ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 3 novembre 2021

Tra fede e bellezza, nuova luce per le opere della Basilica di Sant’Antonio a Padova

Il 24 luglio 2021 Padova entrava per la seconda volta nella World Heritage List dell’Unesco. La prima volta era avvenuta nel 1997 con l’Orto botanico, considerato patrimonio mondiale dell’umanità quale «rappresentazione della culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra natura e cultura». L’anno scorso il celebre riconoscimento è stato, invece, assegnato all’urbs picta, ovvero ai cicli di affreschi trecenteschi che impreziosiscono la città, a partire da quello della Cappella degli Scrovegni compiuto da Giotto.
Tra gli otto luoghi che costituiscono il nuovo museo diffuso di Padova - «3.694 metri quadrati di pareti affrescate per mano di 6 artisti lungo 95 anni di storia» - c’è l’Oratorio di San Giorgio, edificio che si affaccia sul sagrato della basilica di Sant’Antonio, commissionato come cappella sepolcrale di famiglia da Raimondino Lupi di Soragna, guerriero e diplomatico al servizio della Signoria dei Carraresi. I suoi affreschi, realizzati tra il nel 1377 e il 1384 da Altichiero da Zevio, sono recentemente stati sottoposti a un importante intervento di «restauro percettivo». Sono cioè stati dotati di un sistema di illuminazione innovativo, realizzato sotto la direzione dell’architetto Antonio Susani, che ha permesso ha permesso di cogliere con pienezza la qualità della pittura.
Forte del risultato ottenuto da questo restauro, la Veneranda Arca di S. Antonio ha deciso di proseguire ulteriormente nella valorizzazione del patrimonio artistico che dal 1396 è chiamata a tutelare, avvalendosi ancora una volta del sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e di iGuzzini illuminazione spa, azienda leader nel settore dell'illuminazione architetturale. È nata così l’idea - dichiara l’avvocato Emanuele Tessari, presidente capo della Veneranda Arca - «di rivalutare nella sua interezza il modo di vedere l’interno della basilica, di percorrerla, di sostare per fede e per amore della bellezza davanti ai suoi tanti capolavori».
Verranno, dunque, dotati dello stesso tipo di tecnologia avanzata la cinquecentesca cappella dell’Arca, scrigno in bianco e oro che conserva l’urna del Santo, la cappella del Beato Luca Belludi, con i dipinti di Giusto de’ Menabuoi, la cappella di San Giacomo, i cui affreschi di Altichiero e Jacopo Avanzi sono appena stati riconosciuti patrimonio Unesco, e il presbiterio, con i bronzi di Donatello, Bartolomeo Bellano e Andrea Riccio realizzati nel Quattrocento.
L'innovativo sistema di illuminazione sarà realizzato con apparecchi iGuzzini ad altissima resa cromatica e minimo ingombro visivo, in grado di rispondere alle molte sfide illuminotecniche presenti ed esaltare la ricchezza cromatica e materica del ricchissimo apparato decorativo della Basilica.
Il visitatore della basilica, ponendosi in un’ideale posizione al centro della chiesa, sotto la cupola dell’Angelo e davanti all’ingresso del presbiterio, potrà, quindi, «guardare, come mai fino a ora è stato possibile, -assicurano da Padova - i bronzi di Donatello sull’altare maggiore, come una specie di Sacra Conversazione che prenderà nuova vita grazie alla luce».
Quella posizione, al centro della chiesa, ha un valore particolare, perché lì, nel 1263, fu posta la tomba di Sant’Antonio, prima di essere spostata, definitivamente, nell’attuale cappella dell’Arca (1350). In essa lavorarono decine di artisti lungo il Cinquecento ed è stupefacente questo senso di grande coerenza, di colto classicismo, di misura equilibrata tra bellezza all’antica e fede cristiana, che si respira dai suoi nove grandi rilievi che raccontano episodi e miracoli di Antonio. La Basilica permette, infatti, ai suoi visitatori un viaggio nel meglio della pittura e della scultura transitata in città tra Trecento e Cinquecento, facendo confrontare il fedele e il turista con artisti quali Andriolo de’ Santi, Altichiero, Jacopo Avanzi, Donatello, Bartolomeo Bellano, Andrea Riccio, Tullio e Antonio Lombardo, Sansovino, Danese Cattaneo, Falconetto.
Insieme ai restauri, proseguirà l’inventariazione dei documenti dell’Archivio storico della Veneranda Arca, il punto d’inizio da cui partire per comprendere la storia della basilica. Il precedente collegio di presidenza aveva curato l’inventariazione dei documenti dalla data di fondazione della Veneranda Arca, nel 1396, fino al 1950. Grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, l’attuale collegio di presidenza ha proseguito e portato a compimento le ultime fasi del progetto, mandando in stampa l’inventario dell’archivio e attuando la messa on-line dello stesso, con la creazione di un sito dedicato (www.archivioarcadelsanto.org). L’obiettivo ora è estendere l’inventariazione fino al 1973, una data importante per l’Arca, quando assetti finanziari ed economici dell’ente mutano profondamente per la vendita della gastaldia di Anguillara, già donata da Francesco Novello da Carrara all’Arca nel 1405. Si prevede, per l’occasione, l’assunzione, per un anno, di un giovane, formato in ambito umanistico, che lavorerà a stretto contatto con la responsabile dell’archivio, la dottoressa Chiara Dal Porto.
Al termine del lavoro la Basilica del Santo brillerà di più, non solo per la nuova illuminazione delle sue opere, ma anche per il riordino delle carte che svelano la sua lunga storia. 

