ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 3 novembre 2017

Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat in mostra a Milano

Va alla scoperta degli usi e dei costumi di uno dei popoli più affascinanti della Nuova Guinea la nuova mostra del Mudec, il Museo delle culture di Milano. Ha, infatti, da poco aperto le porte «Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat», primo momento di riflessione in un museo pubblico italiano su uno dei popoli più affascinanti dell’area oceanica.
Il percorso espositivo, che si è avvalso della collaborazione di Paolo Campione, direttore dell’omonimo museo di Lugano, presenta una selezione di circa centocinquanta opere appartenenti alla collezione Fardella-Azzaroli, concessa in comodato all’istituzione milanese, e alla raccolta Leigheb-Fiore, acquisita nel 2015 dal Comune, per incrementarne il patrimonio e colmare la dolorosa lacuna creatasi più di settanta anni fa a causa dei bombardamenti che colpirono il Castello Sforzesco, allora sede delle Collezioni etnografiche.
Attraverso sculture, armi, strumenti musicali, oggetti d’uso e rituali, i visitatori potranno approfondire non solo gli aspetti legati alla vita quotidiana delle popolazioni Asmat nel corso del XX secolo, ma conoscerne anche i complessi rituali e le tradizioni che legano indissolubilmente la pratica scultorea alla dimensione spirituale più profonda di questo popolo. Grazie ai rituali, secondo questo gruppo etnico, gli antenati entrano in contatto con i vivi e tornano alla vita attraverso le figure intagliate.
L’incontro con i popoli occidentali, avvenuto molto tardivamente, principalmente alla metà del secolo scorso, ha fatto conoscere al mondo questa loro straordinaria abilità artistica e di conseguenza il mondo rituale, caratterizzato anche dalle temibili pratiche del cannibalismo e della caccia alle teste, attirando così l’attenzione non solo dei collezionisti d’arte e degli artisti, ma anche di studiosi, antropologi ed etnografi, come il giovane Michael Rockefeller, tragicamente scomparso proprio durante una spedizione tra gli Asmat nel 1961. A tutt’oggi queste popolazioni continuano ad esercitare grande fascino e a suscitare vivo interesse essendo associati, nell’immaginario collettivo, ad un mondo primigenio e incontaminato: Sebastião Salgado ha scelto di realizzare alcuni scatti del suo recente progetto «Genesi», proprio tra queste popolazioni, quali testimoni viventi di un perfetto equilibrio tra uomo e natura.
Gli Asmat custodiscono, infatti, ancora oggi i tratti caratteristici della propria antica cultura, perfettamente adattata al difficile ecosistema in cui vivono, ma hanno anche saputo rinnovarsi e affrontare le sfide della modernità grazie alla mediazione di diversi gruppi missionari e all’avvio, nel 1968 del Fundwi (Fund of the United Nations for the Development of West Irian), uno specifico programma di aiuto allo sviluppo voluto dalle Nazioni Unite.
All’interno di questo programma prese infatti avvio l’«Asmat Art Project», un insieme di iniziative volte al recupero, come mezzo di sussistenza, della tradizione scultorea in parte indebolita dalla proibizione dei violenti rituali relativi al culto degli antenati, ai quali è profondamente legata.
Grande attenzione è riservata lungo il percorso espositivo, che propone anche un documentario e numerose fotografie, a due pali cerimoniali bis, alti più di quattro metri, interamente scolpiti e decorati con pigmenti naturali. Durante lo studio di queste particolari decorazioni sono emerse delle criticità relative allo stato di conservazione di uno dei due pali: la mostra diventa occasione per presentare al pubblico l’importante lavoro di ricerca sui questi temi e consentirà di osservare da vicino il lavoro dei restauratori, grazie ad un apposito allestimento.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Tamburo (em) sec. XX Legno/ scultura, pigmenti naturali 12 Museo delle Culture, Milano Coll. Mariangela Fardella, Giorgio Azzaroli Inv. FARDELLA 0014; [fig. 2] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Pannello sec. XX 2 Legno/ intaglio Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb Inv. SEA 00155; [fig. 3] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Ornamento nasale (bipane) sec. XX 7 Conchiglia/ intaglio, rafia, cera d'api Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb. Inv. SEA 00174

