ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 20 luglio 2020

Bologna, a San Colombano tra le note del passato con gli strumenti della collezione Vázquez

Li chiamava «monumenti sonori viventi» e li collezionava con passione intenzionato a trasmettere un pezzo di storia della musica antica al futuro. Aveva acquisito il suo primo pezzo, una spinetta del Cinquecento, nel 1969. Poi, poco dopo, era riuscito ad accaparrarsi un esemplare di grande valore e rara bellezza: un grande cembalo a tre registri costruito nel 1679 dal lucchese Giovanni Battista Giusti. Era l’inizio di una febbre collezionistica che, in quasi cinquant’anni, ha portato l’organista, clavicembalista e compositore bolognese Luigi Ferdinando Tagliavini (1929-2017), per trent’anni direttore dell’Istituto di musicologia di Friburgo, nonché curatore di prestigiose edizioni critiche dei lavori di Girolamo Frescobaldi e Domenico Zipoli, a raccogliere una settantina di strumenti a tastiera. Si tratta di virginali, clavicordi, arpicordi, clavicembali, pianoforti e organi, tutti restaurati e funzionanti, ai quali va ad affiancarsi una raccolta di strumenti a fiato e popolari risalenti ai secoli tra il XVI e il XIX.
Questo patrimonio prezioso -tra cui si trova anche un raro strumento combinatore, metà clavicembalo e metà pianoforte, costruito nel 1746 da Giovanni Ferrini, unico allievo certo di Bartolomeo Cristofori (l’inventore del fortepiano)- è stato donato nel 2006 alla Fondazione Carisbo e al suo circuito Genus Bononiae – Musei nella città.
Quattro anni dopo, nel 2010, la collezione trovava casa in uno dei gioielli architettonici di Bologna: il millenario complesso monastico di San Colombano, sorprendente stratificazione di ambienti.
La cripta è di epoca medioevale e presenta lacerti di pitture murali, tra cui un «Cristo in croce» attribuito a Giunta Pisano, uno dei massimi innovatori dell’arte del tempo prima di Cimabue.
La Cappella della Madonna dell’Orazione fu fatta costruire sul finire del Cinquecento dall’omonima confraternita e venne abbellita da affreschi carracceschi a cornice della venerata «Vergine» del bolognese Lippo di Dalmasio (1399), che si trovava allora all’aperto, sul muro di una casa, soggetta alle intemperie.
Infine, l’Oratorio della Passione, vero e proprio gioiello della scuola pittorica bolognese, fu edificato per il Giubileo del 1600 e fu teatro di quella che lo storico dell’arte Carlo Cesare Malvasia, «il Giorgio Vasari dell’Emilia», definì la «gloriosa gara» tra i massimi talenti dell’Accademia dei Carracci: Francesco Albani, Domenichino, Guido Reni, Lucio Massari, Francesco Brizio, Lorenzo Garbieri e Galanino.
In questo contesto di grande bellezza si può, dunque, percorrere un viaggio tra strumenti che legarono la propria storia a quella di importanti protagonisti di tutti i tempi. È possibile vedere, per esempio, il piccolo pianoforte in «tavolo da cucito» di Francesca Ciani Camperio, ardente patriota risorgimentale, sul quale le impartì lezioni di canto Gioacchino Rossini. Si può ammirare una spinetta a pianta rettangolare che fu probabilmente della sfortunata nobildonna romana Beatrice Cenci, decapitata per aver ucciso il padre-orco e assurta, poi, al ruolo di eroina popolare tanto da essere raffigurata da Guido Reni e da Elisabetta Siranni e da essere raccontata, tra gli altri, da Stendhal e Alberto Moravia.
Ci si può, poi, far incantare dal clavicembalo di Nicolò Albana, suonato a Sorrento da Cornelia Tasso Spasiano, sorella di Torquato Tasso, e da uno dei quattro esemplari esistenti di cembalo pieghevole settecentesco, di cui si servirono Federico il Grande di Prussia e il celebre castrato Farinelli durante i loro viaggi.
Non mancano, infine, lungo il percorso strumenti dal raffinato decoro, impreziositi da pitture di paesaggio o da scene mitologiche, come la spinetta all’ottava di Silvestro Albana adornata dal Domenichino e il clavicembalo di Mattia di Gand con un dipinto del fiammingo Jan Frans van Bloemen.
In occasione dei dieci anni dall’inaugurazione del museo a San Colombano, Genus Bononiae ha voluto arricchire il percorso di un’altra perla: la mostra di strumenti antichi ad arco della collezione Vázquez, la più grande al mondo di questo genere, che dal 1993 viene gestita dalla Orpheon Foundation di Vienna.
«Still Alive» -questo il titolo della rassegna- raccoglie, nello specifico, oltre duecento tra strumenti ad arco ed archetti: viole da gamba e d’amore, violini, violoncelli, violoni e baryton ritrovati nelle residenze aristocratiche dell’antico passato, databili dal 1550 al 1780, tutti restaurati e riportati alle loro condizioni originali, così da essere ancora «vivi» nella loro funzionalità e fruizione, ovvero regolarmente utilizzati in occasione di concerti, registrazioni, masterclass e concorsi.
Anche in questo caso ogni strumento racconta una storia. Ci sono, tra gli esemplari in mostra, una viola da gamba di William Bowelesse (Londra, c. 1590), probabilmente appartenuta alla regina Elisabetta I d’Inghilterra, e un violoncello costruito da Simone Cimapane (1692), che si dice essere stato suonato nell’orchestra di Arcangelo Corelli a Roma. Si possono, poi, vedere anche due archi gemelli appartenuti al grande compositore e virtuoso di violino Giuseppe Tartini, e due archi veneziani, anch’essi gemelli, dell’epoca di Antonio Vivaldi, oltre a strumenti di scuola bolognese come un violino realizzato da Gian Antonio Marchi (c. 1770) e una viola da gamba di Giovanni Fiorino Guidantus (XVIII secolo).
Completano il percorso espositivo strumenti di Gasparo da Salò (Brescia, c. 1570), Jakob Stainer (1671), Joachim Tielke (1683, 1697) e Pietro Guarneri (Mantova, c. 1700), ma anche esemplari realizzati dal liutaio milanese Giovanni Grancino (c. 1700) o dalle dinastie asburgiche dei Thir, Leidolff, Stadlmann e Posch.
Non mancano, infine, pezzi di provenienza inglese, risalenti all’epoca di William Shakespeare ed Henry Purcell. Tutti strumenti, questi, dei quali si può dire -per usare le parole del musicista e musicologo José Vázquez, classe 1951- che sono «still alive», ancora vivi, pronti a riempire di note San Colombano per regalare emozioni senza tempo.

