese», la prima di Orazio Alfani, la seconda di Giuseppe Cesari detto il cavalier d’Arpino, provenienti dalla Galleria nazionale dell’Umbria, e una bella versione dipinta dal Sassoferrato nel 1639.
La mostra, curata da Cristina Galassi con Vittorio Sgarbi, riserva, inoltre, uno spazio significativo alla cosiddetta Madonna del Giglio, immagine devozionale che assicurò grande notorietà al Sassoferrato. Se ne presentano tre versioni: le prime due provengono da Modena e da Bologna, la terza è di proprietà della Fondazione per l’Istruzione Agraria. In queste opere l’artista riprende un’antica immagine di culto realizzata da Giovanni di Pietro detto lo Spagna, dotatissimo seguace di Perugino e Raffaello.
La basilica con la sagrestia e la cripta, il campanile con la sua guglia protesa verso il cielo, simbolo di Perugia, i tre chiostri di luminosa fattura, la scala nuova che conduce al corridoio trecentesco e alle celle e ai dormitori dei monaci, l’antica aula capitolare e il refettorio, fino all’orto medievale, alla biblioteca e alla galleria d’arte fanno, infatti, di questo luogo uno scrigno che racchiude meraviglie e misteri da lasciare incantati i visitatori.
Ferdinand Gregorovius, nelle sue «Passeggiate per l’Italia» (1864-1871), scrisse, per esempio, di San Pietro: «la sua chiesa, una bella basilica, con antiche colonne di granito, è ritenuta come la gemma più preziosa della città, ed è un vero museo della pittura umbra. Contiene splendidi quadri del Perugino, di Orazio Alfani, del Doni, dello Spagna e di altri maestri, e preziosissime copie delle opere del Perugino e di Raffaello, eseguite dal Sassoferrato».
Un luogo di straordinario fascino, dunque, quello che accoglie le opere del Sassoferrato e che rende ancora più affascinante la mostra perugina, della quale rimarrà documentazione in un ricco catalogo pubblicato per l’occasione dall’editore Aguaplano., che raccoglie lo studio sistematico delle opere esposte, in aggiunta ad alcuni documenti inediti emersi dalle carte custodite nell’archivio della Basilica e di nuove fonti utili per la ricostruzione della vita del Sassoferrato.
«Di fronte a opere del genere -racconta Cristina Galassi- gli studiosi si sono legittimamente chiesti fino a che punto la pittura di Sassoferrato debba essere considerata originale. In realtà, e la mostra lo conferma in pieno, sarebbe sbagliato considerare il Salvi un mero imitatore, perché, come ha acutamente osservato Federico Zeri, egli non si limita a copiare le opere degli artisti presi a modello ma aggiunge sempre la sua personale interpretazione. Ciò emerge chiaramente dal confronto tra la bellissima «Maddalena del Tintoretto e la versione di mano del Sassoferrato, dove le forme turgide e quasi sensuali del pittore veneto vengono riproposte dal Salvi con un linguaggio più asciutto e temperato. In mostra non mancano, d’altra parte, opere in cui l’artista si palesa in tutta la sua eccezionale originalità. Ecco dunque la «Giuditta con la testa di Oloferne», un dipinto che non è esagerato includere tra i capolavori del Seicento italiano, la grande «Annunciazione della Vergine», opera di rara finezza esecutiva, i Santi Benedetto, Barbara, Agnese e Scolastica, lavori in cui l’artista, pur rispettando l’autorità dei modelli, mette da parte ogni forma di deferente imitazione. Esemplare, in tal senso, è anche la «Madonna con il Bambino e Santa Caterina da Siena», concessa dalla Fondazione Cavallini Sgarbi, autentico vertice della pittura religiosa del Seicento».
Tutte le opere del Salvi conservate in San Pietro furono commissionate dall’abate Leone Pavoni che resse per lunghi anni la comunità benedettina di San Pietro. Era di sua proprietà la magnifica Santa Francesca Romana con l‘angelo, oggi custodita nella sagrestia della basilica, per lunghi anni attribuita a Caravaggio, in realtà capolavoro di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino, uno degli interpreti più fedeli del maestro lombardo. In omaggio all’abate Pavoni, singolare figura di committente e collezionista, anche questa tela farà parte del percorso espositivo.
Il tutto permette di gettare nuova luce su un artista efficacemente definito da Adolfo Venturi aveva «un quattrocentista smarrito nel Seicento».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Immacolata Concezione, Parigi, Louvre; [fig. 2] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Barbara, Perugia, San Pietro; [fig. 3] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Barbara. Perugia, San Pietro; [fig. 4] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Caterina da Siena con Gesù Bambino, Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi

