ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 25 maggio 2021

«Terre»: a Lugano quattordici artisti si confrontano con le qualità espressive della materia

Si intitola «Terre» la nuova mostra della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano, spazio ticinese appartenente al circuito del Masi - Museo d'arte della Svizzera italiana, che rivolge la propria attenzione alle principali avanguardie del XX secolo, dal futurismo allo spazialismo, dall'arte povera al nouveau réalisme,senza dimenticare le tendenze neo-astrattiste e il neo-pop.
L’esposizione, in agenda fino al prossimo 6 giugno, propone una selezione di ventidue opere di pittura e scultura che spaziano dagli anni Venti al presente, accomunate da una dimensione materica, molte delle quali mai esposte in precedenza. I quattordici artisti presenti in mostra – di epoche diverse e di varia origine geografica – indagano con straordinaria varietà di esiti le qualità espressive della materia: da una pittura dominata dai colori della terra, come quella di Zoran Mušič, alle ricerche informali di ambito italiano ed europeo, fino ai materiali cosmici di Enrico Prampolini, Eliseo Mattiacci e Anselm Kiefer.
Il progetto espositivo prende le mosse proprio da un significativo gruppo di cinque dipinti del pittore e artista grafico di origini slovene Zoran Mušič (Gorizia, 1909 – Venezia, 2005): «Paesaggio senese» (1953), «Enclos primitif» (E3) (1960), «Motif végétal» (1972), «Terre d’istria» (1957) e «Terre dalmate» (1959). Queste opere testimoniano la stagione creativa che segue il trasferimento dell’artista a Parigi nel 1953, quando la sua produzione pittorica si avvicina al linguaggio dell’informale francese. Attraverso una pittura di motivi organici dalle tonalità aride che spesso sconfina oltre il figurativo, il pittore goriziano racconta un universo intimo e personale, in cui riaffiora il ricordo delle terre dell’infanzia e del vissuto dell’artista.
Nella stessa sala dialogano alcune importanti opere di tre maestri del Novecento italiano, protagonisti della stagione informale: Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), Leoncillo (Leoncillo Leonardi, Spoleto, 1915 – Roma, 1968) ed Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006). Interrogandosi sulla possibilità di rappresentare un mondo devastato a seguito della distruzione operata dai conflitti mondiali, questi autori danno vita a una ricerca che si libera dal controllo ideale e razionale dell’immagine in favore dell’espressività di elementi come sacchi di juta, ferro, legno o plastica. Di Burri è esposto un «Bianco Nero Cretto» del 1972, la cui superficie frammentata che richiama le fessurazioni delle terre argillose restituisce la sofferenza della materia esposta al processo di essiccamento; l'opera prefigura tutta la drammaticità del «Grande Cretto» (1984-89) realizzato dall’artista a Gibellina, sulle macerie della città rasa al suolo dal terremoto che, nel 1968, colpì la Valle del Belice, in Sicilia. La scultura «Senza titolo» (1960) rivela, invece, l’originale processo creativo con cui Leoncillo utilizza il gres (materiale ceramico a pasta dura), lasciando trasparire la profonda identificazione dell’autore con la materia stessa, mentre nella scultura «Per uno spazio - 29» (1987-88) di Emilio Vedova è la carica gestuale della pittura ad imporsi, andando ad inglobare a sé un altro materiale (il legno), fino a connotarlo di una qualità plastico-spaziale.
L’incontro con l’arte informale prosegue nella sezione successiva con le opere pittoriche di due dei suoi maggiori interpreti in ambito europeo: «Marrò» (1958) di Antoni Tàpies (Barcellona 1923 – 2012) e «Masque de terre» (1960) di Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985). Entrambi esplorano l’uso di materie povere, come i detriti o la terra, mescolati alla pittura a olio, nella completa assenza di figurazione che non lascia spazio ad altro che al potere suggestivo della materia grezza. Se Dubuffet pone l'accento sull'aspetto primordiale e istintivo dell’interazione con la materia, Tàpies realizza un’opera che appare come un vero e proprio muro di terra solcato da segni e incisioni, solida presenza che ci invita ad andare oltre la materia stessa.
La mostra prosegue, al di là di ogni distinzione cronologica, con un omaggio allo scultore italiano Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947). La scultura di piccolo formato in terra refrattaria «Violoncellista» (1931 ca.) si colloca nella fase più alta della sua creazione, che egli stesso ha definito il «periodo del canto», quando riceve il primo premio per la scultura alla Prima Quadriennale di Roma (1931) ed è invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia (1932).