Vedi anche
Padova, nuova luce per gli affreschi dell'oratorio di San Giorgio 

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La galleria fotografica è a cura di Giovanni Pinton 

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martedì 2 novembre 2021

Una guerra e la resistenza delle donne: debutto torinese per il tour delle «Troiane» di Luigi Orfeo


Antica eppure sempre attuale: «Le Troiane», la tragedia di Euripide rappresentata per la prima volta ad Atene nel 415 a. C., simbolo dell’atrocità di ogni guerra, continua a parlare agli uomini e alle donne di oggi.
Il peggio è già accaduto. Intorno ci sono solo polvere e macerie, rovine in fumo, cadaveri abbandonati per le strade, uomini e donne sconfitti, la cui resistenza eroica e disperata non ha salvato Ilio dall’assalto dei nemici achei.
Ma chi ha vinto ha veramente vinto? E chi ha perso ha veramente perso? È questo il dubbio che ci instilla la messa in scena de «Le Troiane», nell’allestimento di Casa Fools e per la regia di Luigi Orfeo, che debutta giovedì 4 novembre a Torino, al teatro Vanchiglia.
Lo spettacolo - che sarà in cartellone fino a sabato 6 e, ancora, da giovedì 18 a sabato 20 - riscrive la tragedia originale mettendo in secondo piano il punto di vista maschile per raccontare la storia attraverso gli occhi e la voce di cinque donne. Interpretano madri, mogli e figlie, che subiscono l’onta della violenza fisica e psicologica, ma che sono capaci, ognuna a proprio modo, di reagire alla follia assurda e atroce dell’invasore. Ecuba, Andromaca, Cassandra hanno perso tutto, la loro città, la libertà, i propri figli e mariti, ma non il loro coraggio e la loro dignità. La loro umanità è rimasta intatta. Non si può dire lo stesso per gli Achei, sul podio di una guerra, vinta per giunta con l’inganno, con lo stratagemma di un cavallo di legno, ma sconfitti sul piano dell’etica e degli ideali.
La riscrittura del testo, opera di Luigi Orfeo, è frutto di una ricerca sul potere intrinseco della parola che ha dato vita a una vera e propria «lingua del Mediterraneo», un melting pot di dialetti del sud Italia che danno allo spettacolo una componente ancestrale e profonda.
Non esiste artificio scenico: i cambi di personaggio, l’intonazione dei cori a cappella armonizzati per cinque voci, tutto avviene sotto gli occhi dello spettatore.
A vestire i panni di Ecuba, la vecchia moglie di Priamo, è Roberta Calia. Rebecca Rossetti è in scena nel doppio ruolo di Menelao e di Andromaca, la donna straziata per la morte di Ettore e del giovane figlio Astianatte. Paola Bertello interpreta l’opportunista Elena. Alle prese con il ruolo di Taltibio c’è, invece, Silvia Laniado, mentre la giovane Cindy Balliu è la tormentata Cassandra, profetessa di sciagure.
Sesta attrice a tutti gli effetti è, infine, la musica. Dalla collaborazione con il giovane compositore Alberto Cipolla sono nati, infatti, i cinque brani inediti, inseriti nell'album «Troiane Original Score», pubblicato su Spotify, e eseguiti dalle attrici sul palco a cappella. «Il lavoro di Cipolla – raccontano gli organizzatori - si è concentrato nel caricare le voci femminili di una grande valenza simbolica: ora coro armonico a rappresentare la forza della comunità, ora voci soliste come urlo disperato di sopraffazione».
Mentre per la realizzazione dei costumi è stata messa in piedi una collaborazione con la sartoria Colori Vivi, atelier di donne rifugiate che confezionano insieme, con metodi artigianali, capi con una forte impronta innovativa.
Dopo il debutto a Casa Fools, il tour proseguirà fino al 21 novembre con altre sette rappresentazioni: lo spettacolo sarà in scena lunedì 8 al teatro Agnelli di Torino (via Paolo Sarpi 111), mercoledì 10 al Teatro Le Glicini di Pino Torinese (via Martini 18), venerdì 12 allo Spazio Gloria del circolo Xanadù di Como (via Varesina 72), sabato 13 al teatro Matteotti di Moncalieri (via Matteotti 1), domenica 14 al Circolo Arci Tom di Mantova (Piazza Tom Benetollo 1), lunedì 15 all’Arci Bellezza di Milano (via Bellezza 16/A) e domenica 21 all’Heracles Symposium, sempre a Milano (via Padova 21).
Tappa dopo tappa, il pubblico potrà così rivivere il messaggio antimilitarista di Euripide, autore che parla - oggi come duemila anni fa – al cuore dell'uomo. «Tutti i giorni – racconta, a tal proposito, Luigi Orfeo - abbiamo davanti agli occhi la miseria di popoli sopraffatti da decisioni impulsive e irrazionali prese molto lontano da loro. Proprio come accadde ai Troiani. Il nostro spettacolo vuole mostrare questa assurdità, provocando empatia e non compassione e facendo affiorare il coraggio».