Informazioni utili 
«Still Alive». Museo di San Colombano – Collezione Tagliavini, via Parigi 5 – Bologna. Orari: da martedì a domenica, ore 11.00 - 13.00 e ore 15.00 - 19.00. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 051.19936366 o sancolombano@genusbononiae.it. Sito internet: https://genusbononiae.it/palazzi/san-colombano/. Fino al 10 gennaio 2021.

venerdì 17 luglio 2020

Fabio Viale e i suoi marmi tra la Versilia e Firenze

Ha appena sedici anni quando scopre la passione per il marmo e decide di trascorrere le sue estati in laboratorio con gli artigiani che lavorano questa materia per imparare tutti i segreti del mestiere. Fabio Viale (Cuneo, 1975), scultore italiano di base a Torino, inizia così la sua attività artistica ispirata a un concetto di bellezza eterna e inequivocabile, che guarda alla tradizione greca e alla lezione di Michelangelo.
La critica ha più volte definito l’artista «un illusionista della materia», elogiandone la capacità di trasformare il marmo di Carrara in maniera impensata e inusuale, rendendolo ora leggero come un palloncino e morbido come la pelle, ora flessibile come la gomma e fibroso come la carta.
Negli anni sono nate così opere incredibili, pronte a ingannare lo sguardo, come «Ahgalla» (2002), una barca di marmo in grado di galleggiare ma anche di trasportare persone con l'ausilio di un motore fuoribordo, «Earth» (2017), riproduzione di due pneumatici incastrati, o ancora «Arrivederci e grazie» (2014), con due elementi in replica 1:1 di altrettanti sacchetti in carta forati.
Fabio Viale è anche conosciuto al grande pubblico per le sue riproduzioni perfette di opere della nostra storia scultorea, ma rivisitate in chiave contemporanea: è il caso di una «Nike» fatta di polistirolo, della «Venere» di Antonio Canova coperta da tatuaggi di ispirazione orientale, o ancora della «Pietà» di Michelangelo, di cui viene modificata l’iconografia sottraendo la figura di Gesù e sostituendola con quella di un migrante.
Dopo la personale al Glyptothek Museum di Monaco di Baviera, la partecipazione all’ultima Biennale di Venezia e l’esposizione al Pushkin Museum di Mosca, l’artista porta le sue opere in Versilia, a Pietrasanta, con il progetto espositivo «Truly», per la curatela di Enrico Mattei.
L’esposizione è l’occasione per presentare, negli spazi della chiesa di Sant’Agostino, la nuova scultura in marmo bianco «Le tre grazie», dettagliatissima nei particolari del panneggio, che vuole far riflettere sul concetto di libertà negata. L’opera ha, infatti, come soggetto tre donne originarie dalla città di Ghardaia in Algeria, luogo in cui la religione musulmana è interpretata in modo particolarmente integralista, visto che le donne sono costrette, fin dalla nascita, a indossare un burka fino ai piedi, che lascia scoperto un solo occhio.
Nella chiesa di sant’Agostino è visibile anche la scultura «Star Gate», realizzata in marmo arabescato del monte Altissimo, e consistente in due cassette per la frutta monumentali, di oltre due metri, «unite -raccontano gli organizzatori dell’esposizione- una con l’altra a divenire un varco per lo spazio, un passaggio, e al tempo stesso, un limite da oltrepassare cui si associano predisposizioni di nuova spiritualità e emancipazione».
La mostra, che allinea in tutto una ventina di opere, continua nel chiostro di Sant’Agostino e nelle sale adiacenti al pianoterra, dove è allestita una serie di lavori che hanno scandito la notorietà di Fabio Viale: dall’«Infinito» in marmo nero, con delle ruote di Suv intrecciate, a una versione de «La Suprema», che raffigura due cassette per la frutta dall’impeccabile effetto legno. In piazza del Duomo spicca, invece, un magistrale e inedito volto, cavo all’interno, come una maschera, che riproduce in scala monumentale il «David» di Michelangelo, sul quale Fabio Viale ha sperimentato un nuovo tipo di tatuaggio, combinazione del tutto personale delle più attuali tendenze: dallo stile criminale a quello giapponese, già sperimentati, fino ai nuovi orientamenti provenienti dal mondo dei trapper e dalle influenze sudamericane. Sempre in piazza del Duomo, accanto ad altri lavori, trova posto, una grande opera ispirata al «Torso Belvedere» che si trova a Roma, all’interno dei Musei vaticani.
