ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 24 dicembre 2021

Da Bolzano a Roma, quando il Natale diventa arte

«Angelus Loci», quattro installazioni per il natale di Bolzano
Si intitola «Angelus Loci» il progetto di arte contemporanea che la città di Bolzano, con la collaborazione dello studio di comunicazione FranzLAB, ha ideato in occasione del Natale. Lo spazio pubblico cittadino sarà abitato, fino al prossimo 6 gennaio, da quattro installazioni site-specific firmate dagli artisti altoatesini Carla Cardinaletti, Michael Fliri, Elisa Grezzani e Hubert Kostner.
Per veicolare e comunicare messaggi positivi – soprattutto in una terra multilingue e multiculturale come l’Alto Adige - è stata scelta la figura dell’angelo, presente in ogni cultura e religione, e identificativa anche del genius loci, dello «spirito del luogo» di Bolzano. I serafini, per esempio, sono presenti in vari affreschi sacri del territorio.
Michael Fliri (Tubre - Val Monastero, 1978), recentemente premiato con l'Artist Award del Ministero della Cultura austriaco, ha utilizzato queste figure di luce per la sua installazione «Still With Earthly Desires + Aspirant», un mix di musica, video e fotografie di grande formato che trasportano il pubblico in una dimensione parallela: ali e corpi ipnotizzano lo sguardo, il movimento e il tempo si trasformano in incorporeità.
Elisa Grezzani (Bressanone, 1986) mette, invece, al centro della sua installazione - un grande arazzo decorato e coloratissimo, una sorta di talismano di pace e speranza – la figura del serafino Vehuiah, angelo a sei ali di pura luce o fuoco, appartenente alla più alta gerarchia celeste, secondo la Kabbalah porta con sé nuova energia luminosa, dissipando il caos.
Mentre Carla Cardinaletti (Bolzano, 1971) regala alla sua città l’«Angelo rosa», con la parola «Angel» in corsivo, scritta che, all’imbrunire, si illumina di rosa. Si illumina anche la scritta «L U C I» nell’opera di Hubert Kostner (Bressanone, 1971), che ha voluto così rendere omaggio a una parola che, nella sua brevità, può contenere una miriade di messaggi: da sempre, nei riti cristiani come in quelli pagani e di altre culture al solstizio d’inverno, se ne celebra con l’allungarsi del giorno il ritorno, come simbolo di rinascita.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito franzlab.com.
 
Al Museo Davia Bargellini l’arte presepiale secondo i bolognesi
Da quindici anni l’Istituzione Bologna Musei offre al suo pubblico una mostra dedicata all’arte presepiale tradizionale, come momento di avvicinamento e celebrazione collettiva della raffigurazione della Natività nella notte di Betlemme. Di anno in anno, l’iniziativa ha posto il pubblico a confronto con scuole di aree regionali diverse. Il nuovo appuntamento espositivo, in cartellone fino al 16 gennaio, è dedicato alla ricchissima e secolare tradizione iconografica bolognese.
Elisabetta Bertozzi, Leonardo Bozzetti, Giovanni Buonfiglioli, Mirta Carroli, Marco Dugo, Paolo Gualandi e Luigi Enzo Mattei sono gli artisti che espongono le proprie opere al museo Davia Bargellini, rendendo, contemporaneamente, omaggio alla scultrice e presepista Francamaria Fiorini, improvvisamente scomparsa nel 2020, di cui è esposto il bozzetto preparatorio del primo e unico «presepe ortodosso» mai realizzato, presentato e donato nel 2019 al patriarca di Mosca Cirillo I.
Le piccole statue in mostra sono versioni attualizzate delle figure del presepio classico felsineo, uscite dalle locali botteghe artigiane tra il XVIII e il XIX secolo. I vari personaggi riprendono, rinnovandole, iconografie storiche tradizionali come la «Meraviglia», l’«Adorazione», il «Dormiglione» e la «Tradizione» (ovvero l’adulto che accompagna i bambini a vedere il presepio, perché imparino la sapienza umana e divina). Sono testimoni di questa storia gli illustri modelli di grandi plasticatori bolognesi ed emiliani dei secoli passati, che si conservano proprio nella collezione del museo Davia Bargellini, frutto dell’intelligente impegno del suo fondatore Francesco Malaguzzi Valeri.
Dal pifferaio di Leonardo Bozzetti al brentadore (il trasportatore di vino) di Luigi Enzo Mattei, dal magio di Mirta Carroli al burattinaio di Marco Dugo, il presepe «made in Bologna, mette, dunque, in scena e trasfigura la vita quotidiana, mostrando esemplarmente ancora una volta come, parafrasando il cardinale Giacomo Biffi, «siamo tutti nel presepio», con il nostro volto e la nostra vocazione.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.museibologna.it/arteantica.

