ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 27 maggio 2020

Parma, al Museo d’arte cinese sono di scena le «Mode nel mondo»

È tra i vincitori della open call «Cultura per tutti, cultura di tutti», lanciato da Parma - Capitale italiana della cultura, con l’intento di aprire le porte dei musei regionali, in un’ottica digitale e multiculturale, a particolari categorie di pubblico come giovani, famiglie, anziani, persone con disabilità fisica o cognitiva, stranieri e residenti. Insieme al Museo diocesano di Parma e grazie alla professionalità di Pshychè e dell’associazione italiana malati di Alzheimer, si è aggiudicato il secondo posto con il progetto «Insieme al museo», rivolto alle persone malate e ai loro caregiver, ovvero ai familiari assistenti, attestandosi dietro «Museo in Blu», l’iniziativa dell’associazione socioculturale Villa sistemi reggiana per gli individui affetti da autismo e per le loro famiglie. Stiamo parlando del Museo d’arte cinese ed etnografico di Parma, tra i primi spazi culturali italiani a riaprire le porte dopo il lockdown per il Covid-19, testimoniando così la grande voglia di rilancio della città emiliana, che si è vista rinnovare anche per il 2021, insieme con Piacenza e Reggio Emilia, il titolo di Capitale italiana della cultura. Il tema del «Tempo», oggi sospeso, recluso, iper-connesso, era e rimane il filo rosso del programma ideato, che sarà in grado di parlare anche al passaggio storico che stiamo vivendo.
Voluto nel 1901 da san Guido Maria Conforti, fondatore dei missionari saveriani, il museo rappresenta un contenitore artistico e documentario di eccezionale importanza per la città e non solo, frutto di un lungo percorso storico che vide padre Giovanni Bonardi ed altri saveriani in missione sul territorio cinese portare o spedire a Parma oggetti significativi di arte e vita locali.
Dagli anni Sessanta la sede di viale San Martino si è arricchita di materiale di natura etnografica proveniente da altri paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, divenendo così testimonianza della vita e cultura di ben tre continenti.
Accanto alla collezione fatta di terrecotte, porcellane, paramenti, statue, dipinti, fotografie, oggettistica varia e monete rare provenienti dall’Estremo Oriente, nelle sale espositive parmensi sono, infatti, in mostra anche, e per esempio, oggetti del popolo Kayapò, un piccolo gruppo indio dell'Amazzonia che rappresenta le tante minoranze depositarie di un immenso bagaglio di valori, o maschere usate per i riti funebri dell’area Kivu, nel Congo.
Ristrutturato nel 2012, il museo ha riaperto i battenti martedì 19 maggio, osservando tutte le linee guida predisposte dal Mibact per la «Fase 2» (mascherina obbligatoria, dispenser per la sanificazione delle mani in ogni sala e almeno due metri di distanza tra i visitatori), con la mostra temporanea «Mode nel mondo: i vestiti raccontano la vita dei popoli», un vero e proprio atlante dell’abbigliamento che si dispiega lungo il percorso museale. Per quanto riguarda la Cina, abiti liturgici della tradizione taoista come il Qipao e il Fengguo, nati per difendersi dal vento delle steppe, “dialogano” metaforicamente con ricchi vestiti di corte e calzature femminili tipiche del Grande Impero, come le scarpette con tacco a zoccolo, e un inedito ornamento nuziale, un collare in tubolare a sezione rettangolare la cui faccia superiore rappresenta due draghi (simbolo di fertilità maschile). Dall’Indonesia arrivano, invece, scialli della cultura Batak dell’isola di Sumatra e abiti maschili tradizionali; dal Giappone, giacche Haori rigorosamente di seta, con gli stemmi di famiglia mon, un parasole di bambù e carta giapponese dipinta, oltre a kimono femminili e Obi per donne sposate.
Il Sudan è rappresentato con zucchetti, scarpe e babbucce tribali; il Ghana con tessuti cerimoniali in seta della tribù Ashant.
Dal Burkina Faso arriva un abito tradizionale composto di tunica e pantaloni; dal Bangladesh il burqa delle donne musulmane bengalesi e parure di gioielli; dal Camerun le collane Kweyma KJella e le cavigliere di alluminio decorate a testa di uccello.
Vasto è anche il repertorio proveniente dalla Repubblica democratica del Congo: la mostra ospita gli elementi di abbigliamento tradizionale che costituiscono il corredo classico, l’emblema di appartenenza,della misteriosa società segreta iniziatica Bwami. Ci sono i copricapo maschili nkumbu e sawamazembe, i muzombolo femminili, decorati con piume e bottoni, fasce decorate con le conchiglie-moneta conosciute come cauri, gonnellini in fibra vegetale, bandoliere mukoma, fasce pettorali e diademi. Sorprendente, infine, è l’angolo dedicato alle popolazioni amazzoniche, dove non manca nulla del corredo decorativo del popolo Kayapò.
Grazie all’abbigliamento e agli ornamenti è facile intuire, in qualsiasi popolo, l’appartenenza a una tribù, uno stato sociale, un’etnia. L’abbigliamento è una vera e propria forma di comunicazione codificata e facilmente interpretabile a livello sociale e al Museo d’arte cinese di Parma sarà possibile leggere tante storie impreziosite dai busti sartoriali in lino e manichini bimbo realizzati da Bonaveri, leader mondiale nella creazione di manichini d’eccellenza.
In questa fase il museo si arricchisce, inoltre, di un nuovo strumento per la trasmissione del sapere: ai visitatori viene offerta la possibilità di intraprendere un viaggio tra le collezioni, mediante l’impiego dell’app MuseOn. Facilmente scaricabile sul proprio dispositivo (smartphone o tablet) una volta arrivati in sede, l’applicazione funziona comodamente senza l’utilizzo del wi-fi, e permette di vivere una visita guidata personalizzata, tra schede didattiche, audio e video, per favorire l’incontro tra il visitatore e le molteplici culture del mondo che il museo ospita, permettendo inoltre di rimanere aggiornati sulle iniziative future. Uno strumento in più, questo, per rendere il museo parmense sempre più motore di ricerca, didattica, relazioni, creatività.