Informazioni utili
«Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat». Mudec – Museo delle Culture, via Tortona, 56 – Milano. Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; martedì / mercoledì / venerdì / domenica, ore 09.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Biglietto: intero 5,00, ridotto € 3,00.Informazioni: 0254917 (lun-ven, ore 10.00-17.00). Sito internet: www.mudec.it. Fino all’8 luglio 2018

giovedì 2 novembre 2017

«Con precise parole», al cinema teatro Manzoni di Busto si va a scuola di dizione

L'orologio batte le vénti o le vènti? Ti chiedi il perché o il perchè delle cose? Hai gettato l'àncora o l'ancóra? Ha magiato una pésca o una pèsca? Sono tanti i dubbi sulla corretta pronuncia delle parole italiane che vengono in mente quando si sta parlando. A chi fosse curioso di conoscere l’«italiano neutro» parlato dai professionisti della voce (attori, doppiatori, speaker e presentatori) viene incontro «Culturando» con un nuovo progetto della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», realtà educativa votata principalmente alla formazione dei giovani in età scolare (dai 5 ai 23 anni) nell’ambito delle discipline connesse al mondo dello spettacolo (recitazione, danza, canto e scrittura drammaturgica).
Mentre si sta valutando l’avvio per il lunedì o il mercoledì di ulteriori due classi per i corsi «I piccoli attori» (dai 5 ai 10 anni) e «Attori in erba» (dagli 11 ai 15 anni), che registrano attualmente la presenza di una quarantina di bambini per il progetto sulla Commedia dell’arte in agenda tutti i venerdì pomeriggio, l’associazione olgiatese propone agli amanti del teatro e a chi quotidiamante lavora a contatto con il pubblico il corso di dizione, comunicazione e public speaking «Con precise parole».
L’open day di presentazione del progetto, riservato agli adulti dai 18 anni in su, è fissato per la mattinata di sabato 4 novembre, dalle ore 10 alle ore 12, negli spazi del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio; un ulteriore incontro informativo ci sarà venerdì 10 novembre, dalle ore 21 alle ore 23.00, negli spazi dell’oratorio «San Filippo Neri» della parrocchia San Michele Arcangelo (in via don Albertario, 10).
Venti gli incontri in agenda di un’ora e trenta ciascuno (il venerdì sera, dalle ore 20.30 alle ore 22.00), che si propongono di far acquisire ai presenti una maggiore sicurezza nel parlare in pubblico, un uso più vario e consapevole della propria intenzione vocale e, in generale, un modo più efficace di gestire la propria comunicazione.
«Questo -spiega Davide De Mercato, attore professionista che collabora stabilmente con la compagnia «Il carro di Tespi - Fratelli Miraglia» di Milano e che segue alcuni progetti di didattica teatrale per «Culturando»- avverrà mediante diverse fasi e proposte. Si inizierà con lo studio delle regole base di dizione: le è aperte e le é chiuse, le ò aperte e le ó chiuse, la s sorda e la s sonora, la z sorda e la z sonora. Si faranno, poi, diversi esercizi di respirazione e utilizzo del diaframma, per lavorare sull’emissione vocale, sulla durata, sul suono lungo, sui toni e sul volume della voce. In questa secondo fase si giungerà, inoltre, a gettare le basi della modulazione della voce per riuscire a interpretare un testo. Sono, infine, previste improvvisazioni individuali e di gruppo mediate dal teatro in cui sperimentare contesti significativi di comunicazione, da quella professionale a quella più intima».
«Con precise parole» proporrà, come tutti i progetti di «Culturando», anche un momento di confronto con il palcoscenico: i corsisti saranno, infatti, coinvolti nel saggio-spettacolo «Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo», lettura drammatizzata delle lettere scritte da Aldo Moro nei cinquantacinque giorni di prigionia, in cartellone nella serata di mercoledì 9 maggio 2018, in occasione del Giornata nazionale per il ricordo delle vittime del terrorismo.
Il saggio-spettacolo rientra nella mini-rassegna «1978, un anno su cui riflettere», progetto che «Culturando» sta ideando per la primavera e l’estate 2018, teso ad affrontare la vicenda e il pensiero di figure che hanno scritto la storia di quell’anno, da Sandro Pertini ai papi Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.
Nella stessa rassegna si inserisce il saggio-spettacolo «Se si insegnasse la bellezza...», dedicato alla figura di Peppino Impastato, che coinvolgerà gli iscritti al corso di educazione allo spettacolo e alla teatralità «I giovani artisti» (dai 16 ai 23 anni), le cui lezioni si tengono il lunedì pomeriggio, dalle 17 alle 19, e del quale le iscrizioni rimarranno aperte fino a gennaio 2018.
In queste settimane, «Culturando» sta, inoltre, raccogliendo le adesioni per un progetto rivolto ai bambini dai 7 ai 15 anni interamente dedicato al musical, a cura di Serena Biagi e Anna De Bernardi, insegnanti rispettivamente di danza e canto per «Culturando», entrambe fresche di studi all’«MTS – Musical! The School», accademia professionale di spettacolo con sede a Milano (il corso partirà al raggiungimento dei dodici iscritti, in orari da definire).
La scheda di iscrizione ai corsi di «Culturando» attualmente attivi, con le informazioni dettagliate sui calendari e sui costi, sono scaricabili al link https://goo.gl/E3ZByW.