Informazioni utili
Sassoferrato. Dal Louvre a San Pietro. La collezione riunita. Complesso monumentale di San Pietro in Perugia, borgo XX giugno, 74 – Perugia. Orari: dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 19.00; da giugno a ottobre la chiusura è posticipata alle ore 20.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 075.33753 o cell. 328.6013446 o info@fiapg.it. Sito internet: www.sanpietroperugia.it o www.fondazioneagraria.it. Fino al 1° ottobre 2017. Prorogata al 15 novembre 2017.

giovedì 18 maggio 2017

Gli uomini di José Molina in mostra alla Reggia di Caserta

È l’uomo con il suo bagaglio di sentimenti, tensioni e inquietudini a caratterizzare la produzione artistica del madrileno José Molina, protagonista fino al prossimo 3 giugno della mostra «Paesaggio dopo la battaglia» allestita per iniziativa della Deodato arte di Milano nella prestigiosa cornice della Reggia di Caserta.
L’esposizione, per la curatela di Lorenzo Canova, allinea circa trenta opere tra dipinti, disegni e sculture, tra cui la nuova serie che dà il titolo all’appuntamento campano. In questi lavori, esposti anche grazie alla collaborazione dell’Ambasciata di Spagna in Italia e dell’istituto Cervantes di Napoli, sono descritti minuziosamente i temi cari all’artista, estremamente attento alla ricerca psicologica e antropologica. A tal proposito Lorenzo Canova scrive: «l’artista, come un grande romanziere lavora componendo grandi cicli con una lunga e paziente azione che sembra voler costruire una nuova grande Commedia Umana composta da capitoli serrati e analitici che attraversano la metamorfica e sfaccettata natura dell’animo umano, i suoi vizi e le sue virtù, in bilico perenne tra peccato e redenzione, tra misericordia e crudeltà».
I lavori di Molina popolati da uomini, demoni, animali, personaggi mitici ed eroi svelano l’identità dell’uomo, ciò che si tende a mostrare e ciò che si è spinti a nascondere. Viene ricomposto un universo fatto da frammenti enigmatici e contrastanti, da soggetti mostruosi e talvolta grotteschi, che ritraggono le innumerevoli sfaccettature dell’umanità.
Lo si evince nelle opere inedite, così come nei cicli storici «Predatores», «Los Olvidados», «Peccati e Virtù», esposti in mostra. In essi la stretta connessione con l’attualità, la politica e il potere sono un passaggio obbligato, rappresentato da un linguaggio metaforico molto forte, come nell’opera «Le Formiche II» (serie «Predatores»), dove un uomo saldamente ancorato alla terra con i denti vuole sopravvivere dominando i deboli, o nella tela intitolata «Senza cuore, senza occhi (Los Olvidados) », in cui un volto senza occhi, trasmette indifferenza, privato della capacità di essere empatico. La serie Los «Olvidados» si sofferma su figure sconosciute, dimenticate, esseri umani sconfitti, vinti e messi a tacere, inseriti in un contesto dove si privilegiano i peggiori anziché i meritevoli.
Nello sguardo di Molina sul genere umano non manca l’analisi dei peccati e delle virtù, rivisitati in chiave personale e attuale, con esasperazioni di gesti o elementi allegorici che riconducono ai vizi capitali. Così l’«Ira» è un volto aggrottato con due braccia alzate a pugni chiusi, la «Gola» diviene il ritratto di un uomo nell’atto di divorare un arto e la «Lussuria» è rappresentata da numerose lingue che lambiscono il corpo di una donna sdoppiata e coperta da veli leggeri.
Ad essi, nella serie «Peccati e Virtù», si aggiungono “nuovi vizi” legati alla società contemporanea fra cui l’indifferenza nei confronti delle responsabilità ben riprodotta nel volto di «Un altro giorno in paradiso», e l’avidità di potere ritratta in «Il guardiano delle chiavi» attraverso una figura dalle sembianze mostruose che sfoggia un’aggressività estrema nel difendere i propri privilegi.
L’opera «Pelle fredda ritrae invece chi subisce il peccato e non colui che lo compie, l’uomo rappresentato ha perso tutte le forze e di conseguenza la testa crolla all’indietro in uno stato di totale abbandono.
Un ulteriore approfondimento di queste tematiche è ripreso nelle sculture, realizzate in resina e legno acidificati. Nella serie «Morsi» l’artista si sofferma nuovamente sul potere inteso come manipolazione e oppressione, in contrapposizione al dialogo e alla comunicazione, quindi bocche, denti e mandibole assumono un ruolo centrale e di forte impatto visivo, ne sono esempio «Bunker», «Bucefalo» e «Il Sopravvissuto». Nel gruppo di sculture inedite «I feel», caratterizzata da lavori simili a grandi tazze labirintiche con una caratterizzazione umana all’esterno e a spirale all’interno, Molina dona tridimensionalità tattile alle emozioni e agli stati d’animo. Nella scultura «Io dubito», che unisce elementi della tradizione egizia, greco-latina e buddista, l’artista mette in luce la possibilità di trovare sempre una via d’uscita anche in situazioni complesse in cui il dubbio pone davanti molteplici scelte.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Jose Molina, Il Grande Fratello, 2017. Matita grassa su carta, cm 28,3 x 37,3. ©Ernesto Blotto; [fig. 2] Jose Molina, La bontà è una caramella dalla quale tutti vogliono strapparne un pezzo, 2017. Matita grassa su carta, cm 35,3 x 30,8. ©Ernesto Blotto; [fig. 3] Jose Molina, Lussuria, 2017. Olio su tavola, cm 147 x170. ©Ernesto Blotto

