ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 4 maggio 2018

L’ «Allegoria del Sonno» di Alessandro Algardi è a Bologna

È frutto di un rapporto di scambio e collaborazione con la Galleria Borghese di Roma la mostra, a cura di Alessandra Mampieri, che il Museo civico di Bologna dedica ad Alessandro Algardi (Bologna, 27 novembre 1598 – Roma, 10 giugno 1654) e alla sua scultura «Allegoria del Sonno». L’opera, esposta per la prima volta nella città natale dell’artista, arriva in Emilia Romagna in seguito al prestito fatto nei mesi scorsi dai Musei civici felsinei del «Busto di papa Gregorio XV», recentemente esposto nella grande mostra capitolina dedicata al genio del barocco.
Alessandro Algardi, massimo rappresentante della corrente classicista nel periodo di piena fioritura della cultura figurativa barocca, inizia il suo cammino artistico a Bologna, dove frequenta l'Accademia degli Incamminati, allora guidata da Ludovico Carracci, e al contempo acquista dimestichezza con la scultura al fianco di Giulio Cesare Conventi. Nel 1619 circa si trasferisce alla corte dei Gonzaga, a Mantova, e, dopo un breve soggiorno a Venezia, nel 1625 giunge definitivamente a Roma, dove entra al servizio del cardinale bolognese Ludovisi in qualità di restauratore. Membro dell'Accademia di San Luca dal 1630, ne diviene Principe nel 1639. Intorno alla metà degli anni Trenta si afferma sulla scena capitolina, ricevendo prestigiose commissioni sia per statue dalle dimensioni contenute destinate a collezioni private.
Esemplare in tal senso è la scultura «Allegoria del Sonno», realizzato tra il 1635 e il 1636 su commissione del principe Marcantonio Borghese. Si tratta di un prezioso marmo nero raffigurante un putto con leggere ali di farfalla placidamente addormentato; le capsule e le foglie di papavero da oppio che ne incoronano i capelli ricciuti, al pari del piccolo ghiro acciambellato sulla roccia, sono soggetti allegorici che alludono simbolicamente al sonno.
Il trattamento del marmo in questa opera di grande compostezza compositiva appare magistrale, sia nel contrasto tra la superficie liscia del corpo levigato, quasi lucente, e il terreno su cui poggia il dormiente, scabro e opaco, sia nella resa della morbida pelliccia del piccolo animale accanto al putto, sia nella grazia spontanea del volto, colto con le labbra dischiuse e le palpebre appena abbassate.
Destinata alla Villa Pinciana della famiglia Borghese, l’opera venne collocata in un ambiente situato al primo piano, che da essa prese il nome di «Stanza del Sonno». Fortemente ispirata alla scultura antica, la statua divenne in breve tempo celebre, anche grazie a un aneddoto narrato dal biografo di Algardi, Giovanni Battista Passeri.