mercoledì 1 novembre 2017

A Padova la Belle Ѐpoque di Lino Selvatico

«Squisito indagatore dell'anima, a traverso le fattezze del volto umano»: così lo storico Pompeo Molmenti definì Lino Selvatico (1872-1924), uno dei ritrattisti veneti più in voga del primo Novecento, al quale Padova dedica, negli spazi dei Musei civici agli Eremitani, un'ampia retrospettiva con oltre cinquanta dipinti e una sessantina di opere grafiche, quest'ultime mai esposte al pubblico. L’esposizione è stata realizzato dall’Amministrazione comunale e vede la curatela di Davide Banzato, Silvio Fuso, Elisabetta Gastaldi e Federica Millozzi.
Figlio del poeta e commediografo Riccardo Selvatico, sindaco di Venezia sul finire dell'Ottocento, ma soprattutto e ideatore della Biennale internazionale d’arte, Lino nacque accidentalmente a Padova, dove la famiglia aveva forti interessi commerciali, e, dopo gli studi in Legge nell’ateneo patavino, intraprese la strada della pittura esordendo alla Biennale veneziana del 1899 e, poi, partecipando a quasi tutte le successive.
Mostrò da subito le grandi potenzialità che lo avrebbero presto condotto al successo. Come ritrattista era dotato di mezzi tecnici ed espressivi personali e sicuri, con un’abilità del tutto inedita nel rendere l’aura e la personalità del personaggio effigiato. Così, grazie anche a una rete di relazioni di primo piano, le commissioni da ambienti alto borghesi e nobili divennero sempre più numerose, giungendo in qualche caso anche da esponenti di case reali, come fu per il ritratto di Alfonso III di Borbone, giovane re di Spagna, realizzato nel 1922.
Accanto ai ritratti di tono mondano, apprezzati soprattutto per la «scintillante perizia nella stesura di un colore vivo e vibrante», Lino Selvatico fu ammirato dal pubblico anche per le sue note di maggiore intimità e l’attenzione a spunti di verità derivati dalla vita quotidiana, raffigurati con spirito familiare e affettuoso.
Mondanità e passione quotidiana sono, dunque, i due tratti che connotano il percorso creativo e umano del pittore veneto, frequentatore di intellettuali e artisti tra i più conosciuti del tempo, ben introdotto nei circoli di Venezia e Milano, ma anche nei salotti parigini, amico della famiglia Sarfatti e stimato da critici autorevoli come Primo Levi, Pompeo Molmenti, Vittorio Pica e il potentissimo Ugo Ojetti.
Sono numerose le mostre nazionali alle quali l'artista prese parte, dall’Esposizione di Belle arti a Roma nel 1907 a quella Nazionale di Brera nel 1908, passando per rassegne internazionali a Monaco, Dusseldorf, Buenos Aires e Dresda, ritornando sempre, dopo questo bagno di mondanità, nella dimensione familiare delle sue abitazioni, a Mira e Biancade, nella celebre Villa dell’Orso.
Nelle tele dell’artista spicca, oltre ai ritratti, il mondo «altro» dell’infanzia e dei più poveri, con una certa vocazione al naturalismo di fine Ottocento. Selvatico era, infatti, un artista in continua evoluzione, «capace -scrive Davide Banzato nella sua introduzione al catalogo della mostra, edito da Grafiche Turato- di combinare a una visione sostanzialmente realistica spunti dal simbolismo e dal liberty e seguire il nuovo vento che spirava sulle arti durante e dopo gli anni travagliati del primo confitto mondiale».
Grande spazio nella mostra hanno i nudi che il pittore riesce a trasfondere stati d’animo che vanno dalla semplice ammirazione formale, all’eleganza della linea e delle forme, fno a una vera passione per il femminile. Le donne rimangono protagoniste dei suoi dipinti, anche descritte nella loro nudità ma sempre come icone moderne: nelle loro pose, con le loro sigarette e il loro languore.
Sono questi aspetti emblematici dell’arte di Selvatico, che emergono anche nella ricca e ancora poco nota produzione grafica (rinvenuta solo nel 2008), esposta a Padova in dialogo con i dipinti. Il pubblico potrà così approcciarsi a studi preparatori e interpretazioni grafiche dei soggetti cari all’artista, rivelatori della sua altissima qualità di disegnatore e incisore, sperimentatore di tecniche raffinate in particolare, appunto, negli stupendi nudi femminili.
Selvatico si scopre dunque ricercatore di perfezione tanto nella pittura, con colori corporei ma allo stesso modo evanescenti, quanto nello studio del segno e soprattutto nell’opera incisoria, una tecnica che non ammette errori e che egli aveva appreso da Emanuele Brugnoli, fondatore della libera scuola di incisione - dopo la chiusura della relativa cattedra all’Accademia di Belle Arti nel 1875 - che regalerà a Lino il torchio ricevuto anni prima da Whistler.
Nella grafica sono evidenti i richiami all’espressionismo di area tedesca e in particolare al simbolismo di von Stuck. Era certamente difficile, nell’epoca in cui in Europa s’imponevano le avanguardie, essere innovativi, soprattutto in ambito italiano, ma Selvatico nel suo corpus grafico esprime originalità, sperimentando diverse tecniche - carboncino, grafite, gessetti, pastelli, sanguigna, acquarelli – e raggiungendo notevoli effetti chiaroscurali e luministici. Quella grafica è comunque una produzione più intima, in cui il pittore ricerca e libera la fantasia nel fissare i gesti del piccolo Riccardo come nel ritrarre le sue modelle nude, spesso erotiche ma mai volgari, mantenendo armonia ed eleganza compositiva: una produzione che egli volle tenere con sé fino alla morte, giunta prematuramente nel 1924, a soli 52 anni.