In dialogo con questa scultura è messa l’opera in gesso dipinto «Deux oiseaux» (1926) di Max Ernst (Brühl, Germania, 1891 – Parigi, 1976), eseguita a due anni di distanza dalla fondazione del movimento surrealista a Parigi. Con singolare inventività tecnica, Ernst elabora una raffinata composizione dove si possono distinguere vaghe forme di uccello emergenti da tessiture materiche e cromatiche eterogenee. Pur realizzata a quasi un secolo di distanza, la scultura «Belle du vent» (2003) di Rebecca Horn (Michelstadt, 1944), costituita da una coppia di elementi in pietra vulcanica azionati da un motore, suggerisce un’atmosfera altrettanto onirica e surreale. Attraverso un linguaggio simbolico, l’artista tedesca combina dispositivi meccanici e materiali organici per indagare temi quali la natura nel suo andamento ciclico, lo scorrere del tempo, l’esistenza umana. Tra gli artisti della contemporaneità, inoltre, il tedesco Markus Lüpertz (Reichenberg, 1941) e il colombiano Gabriel Sierra (San Juan Nepomuceno, 1975) – presenti in mostra rispettivamente con il dipinto «Ulysses II» (2011) e l’opera a parete «Untitled» (2014) – rivelano due distinte modalità di relazionarsi con il concetto di materia: il primo evocandolo all’interno di una dimensione prettamente pittorica, mentre il secondo assemblando oggetti tridimensionali dalla forte connotazione architettonica che vanno a sovvertire le coordinate spazio-temporali contingenti.
Il percorso si chiude con un capitolo dedicato ai materiali «cosmici». Di Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956), forse il più eclettico e originale esponente del futurismo italiano, vengono presentate quattro opere: i due celebri polimaterici «Automatismo polimaterico C» (1940) e «Automatismo polimaterico F» (1941) esprimono una visione lirica e spirituale della realtà, definita dall’artista stesso «idealismo cosmico». Attraverso l’elaborazione polimaterica, Prampolini intende proiettarsi «oltre i confini della realtà terrestre», sino ad indagare i misteri del cosmo. Se in queste opere vengono evocati i processi produttivi e i ritmi biologici della natura, nel decennio successivo prevale piuttosto la concezione della materia come inedita realtà extra-pittorica e anti-illusoria, come si può evincere dalle due opere polimateriche «Apparizioni bioplastiche» (1954) e «Composizione S6: zolfo e cobalto» (1955). Il tema del rapporto dell’uomo col cosmo contraddistingue l’intera vicenda creativa dell’artista marchigiano Eliseo Mattiacci (Cagli, 1940 – Fossombrone, 2019). L’autore stesso riferisce come sue fonti d’ispirazione «il cielo, il Cosmo, l’immensità dell’infinito».
Entrambi i lavori qui esposti, «Spazio meteoritico» (1984) ed «Esplorare» (2003), ben rappresentano l’enigmatico rigore con cui Mattiacci formula il suo universo visivo attraverso l’uso originale dei metalli, materiali «vivi» in grado di attivare scambi di energie e nuove relazioni spaziali. Di ispirazione cosmico-astronomica, infine, è anche la grande opera pittorica «Eridanus» (2004) di Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945): qui la sfera celeste solcata dalla geometria della costellazione dalla quale aggetta un sottomarino in piombo, mette in luce la riflessione dell’artista sul rapporto con la storia recente della nazione tedesca.
La collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano racconta così, attraverso ventidue tele e quattordici artisti, come l’arte tra il ventesimo e il ventunesimo secolo sia stata capace di evidenziare l’irrinunciabile esigenza dell’uomo di confrontarsi con la terra – nella sua accezione fisica e metafisica – luogo di origine, sviluppo e fine di ogni essere umano.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Alberto Burri, Bianco Nero Cretto, 1972, acrovinilico su cellotex, 76,5 x 101,5 cm; [fig. 2] Enrico Prampolini, Automatismo polimaterico, 1941, collage e olio su carta, 32,4 x 40,6 cm; [fig. 3] Eliseo Mattiacci, Spazio meteoritico, 1984, trucioli di bronzi diversi con meteoriti in fusione di alluminio, 157 x 237 cm; [fig. 4]  Anselm Kiefer, Eridanus, 2004, olio, emulsione acrilica, carboncino e stucco su tela con sottomarino in piombo, 190 x 280 cm; [fig. 5] Arturo Martini, «Violoncellista», 1931 circa; [fig. 6] Antoni Tàpies, Marrò, 1958 © Fundació Antoni Tàpies / 2021, ProLitteris, Zurich