Secondo questa versione, lo scultore avrebbe realizzato l’«Allegoria del Sonno» per confondere i detrattori che sostenevano non fosse capace di scolpire il marmo, e avrebbe scelto di utilizzare una pietra famosa per la sua durezza, il marmo del Belgio, noto anche come «pietra di paragone», per esprimere ancora di più il suo virtuosismo. In realtà, la scelta di questo pregiato materiale si deve probabilmente alla volontà del committente e appare legata al motivo iconografico rappresentato, che potrebbe essere interpretato come un’allegoria del sonno, o piuttosto della morte. Inoltre, va ricordato che, al momento in cui realizzava questa composizione, Algardi era impegnato nell’esecuzione di tre grandi gruppi in marmo («La Decollazione di San Paolo» per la chiesa bolognese dei Padri Barnabiti, il «Monumento funerario di Leone XI» per la basilica vaticana e il «San Filippo Neri e l'Angelo» per la chiesa romana di Santa Maria in Vallicella), a dimostrazione di quanto la sua rapida ascesa all’interno della scena artistica romana si fosse affermata dal 1625, anno del suo arrivo.
In occasione della mostra, viene eccezionalmente allestita, nella sala dei bronzi del Museo civico medievale, anche la scultura «San Michele Arcangelo che atterra il demonio», realizzata nel 1647 dallo stesso scultore bolognese per la biblioteca del monastero di San Michele in Bosco. L’accostamento ravvicinato di questo lavoro con l'«Allegoria del Sonno» permette in questo modo al pubblico di ammirare l’abilità tecnica dimostrata dall’artista nella lavorazione di materiali profondamente diversi, come il marmo e il bronzo.
L’opera -racconta Jennifer Montagu, nell’introduzione al catalogo- «è una delle poche sculture in metallo opera di Algardi, che ci siano rimaste, fuse nella sua bottega, sotto la sua diretta supervisione. Tuttavia non rientra perfettamente in una categoria univoca. Con i suoi 74 cm di altezza è troppo grande per poter essere considerata un bronzetto e comunque non è una scultura in bronzo in scala reale. Eppure possiede tutta la accuratezza di movimento di un bronzetto e allo stesso tempo ha la monumentalità di una statua in bronzo; si muove libero nello spazio, invitando l’osservatore ad esaminarlo da tre lati (anche se perfettamente lavorato sul retro, chiaramente non era inteso per essere visto da quella angolazione), e pur nel suo evidente rapporto con il dipinto di Guido Reni in Santa Maria della Concezione a Roma, dove l’arcangelo è rappresentato in posa rigidamente frontale, è una deliberata dichiarazione di Algardi di superiorità della Scultura nell'antico Paragone tra le arti».
Dal museo, il percorso di visita si apre verso la città alla scoperta delle importanti testimonianze della produzione di Alessandro Algardi ancora oggi visibili: le sculture giovanili «San Procolo» e «San Petronio» nell'Oratorio di Santa Maria della Vita, che rivelano l'influenza di Guido Reni, la «Testa di San Filippo Neri» in cera conservata al Museo Davia Bargellini, fino al trionfo del marmo monumentale della «Decollazione di San Paolo», tutt'oggi collocato sull'altare maggiore della chiesa di San Paolo Maggiore.
Per l’occasione i Musei civici bolognesi hanno predisposto così anche un cartellone di passeggiate (22 marzo, 19 aprile e 17 maggio) e visite guidate (11 e 18 marzo, 22 aprile, 13 maggio, 26 maggio e 10 giugno) e di conferenze a tema (29 marzo, 12 aprile e 2 maggio) per approfondire la figura di questo grande scultore, che fu degno concorrente e rivale di Gian Lorenzo Bernini. 