La rassegna in Versilia è organizzata grazie alla preziosa collaborazione della Galleria Poggiali che, questa estate, ospita l’artista anche nei suoi spazi fiorentini con due diverse installazioni: una per la sede di via della Scala 35/Ar, l’altra per lo spazio in via Benedetta 3r. «Acqua alta High tide» è il titolo scelto per la rassegna, che presenta l'opera realizzata da Fabio Viale per il Padiglione Venezia (ai Giardini) in occasione della cinquantottesima edizione della Biennale d’arte: «una riflessione -raccontano gli organizzatori- sull’emergenza che stiamo attraversando, quella dell’innalzamento del livello del mare, dei cambiamenti climatici e del progresso incontrollato che ha stravolto equilibri naturali e il paesaggio in ogni parti del mondo».
L’installazione in via della Scala è formata da una dozzina di monoliti in pietra che replicano, a misura reale, quei pali in legno di rovere o di castagno alti tre metri e oltre che affiorano nella laguna di Venezia. Questi oggetti sono denominati «bricole», e servono da segnali per la navigazione. Quelle realizzate da Viale imitano il legno in maniera così stupefacente da far credere che queste sculture siano in realtà dei calchi.
La galleria è invasa da uno strato di sabbia umida, come se l’acqua si fosse appena ritirata dall’ambiente che ospita le «bricole». In più, Fabio Viale ha macchiato le pareti della galleria con un colore sporco, limaccioso, che riproduce la linea dell’acqua, come se lo spazio fosse realmente allagato. L’allestimento, così risolto, assume un aspetto drammatico e serve a collegare l’acqua alta che ha colpito Venezia nei mesi scorsi a quanto vissuto a Firenze nell’autunno del 1966, quando l’Arno superò gli argini, e con tutta la sua furia devastatrice il fiume invase il centro cittadino, raggiungendo l’altezza di molti metri in certi quartieri, come quello di Santa Croce. Ancora oggi, una lapide ricorda la linea dell’acqua in via della Scala e in Piazza Santa Maria Novella, dove furono superati i due metri, deturpando alla base affreschi preziosi e marmi pregiati.
Il tono così drammatico dell’allestimento in via della Scala si accentua nello spazio di via Benedetta, dove l’artista ha rovesciato quintali di pietrisco, detriti di marmo direttamente prelevati dai cosiddetti ravaneti, che sono in realtà gli strapiombi dove vengono gettati gli scarti della estrazione in cava: pietrame e schegge inutilizzabili, materiale prodotto dalla frantumazione della pietra che, precipitando e scivolando a valle, si sbriciola e crea delle vere e proprie cascate di marmo, che viste dalla marina sembrano antichi ghiacciai sopravvissuti al riscaldamento delle temperature.
Tra la massa informe dei detriti, che sembra muoversi come un fiume e trascinare con sé tutto, di tanto in tanto però emergono statue mozze, pezzi frantumati di vasi in marmo, arti e teste di pietra lavorati dal tempo e dalla caduta. Le «Tre Grazie» sono state ridotte a brandelli. Un personaggio pittoresco, un moro con turbante, appare riportato allo stadio grezzo di macigno. Un aggraziato «Apollo» è senza braccia, gambe e testa. Un molosso è restituito alla natura come sasso di fiume. Il paesaggio vuole ricordarci, l’inevitabile tragedia del divenire che tutto riduce in polvere.
Classico e popolare nello stesso tempo, Fabio Viale sembra giocare con il marmo per raccontarci verità sopite, rimosse o diverse, occultate dall’abitudine, dagli stereotipi, dai pregiudizi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Fabio Viale, Le Tre Grazie, 2020, marmo bianco, (da sx a dx) 125x89x61 cm, 124x86x88 cm, 137x77x75 cm; [fig. 2] Fabio Viale, Souvenir David, 2020, marmo bianco e pigmenti, 196x114x115 cm; [fig. 3] Fabio Viale, Laocoonte, 2020, marmo bianco e pigmenti, 198,5x134x87 cm; [figg. 4 e 5] Fabio Viale, Acqua alta High tide, 2020. Installation view at Galleria Poggiali, Florence. Courtesy Galleria Poggiali; [fig. 6] Fabio Viale, Arrivederci e grazie, 2017, marmo bianco e pigmenti, 110x105x180 cm cad.