Informazioni utili
Terre. Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lungolago Riva Caccia - Lugano. Orari: venerdì - domenica, ore 11.00 – 18.00. Ingresso libero. Informazioni: +41.(0)91.8157973, info@collezioneolgiati.ch. Sito internet: www.collezioneolgiati.ch | www.masilugano.ch. Fino al 6 giugno 2021

lunedì 24 maggio 2021

Dai cameo cinquecenteschi ai selfie contemporanei: in un libro di 24 Ore Cultura «L’autoritratto» nel corso dei secoli

Per secoli gli artisti hanno escogitato modi per includere sé stessi all’interno delle loro opere, disseminando tracce della propria presenza in dipinti, disegni, sculture e - in epoca più recente - film, fotografie e installazioni. Dagli antichi cameo ai selfie contemporanei sono numerosi i sistemi con cui, dal XV secolo ai giorni nostri, gli artisti hanno trattato il tema dell’autorappresentazione. A raccontarli è da qualche settimana, dall’uscita in libreria e on-line dello scorso 11 marzo, un libro a della scrittrice e curatrice Natalie Rudd, edito da 24 Ore Cultura nella collana Art Essentials, che raccoglie testi che offrono un’introduzione di prim’ordine alle idee, ai personaggi e alle opere della storia dell’arte che più hanno influenzato il nostro modo di vedere il mondo. Accanto a volumi come «50 momenti che cambiarono l’arte» di Lee Cheshire e «Le donne dell’arte» di Flavia Frigeri, il libro «L’autoritratto» di Natalie Rudd, Senior Curator dell’Arts Council Collection, prestigiosa collezione di arte moderna e contemporanea, racconta come nel corso del tempo, dal Rinascimento tra Italia e mondo fiammingo per arrivare ai nostri tempi, l’autorappresentazione continui a essere largamente praticato dagli artisti nelle sue diverse forme e amato dal pubblico per la sua capacità di illuminare un’ampia gamma di questioni universali: identità, umana fragilità, scopo dell’esistenza, mortalità.
Attraverso l’analisi di alcuni tra i più grandi capolavori della storia dell’arte, l’autrice esplora in ogni capitolo del libro l’opera di un artista diverso, proponendo una visione specifica di sessanta stili e approcci, prendendo in considerazione le varie tecniche utilizzate e i diversi modi per esprimere sé stessi.
Il viaggio si snoda partendo dal cameo di Jan van Eyck nel «Ritratto dei coniugi Arnolfini», passando per i dipinti tormentati di Francisco Goya, Vincent van Gogh, Eduard Munch e Frida Kahlo fino ad arrivare a tecniche tipiche della contemporaneità come la fotografia di Cindy Sherman, la performance di Marina Ambramović e l’installazione di Tracey Emin.
Le ragioni per cui gli artisti nel corso dei secoli hanno scelto di rappresentare sé stessi nelle loro opere sono molteplici: alcuni hanno usato sguardi rivolti all’osservatore ed espressioni criptiche per esprimere condizioni interiori, crisi profonde o rivelazioni sconvolgenti. Tanti si sono ritratti con pennello e tavolozza in mano per promuovere il loro lavoro. Altri ancora hanno, invece, esplorato il potenziale camaleontico del genere e trovato infinite possibilità di gioco, di nascondimento, di mascheramento e trasformazione.
Grande spazio viene dato nel volume alle artiste donne, che dell’autoritratto spesso hanno fatto un simbolo di espressione della condizione femminile e una rivendicazione delle proprie capacità. Nate in un contesto prettamente patriarcale, dove l’azione artistica era ad uso esclusivo dell’uomo, Artemisia Gentileschi e Sofonisba Anguissola attraverso l’autoritratto trovano la libertà di esplorare i temi dell’identità e del genere: la prima esprimendo con la pittura il suo ruolo di donna vincente, la seconda sfruttando la propria intelligenza per compiere sottili trasgressioni. Mentre Dorothea Tanning giocando con i simbolismi e gli scenari onirici della sua opera si impone a tutti gli effetti nel panorama del surrealismo, mettendosi sullo stesso piano dei suoi colleghi uomini. Infine, Zanele Muholi, giovane artista sudafricana - il cui autoritratto è anche la copertina del libro - usa la fotografia per parlare di attivismo politico e sostegno alle minoranze: grazie alle tecniche di postproduzione intensifica il nero della propria pelle, celebrandone la bellezza in risposta ai media generalisti che cercano invece di schiarire i corpi neri.
In un’epoca che si interroga più che mai sulle nozioni di identità personale, il libro approfondisce la questione centrale del perché gli artisti ritornino più e più volte all’autoritratto, illustrando come questo genere riesca a rivelare i volti mutevoli dell’individualità e dell’egoismo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cover «L’autoritratto» di Natalie Rudd; [fig. 2][fig. 2] Sofonisba Anguissola, Autoritratto al cavalletto, fine anni Cinquanta del XVI secolo. Olio su tela, 66 x 57 cm. Museum-Zamek, Lancut, Polonia; [fig. 3] Dorothea Tanning, Compleanno, 1942- Olio su tela, 102 x 65 cm, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia. Acquisizione in occasione del 125° anniversario con il contributo di C. K. Williams, II, 1999 (1999-50-1). Dorothea Tanning © ADAGP, Paris and DACS, London 2021

Informazioni utili
Titolo: L’autoritratto. Editore: 24 ORE Cultura. A cura di: Natalie Rudd. Formato: brossura 14 x 21,5 cm. Pagine: 176 pp. corredate da 100 illustrazioni. Prezzo: € 14,90. Codice ISBN: 978-88-6648-526-1. In vendita in libreria e on-line. Sito internet: www.24orecultura.com

domenica 23 maggio 2021

#Notizieinpillole n. 2: cronache d'arte della settimana dal 17 al 23 maggio 2021

Una mostra italiana, «Ulisse. L’arte e il mito», si è aggiudicato il prestigioso «Global Fine Art Awards» nella categoria «Best Ancient». La Fondazione Arnaldo Pomodoro ha messo on-line la sezione Scenografia del «Catalogue Raisonné» dell'artista. Palazzo Strozzi ha portato in libreria un volume da collezione: «La Ferita. The Wound». Palazzo Te ha pubblicato un'interessante guida tematica al suo patrimonio storico-artistico, interamente dedicata alle Veneri. In Sicilia è stato trovato un testo inedito di Gesualdo Bufalino: la sceneggiatura «Io, Franca Florio». Al Piccolo Teatro è andato in scena «Antichi maestri», una riflessione sulle arti figurative. Venezia si appresta a ospitare il festival «Lo schermo dell’arte», in programma da giovedì 27 a domenica 30 maggio. Sempre a Venezia, alla Biennale di architettura, è possibile conoscere la storia del borgo di Peccoli, un'ottima meta turistica per l'imminente estate. Queste alcune delle notizie di cui vi abbiamo parlato questa settimana sulla pagina Facebook di «Fogli d'arte» (@foglidarte).
Buona lettura!   