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lunedì 1 novembre 2021

Da Chiara Dyns a Daan Roosegaarde: «Nuove visioni» a Palazzo Maffei, la casa veronese della collezione Carlon

Era il febbraio del 2020 quando Verona si arricchiva di un nuovo luogo d’arte e di cultura: Palazzo Maffei, importante edificio seicentesco della città, affacciato su piazza delle Erbe, che, dopo un qualificato restauro, diventava la casa della collezione Carlon.
Un anno e mezzo dopo l’edificio amplia i suoi spazi espositivi con l’apertura al pubblico, dallo scorso 23 ottobre, del secondo piano, dove sono stati riqualificati anche gli stucchi, i pavimenti e le pitture murali, opera dell’accademico veronese Pio Piatti.
Grazie al coinvolgimento dell’architetto Daan Roosegaarde, tra gli young global leaders del World Economic Forum, in questi spazi sono state ricavate ulteriori otto sale e una project room, con nuove opere e installazioni artistiche, oltre a un teatrino di più di cento posti e a una biblioteca specialistica.
Il nuovo percorso espositivo, che si avvale del progetto museografico di Gabriella Belli, è un invito alla riflessione, ricco di suggestioni e stimoli. Non segue un fluire cronologico, ma racconta tematiche eterne o di stringente attualità come il rapporto tra l’uomo e il cosmo, la natura e l’infinito o la sostenibilità ambientale.
Nella prima sala e nella connessa vetrina, l’Antiquarium, si trova un omaggio alla Verona romana, il cui cuore era l’attuale piazza delle Erbe: un piccolo busto in basalto di Serapide, dio di origine orientale, è esposto accanto a sculture, fregi architettonici e manufatti ascrivibili tra il I e il III secolo d. C., provenienti da diverse parti dell’Impero. Sempre in questi spazi spicca, una testa virile di marmo bianco dalle dimensioni superiori al vero, probabilmente raffigurante Marco Aurelio, l’imperatore filosofo autore di «A me stesso», dodici libri di meditazioni intorno alla vita e al cosmo. 
Anche l’arte contemporanea racconta l’antico con «Testimone» (1991) di Mimmo Paladino, figura pietrificata ed enigmatica tra arcaismo e bizantinismo, che porta sul petto tre volti, forse le tre età dell’uomo, invitando a una riflessione sullo scorrere del tempo e sul valore della vita. Data al Novecento, e per la precisione al biennio 1928–1929, pure «I gladiatori nella stanza» di Giorgio de Chirico, che ricordano i protagonisti dei combattimenti che animavano le arene, mostrando le sfide di ieri e di oggi per tornare padroni del proprio destino.
La seconda sala, intitolata «Sulla metamorfosi del paesaggio e la bella natura», presenta un poetico intervento site specific di Chiara Dynys: «Over Nature». L’eclettica artista contemporanea ha dato nuova veste alle antiche vedute settecentesche che ornano le pareti del palazzo, scenario dell’incontro avvenuto nel 1786 tra lo scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, del quale l’intervento artistico propone due aforismi sulla natura, e Antonio Canova, scultore neoclassico cui si deve l’«Amorino» al centro della sala, un gesso di nobile semplicità e composta bellezza.
Il tema del paesaggio torna anche nella terza sala, «Vedute», dove è protagonista la città di Verona, ritratta, interpretata, analizzata da diverse angolature e prospettive. Tra i vari artisti, le cui opere scorrono davanti agli occhi dei visitatori, ci sono Carlo Ferrari detto il Ferrarina, i cui dipinti erano amati anche da «turisti» stranieri come il maresciallo Radetzky e il principe russo Anatolij Demiov, Carlo Canella, di cui si possono ammirare un’inconsueta veduta di «Piazza Bra con il Palazzo della Gran Guardia» e «I mulini sull’Adige a sant’Anastasia», e il veronese Renato Di Bosso che ci consegna il ritratto di una città dal sapore futurista.