Informazioni utili
Fabio Viale. Truly. Piazza Duomo, Chiesa e chiostro di Sant’Agostino - Pietrasanta (Lucca). Orari: 28.06 | 06.09: tutti i giorni ore 19-24; 07.09 | 04.10: martedì-giovedì ore 17-20; venerdì 17-23; sabato: 10-13 | 17-23; domenica: 10-13 | 17-20; lunedì chiuso.Ingresso libero. Informazioni: tel. 055.287748 | info@galleriapoggiali.com. Sito web: www.galleriapoggiali.com. Fino al 4 ottobre 2020

Fabio Viale. Acqua alta High tide. Galleria Poggiali Firenze, via della Scala, 35/Ar | via Benedetta, 3r – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-13.00 / 15.00-19.00, domenica su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055.287748 | info@galleriapoggiali.com. Sito web: www.galleriapoggiali.com. Fino all’11ottobre 2020

giovedì 16 luglio 2020

«Evoluzioni», sul Delta del Po l'arte racconta la natura e le sue fragilità

Stormi di fenicotteri rosa, aironi, fagiani, lepri, falchi di palude e daini allo stato brado. Due milioni di alberi di centocinquanta specie arboree diverse, tra cui il pioppo bianco. E una strada panoramica immersa tra il verde e l’azzurro dalla laguna veneta. È un gioiello naturalistico da vedere assolutamente l’isola di Alborella, oltre cinquecentoventi ettari di macchia mediterranea nel cuore del parco regionale del Delta del Po, riconosciuto dall’Unesco come riserva di biosfera.
In questo paradiso del turismo lento, amato dalle famiglie e dagli sportivi, è visitabile per tutta estate la mostra open air «Evoluzioni», un racconto sulla fragilità della natura intessuto da Vera Bonaventura e Roberto Mainardi.
La monografica dei due artisti di Officinadïdue, allestita fino al prossimo 18 ottobre, è un percorso in sette installazioni che testimonia le conseguenze del cambiamento climatico sul territorio e sulla biodiversità, ma allo stesso celebra la resilienza e la forza rigeneratrice della natura.
Autori dell’opera «Urlo di Vaia», evocazione sonora della tempesta che nel 2018 ha devastato le Alpi orientali e l’Altopiano di Asiago, Bonaventura e Mainardi considerano l’arte il medium ideale per il dialogo tra uomo e natura perché «esprime -spiegano loro stessi- concetti che le sole parole non riescono, toccando leve emotive, sensorialità e percezioni profonde. Per questo l’arte deve superare l’estetica per diventare etica».
Le sculture di «Evoluzioni» sono immerse negli spazi verdi dell’Isola di Albarella, a sua volta colpita nell’agosto 2017 dalla furia del maltempo che ha divelto oltre ottomila alberi su una superfice di quasi seicento ettari. A questo evento sono dedicate le prime installazioni del percorso, «Quiescenza» e «Attesa». Se da un lato le due opere narrano la nuda cronaca di quanto vissuto in questo angolo della Laguna veneta – immortalata dai trucioli delle piante abbattute e da una grande quercia sradicata che diventano parte integrante delle installazioni –, dall’altro mettono in luce l’intelligenza biologica della natura, in grado di rinnovarsi in presenza delle condizioni più adatte. Ciò non significa tuttavia che non sia necessario proteggerla e aiutarla a sopravvivere, come ribadiscono gli artisti con la scultura «La Foglia», dove una foglia di ferro sorregge un albero piegato dal vento e destinato a cadere.