1. IL «LABORATORIO PECCIOLI» TRA I PROTAGONISTI DELLA BIENNALE DI ARCHITETTURA
Tra le colline della Valdera, sulla direttrice che va da Pisa a Volterra, c'è un paese che guarda al futuro, rispettoso del suo passato, di una storia fatta di antiche pievi, piccoli musei, campi coltivati di olivi, viti e alberi da frutta. Stiamo parlando di Peccioli, borgo collinare dove l’arte contemporanea e la sostenibilità giocano un ruolo di primo piano. Premiato con la Bandiera arancione, la certificazione del Touring club italiano assegnata alle località con meno di 15.000 abitanti che, oltre ad avere un patrimonio storico, culturale e ambientale di pregio, sanno valorizzare il proprio territorio in termini di accoglienza turistica di qualità, il paese toscano è pronto a farsi scoprire dai visitatori della diciassettesima edizione della Biennale di architettura di Venezia (22 maggio-21 novembre 2021). Il borgo di Peccioli sarà, infatti, tra i protagonisti del Padiglione Italia, dove andrà in scena la mostra «Comunità resilienti», curata da Alessandro Melis dello studio Heliopolis 21.
La resilienza della cittadina toscana ha un cuore verde. La storia del comune è, infatti, legata alla presenza di un grande impianto di smaltimento nella frazione di Legoli, la cui gestione, fatta di accorta partnership pubblico-privato attraverso la società Belvedere, ingoia immondizia e riversa energia, ricchezza, servizi, strutture, infrastrutture, assistenza, bellezza, cura ambientale e benessere a tutta l’Alta Valdera.
La discarica, affrescata da Sergio Staino e dagli enormi wall drawing dell’artista neoavanguardista David Tremlett – che dopo la Tate Gallery di Londra, il MoMA di New York, ha fatto capolino in queste terre con un intervento nel borgo medioevale che è nei cataloghi della storia dell’arte contemporanea – è oggetto di interventi artistici così come l’intero borgo. Nakagawa, Massimo Bartolini, Umberto Cavenago, Alberto Garuti, Federico de Leonardis, Vedovamazzei, Vittorio Corsini, Fortuyn/O’Brien, Vittorio Messina, Patrik Tuttofuoco sono solo alcuni degli artisti che hanno realizzato le loro installazioni dando vita a un vero e proprio museo all'aperto.
Il luogo è stato anche dotato di un anfiteatro, una passerella sorprendente per servizi di moda (Gucci, Prada, Fendi, Valentino, Bulgari sono solo alcuni degli stilisti che si sono fatti incantare da Peccioli) e una ribalta inedita per spettacoli di teatro e di musica. Ne sanno qualcosa Fabio Concato, Pierfrancesco Favino, Luca Zingaretti, Luca Sofri, l’orchestra del Maggio Fiorentino, Claudio Santamaria, Walter Veltroni e molti altri personaggi, intellettuali, scienziati, economisti, artisti, performer.
Ma nel borgo va in scena anche il primo esperimento al mondo di robotica sociale in un contesto reale: i robot sfilano nei vicoli medioevali, fungono da spazzini a domicilio, portano la spesa a casa, vanno in farmacia o a fare acquisti per gli anziani con difficoltà deambulatorie. Nel paese ci sono anche la casa domotica testata dai cittadini, incubatori d’impresa, spin-off accademici e centri di ricerca sull’innovazione. Tutto parla la lingua del futuro, senza dimenticare la storia.

