ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 25 giugno 2021

#Notizieinpillole, le cronache d'arte della settimana dal 21 al 27 giugno 2021

«PASSAPORTO TURANDOT», IN TOSCANA NUOVE SINERGIE MUSEALI NEL SEGNO DI GIACOMO PUCCINI E GALILEO CHINI
Si apre anche al territorio la mostra «Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba», organizzata a Prato in occasione del ritrovamento di un nucleo di costumi di scena e di gioielli, provenienti dal guardaroba della cantante pratese Iva Pacetti e indossati da Rosa Raisa, la prima soprano della storia a interpretare il ruolo della «Principessa di gelo» nella rappresentazione del 25 aprile 1926 al teatro alla Scala di Milano, con la direzione di Arturo Toscanini.
L’esposizione allinea anche tessuti, costumi e maschere teatrali, porcellane, strumenti musicali, sculture, armi e manufatti d’uso di produzione thailandese e cinese provenienti dalla collezione personale di Galileo Chini, oggi conservata al Museo di antropologia e etnologia di Firenze, nonché una selezione di scenografie realizzate per l’opera nel corso degli anni e una trentina di costumi provenienti dall’archivio della Sartoria Devalle di Torino.
In occasione della mostra, il Museo del tessuto di Prato ha riunito alcuni dei luoghi più suggestivi della Toscana, legati a vario titolo alle figure di Giacomo Puccini e Galileo Chini, in un progetto denominato «Passaporto Turandot», nell’interesse comune di promuovere attivamente la ripresa della cultura e del turismo di prossimità.
In una piccola guida cartacea, agile e snella, sono presentati al pubblico il Puccini Museum di Lucca, la casa natale del compositore Giacomo Puccini, la Villa Museo di Torre del Lago (che conserva ancora il suo aspetto originale così come lasciato dal maestro nel 1926), il Moca – Montecatini Terme Contemporary Art (esempio tangibile dell’operato di Galileo Chini qui presente con le splendide vetrate e con la decorazione delle volte e dei velari del Municipio) e, infine, il Chini Museo di Borgo San Lorenzo con gli splendidi capolavori ceramici e non solo creati dal poliedrico artista. Portando con sé il «Passaporto Turandot», appositamente timbrato all’ingresso delle strutture segnalate, il visitatore potrà usufruire di particolari agevolazioni.
In occasione della mostra pratese, il Museo di antropologia ed etnologia del Sistema museale dell’Ateneo fiorentino ha riallestito appositamente una sala del Palazzo Nonfinito con un’accurata e inedita selezione di oggetti provenienti dalla Collezione Chini - visibili al pubblico a partire dagli inizi divisibili al pubblico a partire dagli inizi di giugno - creando così una connessione filologica con la mostra pratese.
Il Museo del tessuto ha, inoltre, stretto con il Comune di Montecatini, per la creazione di itinerari turistici sulle tracce di Galileo Chini al complesso termale Tettuccio e Tamerici e al Grand Hotel & La Pace Spa, e con la Fondazione festival pucciniano, che prevede sconti per i biglietti degli spettacoli «Tosca», «Turandot» e «La Bohème» in cartellone tra luglio e agosto.
Per maggiori informazioni sulla mostra: https://foglidarte.blogspot.com/2021/06/Turandot-Oriente-fantastico-Puccini-Chini-Caramba-Museo-Tessuto-Prato-rosa-raisi-costumi-ritrovati.html

BARCA «SPERANZA» DIVENTA UN TEATRO: A TORINO TRE GIORNI DI SPETTACOLI NEL SEGNO DELL’ACCOGLIENZA
Il suo nome «Speranza» è già indicativo di una storia che narra di terre diventate improvvisamente inospitali e di viaggi in mare alla ricerca di un futuro migliore. Quella barca, che dal febbraio 2020 è esposta a Torino, nell’attuale sede della Fondazione Mamre (piazzale Croce Rossa Italiana 185/A), centro di mediazione culturale fondato da Francesca Vallarino Gancia e presieduto da suor Giuliana Galli, è arrivata a Lampedusa nel 2017 dalla spiaggia di Sfax, in Tunisia, con a bordo sessantuno migranti, fortunatamente tutti sopravvissuti al difficile viaggio nel Mediterraneo. Oggi è simbolo di accoglienza e cura per uomini, donne e bambini in cerca di buona vita. E, dal 25 al 27 giugno, si trasforma anche in palcoscenico per la rassegna «Barca in Barriera», promossa in collaborazione con la compagnia Casa Fools: tre giorni di spettacoli e momenti di incontro per affrontare in maniera trasversale e partecipativa il tema della migrazione, rendendo protagoniste le storie di coloro che, oggi come ieri, sono costretti a fuggire dal proprio Paese.
A segnare il debutto della manifestazione è stato - venerdì 25 giugno, alle ore 21 - «Tripolis», produzione del Piccolo Teatro Patafisico di Palermo, che affida a un unico attore sulla scena, Dario Muratore, il difficile compito di rovesciare la prospettiva dell’esilio: attraverso il dialogo fra un giovane uomo e sua nonna, riaffiora il dramma dell’emigrazione italiana in Libia, nella colonia italiana a Tripoli.
Sabato 26 giugno, alle ore 17, avrà, quindi, luogo «Quella volta in cui ho perso il filo»: un caleidoscopio di sedici storie, raccontate in contemporanea al pubblico diviso in piccoli gruppi, che esploreranno il tema della follia. Seguirà, alle ore 21, l’anteprima di «Sindrome Italia. O delle vite sospese», che, riprendendo il nome di un vero e proprio fenomeno medico-sociale, parla del purgatorio in cui si trovano le giovani madri che arrivano in Italia per lavorare come colf o badanti. Tiziana Francesca Vaccaro, partendo da una serie di testimonianze dirette, porta sulla scena le condizioni psicologiche delle care-giver distrutte dalla scissione di non sentirsi più né madri né donne.
Domenica 27 giugno, alle ore18, la rassegna si chiuderà con il Salotto di Storytelling Torino, un dialogo collettivo in cui raccontare e ascoltare storie, miti e fiabe sul tema dell’ospitalità, a cui seguirà lo spettacolo «Invisibili», di e con Mohamed Ba, performer nato in Senegal e arrivato in Italia sedici anni fa, che ha fatto del teatro lo strumento espressivo della sua esistenza. Il monologo, fra comico e drammatico, raccontarerà la vita di chi decide di mettersi in mare sapendo ciò che lascia ma poco o nulla di quello che rincorre.
Il teatro diventa così un messo di comprensione e unione. Come racconta Luigi Orfeo, co-direttore di Casa Fools: «il teatro resta il mezzo di comunicazione più potente per arrivare davvero ai cuori, alle teste e alle coscienze in modo forte, potente, divertente e coraggioso». Per informazioni e prenotazioni: mamre@fondazionemamre.org.  

