ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 30 settembre 2020

Venezia, un nuovo allestimento e una mostra di Umberto Moggioli per la riapertura di Ca’ Pesaro

Nella notte fra il 12 e il 13 novembre 2019 una marea eccezionale sommergeva Venezia, le calli e le case, le botteghe artigiane e gli spazi della cultura. L’«acqua granda» mostrava il volto fragile della città, travolgendo la vita dei suoi abitanti e sconvolgendo lo sguardo del mondo.
Tra i musei cittadini a pagare il prezzo più alto era Ca’ Pesaro. La conta dei danni era pesante: bookshop, guardaroba, bar, portineria e biglietteria erano totalmente distrutti; un guasto alla cabina elettrica aveva, poi, provocato un principio di incendio in una sala sotto lo scalone d’accesso.
Quando la riapertura sembrava vicina è arrivata la pandemia. Le calli vuote, le case serrate, i musei senza visitatori hanno di nuovo occupato le cronache globali, il virus ha interrotto la ripresa della città e anche i lavori di ripristino della Galleria internazionale d'arte moderna, resi possibili dai fondi messi a disposizione dalla Banca d’Italia.
C’è voluto così quasi un anno affinché il museo, il cui edificio di impianto barocco fu costruito per volontà della nobile famiglia Pesaro nella seconda metà del XVII secolo su progetto di Baldassare Longhena, potesse riaprire le sue porte ai visitatori.
Dopo mille traversie, dunque, dallo scorso venerdì 11 settembre è ritornata visibile la ricca collezione della galleria veneziana, che annovera al suo interno capolavori come «Il pensatore» di Auguste Rodin e la «Giuditta II (Salomé)» di Gustav Klimt, insieme a lavori di artisti quali Medardo Rosso, Giacomo Balla, Adolfo Wildt, Arturo Martini, Gino Rossi, Giorgio Morandi e Felice Casorati, ma non solo.
Ca’ Pesaro è, infatti, anche l’elegante scenario in cui vedere, a rotazione, la ricca collezione Sonnabend di New York, composta da centosei opere di arte pop, minimal, concettuale e povera, in deposito a lungo termine alla Fondazione dei Musei civici di Venezia. In questi giorni, in Sala quindici, sono per esempio visibili, in ricordo di Germano Celant, scomparso di recente a causa del Coronavirus, importanti capolavori di artisti da lui consacrati come Mario Merz, Pier Paolo Calzolari, Michelangelo Pistoletto,Gilberto Zorio, Giovanni Anselmo e Jannis Kounellis.
Un’altra importante collezione conservata a Ca’ Pesaro è quella della Fondazione Chiara e Francesco Carraro con le sue ottantadue opere, visibili in Sala sei e sette, che offrono uno sguardo sul Novecento con esemplari unici dell’arte vetraria del veneziano Vittorio Zecchin, di Carlo Scarpa e di Archimede Seguso, opere dell’ebanista Carlo Bugatti e capolavori, tra gli altri, di Arturo Martini, Giorgio De Chirico, Antonio Donghi e Gino Severini.
Da luglio è arrivata a Ca’ Pesaro anche la collezione del bolzanino Paul Prast, ha donato trentaquattro opere di autori importantissimi per l’arte del ‘900, tra cui gli Schiele esposti in Sala tre e le grafiche di de Chirico in Sala dieci.