2. ON-LINE LA SEZIONE «SCENOGRAFIA» DEL «CATALOGUE RAISONNÉ» DI ARNALDO POMODORO
Si arricchisce di un nuovo, importante capitolo il catalogo ragionato di Arnaldo Pomodoro (Morciano di Romagna, 23 giugno 1926). Dal 18 maggio è on-line la sezione relativa alla scenografia, che documenta attraverso fotografie di spettacoli, materiali progettuali, locandine, note per la messinscena e opere correlate la storia complessiva di tutti i progetti dell’artista per il teatro.
A partire dalle prime esperienze a Pesaro, all’inizio degli anni Cinquanta, sino alle scenografie realizzate nel 2014 al teatro Greco di Siracusa, nella ricorrenza del centenario dell’Inda - Istituto nazionale del dramma antico, la passione del maestro per la scena ne ha fatto uno dei protagonisti più conosciuti del teatro contemporaneo.
«Nell’organizzazione teatrale e in ciascuno spettacolo ho sempre voluto mettere in evidenza la straordinaria valenza dell’elemento visivo – ha dichiarato Arnaldo Pomodoro – […]. Per completare e arricchire il progetto scenico ho sempre dedicato grande impegno allo studio dei costumi e all’uso di ornamenti, maschere, copricapi, armature e oggetti d’uso, come ulteriori elementi visionari di grande suggestione. […] Sono convinto che la scenografia debba anzitutto arricchire di significato il testo, per amplificarne l’effetto. […] Il compito dello scenografo, infatti, è quello di ‘mediare’ visualmente il testo per un nuovo pubblico in un altro e diverso periodo storico».
Il «Catalogue Raisonné» on-line, che per l’occasione si presenta in una rinnovata veste grafica, è un progetto in progress condotto dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro sotto la supervisione dell’artista: uno strumento di consultazione immediato, gratuito, sempre aggiornato e preciso, rivolto a studiosi, istituzioni culturali e studenti, collezionisti, operatori di mercato che vogliano approfondire la conoscenza dell’opera del maestro. Dopo le sezioni dedicate a sculture, disegni, multipli e scenografia, il catalogo affronterà progressivamente tutti gli altri ambiti sperimentati dall’artista con il suo lavoro: gioielli, studi progettuali, grafiche, arti applicate.
Un’ampia sezione biografica, bibliografica e antologica consente di accedere a informazioni esatte e verificate sull’artista, a un ricchissimo apparato di immagini e a materiali documentari rari e di difficile reperibilità. È disponibile anche una sezione dedicata alle opere in collezioni pubbliche, con possibilità di collegamenti e consultazioni mirate, secondo molteplici chiavi di ricerca e di geolocalizzazione. 
Per essere sempre aggiornato il catalogo ha bisogno del contributo degli utenti: chiunque disponga di informazioni o voglia contribuire al corredo iconografico, può scrivere una e-mail a catalogueraisonne@fondazionearnaldopomodoro.it. Il catalogo può essere consultato al link: https://www.arnaldopomodoro.it/catalogue_raisonne/project/.

[Nella foto: «Un ballo in maschera», 2005. Scenografia di Arnaldo Pomodoro. Foto di Vaclav Sedy]

3. «LA FERITA» DI JR DIVENTA UN VOLUME DA COLLEZIONE 
A marzo, nei giorni del terzo lockdown dei musei, Palazzo Strozzi a Firenze cambiava volto. La facciata dell’edificio, uno dei simboli cittadini del Rinascimento, diventava palcoscenico di un intervento site specific di JR, artista contemporaneo tra i più celebri al mondo: «La Ferita. The Wound». Un collage fotografico in bianco e nero, alto 33 metri e largo 28, costruito come una anamorfosi, un gioco illusionistico, andava a comporre uno squarcio simbolico sulla parete, dal quale si intravedevano un’immaginaria sala espositiva, una biblioteca e alcune tra le opere più celebri opere del patrimonio artistico fiorentino come «La Primavera» e «La Nascita di Venere» del Botticelli e «Il ratto delle Sabine» del Giambologna. L’artista francese proponeva così una riflessione sulla difficile accessibilità ai musei, e ai luoghi della cultura in genere, durante la pandemia.
L’evento, primo appuntamento del programma Palazzo Strozzi Future Art, si arricchisce ora di un volume da collezione edito da Marsilio Editori (cartonato ricoperto, 30 x 30 cm, pp. 48, con 30 ill. a col. ISBN 978-88-297-1194-9; euro 29,00), che è stato presentato lunedì 17 maggio, alle ore 18.30, uno speciale appuntamento live, sul profilo Instagram dell’istituzione fiorentina, con l’artista e il curatore Arturo Galansino.
Attraverso una suggestiva documentazione fotografica dell’installazione, del suo work in progress e dei suoi riferimenti, il libro racconta la genesi di quest’opera così originale e significativa e la inquadra all’interno del percorso artistico di JR che a Palazzo Strozzi si è espresso con una sperimentale contaminazione con la storia dell’arte.
«Siamo orgogliosi che «La ferita» si completi con un progetto editoriale così speciale. Abbiamo curato ogni dettaglio di questo volume, e ci siamo misurati con una dimensione narrativa originale e nuova - dichiara Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi –. Fin dal suo svelamento «La ferita» ha rappresentato una grandiosa forma di ispirazione per i cittadini di Firenze e per tutto il mondo. Con questo libro abbiamo voluto sviluppare ulteriormente la sua forza con l’obiettivo di sviluppare nuove connessioni tra la parola e l’immagine».
Per informazioni: www.palazzostrozzi.org.