CAMPIELLO GIOVANI E COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM A BRACCETTO: DAI FINALISTI DEL PREMIO LETTERARIO RACCONTI BREVI ISPIRATI ALL’ARTE
Ispirazione, sostenibilità e presente: sono queste le tre parole chiave del Manifesto per la rinascita che la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ha presentato lo scorso febbraio.
Alla luce di questo documento è nata la collaborazione con il Campiello giovani, concorso letterario rivolto ai ragazzi tra i 15 e i 22 anni, con la quale il museo lagunare prosegue il proprio percorso rivolto al dialogo e all’ascolto degli under 25, la cosiddetta Generazione Z.
Lo staff di Palazzo Venier dei Leoni ha invitato la cinquina finalista della 26° edizione del prestigioso premio letterario a scrivere un breve racconto ispirato ad alcune opere della sua collezione. Tra queste emergono dipinti iconici di Marc Chagall, Giorgio de Chirico, Vasily Kandinsky, Salvador Dalí e Jackson Pollock, affiancati da lavori meno noti al grande pubblico, ma dalle significative potenzialità evocative, firmati da Albert Gleizes, Germaine Richier, Clyfford Still e Grace Hartigan.
Entro il 31 luglio ciascun finalista dovrà consegnare un racconto breve, di massimo 2500 battute, che prenda spunto da una delle opere suggerite, in chiave assolutamente immaginifica e creativa. I testi finali verranno letti dai rispettivi autori nel corso di un evento che si terrà a settembre alla Collezione Peggy Guggenheim, e saranno condivisi sui canali social del museo, sotto forma di animazioni video che daranno vita alle parole dei cinque giovani scrittori. Per dare la possibilità alla cinquina di approfondire la conoscenza delle opere, che sono ispirazione e spunto per gli scritti, è stata regalata a ciascuno di loro la membership card della collezione.
Grazie alla collaborazione con il Campiello giovani, il museo intende interpretare il pensiero della sua fondatrice, facendosi «laboratorio di ricerca per nuove idee [..], servendo il futuro invece di registrare il passato». Oltre a essere stata una grande collezionista, va ricordato che Peggy Guggenheim ha amato profondamente anche la letteratura. Il suo esordio professionale fu nella libreria newyorkese del cugino, la Sunwise Turn, dove conobbe il primo marito Laurence Vail, e in vita, la mecenate americana sostenne anche diversi scrittori, tra cui Djuna Barnes, e aiutò economicamente riviste letterarie d’avanguardia, come «The Little Review», che per prima pubblicò in America l’«Ulisse» di James Joyce.
In questi giorni, la Collezione Peggy Guggenheim ha anche lanciato la nuova Easyguide, un’innovativa audioguida, acquistabile alla biglietteria del museo al costo di 3,00 euro, che permette di conoscere quattordici opere simbolo dell’istituzione veneziana, tra cui «Il poeta» di Pablo Picasso, «Paesaggio con macchie rosse, n. 2» di Vasily Kandinsky, «L’impero della luce» di René Magritte, «Irlanda» di Grace Hartigan. E ancora, «Giovane donna a forma di fiore» di Max Ernst, «Donna che cammina» di Alberto Giacometti, «Tauromachia» di Germain Richier.
Easyguide, sviluppata dalla spagnola MuseumMate, non è una app, l'accesso ai contenuti è aumentato e avviene attraverso la scansione di un codice QR, consegnato al visitatore nel momento dell’acquisto. In questo modo non è necessario scaricare i contenuti sul proprio smartphone, ma è possibile usufruirne grazie a una semplice connessione internet. I testi, disponibili in italiano e inglese, rimangono fruibili nelle 24 ore successive il primo accesso. Informazioni su https://www.guggenheim-venice.it.

[Crediti delle foto: © Peggy Guggenheim Collection, Venezia. Photo Matteo De Fina]  

A SANREMO IL MUSEO DAPHNÉ RACCONTA LA MODA DALLA BELLE ÉPOQUE ALLA NASCITA DEL MADE IN ITALY
Come si è evoluta la moda nella Riviera ligure durante gli anni d’oro del turismo? Risponde anche a questa domanda la mostra, per la curatela di Alberto Parodi e Hilda Ricaldone, allestita per tutta estate al Forte di Santa Tecla di Sanremo, architettura militare del Settecento, nella zona del Porto Vecchio, che nel dicembre 2014 è stata riconvertita in polo museale dal Mibact.
Fino al 31 agosto manifesti, fotografie, dépliant, documenti d’archivio, abiti e filmati raccontano la straordinaria affermazione della «Città dei fiori» come meta di soggiorno e mondanità tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni ’70 del Novecento.
Il percorso espositivo, che si è avvalso della consulenza di importanti enti prestatori come la Collezione nazionale del Museo Salce o l’Istituto Luce di Roma, è articolato in dodici sezioni principali che illustrano diversi aspetti della nascita e dello sviluppo del turismo a Sanremo: «Le origini», «Il viaggio», «I fiori», «L’ospitalità», «Il casinò», «Il territorio», «Gli sport», «La musica», «La promozione», «Le celebrità» e «La moda».
Quest’ultima parte del percorso espositivo è stata realizzata dal Museo Daphné della moda e del profumo, che ha messo in mostra sontuose toilette sfoggiate dalle donne negli anni della Belle Époque, durante le passeggiate al mare, ma anche negli eventi mondani che avevano per scenario i giardini e i Grand Hotel della Riviera di Ponente. 
La mostra racconta anche gli anni Trenta, quando a Sanremo il Casinò municipale diventò il fulcro della vita mondana e sartorie prestigiose come Jeanne Marguerite e Josephine&Mina fecero a gara per vestire le nobildonne.
Negli anni '50 e ’60, poi, le serate mondane del Festival di Sanremo consacrarono la città alle icone fashion di riferimento, con la loro eleganza bon ton e l’allude impeccabile: Evita Peron, Grace Kelly, Maria Callas e Renata Tebaldi, nei loro soggiorni sanremesi, si affidarono per i loro abiti all’atelier Daphné, importante testimone del valore artigiano delle creazioni di alta moda.
La mostra sarà aperta tutti i giorni, dal martedì alla domenica, dalle ore 16 alle ore 22. Il costo del biglietto varia dai 4,00 euro dell’intero ai 2,00 del ridotto.