Straniante e nel contempo di grande impatto appare la sala intitolata «Sul perimetro del mondo e i suoi limiti» che attraverso l’esposizione di pregiate cornici d’epoca - incredibile florilegio di forme e manifatture preziose - ci induce a riflettere sul senso del vuoto creativo che esse, pur nella loro bellezza, non riescono a colmare.
Propone, invece, una riflessione sulla natura la stanza successiva, «Sul sapere universale e la caducità delle cose», dove si trovano nature morte seicentesche in dialogo con l’edizione integrale dell’«Encyclopedie» di Diderot e d’Alambert, summa del sapere universale del XVIII secolo e manifesto della fede progressista, e l’opera «Untitled» di Mario Schifano, «che – si legge nella presentazione - deflagra il paesaggio, rendendolo in una versione quasi pop falsato e surreale, con immagini seriali affiancate a sagome bianche di probabili schermi televisivi, in un inevitabile contrasto tra tecnologia e natura, tra immagine reale e immagine riflessa».
Si trova, poi, il salotto del collezionista, quasi un intermezzo d’autore, in cui antico e moderno s’incontrano secondo le passioni e il gusto eclettico che hanno animato e continuano ad alimentare la ricerca collezionistica di Luigi Carlon. Tra arredi preziosi, come le magnifiche lacche veneziane del XVIII secolo e i commode sei-settecenteschi di manifatture fiorentine e veneziane, si possono ammirare due bellissimi dipinti a soggetto biblico e mitologico di Pietro Rotari - parte di una serie di quattro tele provenienti dalla casa veronese dello stesso artista - o ancora pittura dei Paesi Bassi, con un paesaggio boscoso di grande qualità databile tra il secondo e il terzo decennio del Seicento, accanto a una scultura di Gino De Domincis e all’iconica «Hope» di Robert Indiana.
La sala «Sulla natura dello spazio e della materia» mette a confronto uno straordinario «Contrappunto semplice» (1971) di Fausto Melotti, equilibrio perfetto di pieni e di vuoti, accanto ai tagli di Lucio Fontana, agli «Achrome» di Pietro Manzoni, alle plastiche combuste di Alberto Burri, a lavori di Fausto Melotti e Carla Accardi, artisti che agiscono con prepotenza attraverso i segni.
Trascinati oltre la terra e la natura che lo abita, oltre il finito, oltre il contingente, gli spettatori entrano nella sala «Sul cosmo e i suoi satelliti». «L’illusionistico movimento circolare creato da Alberto Biasi in «Dinamica ’62», con la sovrapposizione di strutture lamellari dalle cromie contrastanti, - si legge nella presentazione - sembra volerci inghiottire in un vortice, mentre il «Teatrino» di Fontana ci porta in una nuova dimensione onirica. Ma è l’opera di Eliseo Mattiacci «Tempo globale» del 1991 a ricondurci al dialogo /confronto tra l’individuo e il mondo che lo circonda, tra l’io e il cosmo», evocando «l’entità incommensurabile dell’universo, che si espande ininterrottamente spinto da forze magnetiche in equilibrio tra loro, mentre da un nucleo sospeso emergono frammenti brulicanti di vita».
Il percorso si chiude con Daan Roosegaarde e con uno dei suoi spettacolari progetti che fondono tecnologia della luce interattiva, arte e sostenibilità ambientale: «Lotus Maffei», un fiore intelligente, sensibile alla luce e al calore che muove le sue forme in base al contatto con gli esseri umani. Una magia tra le magie.

Vedi anche
Apre a Verona Palazzo Maffei
 
Didascalie delle immagini
Le foto sono di Luca Rotondo

Informazioni utili 
Palazzo Maffei, piazza delle Erbe, 38 - Verona. Orari: dal lunedì al venerdì, ore 10.00 – 18.00; sabato, domenica e festivi, ore 11.00 – 19.00; 1° gennaio, ore 13.00- 19.00; chiuso il martedì e il 25 dicembre. Ingresso: intro € 10,00, rido o € 8,00; tu e le convenzioni e riduzioni sono consultabili sul sito. Informazioni: tel. 045.5118529 o info@palazzomaffeiverona.com. Sito internet: palazzomaffeiverona.com