4. IN LIBRERIA IL VOLUME «VENERE A PALAZZO TE» DI CLAUDIA CIERI VIA 
«Palazzo Te è un luogo-scrigno che incorpora miti e metamorfosi in ogni suo angolo, un labirinto di architetture e pitture che chiede di essere non solo ammirato, ma anche decifrato, letto, ascoltato, vissuto. Nella cultura e nell’immaginario di Giulio Romano e della nobiltà rinascimentale che ha abitato e vissuto il palazzo nei momenti di festa, il mito greco, filtrato dalla letteratura latina, era vivo e capace di emozionare. Era una presenza che si animava di rimandi, di letture, di immagini e di sogni. Il mito parlava e cantava. Oggi occorre farne memoria». Così Stefano Baia Curioni, direttore di Fondazione Palazzo Te, racconta l’importanza del progetto espositivo che l’istituzione mantovana sta dedicando a Venere, dea della bellezza che nasce dall’armonia, pacificatrice del cielo e della terra.
La prima delle tre mostre in programma, «Il mito di Venere a Palazzo Te», è appena diventata un libro, edito da Tre Lune con il contributo di Gruppo Tea. Disponibile in libreria, alla biglietteria del museo e on-line sul sito www.fondazionepalazzote.it, il volume, intitolato «Venere a Palazzo Te» (16,5x24 cm, 120 pp., brossura cucita, ISBN 978-88-31904-19-3, euro 14), è scritto da Claudia Cieri Via e arricchito da un corredo di oltre centocinquanta immagini a colori.
La studiosa esplora le varie raffigurazioni della «dea delle dee» nel palazzo mantovano, le confronta con altri modelli, ne indaga la tradizione formale e iconologica, le dispiega in un racconto avvincente, colto, semplice e necessario. Venere forza generatrice della natura, dea dell’amore, consacrata dea della bellezza dal Giudizio di Paride, emerge dalle pareti e dai soffitti di Palazzo Te, il «sacrario di Venere», grazie al pennello di Giulio Romano, «erede del graziosissimo Raffaello».
Divinità archetipica nei suoi aspetti contraddittori di figura ora pudica ora erotica, la dea è narrata nelle favole antiche come legittima moglie dell’anziano Vulcano, amante di Marte, dio della guerra, coinvolta da una passione amorosa con Adone fino alla morte.
La mostra a Palazzo Te presenta al pubblico le numerose Veneri raffigurate nel museo, tra stucchi e affreschi, valorizzate da un nuovo sistema di illuminazione. Il percorso è arricchito dall’esposizione di due opere legate alla produzione di Giulio Romano in prestito dal Palazzo Ducale di Mantova: la scultura «Afrodite velata», appartenuta all’artista e fonte di ispirazione per la Venere in stucco del soffitto della Camera del Sole e della Luna, e un arazzo eseguito da tessitori fiamminghi su disegno dello stesso Giulio Romano.
Per maggiori informazioni: tinyurl.com/pwj68atm.

5. «ANTICHI MAESTRI», A TEATRO UNA RIFLESSIONE SULL’ARTE
Da oltre trent’anni, ogni due giorni, un vecchio signore, musicologo per il «Times» e appassionato d’arte, si reca al Kunsthistorisches Museum di Vienna, si siede nella Sala Bordone e si mette a osservare con attenzione maniacale un celebre quadro di Tintoretto: «Ritratto di uomo barbuto». Perché quell’uomo ha un atteggiamento tanto strano? Che cosa cerca in quel capolavoro? La bellezza? No. I difetti perché «il tutto e il perfetto non li sopportiamo», ci risponde lo scrittore Thomas Bernhard nel suo romanzo «Antichi maestri» (1985).
Penultimo libro dell’autore austriaco e ideale conclusione di una trilogia delle arti, composta da «Il soccombente» (1983), ambientato nel campo della musica, e da «A colpi d’ascia» (1984), incentrato sull’arte drammatica, «Antichi maestri» è dedicato all’arte figurativa, ma è anche il racconto di una storia d’amore: sulla panca davanti al «Ritratto di uomo barbuto», il musicologo Reger, protagonista del romanzo, ha conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie e lì, giorno dopo giorno, ne ravviva il ricordo.
In bilico tra farsa e tragedia, tra confessione testamentaria e nostalgia per un amore perduto, il romanzo, nell’adattamento scenico di Fabrizio Sinisi e con la traduzione di Anna Ruchat, va in scena fino a domenica 23 maggio al Piccolo Teatro di Milano.
Il regista Federico Tiezzi trasforma l’opera di Bernhard in un vero e proprio studio teatrale sulla funzione dell’arte, i limiti della bellezza, la nevrosi della modernità, l’angoscia della solitudine e la disperazione della marginalità.
Tutti gli «Antichi Maestri» sono nulla per Reger, impersonato da Sandro Lombardi, di fronte al ricordo moglie; in tutti il musicologo ravvisa l’errore, la mancanza di genio. In scena ci saranno anche Martino D’Amico nel ruolo di Atzbacher e Alessandro Burzotta in quello di Irrsigler. Scene e costumi portano la firma di Gregorio Zurla; le luci sono di Gianni Pollini.
«Nel romanzo – dice il regista, Federico Tiezzi - pubblicato con il sottotitolo, non trascurabile, di Commedia, Bernhard, tra esilaranti elucubrazioni e ciniche invettive contro il mondo dell’arte, la città di Vienna e i suoi abitanti, innesca un feroce divertissement che si snoda su una pluralità di punti di vista, nel contempo farseschi e pessimistici, verso quello che lo scrittore austriaco considera simbolo dell’ipocrisia per eccellenza: l’essere umano». Antichi Maestri sarà in scena dal martedì al sabato, alle ore 1:30, la domenica, alle ore 16:00. Il costo del biglietto è fissato a euro 33,00 per la platea ed euro 26,00 per la balconata.
Informazioni su www.piccoloteatro.org