Didascalie delle immagini
[Fig.2 e 4] Alessandro Algardi, L’Allegoria del Sonno, 1635-36. Marmo nero del Belgio, cm 48 x 90. Galleria Borghese, Roma. Credito fotografico: Ufficio iconografico Galleria Borghese, Roma; [fig. 1 e 3] Alessandro Algardi, San Michele Arcangelo che atterra il demonio. Bronzo, altezza cm 74. Museo Civico Medievale, Bologna 

Informazioni utili 
L’Allegoria del Sonno di Alessandro Algardi dalla Galleria Borghese. Museo civico Medievale, via Manzoni, 4 - Bologna. Orari di apertura: dal martedì alla domenica e festivi, ore 10.00 – 18.30; chiuso i lunedì feriali e il 1° maggio Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.2193916 / 2193930 e museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 10 giugno 2018. 

mercoledì 2 maggio 2018

«Freddy Aggiustatutto», una commedia da premio al Manzoni di Busto

Luccicante, artefatto e perennemente in bilico tra essere e non essere: strizza l’occhio al mondo della televisione lo spettacolo «Freddy Aggiustatutto» di Lorenzo Riopi e Tobia Rossi, testo vincitore della quinta edizione del concorso nazionale «Una commedia in cerca di autori», che venerdì 4 maggio, alle ore 21, sarà in scena al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
La commedia, inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», è l’ottavo e ultimo appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura – 2017/2018», ideata da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, tra cui Lorella Cuccarini, Giampiero Ingrassia, Geppi Cucciari, Sergio Assisi, Vanessa Gravina, Valentina Lodovini, Ivano Marescotti e Max Pisu.
Si chiude, dunque, ancora una volta all’insegna delle risate e della collaborazione virtuosa con «La Bilancia Produzioni», società che gestisce i teatri Martinitt di Milano e de’ Servi di Roma, la stagione del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
Dopo aver divertito lo scorso anno il pubblico con «Bedda Maki – Come reSUSHItare il ristorante e vivere felici» la sala di via Calatafami accende, quindi, nuovamente i riflettori sui vincitori del contest «Una commedia in cerca di autori», la cui finalità principale è la ricerca di talentuosi drammaturghi under 40 che diano nuovo vigore a un genere, quale quello del teatro brillante, che fa parte della nostra storia.
Sul palco, sotto la regia di Roberto Marafante, saliranno cinque talentuosi attori professionisti: Giuseppe Cantore, Giulia Carpaneto, Alessia Punzo e Alessandra Schiavoni.
«Freddy Aggiustatutto» offre una fotografia spietata e cinica del mondo televisivo, emblema della superficialità e della manipolazione, raccontando la storia di un ragazzo ipocondriaco e ingenuo, che, sul piccolo schermo dell’emittente satellitare Life TV, si trasforma in un macho palestrato disponibile ad aiutare casalinghe disperate. «Quando Freddy -si legge nella sinossi dello spettacolo- presenta candidamente ai suoi colleghi la nuova fidanzata, Anna, una ragazza decisamente sovrappeso e dalla risata imbarazzante, si scatena la gelosia della produttrice del programma, Cora, che farà di tutto per sabotare la relazione tra i due. Di mezzo ci si metteranno anche Giorgio, proprietario dell’emittente, bonario e donnaiolo, e Nadia, attrice che lavora a ritmi massacranti per Life TV, costretta a impersonare ruoli da donnina fragile, quando in realtà è un vero maschiaccio». Tutto, dunque, in questa piccola televisione non è come appare, anzi è proprio l’opposto.
«Freddy Aggiustatutto» è, dunque, « una commedia che gioca col mondo delle real TV, un tipo di spettacolo che vuole raccontare la vita reale ma finisce per creare maschere ‘più finte del finto’», commentano Lorenzo Riopi e Tobia Rossi. «Su questo paradosso abbiamo costruito la storia che fotografa un’Italia dominata dalle ossessioni: il denaro, la popolarità, l’aspetto fisico. Il tutto, giocando col genere dinamitardo della commedia».
«La televisione -prosegue il regista Roberto Marafante- la fa ancora da padrona: condiziona le nostre scelte, i nostri gusti, le nostre diete e persino la nostra visione della realtà. Fortunatamente in teatro è possibile aggiungere un elemento nuovo e corrosivo, che incrinerà quella visione patinata del mondo a cui ci siamo purtroppo assuefatti».
Il costo del biglietto per la commedia «Freddy Aggiustatutto» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio è aperto per la prevendita con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono comodamente acquistabili anche on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.

Informazioni utili 
www.cinemateatromanzoni.it 

lunedì 23 aprile 2018

«Ricordi di guerra, Sguardi di pace», una mostra a Trento per i cent’anni del primo conflitto bellico