Biella festeggia il Natale con un’opera di Casorati

Il periodo natalizio è strettamente legato al tema della maternità e della nascita. Biella lo festeggia con l’esposizione, nella Cattedrale di Santo Stefano, del dipinto «Studio per La barca», opera del novarese Felice Casorati, uno dei maestri del Realismo italiano.
Appartenente a un collezionista privato biellese, l’opera è lo studio preparatorio per «La barca» (1934), tela esposta nella Galleria d'arte moderna «Ricci Oddi» di Piacenza.
Nel dipinto sono rappresentate due donne a bordo di una piccola imbarcazione: una in primo piano tiene in braccio un neonato mentre lo allatta; la seconda sta nello sfondo di spalle e in posizione quasi appartata. Non è noto per quale contesto o committente l'artista abbia dipinto quest'opera.
Le donne sembrano rappresentare delle fuggitive che scappano da qualcosa o da qualcuno per rifarsi una nuova vita, per preservare la piccola creatura, per garantirgli una rinascita in un posto sicuro, come una moderna e sempre attuale fuga in Egitto, dove all'asino e a San Giuseppe si sostituisce un tragitto via mare con la Madonna, il Bambino e una ancella.
La pittura in «Studio per La Barca», che viene esposto a Biella nell’ambito del progetto «Sia luce», per quanto sia grezza e lasciata solo in stadio di prova è allo stesso tempo anche evocativa del suo carattere neoclassico, non legata all'impressione o all'espressione. È una pittura più celebrale e astratta, mai impregnata da suggestioni vitalistiche, ma legata solo all'esperienza diretta della percezione e catalogazione della realtà.
Per ulteriori informazioni è possibile consultare la pagina www.bi-boxartspace.com.

«Admirabile signum», La Spezia fa da scenario a una mostra sul presepe tra arte antica e contemporanea 
È un’opera di Marco Lodola (Dorno, Pavia, 1955), dal tradizionale impianto ludico e pop, ad aprire il percorso espositivo della mostra «Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea», allestita fino al 30 gennaio negli spazi della Fondazione Carispezia, per la curatela di Lara Conte e Alberto Salvadori che, per la parte relativa all’arte antica, hanno lavorato alla costruzione del percorso espositivo in dialogo con Simonetta Maione e Giulio Sommariva, con il contributo di Andrea Marmori.
La mostra mette in relazione importanti esemplari di presepe di produzione genovese e lombarda del XVIII secolo, principalmente provenienti dal Museo Luxoro di Genova, con un nucleo di opere e installazioni contemporanee, creando un ponte tra presente e passato, tra figurazione ed evocazione.
Attraverso media e linguaggi diversi, nel corso del XX secolo e nella contemporaneità gli artisti hanno continuato a confrontarsi con uno dei temi maggiormente rappresentati nella storia dell’arte occidentale, fornendone interpretazioni che vanno oltre l’iconografia e la dimensione figurativa tradizionale.
Accanto ai presepi settecenteschi il visitatore troverà creazioni di Roberto Almagno, Maria Lai, Marco Lodola, Fausto Melotti, Michelangelo Pistoletto e Guido Strazza. Per maggiori informazioni: https://foglidarte.blogspot.com/2021/12/admirabile-signum-presepe-tra-arte-antica-contemporanea-laspezia-fondazione-carispezia.html

Nella foto:  Roberto Almagno, Presepe foresta, 2001. Legno, Ø 300 cm. Museo Internazionale del Presepio Vanni Scheiwiller, Castronuovo Sant’Andrea (PZ)

Raffaello, Dante e Caravaggio nel presepe della Cappella Sistina
È una delle opere d’arte più importanti di tutti i tempi, il ciclo di affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina in Vaticano, a fare da cornice al presepe di stile e soggetto rinascimentale, visibile fino al prossimo 15 gennaio a Roma grazie al contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti onlus.
L’opera, di circa tre metri di lunghezza e due di profondità, è un omaggio a Raffaello Sanzio nel cinquecentesimo anniversario dalla sua scomparsa (ricorrenza commemorata lo scorso anno), ma anche a Dante e Caravaggio, di cui, nel 2021, si sono celebrati rispettivamente i settecento anni dalla morte e i quattrocentocinquanta anni della nascita. Questi tre personaggi appaiono così all’interno del presepe, insieme a Giulio II, il papa mecenate. Ma i riferimenti ai tre intellettuali rinascimentali non finiscono qui. Giuseppe e Maria indossano, infatti, vestiti ispirati allo «Sposalizio della Vergine» di Raffaello. Mentre sopra la grotta - ambientata in un’architettura che ricorda il Serapeo di Villa Adriana a Tivoli e piazza della Cisterna a San Gimignano, ma anche alcuni scorsi caratteristici di Spoleto - è riprodotto in miniatura l'affresco con la «Scuola di Atene», situato nella Stanza della Segnatura all’interno dei Musei Vaticani, anche questo opera dell’urbinate.
Il presepe è stato realizzato nell’arco di nove mesi da un gruppo di artisti-artigiani (Giuseppe PasseriEva Maria Antulov e Alfonso Pepe) con grande attenzione ai dettagli e dopo aver effettuato studi su colori e su terre rare e di difficile reperimento. Il blu è stato, per esempio, ricavato dal più pregiato dei lapislazzuli al mondo, quello del Sar-e-Sang a nord dell’Afghanistan; mentre le azzurriti provengono dalla miniera di Alnif, in Marocco, e il diaspro, molto raro, dalle isole dell’arcipelago toscano.
Il presepe, donato al Vaticano, è anche e soprattutto un doveroso omaggio al marchese Giulio Sacchetti, scomparso nel 2010, già Delegato speciale della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano. «Il mio rapporto con la Sistina, uno dei più importanti siti artistici al mondo, - ha detto la moglie, Giovanna Sacchetti, in occasione dell’inaugurazione - inizia nel 1980 con la firma del contratto di mio marito per seguire i lavori per la pulitura e termina nel 1994, con la messa solenne celebrata da papa Giovanni Paolo II, in occasione della presentazione dei restauri. In quei quattordici anni ho visitato molte volte il cantiere e tornare qui con un presepe dedicato a mio marito personalmente è molto commovente».
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.fondazionegiulioegiovannasacchetti.it.