[Le immagini sono di Luca Manfrini]

6. ASSEGNATO A «ULISSE. L’ARTE E IL MITO» IL GLOBAL FINE ART AWARDS NELLA CATEGORIA BEST ANCIENT 
A due soli anni di distanza dalla vittoria del «Global Fine Art Awards» con «L'Eterno e il Tempo», nella categoria «Best Renaissance, Baroque, Old Masters», le grandi mostre forlivesi tornano sul podio del prestigioso premio americano.
Nella giornata di martedì 18 maggio, in diretta streaming da New York e Parigi, la mostra «Ulisse. L’arte e il mito» si è, infatti, aggiudicata il premio nella categoria «Best Ancient» della settima edizione del concorso, superando il British Museum di Londra, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, il Metropolitan Museum of Art di New York, il Louvre di Abu Dhabi, il Museu d’Arqueologia de Catalunya di Barcellona.
Il riconoscimento ha premiato nel contempo lo straordinario lavoro svolto continuativamente per sedici anni dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì ai Musei San Domenico, sotto il coordinamento e la guida di Gianfranco Brunelli, e il taglio particolarmente innovativo della mostra su Ulisse, che, pur senza rinunciare al rigore e all’approfondimento tematico, ha saputo coinvolgere il pubblico di tutte le età con numerosi inserti di natura multimediale.
Il prestigioso premio ha confermato, inoltre, la qualità e il valore delle grandi mostre forlivesi a livello mondiale, proprio mentre ai Musei San Domenico è in corso un’importante rassegna dedicata a Dante Alighieri, in occasione delle celebrazioni per il settimo anniversario della sua morte, che offre una rilettura della figura del «Sommo poeta» e della sua opera attraverso le immagini che lo hanno reso celebre in tutto il mondo in un arco temporale che va dal Duecento al Novecento.

7. DEBUTTA AL MIA FAIR IL PREMIO «ESPLORARE GAVI - IMMAGINI D'AUTORE DAL PIEMONTE» 
Esporrà in una cornice prestigiosa come il Mia - Milan Image Art Fair il vincitore della prima edizione di «Esplorare Gavi - Immagini d'autore dal Piemonte», il premio fotografico per professionisti e artisti della fotografia promosso dal Consorzio tutela del Gavi, il grande vino bianco piemontese.
Per partecipare al concorso, promosso con i patrocini di Enit - Agenzia nazionale del turismo e GAI-Giovani artisti italiani, c‘è tempo fino al 31 agosto. Gli interessati devono inviare un progetto composto da cinque a dieci immagini, che racconti il variegato paesaggio del Gavi - terra di confine tra Piemonte e Liguria ricca di bellezze paesaggistiche, architettoniche e umane -, ma che documenti anche i suoi caratteri distintivi, i suoi landmark e i suoi protagonisti. Le modalità narrative considerate sono la fotografia di paesaggio, lo still-life e la ritrattistica.
I lavori saranno selezionati da una giuria composta, tra gli altri, da Fabio Castelli, fondatore e co-direttore di Mia Fair, dai curatori Roberto Mutti e Denis Curti, e da Antonio Carloni, direttore del festival Cortona On The Move.
L'autore degli scatti vincitori non solo esporrà alla fiera milanese, in programma dal 7 al 10 ottobre, ma si aggiudicherà anche l'incarico di realizzare, nella primavera-estate 2022, un servizio fotografico nel territorio del Gavi del valore di € 4.880 lordi, oltre al rimborso delle spese di viaggio e permanenza.
Informazioni e modalità di partecipazione al link www.consorziogavi.com/esplorare-gavi/.


8. «IO, FRANCA FLORIO»: RITROVATA UNA SCENEGGIATURA INEDITA DI GESUALDO BUFALINO 
A consegnare la sua figura alla memoria del tempo» è stata la pennellata rapida ed eccentrica di Giovanni Boldini. Ma donna Franca Florio, altrimenti nota come la «regina di Sicilia» o «la stella d’Italia», suggestionò la fantasia di più di un intellettuale del suo tempo, a partire da Gabriele D’Annunzio. Alla nobildonna palermitana, una delle esponenti di maggiore rilievo della Belle Époque siciliana, guardò anche Gesualdo Bufalino, come documenta un inedito appena ritrovato fra le sue carte.
Non si tratta di un testo di narrativa, ma di una sceneggiatura commissionata allo scrittore tra il 1993 e il 1994 da Edward R. Pressman, produttore cinematografico americano, conosciuto soprattutto per il film «Wall Street» di Oliver Stone, con Michael Douglas premio Oscar come miglior attore protagonista. Il copione, un dattiloscritto con correzioni a mano e varianti applicate con lo scotch dallo stesso autore, reca come titolo: «Io, Franca Florio». Interlocutore dello scrittore fu Alessandro Camon, figlio di Ferdinando, sceneggiatore, che si era trasferito a Hollywood come produttore esecutivo.
Il soggetto della sceneggiatura è il racconto della straordinaria vita di Franca Florio, donna bellissima, simbolo di un mondo fatto di eleganza e opulenza. Sposata con Ignazio Florio, Franca fu vittima di un destino senza pietà, prima per la morte precoce dei figli, poi per il tracollo economico della famiglia, infine per il suo lungo sopravvivere, postuma di se stessa, in un tempo che ne aveva quasi dimenticato il nome.
Con «Io, Franca Florio» - che in base a un appunto del ’95 l’autore voleva inserire nel secondo volume delle «Opere», edito da Bompiani, dandogli così un autonomo valore letterario - Gesualdo Bufalino non era alla sua prima prova di sceneggiatore. Tra il 1988 e il 1989 lo scrittore comisano aveva, infatti, collaborato da consulente con Sandro Bolchi e Lucio Mandarà all’adattamento per la tv del romanzo di De Roberto «I Viceré» e, successivamente, aveva scritto un «timido abbozzo» di una sceneggiatura tratto dal suo romanzo «Argo il cieco».