TORINO, ALLA MOLE ANTONELLIANA UN NUOVO SPETTACOLO DI VIDEOMAPPING PER LA FESTA DI SAN GIOVANNI 
La festa di San Giovanni riporta a Torino, sulla Mole Antonelliana, uno spettacolo di videomapping. Dopo il successo dello scorso anno, con oltre 1.500.000 visualizzazioni on-line da tutto il mondo, l’edificio simbolo della città sabauda torna ad animarsi con immagini che raccontano il cinema e le sue suggestioni.
Fino a domenica 25 luglio, ogni sera dalle 22.30 alle 00.30, i quattro lati della cupola faranno da scenario a uno spettacolo in tre sezioni, tutte in anteprima mondiale. Si inizierà con «Masters», in cui il regista David Cronenberg presenterà «Red Cars» sul tema «cinema e auto», il tutto rivisitato dal genio creativo di Donato Sansone. Si proseguirà con «Show», progetto transmediale Revenge Room, prodotto da One More Pictures e Rai Cinema, presentato lo scorso anno alla Mostra del cinema di Venezia in formato lineare e nelle sale VR della Mole come esperienza di realtà virtuale, e adesso in forma di videomapping sviluppato da Direct 2 Brain. Si terminerà con «Exhibition», che vedrà in scena lo spettacolo «Torino’s Dreaming Photocall», ideato e diretto da Luca Tommassini in occasione della mostra «Photocall. Attori e attrici del cinema italiano», che dal 20 luglio sarà ospitata al Museo nazionale del cinema.
Solo per la serata del 24 giugno, Luca Tommassini ha arricchito le proiezioni con uno spettacolo acrobatico di danza verticale nel quale otto ballerini-acrobati hanno danzato su musiche e coreografie originali con le più note scene di ballo del cinema italiano.
Novità di quest'anno è l’app Mnc Xr, realizzata da Synesthesia e dal Politecnico di Torino, grazie alla quale sarà possibile ascoltare in sincrono le colonne sonore originali degli spettacoli.
Per maggiori informazioni si può consultare il sito https://sangiovanni2021.it.

 C'È TEMPO FINO AL 1° NOVEMBRE PER VEDERE LA MOSTRA «L'ARCA DI VETRO. LA COLLEZIONE DI ANIMALI DI PIERRE ROSENBERG» 

Farfalle, tartarughe, elefanti, gatti, balene, polipi, volpi, orsi, ippopotami, pesci, mammut, pappagalli, giraffe e cani: è uno zoo, ricco e variopinto, quello che la Fondazione Giorgio Cini di Venezia propone per tutta estate allo spazio espositivo «Le stanze del vetro», sull'isola di San Giorgio Maggiore, nella mostra «L'arca di vetro», a cura di Giordana Naccari e Cristina Beltrami.
L'esposizione, che allinea oltre settecentocinquanta pezzi della collezione di animali di Pierre Rosenberg, presidente e direttore onorario del Museo del Louvre di Parigi, è stata prorogata fino al prossimo 1° novembre, anche per consentire le visite scolastiche nei mesi di settembre e ottobre.
La scelta di offrire ai più piccoli la possibilità di immergersi nella storia della produzione vetraria muranese dedicata agli animali di vetro - opera che nel Novecento ha coinvolto artisti del calibro di Napolene Martinuzzi, Toni Zuccheri o Alfredo Barbini - è dettata dal fatto che l’allestimento della mostra veneziana, curato dalle scenografe Denise Carnini e Francesca Pedrotti, è così coinvolgente e unico da sembrare ideato appositamente per i bambini.
Anche per gli adulti sono stati pensati da Artsystem appuntamenti per conoscere la rassegna, tra cui visite guidate gratuite in programma tutti i sabati e le domeniche alle ore 12 in inglese e alle ore 15.30 in italiano. Tutte le domeniche sono, poi, in agenda i «SunGlassDays», appuntamenti pensati per famiglie che coinvolgeranno grandi e piccoli a partire dalle 10.30. Il tema di giugno è «L’arca di carta»: mentre gli adulti parteciperanno a una visita guidata in mostra, i bambini realizzeranno un’arca di carta e animali da collezionare. Tutte le attività sono gratuite previa prenotazione (numero verde 800-662477 lun-ven dalle 10 alle 17; artsystem@artsystem.it).
Per saperne di più sulla mostra: https://foglidarte.blogspot.com/2021/03/arca-vetro-Pierre-Rosenberg-fondazione-Cini-Venezia.html.

[Le foto sono di Enrico Fiorese]