Informazioni utili
«José Molina. Paesaggio dopo la battaglia». Retrostanze del ‘700, Reggia di Caserta, via Douhet 2/A – Caserta. Orari: Appartamenti storici – tutti i giorni, dalle ore 8.30 alle ore 19.00 (ultimo ingresso alle ore 18.00), parco – dalle ore 8.30 alle ore 18.00 (ultimo ingresso alle ore 17.00); chiusura settimanale il martedì. Ingresso (con biglietto di ingresso della Reggia): intero € 12,00, ridotto € 6,00; solo Appartamenti storici - intero € 9,00, ridotto € 4,50. Informazioni: Opera Laboratori Fiorentini, tel. 0823.277468 o 0823.448084, caserta@operalaboratori.com. Fino al 3 giugno 2017.

mercoledì 17 maggio 2017

Riaperto al pubblico il Museo delle dogane svizzero


Installazioni sorprendenti e filmati in più lingue si propongono di far conoscere a un vasto pubblico l’operato dell'Amministrazione federale delle dogane, dei suoi uomini e delle sue donne. Il museo getta anche uno sguardo più approfondito sulla «gestione dei confini», tema particolarmente importante in un Paese piccolo e con una forte tradizione di neutralità qual è la Svizzera. Nelle sale della nuova realtà museale sono anche riassunte le sfide più contemporanee affrontate ogni giorno dalla dogana elvetica: sfide che si confrontano con tecnologie avanzatissime in un'epoca caratterizzata dal commercio globale e da una maggiore apertura dei confini europei.