giovedì 23 dicembre 2021

#notizieinpillole, cronache d'arte di fine 2021

«Oro e colore nel cuore dell'Appennino»: a Gubbio una mostra su Ottaviano Nelli e il Quattrocento
«La musica degli angeli e il fortore degli stabbi, l’inno sacro e la mascherata irriverente, la tenerezza liliale delle Madonne e la crudezza del sangue a fiotti di martirii, la dolcezza malinconica e la volgarità compiaciuta»: è tutta racchiusa nelle parole di Andrea De Marchi la cifra stilistica di Ottaviano Nelli (Gubbio, 1370 ca. – 1448-49), uno dei massimi pittori del gotico internazionale. All’artista eugubino, che ha portato «oro e colore nel cuore dell’Appennino», è dedicata la mostra allestita fino al 9 gennaio a Gubbio, nelle sale dei palazzi Ducale e dei Consoli.
L’esposizione, a cura di Andrea De Marchi e Maria Rita Silvestrelli, riunisce le opere più importanti del pittore: pale d’altare, anconette, dittici per la devozione individuale e affreschi strappati, tra cui un insolito grande polittico francescano, bizzarro nell’accostamento delle scene narrative e con scale proporzionali eterogenee, attualmente smembrato e conservato in cinque sedi tra Italia, Francia e Stati Uniti, che viene esposto per la prima volta nella sua integrità.
Attivo nel primo Quattrocento, radicato nella sua Gubbio, dove fu pure console, Ottaviano Nelli seppe fondere la tradizione locale con elementi desunti dalla pittura lombarda e dalla miniatura francese, sviluppando un linguaggio personale vicino alle soluzioni di Lorenzo Salimbeni e di Gentile da Fabriano. A capo di un’attivissima bottega, l’artista ci ha lasciato cicli vivacissimi, rutilanti di colori e di preziosità, pieni di verve, di ritratti e di sapidi aneddoti.
La mostra, di cui rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale, racconta anche il contesto artistico e l’ambiente in cui lavorò il pittore quattrocentesco, esponendo lavori dell’orvietano Cola Petruccioli, del senese Taddeo di Bartolo e dell’eugubino Jacopo Bedi e di altri ancora.
In occasione della rassegna è stato, inoltre, ideato un itinerario urbano e transappenninico, con la visita a vari edifici del territorio, tra cui Santa Maria Nuova, dove è esposta la «Madonna del Belvedere», manifesto del gotico internazionale.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.mostranelligubbio.it

Nell'immagine: Madonna del Belvedere. Affresco, alt. 188 cm, lungh. 250 cm. Gubbio, Chiesa di Santa Maria Nuova  

In Veneto alla riscoperta di Noè Bordignon, un pittore e frescante in bilico tra Realismo e Simbolismo
È stato uno dei principali narratori delle povere genti e del mondo della campagna veneta nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento. Si è mosso nel campo del Realismo, lasciandoci opere che sembrano fotografie d’epoca, e in quello del Simbolismo, dando vita a paesaggi dell’anima, dalle atmosfere diluite e dai veloci tocchi di colore. Ci ha lasciato lavori iconici come «La mosca cieca» (o La gatta cieca), «La pappa al fogo» o «Per l’America (i migranti)». Suoi affreschi, testimonianza di una religiosità in perfetta sintonia con la dottrina sociali della Chiesa di quei decenni, di cui è frutto la «Rerum Novarum» di papa Leone XIII (1891), sono visibili sulle volte e di tante chiese del territorio veneto, a partire dall’abbazia sull’isola di San Lazzaro degli Armeni, davanti a Venezia, senza dimenticare Bassano del Grappa e Asolo.
A cento anni dalla morte, Castelfranco Veneto e San Zenone degli Ezzelini, le due città che videro l’inizio e la fine della sua vita e della sua carriera, celebrano Noè Bordignon (1841- 1920), frescante e pittore, con una mostra, a cura di Fernando Mazzocca ed Elena Catra, che allinea una sessantina di opere dell’artista e offre anche alcuni puntuali confronti con i contemporanei Ciardi, Zandomeneghi, Milesi e non solo. L’esposizione allarga, inoltre, il suo occhio alle opere presenti sul territorio pedemontano e veneto (11 i comuni coinvolti con 21 siti e altri 9 i comuni segnalati).
La mostra celebrativa, in programma fino al 16 gennaio, prende le mosse da Castelfranco con un’evocativa introduzione dedicata all’universo femminile del pittore e con le prime due sezioni tematiche, «La formazione artistica e il pensionamento romano» e «La pittura del vero», che propongono suggestivi spaccati della quotidianità dell’epoca, scene popolari, quadri dal lessico familiare, umili interni, ma anche «buffe» rappresentazioni dal carattere realista. 
Nelle sale del Museo Casa Giorgione è, inoltre, visibile una notevole selezione di disegni e studi come il taccuino di appunti visivi del suo viaggio del 1878 a Parigi per l’Esposizione universale, dove Bordignon vinse una medaglia per l’opera «Ragazze che cantano nella valle».
L’esposizione prosegue, quindi, a San Zenone, completando la fase pittorica del Realismo legato al mondo campestre e soffermandosi sul ritratto e sulla svolta simbolista. Nelle sale di villa Manini Rubelli sono esposti per la prima volta i dipinti dei familiari gelosamente conservati nell’abitazione privata dell’artista. Sono, inoltre, visibili quadri come «Inverno», «Lieto Ritorno» e il bellissimo bozzetto di «Matelda», la guida di Dante nel XXVIII canto del Purgatorio, con cui Noè Bordignon, pur legatissimo alla tradizione, si mostra capace di stare al passo con i tempi, di saper rileggere e interpretare le nuove istanze senza venir meno alla sua visione dell’arte.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.mostrabordignon.it