Informazioni utili 
Museo d’Arte cinese ed etnografico, viale San Martino, 8 – 43123 Parma. Orari: da martedì a sabato, dalle ore 9 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 19; domenica, dalle ore 11 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 19. Informazioni: tel. 0521.257337 o info@museocineseparma.org. Sito web: www.museocineseparma.org

martedì 26 maggio 2020

Murano e «l’arte che resiste»: Marco Toso Borella realizza una favola in vetro per il Giappone

È un momento difficile per Murano, l’isola veneziana famosa in tutto il mondo per la sua tradizione millenaria del vetro soffiato, simbolo del made in Italy nel mondo.
L’emergenza sanitaria per il Covid-19 ha messo in ginocchio le oltre cento imprese vetraie presenti sul territorio e i loro negozi. Gli ordini nuovi sono molto pochi e il lavoro di questo ultimo scorcio di maggio è legato principalmente a commesse dei primi di marzo, quando il lungo lockdown di questi mesi sembrava un’ipotesi impossibile.
Ma Murano può raccontare anche una storia di resistenza e di speranza, quella di Marco Toso Borella, artista poliedrico la cui attività spazia dalla pittura alla scrittura di saggi e romanzi, senza dimenticare la passione per la musica, che lo vede vestire i panni di direttore, arrangiatore e coreografo del coro Vocal Skyline e dell’orchestra più numerosa d’Italia, la Big Vocal Orchestra, composta da oltre trecento voci.
In queste lunghe settimane di lockdown, l’artista muranese, che recentemente ha firmato anche la Via Crucis di vetro per la Basilica dei Santi Maria e Donato di Murano (quindici icone di vetro decorate a graffito su foglia d’oro e smalti raffiguranti le quattordici stazioni tradizionali più una quindicesima raffigurante la Resurrezione), ha lavorato su una commissione imponente da parte di un magnate giapponese, Yamanishi Hiromichi, per conto della vetreria artistica artigianale Mazzega.
Una volta terminata, l’opera sarà esposta all’interno del Kansai Nursing School, una struttura situata nella regione del Kansai, in Giappone, destinata a diventare una scuola per infermiere.
Il lavoro consta di venti piastre di vetro di Murano, della misura di 75 x 50 centimetri, decorate secondo l’antica tecnica del graffito su foglia d'oro, tradizione che appartiene alla famiglia di Marco Toso Borella da secoli.
Le incisioni riproducono in modo assolutamente fedele un’antica opera giapponese del X secolo, ossia la «Taketori Monogatari», ispirata alla leggendaria «Storia del tagliatore di bambù», considerata la più antica fiaba giapponese. Il racconto, noto anche come «La storia della Principessa Kaguya», narra di una bambina misteriosa scoperta all’interno di una canna di bambù splendente nella notte.
«L'estrema, elegante stilizzazione giapponese -racconta l’artista- è qui al suo massimo. Un piccolo segno leggermente obliquo diventa occhio, un tratto espressione.
Le immagini da cui ho tratto i miei pezzi sono antichissime e il tempo ha sbiadito le cromie originali. Per questo ho voluto usare degli smalti dai colori molto vivaci, lucenti come la «Principessa splendente», la storia animata del 2013 di Isao Takahata candidata all'Oscar.
Il supporto, ossia il vetro, diventa una base lucida che, colorata a smalti, richiama le antiche lacche giapponesi. Questo contesto ha quasi ‘obbligato’ i colori all'estrema sintesi e alla mancanza di ogni sfumatura. Il cromatismo, quindi, è stato portato alla radice, alla 'primarietà' elementare un po' come succede agli smalti araldici, chiaramente definiti, senza mezze misure. I colori diventano e delimitano gli spazi della fiaba e del sogno».
L’opera di Marco Toso Borella rappresenta così un piccolo fuoco di fornace acceso per Murano, un barlume di speranza per la storia unica dell’isola e il talento dei suoi tanti artigiani.

Per saperne di più 
www.marcotosoborella.it

lunedì 25 maggio 2020

Covid-19, dalle Gallerie dell’Accademia alla Guggenheim: a Venezia riaprono i musei