Ivan Novelli e l’archivio Novelli hanno, invece, lasciato in deposito a lungo termine il lavoro «Allunga il passo amico mio», visibile in questi giorni in Sala tredici.
La ripresa di Ca’ Pesaro è stata nel segno della continuità. Il museo ha voluto, infatti, riaprire con la mostra temporanea di Umberto Maggioli, per la curatela di Gabriella Belli ed Elisabetta Barisoni, che si sarebbe dovuta inaugurare pochi giorni dopo l’«acqua granda» dello scorso autunno.
L’esposizione, visitabile fino al prossimo 8 dicembre, allinea una ventina di opere solitamente non visibili al pubblico: dipinti a olio, disegni e acqueforti provenienti da collezioni sia pubbliche che private, in gran parte transitate nelle sale del museo veneziano negli anni delle cosiddette «Avanguardie capesarine», nelle mostre del 1912 e 1913 e in quelle postume del 1919 e 1925.
Umberto Moggioli, artista trentino che a Venezia e in Laguna trovò la vera fonte di ispirazione, nacque nel 1886 e morì nel 1919, vittima a soli 33 anni dell'influenza spagnola.
In questi pochi anni di vita è stato capace di segnare la storia del panorama figurativo veneziano dei primi due decenni del Novecento con i suoi dipinti densi di luce impressionista, testimonianza di quanta cultura internazionale filtrasse nei primi anni del secolo tra la città lagunare e le sue isole.
I suoi accordi cromatici rendono le vibrazioni atmosferiche del variare delle stagioni e delle ore del giorno e riescono anche a suscitare emozioni. La componente poetica è tradotta visivamente in grandi cieli solcati da nubi ricche di sfumature lilla o da cirri biancastri, sinuosi e filiformi.
Burano osservata dall'alto e dalla vicina Torcello, con le case colorate immerse nella luce del tramonto e gli orti lambiti dalla laguna densi di luce impressionista, sono i soggetti più frequenti nei lavori esposti.
La riapertura di Ca’ Pesaro segna anche una nuova vita per la statua bronzea del «Cardinale» di Giacomo Manzù, che per anni è stata collocata nell’androne, alla base dello scalone di ingresso al museo. L’opera, danneggiata dalla marea dello scorso novembre, è stata restaurata dall’impresa veneziana Co.New Tech, grazie al contributo di Targa Telematics, e ora si trova in Sala undici, accanto al suo bozzetto preparatorio.
Ma non è tutto. Il museo non vuole dimenticare questi ultimi mesi, che hanno segnato pesantemente la sua storia. «Nulla può essere come era prima, -raccontano, infatti, dalla galleria veneziana- l'arte non può fare finta di niente di fronte alle vicende del mondo e rinascere significa anche comprendere nella propria identità la storia che l'ha attraversata». Per questo motivo accanto al lavoro ormai storicizzato degli artisti sono state affiancate le immagini fotografiche dell'attualità, della cronaca di questi mesi, di quello che Venezia, l'Italia e il mondo intero hanno vissuto. Perché per scrivere bene il futuro, nel segno di una reale continuità, non bisogna dimenticare il passato, la storia dei luoghi e di chi li ha vissuti.