Che cosa è rimasto della memoria della Prima guerra mondiale nei luoghi che hanno fatto da scenario a scontri e battaglie? A cent’anni dal termine di quel conflitto bellico, Fujifilm Italia ha chiamato a raccolta, in collaborazione con Trentino Marketing e con il supporto di Montura, cinque professionisti dell’immagine, quattro fotografi e un video-maker, per realizzare un progetto articolato ed eterogeneo che celebra l’eroismo di chi è stato protagonista di quella guerra e che invita, giovani e meno giovani, a comprendere il significato del termine pace.
Giulia Bianchi, Gianluca Colla, Luciano Gaudenzio, Daniele Lira, Pierluigi Orler, questi i cinque artisti coinvolti, hanno lavorato per più mesi in un territorio tra le montagne e le valli del Trentino, che si estende dal Passo del Tonale sino alla Marmolada per cinquecento chilometri, ovvero in quell’area che è stata confine conteso tra l’esercito italiano e austro-ungarico.
È nata così la mostra «Cent’anni dopo – Ricordi di guerra, Sguardi di Pace», in agenda dal 28 aprile al 2 settembre al Palazzo delle Albere di Trento.
La curatela è stata affidata a Giovanna Calvenzi, che, con il suo apporto, ha saputo far dialogare assieme oltre centosessanta fotografie di autori con stili e approcci differenti, creando, col filo conduttore rappresentato dalla memoria, un ricco racconto che si articola in quattro chiavi di lettura: quella del paesaggio dei luoghi interessati, quella dell’esperienza legata ai sentieri e ai rifugi, quella di documentazione dei reperti del conflitto (forti, trincee, camminamenti, etc.) e infine una globale, fortemente emozionale, affidata a immagini video.
«Gli autori -racconta la curatrice- hanno deciso di misurarsi con un mondo che conoscevano perfettamente o che non avevano mai visto. L’obiettivo era suggerito dal titolo dell’evento: ricordi di guerra, sguardi di pace, il passato e il presente, appunto, e una speranza per progettare il futuro. In modo inevitabile, quindi, indipendentemente dalle storie personali, professionali e artistiche, ogni autore non ha potuto non misurarsi con la storia e con la memoria. La fotografia e il video sono stati strumenti di indagine prima ancora che di creazione, troppo forti le memorie, troppa la sofferenza della quale i luoghi attraversati dal Sentiero sono stati testimoni. Poi lentamente ognuno ha definito il proprio itinerario, in sintonia con la propria storia, con la propria capacità di declinare la visione, in sintonia anche e soprattutto con la forte carica emotiva che i paesaggi attraversati dal Sentiero della pace suscitava in loro».
Lo spettatore si troverà così ad alternare diversi stati d’animo, scoprendosi a dialogare con immagini che immortalano i segni indelebili della guerra, altre che magnificano il paesaggio, altre ancora che mostrano il soggetto ritratto, il territorio osservato, vissuto da persone del luogo o turisti: una presenza umana che contestualizza e mitiga l’orrore di ciò che fu.
Il lavoro risulta articolato, ma chiaro nel suo significato, e culmina in una mostra-racconto che promette emozioni alla ricerca di quei segni più o meno tangibili che rendono onore al sacrificio di chi ha combattuto per la libertà e la Patria. Un omaggio al valore della Pace.

Informazioni utili
 Cent’anni dopo – Ricordi di guerra, Sguardi di pace. Palazzo delle Albere, via Roberto Da Sanseverino, 45 – Trento. Orari: martedì – venerdì, ore 10:00 – 18:00, sabato e domenica, ore 10:00 – 19:00. Informazioni: tel. 0461.234860 . Sito web: http://centannidopo.fujifilm.it/. Dal 28 aprile al 2 settembre 2018.  