L’altro volto del cambiamento climatico è quello della desertificazione. Posta idealmente al termine del percorso per sottolinearne l’opposizione agli episodi di maltempo, spesso legati a forti piogge, «Zolla» riporta alla memoria l’estate del 2018, caratterizzata da un lungo periodo di basse precipitazioni ed elevate temperature. Salinizzazione, impoverimento del suolo e perdita di fertilità sono i principali fenomeni legati alla desertificazione che arriva a porre in serio pericolo la stessa sopravvivenza delle persone e degli animali ed è tra i fattori che danneggiano, spesso irreversibilmente, la biodiversità.
Il tema della biodiversità è affrontato anche dalle altre tre restanti opere di «Evoluzioni».
«Ovuli» è una composizione in cui sementi di fiori, graminacee e piante sono custoditi in sfere di vetro soffiato di Murano poste su canne di bambù: una rappresentazione delle oltre mille banche dei semi che esistono a livello internazionale e hanno lo scopo di preservare la varietà biologica della flora.
«Lettino per Farfalle» punta i riflettori sul drastico calo della popolazione di insetti nel mondo, dalle farfalle alle api, a causa della perdita degli habitat, inquinamento e cambiamenti climatici. Un danno non solo ambientale: dagli insetti dipende un terzo della produzione alimentare e due terzi della frutta e verdura consumata quotidianamente.
«Il Grande Orecchio», presentato in anteprima in occasione della Giornata mondiale degli oceani, è, invece, un vortice che sgorga dal laghetto Palancana di Albarella, accompagnato dal rumore della natura del mare: un invito a mettersi in ascolto del fragile ecosistema marino. «L’orecchio ha una grande antica simbologia ed è associato alla saggezza dell’ascolto -raccontano Bonaventura e Mainardi-. Il movimento archetipo dell’acqua è la spirale che permette a due mondi di comunicare fra loro».
Le installazioni di «Evoluzioni» s’inseriscono perfettamente nella cornice dell’Isola di Albarella che, dopo la tempesta del 2017, ha promosso «Immersi nella natura», un ampio progetto paesaggistico di riqualificazione del patrimonio ambientale e naturale realizzato in collaborazione con l’atelier Coloco di Parigi. Tra le iniziative sviluppate c’è il parco giochi ecosostenibile AlbarellaLand, dotato di strutture ludiche realizzate in materiali naturali come legno e corde nel rispetto dell’ambiente.
L’anima sempre più green di Albarella si riflette nell’attenzione che si dimostra in ogni azione e comportamento promosso verso l’ambiente, dall’uso di biciclette all’abolizione della plastica sul suo territorio. Inoltre, la destinazione punta a diventare la prima isola al mondo a garantire un impatto nullo sulle emissioni di CO2 con il progetto «Albarella Futuro - Zero Carbon Emission», elaborato Mauro Rosatti ed Enrico Longo, in collaborazione con Augusto Zanella e Cristian Bolzonella dell'Università di Padova.
Nel parco regionale del Po una mostra d’arte diventa così anche l'occasione per conoscere un luogo di villeggiatura ancora poco frequentato dal turismo di massa.  Con i suoi alberghi e villette, con le sue spiagge attrezzate e con i suoi angoli pittoreschi Albarella è, infatti, una bella occasione per una vacanza diversa dal solito.

Informazioni utili
www.albarella.it