Didascalie delle immagini
[Fig.1 ] Lino Selvatico, La maschera. Olio su tela, cm 75,7x62,8; [fig. 2] Lino Selvatico, Il gatto, 1920. Olio su tavola, cm 45,2x59,4; [fig. 3] Lino Selvatico, Nudo femminile che si pettina. Tecnica mista su compensato, cm 25,3x20; [fog. 4] Lino Selvatico, Studio di nudo femminile, 1920. Olio su cartone, cm 24,2x18,5

Informazioni utili
Lino Selvatico. Mondanità e passione quotidiana.  Musei Civici agli Eremitani, piazza Eremitani 8 - Padova. Ingresso: dal martedì alla domenica, ore 9-00-19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto €  8,00. Informazioni: tel. 049.8204551. Sito internet:
http://padovacultura.padovanet.it/it/musei/complesso-eremitani. Fino al 10 dicembre 2017. Prorogata al 28 gennaio 2018. 

martedì 31 ottobre 2017

«Non mi hai più detto ti amo», Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia conquistano il Manzoni di Busto

Sì è aperta con un «tutto esaurito» la stagione 2017/2018 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Quasi settecento persone hanno assistito venerdì 27 ottobre all’ironica e intelligente commedia «Non mi hai più detto ti amo», scritta e diretta da Gabriele Pignotta, con cui la sala di via Calatafimi ha scelto di inaugurare il suo cartellone di otto spettacoli, che nei prossimi mesi vedrà in scena protagonisti del teatro italiano quali Geppi Cucciari, Paola Quattrini, Vanessa Gravina, Emanuela Grimalda, Valentina Lodovini, Ivano Marescotti e Max Pisu.
Gran parte del merito di questo successo spetta senz’altro ai due protagonisti della serata: Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, attori molto amati dal grande pubblico, ritornati da poco in coppia sul palcoscenico, a vent’anni dal musical «Grease» e per la prima volta in uno spettacolo di prosa.
Al centro della commedia, che si è chiusa con quasi cinque minuti di applausi, c’è la storia di una famiglia in cui molti spettatori possono ritrovarsi. Lorella Cuccarini è Serena, una madre che, a seguito di una notizia traumatica, trova la forza di mettersi in discussione per riscoprire il suo essere donna e per rispolverare i suoi studi di architettura, messi nel cassetto con il matrimonio. Giampiero Ingrassia è suo marito, Giulio, un medico affermato che reagirà al repentino cambiamento della moglie, riscoprendo, finalmente, il suo ruolo di padre e la voglia di ritornare a corteggiare e a dire «ti amo».
Accanto a loro in scena, nella parte dei figli, ci sono due giovani e validi attori, Raffaella Camarda e Francesco Maria Conti, che danno voce e corpo alle difficoltà che si ritrovano a vivere dei ragazzi in età scolare, con le proprie insicurezze e i propri bisogni, la cui vita viene stravolta dal destino beffardo. Non è una situazione facile, ma «alla fine -come raccontano dalla produzione, che vede alla guida la Milleluci Entertainment- ognuno riesce a trovare delle risorse interiori inaspettate che portano la famiglia a ricomporsi».