sabato 21 aprile 2018

A Venezia i «Ritratti in miniatura» di Napoleone e della sua epoca

È a partire dal Cinquecento che l’arte dei ritratti in miniatura, ovvero quel genere di pittura in piccolo dove s’impiegano, soprattutto sull’avorio, colori diluiti nell’acqua di gomma arabica e si punteggiano unicamente gli incarnati dei volti sul supporto, cammeo o medaglia, si diffonde sia tra artisti insigni che tra dilettanti.
Se prese grande vigore a partire dalla fine del Seicento fu l’Ottocento a riservare a questo genere una stagione intensa, ma breve. Intensa per qualità e quantità, e per le innovazioni tecniche, breve perché offuscata nel 1839 dall’invenzione del dagherrotipo, ovvero della fotografia, che ne segnerà prima il declino e poi la fine.
A una selezione di opere realizzate in questi ultimi due secoli è dedicata la mostra attualmente in corso al Museo Correr, nell’ambito delle attività di valorizzazione delle collezioni permanenti della Fondazione Musei civici di Venezia. Le opere esposte sono giunte recentemente al museo lagunare grazie alla generosa donazione di Paola Sancassani, veronese di nascita ma veneziana d’elezione, grande appassionata di storia.
Si tratta di opere di fattura principalmente italiana, ma anche di scuola francese e inglese, nelle quali sono effigiati i volti di uomini e donne vissuti durante l’epoca napoleonica. Molti di questi sono per noi oggi anonimi, altri invece appartengono a personaggi noti o protagonisti di quei tempi pur travagliati, ma determinanti per il futuro, a iniziare dallo stesso imperatore Napoleone Bonaparte.
In Europa e non solo, durante l’Impero e dopo la sua fine, l’epopea e il mito del grande còrso hanno motivato la creazione degli oggetti più svariati. L’idea di ritrovare e conservare anche solo alcuni frammenti evocativi di quel momento cruciale ha ispirato la collezione ora esposta in museo, sotto la direzione scientifica di Gabriella Belli, direttore della Fondazione Muve, e la curatela di Andrea Bellieni, responsabile del museo, in collaborazione con Valeria Cafà, Massimo Favilla e Ruggero Rugolo.
Al Museo Correr si potranno dunque scoprire affascinanti miniature-ritratto di Napoleone, dei suoi familiari e generali, oltre che di anonimi contemporanei: tra queste si segnalano, per l’elevata qualità esecutiva, il ritratto del celebre attore di teatro François-Joseph Talma (1763-1826) e quello di Charlotte Stuart duchessa d’Albany (1753-1789).
Fra le memorie si distingue poi il delizioso porta-profumo in oro e smalti che fu pegno d’amore di Orazio Nelson a Lady Hamilton. Completano la raccolta dipinti e stampe di battaglie, medaglie commemorative e monete, che ci parleranno di un’età breve e contraddittoria la quale, tuttavia, ha segnato una svolta decisiva nella storia moderna.
In occasione della mostra il Museo Correr procederà, inoltre, alla pubblicazione di un catalogo dedicato alla raccolta di miniature della donazione di Paola Sancassani, a cura di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo: un’occasione in più per poter ammirare opere come il «Ritratto di Napoleone I imperatore e re d’Italia» attribuito all’Appiani o il bel «Ritratto di Elisabetta Hannover principessa di Gran Bretagna e Irlanda poi landgravina di Hessen-Homburg», eseguito nel 1810 da Giovanni Trossarelli.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Manifattura italiana (?), Portaprofumo - dono dell'ammiraglio Horatio Nelson a Lady Hamilton, 1800. Smalto guilloché su oro; 5 x 2 x1 cm. Collezione Paola Sancassani, Verona; [fig. 2] Pittore francese o italiano (da Andrea Appiani), Ritratto di Napoleone I imperatore e re d’Italia, 1805 circa. Acquerello e gouache su avorio; 12,3 x 12,1 cm. Collezione Paola Sancassani, Verona; [fig. 3] Giovanni Trossarelli (Torino, 1760 – Londra, 1825), Ritratto di Elisabetta Hannover principessa di Gran Bretagna e Irlanda poi landgravina di Hessen-Homburg, 1810. Acquerello e gouache su avorio; 9,9 x 7,4 cm. Collezione Paola Sancassani, Verona

Informazioni utili
Ritratti in miniatura e altre memorie al tempo di Napoleone. La donazione Paola Sancassani. Museo Correr, piazza San Marco - Venezia. Orari: dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00–19.00;  dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00–17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Ingresso: intero € 20,00, ridotto € 13,00, gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia, bambini dagli 0 ai 5 anni e altre categorie come riportato dal sito www.correr.visitmuve.it. Informazioni: info@fmcvenezia.it; call center 848082000 (dall’Italia);  +3904142730892 (dall’estero). Dal 12 aprile 2018.   

giovedì 19 aprile 2018

«Medioevo svelato»: la storia dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia in mostra a Bologna