9. «LO SCHERMO DELL’ARTE», CINEMA D'AUTORE A VENEZIA 
«Lo schermo dell’arte», film festival fiorentino diretto da Silvia Lucchesi, ritorna a Venezia e riapre il teatrino di Palazzo Grassi. L’appuntamento, in programma da giovedì 27 a domenica 30 maggio, prevede la proiezione di quindici titoli in lingua originale, con sottotitoli in italiano, firmati da importanti video-artisti e filmmaker internazionali. In ogni giornata saranno a disposizione quattro sessioni di proiezioni, accessibili su prenotazione obbligatoria sul sito www.palazzograssi.it.
Giovedì 27 maggio si partirà con «Szeemann and Lenin Crossing the Alps» di Rudolf Herz (Germania, 2019, 18’ 46’’), un ritratto inedito e intenso del celebre curatore e critico d’arte svizzero Harald Szeemann (1945 – 1980), scomparso nel 2005. A seguire, è in programma il film dell’artista palestinese Emily Jacir, «Letter to a friend» (Palestina, 2019, 43’), che lancia un appello al gruppo di ricerca inglese Forensic Architecture affinché conduca delle indagini sulla strada di Betlemme in cui la famiglia dell’artista vive da anni. Ci sarà, poi, «Recoding Art» (Brasile, 2019, 15’) di Bruno Moreschi e Gabriel Pereira, che mette in scena un singolare esperimento, invitando sette diverse tipologie di intelligenze artificiali a reinterpretare alcune opere del Van Abbemuseum di Eindhoven. La giornata si concluderà con «Spit Earth: Who Is Jordan Wolfson? » (Stati Uniti, 2020, 55’) di James Crump, su una serie di questioni che riguardano la società contemporanea: omofobia, misoginia, razzismo, nazionalismo, antisemitismo e violenza.
Venerdì 28 maggio si inizierà con «De Oylem iz a Goylem» di Omer Fast (Austria, Germania, 2019, 24’) con una serie di riflessioni sul nostro sistema di credenze. Sarà, poi, il momento di «The Sculpture» dell’artista taiwanese Musquiqui Chihying (Taiwan, 2020, 28’), sulla vicenda Xie Yanshen, collezionista e filantropo cinese, nonché direttore del Museo internazionale privato di arte africana a Lomé, in Togo. A chiudere la giornata sarà «Aalto» di Virpi Suutari (Finlandia, 2020, 103’), un omaggio al grande architetto scandinavo condotto attraverso l’intenso scambio epistolare tenuto con la prima moglie, Aino.
Sabato 29 maggio si inizierà con «Bustrofedico» di Anna Franceschini (Italia, 2019, 14’ 47’’), realizzato per il finissage del Padiglione Italia alla Biennale d’Arte 2019. Si proseguirà con «History of a Tree» di Flatform (Italia, 2020, 24’), la storia della quercia vallonea più antica d’Europa, sita a Tricase, in provincia di Lecce, sotto la cui chioma in quasi un millennio di vita hanno trovato riparo donne e uomini di passaggio. Successivamente, verranno proiettati «Becoming Alluvium» di Thao Nguyen Phan (Spagna, Vietnam, 2019, 16’40’’), «Three Works for Piano» di Dani Gal (Germania, 2020, 34’) e «#JR» di Serge July e Daniel Ablin (Francia, 2018, 52’), il documentario dedicato all’artista francese che con le sue fotografie di dimensioni colossali coinvolge diverse popolazioni incontrate in tutto il mondo nella convinzione che l’arte possa offrire un contributo fondamentale per cambiare le cose.
Domenica 30 maggio si inizierà con «Haunting» di John Menick (Stati Uniti, 2020, 32’) che conduce il pubblico nel cuore della storia del cinema horror. Si proseguirà con «Kala Azar» (Paesi Bassi, Grecia, 2020, 91’), il primo lungometraggio dell’artista greca Janis Rafa. Infine, verrà proiettato «Keith Haring: Street Art Boy» di Ben Anthony (Regno Unito, 2020, 53’), un salto nella scena culturale newyorkese degli anni Ottanta, tra new wave, rap e graffiti.
Per maggiori informazioni: www.palazzograssi.it.