Nelle immagini: 1.Noè Bordignon, La pappa al fogo, 1895. Olio su tela, 155 x 215 cm. Vicenza, Banco Popolare di Vicenza; 2. Noè Bordignon, Compatrioti di Canova, 1882. Olio su tela, 85 x 113 cm. Vicenza, Collezione privata; 3. Filippo Palizzi, Fanciulla sulla roccia a Sorrento, 1871. Olio su tela, 54,80 x 79,50 cm.Badia Polesine (Rovigo), Collezione Balzan  

A Venezia un’ampia retrospettiva su Mario De Biasi, tra fotografie famose e inediti
Dal 1947 al 2003, dagli esordi della sua collaborazione con la rivista «Epoca» fino agli ultimi lavori: oltre duecentocinquanta immagini, metà delle quali inedite e vintage, raccontano a Venezia, negli spazi della Casa dei Tre Oci, la parabola creativa di Mario De Biasi (Sois, Belluno, 1923 - Milano, 2013), tra i più straordinari interpreti del Novecento, instancabile viaggiatore e osservatore del mondo.
L’esposizione, curata da Enrico Viganò, accosta alle fotografie i disegni dell’autore: un universo dalle tinte forti e di infinita fantasia che ha per soggetti soli, occhi, teste e cuori. Ci sono, poi, in mostra anche volumi, numeri originali della rivista «Epoca», appunti, quaderni e due approfondimenti audiovisivi. L’intervista di Laura Leonelli in cui Mario De Biasi racconta la sua esperienza di fotografo e una proiezione di immagini, selezionata dalla figlia dell’artista, con i servizi per la collana di «Epoca» intitolata «Le meraviglie del mondo».
Testimone della nostra storia, il fotografo bellunese ci ha raccontato l’Italia del Dopoguerra, con la sua voglia di rinascita e di ricostruzione, l’insurrezione ungherese del 1956, lo scorso sulla luna, ma anche i suoi viaggi per il mondo - dalla Thailandia al Brasile, da Israele al Nepal – e i grandi divi del cinema come Brigitte Bardot, Fellini e Masina, Romy Schneider, Maria Callas.
Tra i tantissimi inediti, la Casa dei Tre Oci espone, per la prima volta, l’intera sequenza della fotografia più celebre e probabilmente più amata di De Biasi: «Gli Italiani si voltano», realizzata nel 1954 per il settimanale di fotoromanzi «Bolero Film» e scelta da Germano Celant come immagine guida della sua mostra al Guggenheim Museum di New York, «The Italian Metamorphosis 1943-1968». Una splendida Moira Orfei vestita di bianco passeggia per il centro di Milano, attirando lo sguardo di un gruppo di uomini.
Di grande impatto visivo, infine, è l’installazione dedicata alle pause pranzo raffigurante un mappamondo sul quale sono esposte quaranta fotografie vintage, di piccolo e piccolissimo formato, ciascuna connessa al luogo in cui è stata scattata. L’intento è di restituire il senso di universalità e il taglio antropologico della ricerca di Mario De Biasi, che ritrova in un semplice gesto quotidiano un forte senso di comunanza tra culture lontane e diverse.
Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito www.treoci.org

Didascalie delle immagini: 1. Gli italiani si voltano, Milano, 1954. © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano; 2.Brigitte Bardot, Venezia, 1957. © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano 