Didascalie delle immagini
[Figg.1, 3 e 4] Nuovo allestimento di Ca' Pesaro a Venezia. Foto di Roberto Serra; [fig. 2 e 5]  Nuovo allestimento di Ca' Pesaro a Venezia. Foto di Stefano Mazzola

Informazioni utili 
https://capesaro.visitmuve.it/

martedì 29 settembre 2020

«The Sky in a Room», a Milano un progetto di Ragnar Kjartansson per rielaborare la quarantena

«Quando sei qui con me / Questa stanza non ha più pareti / Ma alberi, alberi infiniti / Quando sei qui vicino a me / Questo soffitto viola / No, non esiste più / Io vedo il cielo sopra noi». Era il 1960 quando Gino Paoli scriveva «Il cielo in una stanza», una canzone che celebra il potere dell’immaginazione raccontando di come l'amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino a portarci oltre i confini conosciuti, in un luogo inedito e astratto.
A questa canzone ha guardato l’artista e musicista islandese Ragnar Kjartansson (Reykjavík, 1976) con il suo progetto «The Sky in a Room», un intervento dal forte valore simbolico che la Fondazione Nicola Trussardi ha voluto donare alla città di Milano dopo il difficile periodo di quarantena che ha segnato la vita pubblica e privata di milioni di italiani, in particolare dei cittadini della Lombardia.
Scenario del progetto, in cartellone fino al prossimo 25 ottobre (ingresso libero, con prenotazione), è la chiesa di San Carlo al Lazzaretto, edificio ottogonale di costruzione rinascimentale, nel quartiere di Porta Venezia, conosciuto dai milanesi anche come san Carlino e reso celebre da Alessandro Manzoni che qui ambientò una delle scene più struggenti del suo romanzo «l promessi sposi»: l’incontro, dopo mille traversie, tra Renzo e Lucia, entrambi sopravvissuti ai giorni travagliati della peste seicentesca.
Tra queste pareti fatte costruire da san Carlo Borromeo all’architetto Pellegrino Tibaldi, faro e conforto per molti malati durante le epidemie pestilenziali del 1576 e del 1630, ogni giorno, per sei ore consecutive (dalle 14 alle 20), cantanti professionisti si alterneranno, uno alla volta e per venti minuti ciascuno, all’organo proponendo un arrangiamento della canzone di Gino Paoli e dando così vita a «una ninna nanna infinita», a una sorta di mantra o di rosario ininterrotto.
«Dopo mesi trascorsi nello spazio chiuso delle proprie abitazioni, accanto ai propri cari o, più tristemente, lontani dai familiari e dagli affetti» – raccontano dalla Fondazione Trussardi, al suo diciottesimo anno di «attività nomade» nel capoluogo lombardo, con l’intento di riscoprire luoghi dimenticati o insoliti – «la performance di Kjartansson può essere letta come un poetico memoriale contemporaneo: un inusuale monumento e un’orazione civile in ricordo dei dolorosi mesi passati a immaginare il cielo in una stanza e a sognare nuovi modi per stare insieme e per combattere la solitudine e l’isolamento».
Già conosciuto dal pubblico milanese per l’installazione «The Visitors», presentata nel 2013 all’Hangar Bicocca, l’artista islandese si serve di vari media espressivi (video, performance, musica, pittura) per creare opere venate da un senso di profonda malinconia, spesso ispirate alla tradizione del teatro e della letteratura nordica del Novecento, con riferimenti al lavoro di Tove Janson, Halldór Laxness, Edvard Munch e August Strindberg, tra gli altri.
Cresciuto all’interno di un contesto artistico e musicale colto –i genitori sono attori teatrali di successo, la madrina è una cantante folk professionista– Kjartansson si è occupato a lungo di musica suonando con i Kanada, i Kósý, e i Trabant e il mondo delle sette note è cuore pulsante anche nel suo percorso artistico, iniziato nel 2007. «In particolare, -raccontano dalla Fondazione Trussardi- la ripetizione di suoni e gesti è un elemento fondamentale nelle composizioni e coreografie dell'artista, che sono state spesso descritte come forme di meditazione e di riflessione nelle quali ritornelli, frasi e arie musicali sono trasformate in litanie toccanti e mantra ipnotici».
A proposito dell’intervento «The Sky in a Room», commissionato nel 2008 da Artes Mundi e dal National Museum of Wales di Cardiff, con il supporto del Derek Williams Trust e dell'ArtFund, l’artista afferma: «Il cielo in una stanza è l'unica canzone che conosco che rivela una delle caratteristiche fondamentali dell'arte: la sua capacità di trasformare lo spazio. In un certo senso, è un'opera concettuale. Ma è anche una celebrazione del potere dell'immaginazione – infiammata dall'amore – di trasformare il mondo attorno a noi. È una poesia che racconta di come l'amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino ad abbracciare il cielo e gli alberi». Perché, come diceva Oscar Wilde, «l’amore sa leggere ciò che è scritto sulla stella più lontana».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Ragnar Kjartansson The Sky in a Room, 2018 – 2020 Performer, organo e canzone Il Cielo in una Stanza di Gino Paoli (1960)  Originariamente commissionato da Artes Mundi e Amgueddfa Cymru – National Museum Wales e acquisitor con il supporto di Derek Williams Trust e Art Fund A Milano, presentato e prodotto dalla Fondazione Nicola Trussardi alla Chiesa di San Carlo al Lazzaretto Courtesy dell’artista, Luhring Augustine, New York e i8 Gallery, Reykjavik Photo: Marco De Scalzi; [fig. 4] Chiesa di san Carlo al Lazzaretto, Milano