«SWIMMING HOME», QUANDO IL TEATRO ENTRA NEL BAGNO DI CASA 
La vita quotidiana si trasforma in teatro con «Swimming Home», nuova creazione di Silvia Mercuriali, artista italiana, residente a Londra, che da anni focalizza la sua ricerca sull’autoteatro, un nuovo tipo di performance in cui il pubblico è attore di se stesso, ricevendo e seguendo istruzioni audio, video e/o testuali.
La pièce, in cartellone dal 23 al 30 giugno (e poi dal 20 al 25 settembre) come anteprima della quattordicesima edizione del festival bolognese «perAspera», si configura come una meditazione privata per una persona alla volta. La pièce, che si basa sull’elemento acquatico e sulla sua forza evocativa e onirica, sfrutta la tecnologia dell’app Mercurious NET-National Ear Theatre e si dipana nel bagno di casa propria, trasformato per l’occasione in uno spazio poetico dove i rubinetti sono cascate e il bagno un brodo primordiale.
Invitati a indossare costume da bagno, occhialini e asciugamano, i partecipanti potranno decidere se accedere alla versione vasca o doccia e a un orario prestabilito avranno accesso alla pièce audio accompagnati dalle voci narranti di Silvia Mercuriali, Neri Marcorè, Andrea Fugaro e Fabrizio Matteini, tra istruzioni da seguire e un racconto che ripercorre la relazione con l'acqua che ci connette tutti. Il brano finirà all'inizio dell'atto successivo: sul bordo della piscina, prima di tuffarsi. La pièce – alla quale si partecipa con un telefono, un paio di cuffie di buona
qualità e un collegamento Internet stabile - prende forma anche grazie alle interviste realizzate in tutta Italia a numerosi nuotatori, professionisti e amatori, istruttori di nuoto e amanti dell’acqua.
In occasione di «Swimming Home» il 23 giugno, alle ore 19, nella Hall di DamsLab (piazzetta P.P.Pasolini, 5b), il critico teatrale Renzo Francabandera modererà un dialogo con Roberta Paltrinieri, Matteo Paoletti e Silvia Mercuriali (in collegamento da Londra) sul rapporto fra medium e immaginazione, su quanto e quando un percorso immersivo a distanza riesca a coinvolgerci.
I biglietti per la performance, della durata di 35 minuti, sono acquistabili al link https://www.tickettailor.com/events/swimminghome/533310.
Per maggiori informazioni: www.perasperafestival.org.

«LA POESIA DEGLI ALBERI»: UN READING DI MASSIMO POPOLIZIO INAUGURA LA STAGIONE ESTIVA DEL PICCOLO TEATRO DI MILANO
Si è inaugurata lunedì 21 giugno con un reading di Massimo Popolizio la stagione estiva del Piccolo Teatro di Milano. L'appuntamento, al Chiostro Nina Vinchi (via Rovello, 2), è stato incentrato sul libro «La poesia degli alberi. Un’antologia di testi su alberi, arbusti e qualche rampicante», scritto da Mino Petazzini, direttore dal 2001 della Fondazione Villa Ghigi a Bologna, per Luca Sossella editore di Roma. L’autore del volume, laureato in filosofia con una tesi su Bob Dylan e tra i poeti del cenacolo che si creò intorno a Roberto Roversi nei primi anni Ottanta, ha dialogato con Laura Pugno, romanziera, poeta, saggista e autrice di testi teatrali, nonchè curatrice per Rai Radio 3 del ciclo di podcast «Oltrelontano. Poesia come paesaggio». Durante la serata l'attore Massimo Popolizio ha letto una selezione di brani dell'antologia: 1056 pagine che indicizzano 420 poeti, da Alceo a Zanzotto, e che cantano 76 piante, dall’abete alla vite.
L'opera di Mino Petazzini, pubblicata nel 2020, conduce lungo un percorso, ricco di sfumature, tra autori antichi e moderni, che hanno dedicato le loro parole agli alberi. «Dall’Epopea di Gilgameš, il più antico poema dell’umanità, a Walt Whitman, che nel sacrificio di una grande sequoia legge il destino di una nazione, per arrivare alla minuziosa conoscenza sulle piante di un autore come Pascoli e alla manifesta prossimità con la natura degli autori più vicini alla sensibilità moderna, gli alberi hanno sempre rappresentato - si legge nella nota stampa - una presenza insostituibile e ricorrente nelle letterature di tutte le epoche e di tutte le aree geografiche» . Silenziose e fondamentali compagne delle nostre esistenze, le piante ci raccontano le gioie o le tragedie dell’amore, la bellezza e la crudeltà del mondo, l'immane potenza e la nuda fragilità del nostro creato, lo stupore di fronte alla ricchezza di forme.
«La poesia degli alberi» è stato scelto come «Prologo» della stagione «Ogni volta unica la fine del mondo», che il direttore Claudio Longhi ha affidato alla curatela di una triade artistica: Marta Cuscunà, autrice e performer di teatro visuale, Marco D’Agostin, performer e coreografo, e l’ensemble teatrale lacasadargilla. Le immaginazioni dei tre artisti hanno costruito una riflessione estesa e profonda sulla sostenibilità, declinata in diverse accezioni: ambientale, economica, umana, sociale e artistica. Tra gli artisti e gli intellettuali che saliranno sul palco nelle prossime settimane, ci sono, tra gli altri, l'attrice Milena Vukotic con «Escaped alone» di Caryl Churchill (30 giugno) e la performer Chiara Bersani con «Lo sguardo selvaggio» (27 settembre).
Un secondo «Prologo» alla stagione si terrà nella serata del 28 giugno, quando il Chiostro Nina Vinchi farà da scenario alla conversazione «La sostenibilità delle città dopo la pandemia», con Alessandro Balducci, Stefano Boeri, Maria Chiara Pastore e Cino Zucchi. «La pandemia - si legge nella scheda di presentazione dell'appuntamento, promosso in collaborazione con il Politecnico di Milano - ha paralizzato per oltre un anno il nostro modo di vivere la città. Siamo stati costretti a cambiare radicalmente il modo di abitare, di lavorare, di apprendere, di avere relazioni. Vogliamo tornare indietro? O possiamo pensare di capitalizzare l’esperienza vissuta per uscirne in avanti, verso una città capace di rallentare i suoi ritmi e cercando di dare un senso vero alla sostenibilità?».
Per informazioni: https://www.piccoloteatro.org.