A completare il cast c’è il baritono pisano Fabrizio Corucci nella parte del signor Morisini, un ingombrante e simpatico paziente di Giulio, che si insinua nella vita della coppia con i suoi tic e le sue idiosincrasie, regalando sorrisi e colpi di scena. Il risultato è uno spettacolo dall’ingranaggio teatrale perfetto, una commedia divertente e fresca, colorata di accenti che offrono spunti per riflettere sulla coppia alla prova della quotidianità e del tempo che passa.
Si è aperta, dunque, nel solco della tradizione, che vede da oltre quarant’anni il Manzoni di Busto Arsizio offrire al suo pubblico qualificati appuntamenti con i più importanti attori del teatro italiano, la nuova stagione, intitolata ancora una volta «Mettiamo in circolo la cultura». Un obiettivo, questo, riuscito. Osvaldo Gallazzi, responsabile del marketing e della comunicazione, ha, infatti, affermato, a chiusura della serata, mentre nel foyer Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia firmavano autografi ai loro fan, che «la vendita degli abbonamenti quest’anno ha registrato un aumento del 10%, così come c’è stato un maggior interesse da parte dei sostenitori per la proposta culturale della stagione che offre al pubblico otto tra i migliori spettacoli del circuito nazionale».
A fare gli onori di casa è stato, invece, Marco Bianchi, direttore organizzativo del Manzoni, che ha comunicato agli abbonati un cambio di spettacolo in cartellone. Venerdì 9 marzo 2018 la commedia «L’ispettore Drake e il delitto perfetto» del britannico David Tristram, che avrebbe dovuto vedere in scena Sergio Assisi, sarà sostituita dallo spettacolo «Alla faccia vostra!» di Pierre Chesnot, con Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, che mette a nudo la parte più meschina e cinica dell’animo umano, parlando di soldi e di eredità contese. Sempre Marco Bianchi con una e-mail ai membri del direttivo della sala, che vede alla guida per la parte artistica Maria Ricucci dell’agenzia «In Teatro» di Opera (Milano), ha tracciato un bilancio della serata: «è stato un gran successo di pubblico, ma soprattutto di apprezzamento. Qualcuno ci ha detto «Finalmente uno spettacolo come si usava fare una volta al Manzoni» e ci ha apertamente ringraziato. Volevo condividere con tutti voi questi ringraziamenti e apprezzamenti, che danno valore al nostro impegno necessario a portare in scena questo spettacolo e a realizzare tutta la stagione teatrale».
Il prossimo appuntamento ci sarà venerdì 17 novembre, quando sul palco della sala di via Calatafimi salirà Sergio Sgrilli, uno dei senatori di «Zelig», con «20 in poppa», uno show celebrativo e interattivo in bilico tra comicità d’autore e buona musica. Il botteghino riaprirà nella giornata di venerdì 10 novembre, ma i biglietti per tutti gli spettacoli sono già acquistabili, tramite il circuito Crea Informatica, on-line sul sito www.cinemateatromanzoni.it.