Informazioni utili 
 Ragnar Kjartansson. The Sky in a Room. Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, largo fra’ Paolo Bellintani, 1 - Milano. Orari: tutti i giorni, dalle 14 alle 20. Ingresso gratuito previa prenotazione. Prenotazioni: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-the-sky-in-a-room-120366640863. Informazioni: https://www.fondazionenicolatrussardi.com/mostre/the-sky-in-a-room/. Fino al 25 ottobre 2020. 

lunedì 28 settembre 2020

Bologna, i fiori di Giorgio Morandi per la prima tappa di «Re-Collecting»

Sono i fiori di Giorgio Morandi a tenere a battesimo il progetto espositivo «Re-Collecting», nato da un’idea del direttore Lorenzo Balbi, con cui il Mambo – Museo d’arte moderna di Bologna e Casa Morandi riprendono la propria attività espositiva dopo l’emergenza sanitaria per il Covid-19.
Fino al gennaio 2021 i due musei ospiteranno cinque focus tematici sulle sue collezioni e sulle raccolte di Casa Morandi, valorizzando opere solitamente non visibili al grande pubblico e offrendo approcci originali, e quando possibile anche inusuali, al suo cospicuo patrimonio.
«Morandi racconta. Il fascino segreto dei suoi fiori» è il titolo del primo progetto, a cura di Alessia Masi, che presenta tredici lavori, prevalentemente dipinti, realizzati in un arco di tempo in un arco che spazia dal 1924 al 1957.
Ad aprire e chiudere il percorso espositivo, visibile fino al prossimo 15 novembre a Casa Morandi, è un mazzo di papaveri appena colti in due differenti rappresentazioni; quella più recente è raffigurata in un modello realizzato in seta come lo sono le rose, soggetto che ricorre nelle altre nove tele esposte.
Per offrire suggestioni sulle modalità di lavoro di Morandi, sono visibili in mostra anche due oggetti in porcellana provenienti da Casa Morandi, insieme a ciò che resta di quei fiori di seta o essiccati che, proprio per la loro durata perenne, erano i prediletti dell’artista come modelli di rappresentazione.
Ad arricchire il percorso, due acqueforti in cui si affronta lo stesso tema, utilizzando fiori veri e freschi, oltre ad una selezione di lettere e documenti.
La mostra si conclude con un video in cui la curatrice Alessia Masi approfondisce il tema dei fiori lungo l'arco della ricerca morandiana.
Giorgio Morandi affronta il tema floreale nell'arco di tutta la sua ricerca artistica, preferendo ai fiori freschi, rappresentati principalmente nelle opere giovanili, quelli essiccati o di seta, raffinatissimo prodotto dell'artigianato bolognese del Settecento, che mantengono inalterato il loro stato e non subiscono variazioni nel tempo indipendenti dalla volontà dell'autore. Alla pari degli altri soggetti, anche i fiori sono per Morandi solo un pretesto necessario per studiare gli aspetti della composizione, eliminando il superfluo per far affiorare la sostanza, l'essenza. Ciò che gli interessa non è tanto cogliere la fragilità organica del fiore, il suo naturale disfacimento, quanto studiarne la forma, il colore e gli aspetti luministici per andare alla radice del visibile, restituendo al visitatore dei brani di pura poesia.
Morandi rappresenta i fiori sempre soli, unici protagonisti della scena, a differenza di altri artisti come Renoir – da lui molto amato e studiato – che li inseriscono in composizioni più articolate. 
Per Morandi l'unica variante è costituita dai vasi, talvolta rappresentati per intero o talvolta solo parzialmente, prevalentemente bianchi, dal corpo allungato e, in pochissimi casi, decorati con qualche motivo ornamentale. La loro forma è sempre rigorosamente funzionale alla composizione spaziale e in alcune opere si intravede solo l'imboccatura per concentrare l'attenzione dell'osservatore sul mazzo di fiori.