TRE PERCORSI TRA LE SALE DI PALAZZO MADAMA PER LA NUOVA APP DELLA FONDAZIONE TORINO MUSEI

Prende il via con tre itinerari guidati tra le sale di Palazzo Madama la nuova app della Fondazione Torino Musei, realizzata dalla locale Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali, con il supporto tecnico del Socio Reply
Disponibile da venerdì 25 giugno su Android e in seguito su iOS, la nuova App fornirà nei prossimi mesi diversi contenuti multimediali relativi non solo a Palazzo Madama, ma anche alla Gam – Galleria civica d’arte moderna e al Mao – Museo d’arte orientale, con lo scopo di creare nuovi itinerari di visita per il pubblico, che saranno in parte fruibili anche da casa con il proprio smartphone. 
«Alla scoperta del Palazzo», «Itinerario breve» e «Avventure al Castello» sono i primi tre itinerari proposti dalla App. L’itinerario architettonico permette di esplorare le complesse trasformazioni di Palazzo Madama avvenute nel corso di duemila anni, dall’epoca romana ai giorni nostri, grazie a diciassette punti di interesse dislocati in diversi ambienti del palazzo: oltre a suggestive ricostruzioni virtuali delle diverse epoche, i visitatori viaggeranno lungo la storia e avranno a disposizione contenuti testuali, visivi e collegamenti esterni che consentiranno un ulteriore approfondimento. 
L’App fornisce una mappa per facilitare l’orientamento in un edificio storico complesso: tale supporto di esplorazione si rivela molto utile per quei visitatori che sceglieranno il percorso breve, una selezione di momenti fondamentali e imperdibili nella storia dell’edificio e della città. 
«Avventure al Castello» è, invece, l’itinerario dedicato a bambine e bambini, che potranno percorrere nove tappe in compagnia di un simpatico e colorato pappagallo che li accompagnerà alla scoperta di una selezione di capolavori del museo e di alcuni degli ambienti più suggestivi del palazzo. 
L’uso della tecnologia beacon, applicata ai beni culturali, consente una conoscenza approfondita degli stessi e arricchisce la visita con una nuova dimensione che rinnova il concetto di museo, non più inteso soltanto come spazio fisico espositivo. Tutti i contenuti multimediali, dedicati all’area del museo in cui il visitatore si trova, sono attivati automaticamente dai dispositivi beacon collocati all’interno delle sale, attraverso un segnale bluetooth percepito dal visitatore con feedback aptico. I contenuti, realizzati come clip video, sono tutti accompagnati da sottotitoli con font ad alta leggibilità e speakeraggio, garantendo l’accessibilità nel suo significato più ampio e dotando il museo di uno strumento che permette di facilitare la visita e agevolare l’apprendimento dei temi trattati. 
Per saperne di più: www.fondazionetorinomusei.it.

martedì 22 giugno 2021

«Attorno al museo», Bologna ricorda la strage di Ustica. Tra gli ospiti, Ottavia Piccolo e Marco Paolini

Bologna non dimentica
. In occasione del quarantunesimo anniversario della strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno 1980, l’associazione che riunisce i parenti delle vittime, con la Regione Emilia Romagna e il Comune di Bologna, organizza la rassegna «Attorno al museo», nata con l’intento di promuovere la ricerca della verità e la cura della memoria attraverso la sperimentazione di differenti linguaggi artistici contemporanei.
Scenario della manifestazione, in programma dal 25 giugno al 10 agosto, sarà il Parco della Zucca (via di Saliceto 3/22, Bologna), adiacente al Museo per la Memoria di Ustica, che ospita un’installazione permanente di Christian Boltanski e i i resti recuperati del velivolo DC9.
In continuità con quanto presentato negli ultimi anni, la rassegna – si legge nella nota stampa - «parte da opere prime originali che sappiano rivolgere il proprio sguardo al futuro e alle nuove generazioni nella consapevolezza che solo interrogandosi e mantenendo viva l’attenzione sul passato e sulla storia sia possibile dare risposte ai continui mutamenti a cui siamo sottoposti quotidianamente. Un popolo senza memoria è un popolo privo di anima, un edificio senza fondamenta che non può resistere alle intemperie e non può nemmeno ergersi verso l’alto, verso il futuro».
Sette appuntamenti
, tutti preceduti da visite guidate a cura del Mambo all’installazione di Christian Boltanski, daranno vita a dialoghi peculiari tra gli accadimenti del giugno 1980, l’installazione di Boltanski, il presente e il futuro, spaziando tra opere d’arte, teatro, jazz, danza e poesia.
Si inizierà, dal 25 al 27 giugno, con l’installazione performativa «Battaglia Aerea» del duo PetriPaselli, a cura di Lorenzo Balbi, realizzata in collaborazione con il Mambo - Museo d’arte moderna di Bologna. L’opera, visitabile con un gettone da ritirarsi al Museo della Memoria di Ustica (il 25 e 26 giugno, dalle ore 18:00 alle ore 22:00, il 27 giugno dalle ore 18:00 alle ore 23:00), intende affrontare la tragedia avvenuta nei cieli italiani come un atto di «violenza», una vera e propria guerra in tempo di pace consumatasi tra aerei militari di diverse nazioni e proseguita, negli anni successivi, con giochi di potere e ostacoli nella ricerca della verità. In linea con la loro poetica, che dietro a un evento giocoso e ironico nasconde sempre una seconda lettura più profonda, il duo PetriPaselli inviterà i visitatori a salire su una vera giostra Telecombat da Luna Park, installata nel Parco della Zucca, e a inseguire e colpire gli altri partecipanti all'interno del proprio aereo simulando la partecipazione a una battaglia nel cielo.
Giovedì 1° luglio
la rassegna si sposterà nei territori della danza contemporanea con «Aerea», di e con Ginevra Panzetti ed Enrico Ticconi, progetto vincitore di Premio Hermès Danza di Triennale Milano, realizzato in collaborazione con Danza Urbana per i 25 anni della rassegna. Lo spettacolo – si legge nella nota stampa - «è la prima parte di un dittico che si articola attorno a un oggetto sin dal principio impiegato per manifestare appartenenza e separazione, marcando il distinguo tra un ipotetico noi e loro: la bandiera. In costante prossimità, come facenti parte di un’unica anatomia, umani e bandiere compaiono da un fitto buio, lasciando solo a loro la possibilità di manifestarsi in immagini».
Nella serata successiva, giovedì 8 luglio, Ottavia Piccolo, sarà protagonista dello spettacolo «L’orizzonte di notte non esiste», testo originale scritto da Nello Scavo, giornalista di «Avvenire», che nel 2020 ha ottenuto il Premio Roberto Morrione per l’impegno nel raccontare con coraggio e spirito di verità la terribile avventura dei migranti nel Mediterraneo. L’autore ricorda le vite spezzate dei bambini migranti in varie parti del pianeta, in particolare i viaggi dal Messico all’America, dall’Africa in Europa e dall’Asia attraverso i Balcani, in parallelo alle dodici giovanissime vite tragicamente interrotte nei cieli sopra Ustica la sera del 27 giugno 1980.
Il programma di «Attorno al Museo» proseguirà la settimana successiva, giovedì 15 luglio, con «Il segno di Ustica», una conversazione sull'eccezionale percorso storico artistico nato dalla battaglia per la verità portata avanti dall’Associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica. All’incontro, coordinato dal presidente dell’Istituzione Bologna Musei Roberto Grandi e realizzato in collaborazione con l’Istituto storico Parri, parteciperanno Luca Alessandrini, Daria Bonfietti, Giuseppe De Mattia, Flavio Favelli e Andrea Mochi Sismondi, curatore dell’omonima pubblicazione di Cue Press, fresca di stampa. Durante la serata, verrà passata in rassegna l’intensa attività di produzione artistica che negli anni ha generato opere originali di alto valore, in parallelo al percorso di ricerca storica, che ha portato alle recenti pubblicazioni «Ustica. Una ricostruzione storica» di Cora Ranci, edito da Laterza, e «1980: l'anno di Ustica», a cura di Luca Alessandrini, edito da Mondadori.
Lunedì 19 luglio
la rassegna registrerà, quindi, il ritorno di Marco Paolini con il suo ultimo lavoro: «Teatro fra parentesi. Le mie storie per questo tempo». L’appuntamento teatrale, pensato durante il primo lockdown e già andato in scena la scorsa estate, nasce da una necessità scaturita dall’emergenza pandemica: quella di immaginare un ruolo a tutto campo per lo spettacolo dal vivo, che vada oltre le categorie tradizionali di arte e cultura. «Teatro fra parentesi», che vede in scena anche Saba Anglana e Lorenzo Monguzzi, si basa su un canovaccio autobiografico che cuce insieme storie vecchie e nuove e si è arricchito via via di canzoni e musiche.
La rassegna si gemellerà, quindi, con il Bologna Jazz Festival: giovedì 29 luglio si terrà il «Concerto per la Memoria» (ingresso a pagamento), interpretato dal trombettista Enrico Rava, accompagnato al pianoforte da Andrea Pozza, attualmente tra i pianisti più richiesti a livello europeo. Il duo presenterà melodie e brani tratti dalla migliore tradizione jazzistica: dagli standard più antichi come «Cheek to Cheek» a brani tratti dal repertorio di Miles Davis e Chet Baker, senza dimenticare qualche incursione nella musica brasiliana di Jobim; il tutto elaborato in maniera originale dalle personalità dei due musicisti.
«Attorno al Museo» si chiuderà, martedì 10 agosto, con «La Notte di San Lorenzo. Lascia sia il vento a completar le parole», progetto artistico di e con Anna Amadori e Francesca Mazza. Durante la serata, si succederanno le parole di tre poetesse - Cristina Campo, Margherita Guidacci, Antonia Pozzi - accomunate dalla religione della scrittura, dalle loro vite appartate, quasi clandestine e dal destino della loro opera spesso dimenticata o solo tardivamente rivalutata e amata, così come da una comunanza di temi: il rapporto intimo e viscerale con la natura e il continuo dialogo con Dio o con l'elemento spirituale dell'esistenza umana.
A completamento delle iniziative che accompagnano il quarantunesimo anniversario, su una delle pareti esterne del Museo per la Memoria di Ustica, sarà visibile, per tutta la durata della rassegna, una mostra di vignette satiriche pubblicate in «Come è profondo il mare», il numero speciale della rivista satirica «Cuore», diretta da Michele Serra, uscito nel 1994. Ai testi di Michele Serra, Andrea Purgatori, alle citazioni dei documenti della Commissione stragi del senatore Gualtieri si aggiungevano i disegni, le vignette delle firme più prestigiose e note (tra gli altri Vincino, Ellekappa e Vauro) e nell’insieme il racconto diventava stimolo efficace alle coscienze. 