Da una parte l’Emilia, tributo alla strada romana costruita nel 187 a.C. dal console Marco Emilio Lepido, dall’altra la Romagna, dove Ravenna assurge al rango di ultima capitale dell’Impero romano d’Occidente (402-476 d.C.): nell’alto Medioevo, questa due territori, che oggi formano un’unica regione, segnano un limes geografico tra la zona soggetta alla conquista longobarda e quella di dominazione bizantina. Questa storia è al centro della mostra che Sauro Gelichi e Luigi Malnati hanno curato per conto della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara nell’ambito del programma culturale «2200 anni lungo la Via Emilia».
«Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia», questo il titolo della rassegna allestita fino al 17 giugno al Museo civico medievale di Bologna, indaga attraverso oltre trecento reperti, recuperati nell’ambito delle intense ricerche archeologiche condotte in regione negli ultimi quaranta anni, la fase di passaggio dalla tarda antichità (IV-V secolo) al pieno Medioevo (inizi del Trecento). È questo un importante momento di passaggio che si riverbera in ogni aspetto della vita politica, economica, sociale e culturale, rappresentando un momento decisivo nella costruzione di nuovi assetti di potere e nuove identità.
Il percorso espositivo, articolato in sei sezioni tematiche, parte da un’istantanea sulle città nell’alto Medioevo, profondamente ridimensionate rispetto alla vitalità dei secoli precedenti e contrapposte al dinamismo del nuovo emporio commerciale di Comacchio, nel Ferrarese, per allargare lo sguardo alla riorganizzazione delle campagne, dove fioriscono castelli, villaggi, borghi franchi, pievi e monasteri, e terminare la narrazione con la ciclica rinascita delle città in età comunale.
La prima sezione è incentrata sul tema «Un mondo in trasformazione: le città», ossia sull’evoluzione dei centri di antica fondazione in rapporto ai cambiamenti socio-economici e all’organizzazione delle nuove sedi del potere, sia laico che ecclesiastico, fino al VI secolo.
In questa sezione sono esposti oggetti della vita quotidiana come lucerne in vetro e ceramica provenienti da Parma e Rimini, manufatti legati alla cultura funeraria delle élite con un sarcofago ravennate e piccoli tesori che erano conservati nelle residenze di lusso di Casse e Cesena, come un missorium d’argento cesenate (piatto di uso simbolico-celebrativo), che testimonia la vita agiata di un possidente terriero nella tardantichità.
La seconda sezione, imperniata sulla «Fine delle ville romane», prende in esame l’insediamento rurale di tipo sparso, già tipico delle fattorie di età romana, fino all’evoluzione databile al VI-VII secolo.
L’archeologia è stata in grado di cogliere e descrivere questi processi di trasformazione, documentando la riconversione degli spazi abitativi e le diverse modalità di sfruttamento della proprietà fondiaria.
Un caso eccezionale è costituito dal sito di Galeata, nei pressi del quale tradizionalmente si identifica un palazzo di campagna del re ostrogoto Teodorico, da cui provengono fibule, monete e ceramiche scoperte in scavi recenti.
I cambiamenti riguardano anche l’ambito funerario: piccoli nuclei cimiteriali vanno ad occupare spazi dismessi all’interno delle antiche unità abitative. Questo fenomeno è illustrato da una serie di corredi funerari provenienti da Baggiovara o da materiali della vita quotidiana, spesso integri, rinvenuti all’interno di pozzi d’acqua dismessi coma villa di Russi.
L’ideologia funeraria di VI-VII secolo caratterizza la terza sezione dedicata a «Nuove genti, nuove culture, nuovi paesaggi»: in questo periodo l’Emilia-Romagna mostra una sostanziale continuità tra età romana e gota mentre appare fortemente marcata la differenza fra i territori soggetti ai Longobardi (Emilia) e quelli sottoposti ai Bizantini (Romagna).
Allo sfarzo di alcuni manufatti afferenti alle sepolture fanno riscontro i pochi materiali recuperati nei contesti urbani regionali della quarta sezione dedicata a «Città ed empori nell’alto Medioevo»: qui spicca per vitalità e capacità economica il più grande emporio del nord Italia nel secolo VIII, Comacchio, strategico centro lagunare aperto, vocato allo smistamento e trasporto di beni e merci mediterranei destinati alle terre del Regno longobardo.
Le ricerche archeologiche condotte negli ultimi anni in Comacchio hanno rivelato consistenti e chiare tracce della sua storia: dai contenitori anforici di provenienza orientale per il trasporto delle merci (forse vino e olio) alla presenza di botteghe artigiane per la produzione di oggetti suntuari. In una di queste botteghe si dovevano produrre anche cammei in vetro policromo, come testimonia una matrice che trova un pendant in un originale ancora incastonato in una capsella di Cividale, anch’essa esposta nella mostra.