«Great men», da Brera un film sull’esilio di Dante e Napoleone
Dante Alighieri
e Napoleone Bonaparte, due uomini in esilio, raccontati al tempo del Covid: si potrebbe riassumere così la trama di «Great men», esperienza interattiva on-line disponibile dal 30 dicembre sulla piattaforma Brera Plus +.
Dopo i documentari, i programmi speciali, i concerti e le visite virtuali al suo patrimonio artistico, il museo milanese, diretto da James Bradburne, è diventato scenario, insieme con le Gallerie d’Italia, di una pièce teatrale scritta dalla giovane drammaturga inglese Emily Renée e diretta dal regista e scenografo italiano Fabio Cherstich, con protagonisti gli attori Jorge Franco IV, Marco Gambino, Jacopo Rampini.
La registrazione dello spettacolo, avvenuto in un’unica replica, è la base del progetto on-line: un film che consente al pubblico l’interazione e che racconta connessioni significative tra l’esperienza di allontanamento dalla propria patria d’origine vissuta dallo scrittore fiorentino e dal condottiero corso, di cui ricorrono rispettivamente i settecento e i duecento anni dalla morte, con lo stato di isolamento che tutti noi abbiamo esperito negli ultimi due anni a causa della pandemia.
Emily Renée è rimasta affascinata dal rapporto genitoriale dei due uomini. Se da un lato, Napoleone, a seguito del primo esilio all’Elba, non vide mai più suo primogenito, dall’altro, Dante visse la condizione di esule sempre in compagnia dei suoi due figli. Questa storia viene raccontata da due giovani contemporanei, Thomas e Bijan, che, attraverso alcune conversazioni su Skype, tratteggiano lo scenario di un mondo fortemente in cambiamento, in cui faticano a collocarsi, rivelando un rapporto non ancora risolto con la figura paterna.
Il video interattivo «Great Men», della durata di un’ora, è in lingua inglese e sottotitolato in italiano. Può essere visionato con la propria «BreraCard», generata in automatico durante l’acquisto di un biglietto per visitare la Pinacoteca o acquistabile su BreraBooking.org al costo di 15,00 euro. La tessera permette sia la fruizione on-line di uno ricco programma di eventi culturali, sia la possibilità di visitare fisicamente il museo, per tre mesi e per tutte le volte che lo si desidera.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito BreraPLUS.org

«Visioni dantesche», un video dell’Accademia di Belle Arti di Bologna per la mostra modenese «Dante illustrato nei secoli»
È un video realizzato dagli studenti dell’Accademia di Belle arti di Bologna, attraverso tecniche di animazione digitali e tradizionali, a chiudere il percorso espositivo della mostra «Dante illustrato nei secoli. Testimonianze figurate nelle raccolte della Biblioteca estense universitaria», allestita fino al prossimo 8 gennaio a Modena.
La regia e l'ideazione del progetto, intitolato «Visioni dantesche», sono di Filippo Pierpaolo Marino, docente di Digital Video. Le composizioni e le animazioni sono state realizzate da Simone Tacconelli e Manuela Tommarelli, insieme a Ivan Pjevcevic; mentre Stefano Diso ha curato il sound design.
Attraverso immagini e suoni, lo spettatore è condotto per mano alla scoperta delle illustrazioni dantesche conservate dalla Biblioteca estense di Modena e rielaborate attraverso il collage, la pittura e il disegno al fine di creare nuove visioni e suggestioni dell’opera dell’Alighieri, affresco della complessità dell'animo umano, nonché dello spirito profetico del «sommo poeta».
Dai manoscritti miniati e dalle prime edizioni a stampa della «Divina Commedia», fino alle opere di Gustave Doré, Francesco Scaramuzza, William Blake, Salvator Dalí e Renato Guttuso, l’esposizione modenese, a cura di Grazia Maria De Rubeis, illustra - raccontano gli organizzatori - «un capitolo della storia secolare del commento e della fortuna dell'Alighieri, oltre che della storia del libro e, più in generale, dell'arte figurativa».
Tra i pezzi più pregevoli in mostra c’è il «Dante estense», un manoscritto con disegni acquarellati, «papyrus style», sul margine superiore di tutti i fogli. Altri rarissimi documenti sono rappresentati da incunaboli illustrati da rami e xilografie come la «Commedia» stampata a Firenze nel 1481, con due rami incisi dall’orafo e incisore fiorentino Baccio Baldini su disegno di Botticelli. Chiude il percorso la monumentale opera dantesca in tre volumi, che impegnò Amos Nattini (1892-1985) sia come illustratore, che come editore per più di venti anni, completa del mobile leggio disegnato dal famoso architetto Giò Ponti.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.gallerie-estensi.beniculturali.it.

Al Piccolo di Milano il «Pinocchio» della compagnia Carlo Colla & figli
Le marionette della Carlo Colla & Figli hanno incontrato per la prima volta «Le avventure di Pinocchio» nello sceneggiato televisivo diretto da Luigi Comencini. Era il 1972. Quasi cinquant’anni dopo la compagnia marionettistica più famosa d’Italia torna a incrociare la sua strada con quella del capolavoro di Collodi, romanzo di formazione che racconta la metamorfosi di un burattino di legno, spesso discolo, in un bambino in carne e ossa, dopo aver vissuto mille avventure e prove per diventare grande.
Lo spettacolo, ridotto per la scena a partire dagli appunti di Eugenio Monti Colla e diretto da Franco Citterio e Giovanni Schiavolin, sarà sul palco del Piccolo Teatro Grassi di Milano da martedì 28 dicembre a domenica 9 gennaio.
Scene, sculture e luci portano la firma di Franco Citterio; i costumi sono stati ideati di Cecilia Di Marco e Maria Grazia Citterio. La musica originale è di Danilo Lorenzini e si dipana tra marcette circensi, valzer da saga paesana, ritornelli di cantastorie e il ligneo crepitare delle articolazioni del protagonista marionetta.
La drammaturgia, incorniciata da un prologo e da un epilogo, si sviluppa in sei differenti quadri e otto situazioni sceniche dinamiche, mutevoli e in movimento; queste saranno lo sfondo dei personaggi che, fra marionette e marionettine, animali antropomorfi e animali naturalistici, figurini, sagome e cartonaggi, superano le centocinquanta unità.
Gli attori di legno, con la loro gestualità e il loro forte potenziale evocativo, coadiuvate dalle voci storiche che, da anni, danno la parola ai piccoli personaggi, cercheranno di trascinare il pubblico in una sorta di ballata popolare, dalle tonalità dolci ma anche, a tratti, amare, scandagliando gli aspetti poetici insiti nel romanzo, creando un racconto a cavallo tra fantasia e sapienza popolare.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.piccoloteatro.org