Didascalie delle immagini
1. Officina Immagine. Immagine 41° anniversario della Strage di Ustica; 2.2.PetriPaselli, Battaglia Aerea, 2021. Manifesto; 3. Ottavia Piccolo. Foto di Tommaso Le Pera; 4. Marco Paolini, Teatro fra parentesi. Le mie storie per questo tempo, 2020. Foto di Gianluca Moretto; 5. Enrico Rava. Foto di Giorgio Luzi; 6. Ginevra Panzetti ed Enrico Ticconi, AEREA, 2019. ©TriennaleMilano. Foto di Gianluca Di Ioia

Informazioni utili 
Prenotazioni e prevendita dei biglietti sul sito https://attornoalmuseo.it/.

lunedì 21 giugno 2021

«Turandot» e l’Oriente di Puccini in scena a Prato. In un baule ritrovato i costumi di Caramba per la «prima» scaligera


«Penso ora per ora, minuto per minuto a Turandot e tutta la mia musica scritta fino ad ora mi pare una burletta e non mi piace più. Sarà buon segno? Io credo di sì». È il marzo del 1924 quando Giacomo Puccini scrive a Giuseppe Adami predicendogli il successo planetario della sua ultima opera: «Turandot». La storia dell’algida e sanguinaria principessa orientale, «bianca al pari della giada, fredda come quella spada», che ha giurato la propria guerra al maschio sotto forma di insolubili enigmi, è al centro del nuovo progetto espositivo del Museo del tessuto di Prato, in agenda – pandemia permettendo - fino al 23 gennaio.
«Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba»
- questo il titolo dell’esposizione - è un omaggio non solo alla storia della miglior tradizione del teatro lirico italiano, ma anche all’arte del primo Novecento pervasa dal fenomeno dell’Orientalismo, corrente pittorica che si affaccia sulla scena artistica in Francia alla fine del Settecento per poi svilupparsi nell’Ottocento in più parti del Vecchio Continente, infiammando anche la fantasia di molti italiani con i suoi scenari esotici animati da odalische, harem e hammam.