Quello fra il 1920 e il 1924 è uno dei periodi in cui è più intensa la ricerca morandiana su questo tema. Spesso l’artista prepara sulla tela uno sfondo circolare entro cui, in modo altrettanto sferico, si iscrivono i fiori presentati da Morandi come un'entità organica policroma e multiforme, senza alcun indugio descrittivo sulla qualità dei petali e dei boccioli, quasi l’aggregarsi delle corolle costituisse un oggetto a sé stante. La stessa cosa si ripete in alcune incisioni, dove la lastra viene lavorata solo entro un dato perimetro a lieve tratteggio, al centro del quale si colloca l'elemento vegetale. Se nei fiori dei primi anni si sente il debito nei confronti della pittura di Rousseau, Cézanne, Chardin e soprattutto di Renoir (nella resa carnale e sensuale delle corolle), a partire dagli anni Cinquanta, invece, i fiori sono ridotti a una forma geometrica tondeggiante, in uno spazio indefinito e quasi senza respiro. Il tema viene affrontato da Morandi non solo in pittura e nell'incisione, ma anche nel disegno e nell'acquerello, con composizioni in cui sono evidenti l'estrema semplicità della forma, la volumetria dei piccoli recipienti e l'ombra che proiettano sullo sfondo, per raggiungere, specie nelle opere degli ultimi anni, quote di astrazione e dematerializzazione uniche, diventando pura atmosfera.
Una curiosità non nota a tutti è la finalità con la quale Morandi dipingeva una parte dei quadri di fiori: spesso si trattava di regali ad amici cari come Roberto Longhi, Lionello Venturi, Piero Bigongiari, Eugenio Montale, Vittorio De Sica e Valerio Zurlini, oppure alle stesse sorelle, che li ricevevano in occasione dei compleanni, così come ad altre donne legate all’artista da un profondo rapporto di amicizia e stima.
«Morandi racconta. Il fascino segreto dei suoi fiori», mostra della quale rimarrà documentazione in un agile catalogo pubblicato dal Mambo, fornisce anche occasione per presentare al pubblico due nuovi dipinti pervenuti al museo in comodato grazie alla generosità di Enos e Alberto Ferri: «Fiori» del 1946 (V. 501) e «Fiori» del 1957 (V. 1021). Si conferma così il rapporto di stima e fiducia che lega i collezionisti all’Istituzione Bologna Musei. I due nuovi lavori si aggiungono, infatti, ai tre concessi in comodato in precedenza: una «Natura morta» del 1931 (V.167), un «Paesaggio» del 1940 (V.283) e una «Natura morta» del 1960 (P.1960/5).
Dopo questo primo focus, «Re-Collecting» continuerà con «Castagne matte» (23 ottobre – 8 dicembre 2020), a cura di Caterina Molteni, «Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue nature morte» (19 novembre 2020 – 10 gennaio 2021), a cura di Giusi Vecchi, «Contenere lo spazio» (17 dicembre 2020 – 31 gennaio 2021), a cura di Sabrina Samorì, e «Morandi racconta. Il segno inciso, tratteggi e chiaroscuri» (14 gennaio – 14 marzo 2021 ), a cura di Lorenza Selleri: quattro appuntamenti di qualità per riscoprire opere conservate nelle collezioni cittadine, un patrimonio prezioso che fa conoscere Bologna nel mondo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giorgio Morandi, Fiori, 1924 (V.88). Olio su tela, cm 58 x 48. Istituzione Bologna Musei | Museo Morandi; [fig. 2] Giorgio Morandi, Fiori, 1946 (V.501). Olio su tela, cm 24,5 x 19. Collezione Enos e Alberto Ferri. Deposito in comodato gratuito al Museo Morandi da luglio 2020; [fig. 3] Giorgio Morandi, Fiori, 1957 (V.1020). Olio su tela, cm 22,5 x 28. Collezione Enos e Alberto Ferri. Deposito in comodato gratuito al Museo Morandi da luglio 2020

Informazioni utili
Museo Morandi, via Don Minzoni, 14 - 40121 Bologna, tel. +39.051.6496611. Sito internet: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Instagram: @mambobologna. Twitter: @MAMboBologna. YouTube: MAMbo channel.