Strenna 2021, l’ospedale Gaetano Pini pubblica un libro sul Conservatorio di Milano
Era il 1879 quando il medico Gaetano Pini, fondatore dell’allora Pio Istituto dei Rachitici di Milano, faceva pubblicare «Il nuovo Presagio», la prima di tante strenne nate con l’intento di «portare ai ricchi e ai felici il saluto e l’augurio dei miseri».
Da 143 anni quella tradizione è un immancabile appuntamento natalizio e, anno dopo anno, si è venuta a creare una «bibliotechina – amava dire Gaetano Pini - abbastanza varia» per gli argomenti trattati, ma con un baricentro evidente: Milano. La Pinacoteca di Brera, la Triennale, l’Università degli Studi, il Monastero maggiore di San Maurizio, la Villa reale di via Palestro, ma anche Alessandro Manzoni e l’Esposizione nazionale del 1881 sono, infatti, alcuni dei temi trattati.
Il nuovo volume rende omaggio a un’importante istituzione meneghina dedicata alla musica: il Conservatorio «Giuseppe Verdi». La narrazione è stata affidata agli autorevoli professionisti che vi operano. Stralci di storia, curiosità e aneddoti sono raccontati nei testi che hanno un taglio divulgativo. Il libro raccoglie, per esempio, le storie degli artigiani milanesi dell’Ottocento che hanno contribuito alla nascita della collezione degli strumenti e dei grandi nomi di alunni e docenti che hanno dato prestigio al Conservatorio, come Nino Rota o Claudio Abbado. Inoltre, tramite QR Code, è possibile ascoltare on-line un’esibizione dell’Orchestra sinfonica del Conservatorio di Milano e una della Verdi Jazz Orchestra.
Così Paola Lattuada, direttore generale dell’ospedale Gaetano Pini, spiega per quale motivo la strenna 2021 è stata dedicata al Conservatorio «Giuseppe Verdi»: «la creatività rappresenta da sempre un elemento importante da affiancare alla cura. Il valore attribuito alla musica riguarda la sfera emotiva: la musica è in grado di modulare l’umore di una persona in diverse circostanze nell’arco della vita, influisce in maniera rilevante nel quotidiano e, in una prospettiva più ampia, ha il potere di promuovere la salute fisica e psicologica e il benessere all’interno dei setting clinici. Ancora più nell’attuale clima di incertezza dovuto alla pandemia, l’ascolto della musica può rivelarsi un’esperienza salvifica».
Per maggiori informazioni: https://www.asst-pini-cto.it/.

Un giardino di sculture per il Part – Palazzi dell’arte di Rimini
È un museo a cielo aperte il Giardino delle sculture, che il Part – Palazzi dell’arte di Rimini, realtà museale che accoglie la collezione d’arte contemporanea della Fondazione San Patrignano, ha ideato per completare il suo percorso espositivo. L’area esterna, che è accessibile gratuitamente, presenta una selezione di sette sculture, il cui progetto museografico è stato realizzato dallo Studio AR.CH.IT di Luca Cipelletti; l’illuminazione è, invece, a cura dello Studio Pasetti Lighting di Alberto Pasetti Bombardella,
All’interno del perimetro vegetale, che interpreta una versione attuale del giardino all’italiana ed evoca l’idea di rovina nell’intrecciarsi di componente muraria e naturale, il visitatore può vedere opere cedute in comodato da gallerie e artisti, come l’installazione su grande scala in tubi d’acciaio e vernice, «Untitled (The Thing)» (2007), di Piotr Uklanski e la panchina «Il cane qui ritratto appartiene a una delle famiglie di Trivero. Quest’opera è dedicata a loro e alle persone che sedendosi qui ne parleranno» (2009) di Alberto Garutti.
Giuseppe Penone è in mostra con «Anatomia» (2011), un blocco di marmo bianco di Carrara dal quale spuntano le radici e i rami di alberi che sembrano vivere incastonati nel tempo. Arnaldo Pomodoro punta, invece, verso il cielo con l’opera in bronzo «Lancia di Luce I» (1985), dono di Daniele Pescali e Anna Cappanera Pescali. Sempre in bronzo, è l’opera dell’artista tedesca Kiki Smith, «Stella I» (2013); mentre Chen Zhen presenta «Jardin mémorable» (2000), un «giardino nel giardino», metafora di una bellezza perduta, con cinque lastre di bronzo e metallo i cui rilievi rappresentano la storia del parco dell’Imperatore Qianlong costruito a metà ‘700.
Il percorso espositivo è arricchito, poi, da un’installazione site-specific di Paul Kneale che, svettando a più di tre metri d’altezza tra la vegetazione, sembra una particolare specie arborea.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito palazziarterimini.it.
 