A Pechino, «al tempo delle favole», con la principessa Turandot
Per il soggetto della storia, dalla quale nacque un dramma lirico in tre atti e cinque quadri, Giacomo Puccini si ispirò, dietro consiglio del giornalista Renato Simoni - esperto sinologo e finissimo critico, nonché autore di testi drammaturgici -, alla fiaba «Turandotte» (1762) di Carlo Gozzi, a sua volta mutuata dall’«Histoire du prince Calaf et de la princesse de la Chine» (1712) dell’orientalista Pétit de la Croix. Il musicista lucchese, che si avvalse della collaborazione dello stesso Renato Simoni per l’ideazione della trama e di Giuseppe Adami per la versificazione del libretto, non ebbe, però, a disposizione il testo originale del drammaturgo veneziano, tra i maggiori avversari della riforma teatrale realista di Carlo Goldoni. La sua opera lirica fu, infatti, ispirata da una traduzione dell’adattamento teatrale in tedesco a cura di Friedrich Schiller (1802), firmata da Andrea Maffei, una versione, questa, privata delle differenze di registro tra i personaggi «nobili», che si esprimevano in versi, e le maschere della Commedia dell’arte (la cui tradizione veniva strenuamente difesa da Carlo Gozzi), che recitavano all’improvviso.
La stesura dell’opera, ambientata a Pechino, «al tempo delle favole», venne avviata da Giacomo Puccini nella primavera del 1920, con fasi alterne di entusiasmo e di scoraggiamento e con anche la tentazione di abbandonare, nel 1922, l’impresa.
Dopo quattro anni di intenso lavoro, il compositore toscano portò quasi a termine la storia musicata del principe Calaf, uomo affascinante e coraggioso, innamorato della crudele e vendicativa principessa cinese Turandot e capace di risolvere i tre enigmi che la donna sottopone agli incauti aspiranti alla sua mano, fino a quel momento tutti decapitati per non aver superato la prova, nata per levare, metaforicamente, l’onta della principessa Lou-ling, «ava dolce e serena» rapita da uno straniero e uccisa per difendere la propria purezza.

Orientalismo in musica: un carillon di melodie cinesi per «Turandot»
Il 29 novembre 1924 la morte colse Giacomo Puccini a Bruxelles, mentre stava completando il terzo atto e aveva ultimato tutta la scena del suicidio della schiava Liù, figura fragile e commovente, parente stretta di Mimì e Butterfly, che introduce nell’opera il tema, familiare al teatro pucciniano, del sacrificio per amore. La ragazza si toglie, infatti, la vita per non smascherare a Turandot il nome del principe Calaf, consapevole così di consegnare il suo amato alla rivale, che, perdendo la sfida, sarà costretta a sposarsi.
A portare a termine la partitura, sulla base degli abbozzi pucciniani (trentasei pagine di appunti e idee frammentarie con il duetto finale, nel quale la principessa si dichiara vinta dall’amore), fu, dunque, Franco Alfano, musicista che due anni prima si era distinto nella composizione di un’opera di ispirazione esotizzante: «La leggenda di Sakùntala». Il suo finale, privo della tensione emotiva che caratterizza il resto del dramma, lascia un senso di insoddisfazione, tanto che il musicologo Gustavo Marchesi parlò di «poca musica che nulla aggiunge alla struttura, alla magnificenza e al significato dell’opera, anzi semmai vi toglie qualcosa». Fu anche per questo motivo che il 25 aprile 1926, al teatro alla Scala di Milano, in occasione della prima rappresentazione di «Turandot», il direttore Arturo Toscanini preferì non portare a termine l’esecuzione, interrompendola con l’aria «Tu che di gel sei cinta» e giustificando così la sua scelta: «qui finisce l’opera perché, a questo punto, il maestro è morto».
Per realizzare l’atmosfera esotica che permea la storia, della quale rimane punta sublime la romanza «Nessun dorma», Giacomo Puccini fece ricorso a raccolte di melodie cinesi autentiche, come l’incantatoria «Fior di gelsomino», contenuta nel carillon che un amico, il barone Edoardo Fassini Camossi, aveva acquistato in Cina come souvenir. Da questo strumento è tratta anche la musica che accompagna la comparsa, nel primo atto, dei tre dignitari Ping, Pong e Pang, rilettura pucciniana delle maschere gozziniane di Pantalone, Tartaglia, Brighella e Truffaldino, ai cui commenti disincantati e cinici è affidato il compito di stemperare la tensione emotiva del dramma.

Ritrovati a Prato i vestiti di Rosa Raisa, la prima «Principessa di gelo»

Alle suggestioni provenienti dal lontano Oriente guardano anche le scenografie di Galileo Chini per il debutto milanese dell’opera lirica a Milano e gli abiti ideati per la medesima occasione da Luigi Sapelli, in arte Caramba, celebre illustratore e costumista del Teatro alla Scala, il cui nome è legato a importanti protagonisti del palcoscenico di inizio Novecento come le sorelle Gramatica, Eleonora Duse, Maria Melato, Lyda Borrelli, Gabriele D’Annunzio, Ermete Zacconi, Gualtiero Tumiati, Renato Simoni e molti altri.
Si pensava che quei vestiti, ricchi e sontuosi, fossero andati persi. Poi, nel 2018, il Museo del tessuto di Prato ne ha ritrovati due, con altrettanti gioielli di scena, all’interno di un baule, appena acquistato, contenente materiale eterogeneo proveniente dal guardaroba della soprano pratese Iva Pacetti.
I riscontri iconografici fatti da Daniela Degl’Innocenti, conservatrice del museo toscano, non lasciavano dubbi: non si trattava di generici costumi di epoca Déco, ma proprio di quelli della «prima» scaligera di «Turandot», indossati da Rosa Raisa, il primo soprano della storia a interpretare il ruolo della «Principessa di gelo».
Purtroppo entrambi gli abiti erano in un pessimo stato di conservazione. Si è, dunque, proceduto al restauro da parte del Consorzio tela di Penelope di Prato, attraverso il progetto di crowdfunding «Il costume ritrovato», proposto sul portale Eppela, che ha visto in campo, oltre alla Regione Toscana, centosettanta privati provenienti da otto differenti Paesi, nonché aziende e associazioni del territorio.
Contemporaneamente sono stati riportati all’antico splendore da Elena Della Schiava, Tommaso Pestelli e Filippo Tattini anche i gioielli realizzati dalla ditta Corbella di Milano per la «prima» scaligera: una meravigliosa collana e uno spillone che ornava una parrucca.