Per saperne di più
Il programma teatrale del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio 

lunedì 30 ottobre 2017

«Il capriccio e la ragione», in mostra a Prato la moda settecentesca

Il Settecento vive una stagione artistica ricchissima e varia, espressione di stimoli e cambiamenti che nascono da consapevolezze culturali e conoscenze acquisite nel secolo precedente e, allo stesso tempo, da nuove ed esaltanti scoperte che accelerano i tempi di sviluppo della società civile europea in tutti gli ambiti del sapere.
A questo periodo storico guarda la mostra «Il capriccio e la ragione» , allestita fino al prossimo 29 aprile negli spazi del Museo del tessuto di Prato, collocato, insieme alla Biblioteca comunale Lazzerini, all’interno dell’ex Fabbrica Campolmi, il più monumentale esempio di archeologia industriale tessile toscana (8.500 mq), recuperata dall’Amministrazione comunale per trasformarla in polo culturale cittadino.
Oltre cento reperti tra tessuti, capi d’abbigliamento femminili e maschili, porcellane, accessori moda -quali scarpe, bottoni, guanti, copricapi- dipinti e incisioni raccontano e motivano puntualmente i continui e significativi passaggi di stile che si susseguono nel XVIII secolo, dall’esotismo ai capricci compositivi dei primi decenni fino alle forme classiche austere dell’ornato neoclassico.
La mostra si avvale della determinante e prestigiosa collaborazione del Museo della moda e del costume delle Gallerie degli Uffizi, del Museo Stibbert di Firenze e della Fondazione Ratti di Como, nonché di altre prestigiose istituzioni sia pubbliche che private, che hanno permesso la costruzione di un percorso espositivo unico ed inedito su un secolo così ricco e complesso come il Settecento.
Nella prima parte dell’esposizione i temi riguardano l’esotismo, un contenuto importante che trae origine nel XVII secolo per effetto delle nuove conoscenze geografiche dovute ai traffici commerciali, alle ambascerie e all’azione delle missioni degli ordini religiosi nelle parti più estreme dell’Oriente, che portano all’attenzione di un vasto pubblico beni di lusso e di consumo che generano interesse e curiosità per le loro particolari e raffinate caratteristiche.
Lacche, porcellane, tessuti, dipinti su carta esprimono, infatti, linguaggi artistici che giocano su parametri compositivi ed estetici differenti da quelli maturati dalla tradizione europea e, pertanto, ricercati per la loro stravaganza e originalità.
I soggetti, la composizione delle scene e l’inattesa palette cromatica determinano una profonda trasformazione del gusto verso l’esotismo che ricade sulle produzioni delle maggiori manifatture europee, coinvolgendo principalmente la produzione di beni di lusso.
Questo nuovo flusso di idee alimenta in primis l’attività delle manifatture francesi che, a fine Seicento, vivono una stagione prolifica grazie alle riforme apportate dal governo di Luigi XIV.
La Francia è la prima nazione in Europa che innesca una filiera organizzata di saperi che si declinano in tutti i settori delle arti. Artisti come Charles Le Brun, Antoine Watteau, Jean Berain e François Boucher dedicano parte dell’attività creativa alla progettazione di ornati e impianti decorativi per tessuti, decorazioni pittoriche, argenterie che mediano l’ordine compositivo tradizionale con temi e forme della cultura orientale. L’accostamento dei tessuti alle più diverse tipologie di manufatti e tecniche artistiche permette al visitatore di avere una visione completa di tutti gli stili che attraversano il secolo – bizarre, chinoiserie, dentelles, revel, solo per citare alcuni tra i principali esempi della produzione tessile settecentesca – venendo così a creare un costante dialogo sia con i capi d’abbigliamento e gli accessori moda, sia con gli altri elementi d’arredo.
Gli straordinari quanto rari capi d’abbigliamento maschili e femminili provenienti dal Museo della moda e del costume delle Gallerie degli Uffizi raccontano la significativa trasformazione delle fogge di questo secolo: dai generosi volumi della robe à la français -ridondanti e con temi mutuati dalla natura (fiori, frutta, conchiglie, cartigli, paesaggi)- si passa alla riduzione della robe à la polonaise fino alla citazione classicista della robe en chemise, che molto deve all’avvio di campagne archeologiche tanto in voga sul finire del secolo.