Con la quinta sezione, «Villaggi, castelli, chiese e monasteri: la riorganizzazione del tessuto insediativo», vengono evidenziate le nuove forme d’insediamento (VIII-XIII secolo), quali i castelli, i villaggi di pianura, talvolta fortificati, i borghi franchi, le chiese rurali, perfettamente integrate nella rete itineraria e il ruolo dei monasteri, incaricati del perpetuarsi della memoria dei defunti e della trasmissione della cultura.
La storia dei monasteri è raccontata attraverso l’abbazia di Nonantola, fondata nella pianura tra Modena e Bologna durante il regno del re longobardo Astolfo, intorno alla metà del secolo VIII. Famosa per il suo archivio, ci è nota anche per gli scavi degli ultimi quindici anni, attraverso i quali è stato possibile riconoscere e ricostruire l’evoluzione del monastero tra l’alto-medioevo e l’età moderna.
Il cerchio si chiude con la sesta sezione, «Dopo il Mille: la rinascita delle città», che ripropone il tema dell’evoluzione dei centri urbani, questa volta esaminati nella nuova fase di età comunale.
Tra i pezzi più prestigiosi della mostra, di cui rimarrà documentazione in un catalogo edito da Ante Quem, si segnalano fibule di età gota rinvenute a Imola, reperti longobardi recuperati nella necropoli di Ponte del Rio di Spilamberto, un servizio di vasellame in argento di età bizantina proveniente da Classe, bicchieri in legno rinvenuti a Parma e un bacino in maiolica recuperato dalla facciata della chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna.
Molteplici sono gli strumenti di mediazione e approfondimento a disposizione del pubblico. Le visite guidate raccontano il percorso espositivo evidenziando i temi trasversali che ricorrono nelle diverse sezioni e i fatti salienti che hanno scandito le vicende storiche delle società vissute sul territorio regionale attraverso il racconto della vita quotidiana delle comunità offerto dai reperti recuperati. Un ciclo di conferenze gratuite illustra le prospettive di ricerca offerte dalla disciplina dell’archeologia medievale e la sua utilità per la tutela e la salvaguardia del patrimonio mentre una rassegna di film curata dalla Fondazione Cineteca di Bologna presenta un focus sulla produzione cinematografica ispirata all’età medievale.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Baggiovara (MO), corredo della tomba 21 (sepolcreto tardoantico presso villa rustica). Attuale collocazione: Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena; [fig. 2] Carpineti (RE), Pieve di San Vitale. Capitello a piramide tronca rovesciata di lesena o pilastro. La superficie modanata è decorata a palmette alternate a fiori di loto (XI-XII secolo). Rinvenuto durante gli interventi di riqualificazione della Pieve di San Vitale condotti negli anni '70 del secolo scorso (largh. magg. cm 25; larg. min. 20; alt. cm 18). Attuale collocazione: deposito Carpineti (RE), Pieve di San Vitale; [fig. 3] Cesena (FC), particolare di missorium (piatto di uso simbolico-celebrativo) in argento (diametro cm 62 peso kg 6,6) con decorazione eseguita a niello nel tondo centrale, in cui sono raffigurate scene di banchetto e della vita agiata di un possidente terriero nella tardantichità. Il prezioso reperto, attribuibile al IV sec. d.C., è stato recuperato a Cesena nel 1948 presso via G. Bono in un deposito databile entro la metà del VI secolo (fenomeno della tesaurizzazione, occultamento di riserve di valore in momenti di instabilità politica). Attuale collocazione: Museo Civico Archeologico di Cesena; [fig. 4] Bologna, bacino architettonico in maiolica recuperato dalla facciata della chiesa di S. Giacomo Maggiore, con raffigurazione di Frater Simon, identificabile molto probabilmente con l'omonimo sindaco del complesso conventuale (inizi XIV secolo). Attuale collocazione: deposito Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le Province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; [fig. 5] Imola (BO), loc. Villa Clelia, tomba femminile 185. Coppia di fibule a disco con teste di rapace disposte “a vortice” (diametro cm 3,5). Tecnica cloisonné (cellette in oro con inserimento di granati). Età gota (V secolo). Attuale collocazione: deposito Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le Province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara
Informazioni utili

«Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia». Museo civico medievale, via Manzoni, 4 – Bologna. Orari: dal martedì alla domenica, ore 10.00 – 18.30; chiuso i lunedì feriali e il 1° maggio. Ingresso: intero € 5,00, ridotto 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.2193916 / 2193930, museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 17 giugno 2018.