L’Oriente di Galileo Chini, tra i protagonisti del Liberty italiano 
Nel frattempo è stata studiata - con il Museo di antropologia e etnologia di Firenze, l’Archivio storico Ricordi di Milano e la Fondazione Giacomo Puccini di Lucca - una mostra, di cui rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale, che ricostruisce le vicende che hanno portato il compositore toscano a scegliere il genio scenografico di Galileo Chini per la realizzazione dell’allestimento e delle scenografie per la «Turandot».
Il percorso espositivo si apre con una selezione di circa centoventi manufatti appartenenti alla collezione del pittore, grafico e decoratore fiorentino, tra i protagonisti del Liberty in Italia, che aveva già collaborato con Giacomo Puccini per la prima rappresentazione newyorkese, al Metropolitan, dell’opera «Il tabarro» (1918) e per il «Trittico» proposto al Costanzi, l’odierno teatro dell’Opera di Roma, nel gennaio del 1919. Si tratta di tessuti, costumi, maschere teatrali, porcellane, strumenti musicali, sculture, armi e manufatti d’uso comune di produzione thailandese e cinese, provenienti dal Museo di antropologia e etnologia di Firenze, che Galileo Chini collezionò nei suoi tre anni in Siam (l’attuale Thailandia), dove si era recato, tra il 1911 e il 1913, per lavorare alla decorazione del Palazzo del trono del re Rama VI.
L’esposizione prosegue con una sezione dedicata alle scenografie per la «Turandot» e al forte influsso che l’esperienza in Oriente ebbe nell’evoluzione del percorso creativo e stilistico del pittore fiorentino. Tra le opere esposte in questa sezione ci sono anche la tela «La fede», parte del trittico «La casa di Gothamo», di proprietà della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, e la grande opera «Festa dell’ultimo dell’anno a Bangkok», anch’essa appartenente all'istituzione fiorentina, oggetto di un’installazione multimediale che la mette in dialogo con una bellissima testa di dragone della collezione Chini.
In questa sezione sono esposti anche i bozzetti finali delle scenografie per la «prima» della «Turandot», provenienti dall’Archivio storico Ricordi di Milano, accanto ad altre due versioni di proprietà privata.
Il progetto espositivo del Museo del tessuto di Prato mette, quindi, in mostra, dopo decenni di oblio, gli straordinari costumi indossati da Rosa Raisa nella «prima» scaligera, corredati dai suoi gioielli. Non mancano, poi, lungo il percorso espositivo trenta costumi provenienti dall’archivio della Sartoria Devalle di Torino, indossati dai ruoli primari e comprimari – l’Imperatore, Calaf, Ping, Pong e Pang e il Mandarino – e dai secondari – i sacerdoti, le ancelle, le guardie e i personaggi del popolo – sempre nella rappresentazione milanese del 1926. Anche questi abiti erano inizialmente scomparsi, ma furono, poi, rocambolescamente ritrovati a metà degli anni Settanta.
La mostra accende, infine, i riflettori anche su alcuni bozzetti originali e pochoir dei costumi realizzati dall’illustratore e scenografo Umberto Brunelleschi, maestro del Déco italiano inizialmente designato da Giacomo Puccini come collaboratore per la «Turandot», che ha donato al mondo della cartellonistica di inizio Novecento donne dalle silhouette eleganti e sottili, dalle tinte chiassose o tenui, comunque sempre anti-naturalistiche visto che i suoi rosa confetto, blu, viola, azzurri, verdi nella realtà non si vedono mai.
A completare il percorso espositivo c'è, infine, il manifesto originale della «prima» dell’opera, illustrato da Leopoldo Metlicovitz, una delle immagini più iconiche del melodramma italiano, per l’eleganza del disegno e l’impatto del colore.
Giacomo Puccini non poté vedere la sua opera in scena, ma le parole della romanza d’amore «Nessun dorma», oggi come allora, incantano il pubblico con quel finale che parla di speranza e che la scorsa primavera, nei giorni più duri della pandemia, è diventato un originale karaoke con settecento bambini di tutta Europa, accompagnati dall’orchestra virtuale Eico e diretti da Germano Neri: «Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! Tramontate, stelle! All'alba vincerò! Vincerò! Vincerò!». 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Leopoldo Metlicovitz, Manifesto per la Turandot. Milano, Archivio Storico Ricordi, ICON010367; [fig. 2] Ditta Corbella, Milano, Corona di Turandot [atto II]. Prato, Museo del Tessuto, inv. nn. 18.03.01, 18.03.02abc; [fig. 3] Luigi Sapelli (in arte Caramba), Costume di Turandot [atto II]. Prato, Museo del Tessuto, inv. n. 18.03.38; [fig. 4] Luigi Sapelli (in arte Caramba), Costume di Turandot [atto I]. Prato, Museo del Tessuto, inv. n. 18.03.37; [fig. 5] Maschera teatrale. Thailandia, inizio del XX secolo. Cartapesta e gesso dipinti e dorati, penne di uccello, frammenti di specchio. Firenze, Sistema Museale di Ateneo, Sede di Antropologia e Etnologia, Collezione G. Chini, inv. n. 31568; [fig. 6] Maschera di drago. Comunità cinese in Thailandia, fine del XIX secolo. Cartapesta dipinta. Firenze, Sistema Museale di Ateneo, Sede di Antropologia e Etnologia. Collezione G. Chini, inv. n. 31788; [fig. 7] Due vasetti con coperchio. Cina, inizio del XIX secolo. Porcellana invetriata e smaltata, oro. Firenze, Sistema Museale di Ateneo, Sede di Antropologia e Etnologia, Collezione G. Chini, inv. n. 31712; [fig. 8] Leopoldo Metlicovitz, Copertina per l’edizione di lusso della riduzione per canto e pianoforte. 1926. Milano, Archivio Storico Ricordi

Informazioni utili [
Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba. Museo del tessuto, via Puccetti, 3 – Prato. Orari: per le date di apertura e gli orari si consiglia di consultare il sito ufficiale www.museodeltessuto.it. Ingresso: intero singolo € 10,00; ridotti € 8,00; scuole € 4,00. Social: facebook.com/museodeltessuto/; twitter.com/museodeltessuto. Informazioni: info@museodeltessuto.it. Dal 22 maggio al 23 gennaio 2022