«Futuro passato»: in Friuli un bando per drammaturghi sul tema del «ricordare la memoria»
Il linguaggio teatrale, mezzo di comunicazione che vive ancora principalmente del ricordo e delle emozioni del pubblico nel qui e ora del suo manifestarsi, è perfetto per affrontare una discussione sul nostro passato: parte da questa considerazione il bando teatrale «Futuro Passato ricordare la memoria», lanciato dall’associazione culturale Tinaos, con il contributo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e della Fondazione Friuli, le cui candidature rimarranno aperte fino al prossimo 15 gennaio.
Il bando è rivolto a drammaturghi e autori teatrali senza limiti di età e mira a sostenere la creazione di nuovi testi di drammaturgia contemporanea sul tema, appunto, della memoria. Gli interessati possono inviare, attraverso la piattaforma Sonar (www.ilsonar.it), il proprio curriculum vitae, una lettera motivazionale e un testo di massimo cinque cartelle sul loro progetto. Dopo questa prima fase ci sarà la proclamazione di dieci semifinalisti, ai quali sarà chiesto di presentare un testo completo già scritto o pubblicato o un inedito. Tra di loro verranno scelti, entro il 1° marzo, i quattro finalisti, ai quali sarà chiesto di scrivere un ulteriore testo, questa volta inedito, a partire dai materiali raccolti durante la fase di ricerca sul campo, che si terrà tra aprile e maggio nei comuni di Udine, Cervignano e Buttrio (i selezionati saranno scritturati per 34 giorni consecutivi dal soggetto capofila. Per ognuno è prevista una paga lorda giornaliera di 73 euro per un totale lordo di 2.482 euro e l’alloggio in camera doppia in appartamento con uso cucina).
L’indagine si svilupperà attraverso laboratori che metteranno insieme professionisti teatrali, della danza, psicologi e operatori socio sanitari, così da far interagire l’azione culturale con il ruolo dei servizi sociali territoriali.
Tutor del progetto sarà Federico Bellini, drammaturgo, autore e traduttore dall’esperienza internazionale che dal 2017 al 2020 è stato drammaturgo e assistente alla direzione artistica della Biennale Teatro di Venezia. Accompagnerà i drammaturghi selezionati dallo studio del tema scelto fino alla composizione del nuovo testo.
I testi realizzati saranno raccolti in un unico volume pubblicati dalla casa editrice Bottega Errante di Udine e saranno disponibili anche in formato digitale all’interno della piattaforma Sonar. Uno dei testi prodotti vincerà il premio di produzione; agli altri tre sarà garantita la presentazione al pubblico e agli operatori del settore in forma di lettura scenica.
Per ulteriori informazioni è possibile contattare l’associazione culturale Tinaos. I recapiti sono reperibili al link www.tinaos.com.

Una mostra per i cinque anni Street Levels Gallery, lo spazio che racconta l’arte urbana a Firenze
Compie cinque anni la Street Levels Gallery, prima galleria fiorentina interamente dedicata all’arte urbana, che per l’occasione promuove, fino al prossimo 16 gennaio, la collettiva «Unity Wanted Vol.2», con quasi tutti gli autori che hanno esposto nella prima mostra dello spazio fiorentino, la cui inaugurazione si tenne il 17 dicembre 2016. Da allora la galleria di via Palazzuolo 74 AR si è proposta come un ambiente capace di interagire con il tessuto urbano, anche uscendo per le vie della città e instaurando fruttuose collaborazioni con comuni, festival, rassegne d’arte, musei, aziende, associazioni, collettivi, università, enti pubblici e privati.
Tra gli artisti che presenteranno i propri lavori in ci sono Hogre, una delle firme più note della street art internazionale, Mr. Wany, tra i più influenti writer del mondo, Rikyboy, noto per i suoi interventi murali in gran parte d'Italia e all’estero, e Clet, le cui immagini dall’estetica minimalista abitano gli spazi metropolitani e la segnaletica verticale delle principali città europee. Non mancano lungo il percorso espositivo i lavori di Camilla Falsini, Giulio Vesprini, Mìles, con le sue figure sospese tra poesia e incubo, Monograff, creatore di spazi metafisici in cui dialogano colore e forma, e del famoso stencil artist Ache77.
Espongono, inoltre, a Firenze Nemo’s, celebre per i suoi soggetti deformi in bilico tra la meraviglia e l’orrore, ed Exit Enter, i cui «omini» traducono in pochi, semplici tratti le declinazioni dei sentimenti umani, affrontando tematiche sociali contemporanee come il consumismo, l’immigrazione, la guerra. Si possono, infine, vedere le opere sul mondo naturale di Fabio Petani, Rame13 e James Vega (nella fotografia un suo lavoro), i graffiti di Urto e le riflessioni tra passato e presente di Mehstre.
Street Levels Gallery acquisirà parallelamente anche un proprio spazio virtuale, grazie alla nuova piattaforma web della galleria che sarà presto on-line. All’interno del nuovo sito www.streetlevelsgallery.com, proprio come nello spazio fisico della galleria, ogni artista avrà una sezione espositiva dedicata contenente una breve biografia, un testo di approfondimento e altre informazioni utili. Sulla piattaforma sarà presente anche una sezione e-commerce.