È un segnale importante per la città di Venezia quello di domani, martedì 26 maggio, quando le Gallerie dell’Accademia riapriranno le porte ai visitatori dopo la fase calda dell’emergenza Covid-19, che ha decretato la chiusura di tutti i musei italiani per oltre due mesi. Mentre giunge la notizia dello slittamento al 2021 (con apertura al pubblico da sabato 22 maggio a domenica 21 novembre) della diciassettesima edizione della Biennale di architettura -il progetto espositivo «How will we live together?» di Hashim Sarkis- e il conseguente posticipo della cinquantanovesima edizione della Mostra internazionale d’arte, curata da Cecilia Alemani, alla primavera del 2022, i musei veneziani si preparano alla riapertura nel rispetto delle norme generali di sicurezza studiate dal Mibact per la cosiddetta «Fase 2» dei luoghi di cultura.
Le undici realtà afferenti al Muve – Fondazione Musei civici di Venezia -del quale fanno parte due gioielli marciani come il Correr e il Ducale, la cui riapertura dovrebbe avvenire ai primi di giugno- proseguono in questi giorni di fine maggio la loro attività on-line con tour virtuali alle sedi espositive sul canale Google Arts & Culture e il progetto #IoRestoACasa, con attività social, proposte per i più piccoli e la newsletter «Oggi vi raccontiamo che…», ottima occasione per scoprire curiosità e segreti delle raccolte veneziane.
Molto social, in questi mesi di emergenza, è stata anche la collezione Peggy Guggenheim, con le sue belle lezioni di storia dell’arte on-line. Il museo ha da poco annunciato la riapertura dei suoi spazi, dopo ottantasei giorni di chiusura, per il 2 giugno, la festa della Repubblica italiana, con accesso contingentato e su prenotazione durante i fine settimana (il sabato e la domenica, dalle ore 10 alle ore 18).
«Sarà una nuova fruizione della collezione -assicurano dall’ufficio stampa di Palazzo Venier dei Leoni-, senz’altro più intima e raccolta, all’insegna di una visita riflessiva, in un luogo accogliente e forse più silenzioso rispetto al passato, che permetterà ai visitatori di porsi in ascolto dell’arte, in contatto diretto con la magia surreale de «L’impero della luce» di René Magritte o il mistero assoluto di «Alchimia» di Jackson Pollock o, perché no, di immergersi nella quiete del giardino delle sculture, seduti accanto alla «Donna in piedi (Donna 'Leoni’)» di Alberto Giacometti.
Non a caso la Peggy Guggenheim ha scelto una frase del museologo Georges-Henri Rivière per presentare questa sua «Fase 2»: «Il successo di un museo non si valuta in base al numero dei visitatori che vi affluiscono, ma al numero dei visitatori ai quali ha insegnato qualcosa».
Pronta a un «bell'esercizio di resistenza e resilienza culturale» - per usare le parole di Karole P. B. Vail, direttrice della collezione di Palazzo Venier dei Leoni- sono anche le Gallerie dell’Accademia, che da domani, 26 maggio, saranno regolarmente aperte, nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, dal martedì alla domenica dalle ore 8.15 alle ore 19.15, con chiusura settimanale il lunedì (unica variazione rispetto al consueto orario, che prevedeva l’apertura il lunedì dalle ore 8.15 alle ore 14.15).