Ha da poco riaperto i battenti alle Cantine di Gandria, nel Luganese, il Museo delle dogane svizzero, spazio espositivo che propone una riflessione articolata sulla storia locale, sulle tradizioni e sul folklore cui è legata l’attività del doganiere e della sua eterna controparte: il contrabbandiere.
Vero e proprio gioiello architettonico, incastonato in un ambiente naturale ancora incontaminato e raggiungibile solo per via acquea, l’edificio che ospita la ‘nuova’ realtà museale, diretta da Maria Moser Menna, è stato costruito nel 1835. Per quasi un secolo, ovvero sino al 1921, è stato una caserma con funzioni di posto di guardia del confine svizzero-italiano.
Nel 1935 un ufficiale ticinese, Angelo Gianola, ebbe l’idea di trasformare questo vecchio e ormai inutilizzato sito in un museo e chiese ai suoi colleghi di raccogliere oggetti che potessero raccontare la vita quotidiana delle guardie di confine.
L’apertura del nuovo spazio espositivo avvenne qualche anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1949. Nelle sale erano esposte inizialmente merci sequestrate, nascondigli e mezzi di trasporto fantasiosi con cui gli «spalloni» tentavano di portare il loro carico al di qua e al di là della frontiera. Anche per questo motivo, il Museo delle dogane svizzero è popolarmente conosciuto come il «Museo dei contrabbandieri».
Nel 1970 il progetto museale è stato rielaborato e la sede ristrutturata. Dopo la riapertura, avvenuta nel 1978, il museo ha conosciuto un crescente successo di pubblico, grazie ai continui aggiornamenti e ampliamenti dell’esposizione permanente e ad alcune mostre temporanee dedicate a temi particolari.
Ora prende il via una nuova stagione, che vede alla gestione il Museo delle culture di Lugano.
Lo sviluppo di cicli di esposizioni d’arte sul tema del confine e delle identità a confronto è uno degli elementi di maggiore innovazione proposti dal Museo delle dogane. E «L’isola degli dèi» è la prima mostra temporanea realizzata espressamente in questo àmbito. In contemporanea proseguirà fino alla fine al 20 ottobre 2018 l’esposizione «Non è tutto oro quel che luccica», incentrata sulla contraffazione e la pirateria.
La mostra dedicata a Gotthard Schuh, allestita fino al 22 ottobre, raccoglie una selezione di trenta splendide foto scattate nel 1938 a Bali; Le opere in mostra sono stampe a partire dai negativi del fondo Gotthard Schuh conservati alla Fotostiftung Schweiz di Winterthur.

Informazioni utili
Museo delle dogane svizzero. Cantine di Gandria – Lugano. Orari: dalle ore 13.30 alle ore 17.30. Ingresso: . CHF 3.-/1.50, ingresso gratuito per i bambini fino ai 6 anni. Note: il museo è aperto solo durante la stagione di navigazione del lago e rimarrà chiuso di inverno. Informazioni: museodogane@lugano.ch o tel. +41.795129907. Sito web: http://www.afd.admin.ch/publicdb/newdb/zollmuseum/it/index.php.

martedì 16 maggio 2017

A Brescia due mostre sulle Mille Miglia e il «mito della velocità»