Il passaggio di forme nell’abbigliamento segue fedelmente lo sviluppo culturale e sociale del tempo: si passa così dai fasti della corte francese alle comodità dello stile di campagna della nobiltà inglese degli ultimi decenni del secolo, quella del Grand tour, tanto interessata al tema delle «rovine» e a scenette esotiche, capricci con rovine e personaggi, piccole vedute con tempietti classici, mazzetti di fiori che si dispongono nelle anse.
Nel percorso della mostra sono presentati capi d’abbigliamento maschili e femminili che, contestualizzati con altri manufatti, raccontano la significativa trasformazione delle fogge di questo secolo. Tra l’altro, i tessuti operati in seta e preziosi filati metallici del museo pratese e della Fondazione Ratti di Como –custode di una straordinaria collezione di tessuti antichi con rarissimi esemplari in seta proprio del Settecento europeo– dialogano lungo il percorso espositivo con i preziosi gilet e le pregiate porcellane di manifattura cinese, Ginori e Sèvres, proveniente da quello scrigno di tesori che è il Museo Stibbert di Firenze, custode di un patrimonio di oltre cinquantamila oggetti tra costumi, armi e armature, arazzi, oggetti di arredo e di arte applicata.
Dalla Biblioteca nazionale Centrale di Firenze proviene un nucleo di volumi di argomento diverso, databili dalla seconda metà del XVII alla fine del XVIII secolo, fondamentali per comprendere la nascita e lo sviluppo dei diversi filoni stilistici che attraversano il secolo: dai repertori di motivi decorativi presenti nei volumi sulle ambascerie delle Compagnie delle Indie in Cina e Giappone alla rappresentazione delle creazioni di oggetti di arte applicata di stile rocaille, fino alle incisioni con soggetti archeologici che avranno un enorme ricaduta nella nascita e sviluppo del gusto neoclassico, affermatosi nel seconda metà del secolo.
In questo contesto si collocano -tra i complementi di abbigliamento appartenenti al Museo Stibbert- una curiosa serie di bottoni cameo in vetro e in porcellana con soggetti classici ripresi dai maggiori capolavori dell’arte greco romana, prodotti dalla manifattura inglese di Wedgwood nell’ultimo quarto del Settecento. Dal Museo Salvatore Ferragamo proviene, invece, un nucleo di calzature del XVIII secolo che rappresentano il nucleo storico della collezione avviata dallo stesso stilista come archivio di studio per le sue straordinarie creazioni.
Completano il percorso una serie di quadri provenienti dal Museo di Palazzo Pretorio e da importanti gallerie antiquarie fiorentine, che rappresentano una panoramica significativa di autori europei e soprattutto di soggetti che dialogano con i motivi decorativi rappresentati nei tessili: dalla pittura di genere ai cosiddetti capricci, dalle nature morte di fiori e frutta ai paesaggi animati da scenette popolari o da antiche rovine della classicità. Il tutto concorre a creare lo stile di un’epoca, dominata dal capriccio e dalla ragione, dall'eccesso e dalla semplificazione delle forme.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Corpetto femminile, Italia. Sec. XVIII, terzo quarto. Gros de Tours liseré broccato. Corpetto femminile steccato diviso in due metà collegate da stringhe.Firenze,
Museo Stibbert, n.inv. 14034; [fig. 2] Abito femminile, manifattura italiana, 1765 ca.Firenze, Museo della moda e del costume Gallerie degli Uffizi, n.inv. T.A. 3735-37; [fig. 3] Paio di pianelle in broccato di seta con opera a motivo floreale e trame in filo metallico dorato. Ruche decorativo in seta verde al collo del piede. Firenze, Museo Salvatore Ferragamo, n. inv. SC0000520; [fig. 4] Ventaglio con stecche di avorio intagliate e dipinte; ventola in carta dipinta con scene galanti e decori floreali, Italia. Sec. XVIII. Avorio intagliato, dorato e dipinto, carta dipinta. Firenze, Museo Stibbert, n.inv. 13916; [fig. 5] Pieter Kaastel III, Vasi di fiori , 1730-1740. Firenze, Tornabuoni Arte

Informazioni utili
Il capriccio e la ragione. Eleganze del Settecento europeo. Museo del Tessuto, via Puccetti, 3 – Prato. Orari: martedì – giovedì, ore 10.00-15.00; venerdì e sabato, ore 10.00-19.00; domenica, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì.  Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Sito web: www.museodeltessuto.it. Fino al 29 aprile 2018