Per l’occasione è stato messa a punto un'importante iniziativa all'interno del più ampio progetto di valorizzazione dell'arte veneta, vocazione di questa antica istituzione museale fin dalle sue origini: l’esposizione al pubblico della straordinaria «Sant'Anna in trono con la Vergine bambina e i santi Girolamo e Francesco», conosciuta come Pala di Sant'Anna, realizzata da Jacopo da Ponte, detto Jacopo Bassano, nel 1541.
L'opera, dipinta per i Riformati di Asolo e facente parte della collezione delle Gallerie dal 1812, è stata ceduta in deposito alla fine dell’Ottocento alla chiesa parrocchiale di Sossano e successivamente, dal 1956, al Museo civico di Bassano del Grappa.
La decisione di riportare a casa il dipinto, dopo oltre un secolo di assenza, è stata motivata dal riallestimento, in una fase ormai avanzata di elaborazione progettuale, della sezione dedicata alla pittura veneta del Cinquecento, nelle sale attualmente in corso di restauro e adeguamento impiantistico.
La pala, giunta in città lo scorso marzo, verrà esposta temporaneamente nella sala XXIII, ovvero nell’ex chiesa di Santa Maria della Carità, per poi essere trasferita, dopo un intervento di manutenzione, in una sala interamente dedicata alla produzione di Jacopo Bassano, che verrà inaugurata nel prossimo autunno insieme ad altri ambienti espositivi dell’ala palladiana.
La presenza di questo dipinto risulta fondamentale per documentare la fase giovanile del pittore, caratterizzata da un linguaggio composito in cui l’influenza della pittura di Pordenone, da poco uscito dalla scena veneziana, si mescola alle prime sperimentazioni manieriste, che caratterizzeranno la produzione degli anni Quaranta, e alle suggestioni del naturalismo della scuola lombarda. Si tratta, quindi, del recupero di un tassello importante della produzione di Jacopo Bassano, che non era per nulla rappresentato nella pur ricca collezione di opere del pittore in possesso delle Gallerie, tutte appartenenti a una stagione diversa e più avanzata del suo percorso artistico.
Un bel messaggio di speranza, questo, per Venezia, «una città che - dichiara Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia- ha nell'arte e nella cultura la sua vocazione e il suo destino, un legame indissolubile che parte dalla comunità locale che si riconosce nel suo patrimonio, e raggiunge il resto del mondo».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Da Ponte Jacopo Detto Bassano, Sant'Anna in trono con la Vergine bambina e i santi Girolamo e Francesco , olio su tela, cm 147 x 103, cat 1041. Credit © Musei civici Bassano del Grappa, Su gentile concessione dei Musei Civici di Bassano del Grappa. Fotografo: Luigi Baldin Fotografo d’arte – Treviso, Anno: 2011; [fig. 2] Peggy Guggenheim Collection, Venezia; [fig. 3] Gallerie dell'Accademia, Venezia; [fig. 4] Il Muve on-line su Google Arts & Culture

Per saperne di più 
www.gallerieaccademia.it
www.guggenheim-venice.it
www.visitmuve.it