Per Brescia è diventato un avvenimento in grado di catalizzare l’attenzione internazionale sulla città. Da ormai novant’anni le «Mille Miglia» trasformano la «Leonessa d’Italia» nel «più grande museo ambulante dell’automobile». Quest’anno l’appuntamento è fissato per le giornate dal 18 al 21 maggio e per l’occasione il nuovo Brescia Photo Festival rende omaggio alla celebre corsa che ha dato un volto al «mito della velocità» con una mostra negli spazi di Palazzo Martinengo Colleoni, sede del Ma.Co.f - Centro italiano di fotografia.
Rappresentare questa vera e propria «leggenda universale» in una rassegna che le rendesse omaggio senza cadere negli stereotipi delle fotografie esposte in tutte le vetrine del centro storico, addobbate ad hoc durante la manifestazione, non si configurava impresa semplice. Ma Renato Corsini e Paolo Mazzetti, i due curatori, ci sono riusciti con classe, allargando il campo di indagine per condurlo a una visione più grande del fenomeno legato all’automobile: il «mito della velocità» nelle sue molteplici declinazioni. «Ci è parso, questo, -spiegano gli organizzatori- il modo forse più significativo e diretto per dedicare a Brescia, nel novantesimo anniversario della Mille Miglia, un’esposizione in grado di far colloquiare immagini e collezionismo, storia e attualità».
La mostra, visitabile fino al 4 giugno, si configura così come un intenso racconto della nascita dell’epopea della corsa, dal 1927, anno di inizio delle Mille Miglia, a quel tragico pomeriggio del 12 maggio del 1957, quando la manifestazione venne funestata dall’incidente occorso alla Ferrari 335 S n. 531 condotta dal pilota spagnolo Alfonso de Portago e dal copilota statunitense Edmund Gurner Nelson, sul rettilineo tra Cerlongo e Guidizzolo, sulla strada napoleonica Mantova-Brescia.
Quelle prime, gloriose pagine di storia sono raccontate dalle immagini tratte dagli archivi dell’epoca, ma anche dai quotidiani e riviste che allora, come oggi, hanno fatto dell’impresa un mito.
La seconda sezione, intitolata «Dal futurismo allo smartphone», parte dall’originale del Manifesto del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti e passa attraverso le poesie del Vate Gabriele D’Annunzio, la letteratura moderna e la grafica delle locandine pubblicitarie, per arrivare alla messa in discussione della velocità stessa.
Nella sezione successiva della rassegna sono, invece, riuniti esemplari di alto collezionismo dei primi modelli di automobili da corsa, fino alle più popolari macchine di latta a pedali per bambini.
Non poteva, poi, mancare il cinema. Con le sequenze più significative dei film dove la velocità è affrontata come valore ma anche come occasione di divertimento, con sguardo ironico: dal «Sorpasso» di Risi al «Vigile» con Sordi, da «Crash» al «Maggiolino tutto matto».
La mostra si chiude con una sezione dedicata al mito delle Mille Miglia che espone le immagini di dodici autori quali Silvano Cinelli, Eros Mauroner, Ernesto Fantozzi, Laura Giancaterina, Basilio Rodella, Roberto Ricca, Richard B. Datre, Giacomo Bretzel, Paolo M. azzetti, Beppe Vigasio, Paolo Mucciarelli e Claudio Amadei.
In contemporanea sarà visitabile anche la mostra «90 anni - Mille Miglia», una ricca esposizione di auto che parteciparono alla corsa fra il 1927 e il 1957. Tra i modelli esposti ci sono: l’Alfa Romeo 6C 1500 Gran Sport Testa Fissa (Zagato) del 1933, la la Aurelia B20 GT (Pinin Farina) del 1951, la Lancia Astura Mille Miglia Sport (Colli) del 1938 e la Ferrari 340 MM del 1953 ri-carrozzata Scaglietti. Completano il percorso espositivo totem touch screen, rassegne stampa, video e immagini per dare un tocco di modernità all’esposizione.

Informazioni utili
«Mille Miglia. Il mito della velocità». Macof – Centro della fotografia italiana, via Moretto 78 – Brescia. Orari: giovedì-domenica, ore 15.00-19.30. Ingresso: intero € 12,00, ridotto gruppi e convenzioni € 9,00, ridotto over 65, 14-18, universitari € 7,00, ridotto 6-13 € 4,50. Informazioni: tel. 3455447029, e-mail info@macof.it. Fino al 4 giugno 2017.

«90 anni - Mille Miglia». Museo delle Mille Miglia, viale della Bornata, 123 - S. Eufemia (Brescia). Orari: tutti i giorni, ore 10.00-18.00. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00. Informazioni: tel. 030. 3365631 o segreteria@museomillemiglia.it. Fino al 7 gennaio 2018.