«I gesti del tempo», una nuova mostra della Triennale all’Aerostazione di Milano Linate
L’Aerostazione di Milano Linate apre le sue porte all’arte. In occasione della ristrutturazione e ampliamento della struttura, avvenuta lo scorso giugno, la Triennale aveva presentato una selezione di pezzi della sua collezione permanente realizzati da grandi maestri del design e dell’architettura – da
Achille e Pier Giacomo Castiglioni
a Roberto Sambonet, da Marco Zanuso e Richard Sapper a Bruno Munari – per ricordare ai passeggeri che il viaggio è un invito alla conoscenza. La prima esposizione ruotava, infatti, intorno alla ritrovata occasione delle vacanze e al concetto di ripartenza.
Da qualche giorno all’Aerostazione di Milano Linate è visibile una nuova mostra dedicato alla misurazione del tempo in tutte le sue dimensioni, a cura di curata Marco Sammicheli, direttore del Museo del design italiano di Triennale Milano.
«I gesti del tempo», questo il titolo dell’esposizione, presenta un catalogo di artefatti molto diversi tra loro ma tutti uniti dal comune denominatore del tempo misurato, vissuto, atteso e immaginato. Le vetrine ospitano quattro nuclei tematici: il tempo della sosta intesa come riposo, vizio e visione; il tempo del sogno, della fuga, dell’esotismo; il tempo del lavoro, della misurazione matematica, delle relazioni; il tempo degli interni, dell’intimità.
Nella hall dell’aerostazione continuerà a essere esposta l’opera «Carlton» di Ettore Sottsass per celebrare il quarantesimo anniversario di Memphis, movimento di design e pensiero progettuale fondato a Milano nel 1981.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.triennale.org.

«Bologna, dicono di lei»: una mostra da ascoltare
Dickens
, Stendhal, Goethe, Madame de Stael, Pasolini, Guccini, Lucarelli, Dante, Serao, Piovène, Hemingway e Lord Byron: sono molti gli autori italiani e stranieri che, nel corso dei secoli, hanno portato Bologna, con la bellezza dei suoi portici e delle sue torri, tra le pagine di un libro. Per iniziativa della casa editrice Elleboro, le centinaia citazioni sulla città sono state raccolte in un libro, «Bologna. Dicono di lei», che ora è diventato anche una mostra, allestita fino al 30 gennaio al Museo civico archeologico.
Grazie al contributo di Samuele Bersani, Alessandro Haber, Neri Marcorè, Veronica Pivetti e Carla Signoris, è nata una galleria audiovisiva che permette di conoscere gli autori che dal Seicento fino all’inizio del secolo scorso hanno raccontato Bologna nei loro diari, nelle loro lettere, nei loro romanzi e nelle guide, contribuendo anche a costruire l’identità della città.
I testi e le citazioni degli scrittori-viaggiatori sono accompagnati da una selezione di foto d’epoca provenienti dalla Cineteca di Bologna, ma anche da libri antichi, prime edizioni di romanzi, diari di viaggio, riviste bolognesi e stampe di Augusto Majani «Nasica». Mentre a fare da colonna sonora sono ouverture di opere di Rossini, Verdi, Donizetti, ma anche da musiche di Fredric Rzewsky e Pat Metheny. A queste note si aggiungono i suoni della città: il mondo acustico dei portici, delle campane, delle carrozze che creano il paesaggio sonoro di Bologna.
Nei settecento anni dalla morte, non manca un omaggio a Dante, con una sala-installazione a lui dedicata, dove sono esposti alcuni documenti trecenteschi ceduti in prestito dall’Archivio di Stato di Bologna che aiutano a immaginare il vivace humus culturale vissuto dallo scrittore, che alla città dedicò il «Sonetto sulla Garisenda» (1287).
Anche i portici, nominati a luglio Patrimonio mondiale dell’umanità di Unesco, hanno uno spazio dedicato, con una raccolta speciale di citazioni lette e interpretate da Samuele Bersani.
Per maggiori informazioni: http://www.museibologna.it/archeologico/eventi/47655/date/2021-11-09/id/106046.

«Lorenzo Bartolini e i suoi modelli», un nuovo video animato dedicato alla Gipsoteca della Galleria dell’Accademia di Firenze
«Eccolo qua il mio David, qui al riparo da oltre 140 anni...», afferma Michelangelo al cospetto della scultura più semplice nel video «Lorenzo Bartolini e i suoi modelli. Un ritratto», da poco diffuso sul sito della Galleria dell’Accademia di Firenze.
Nato da un’idea di Cecilie Hollberg, il progetto si avvale di soggetto, sceneggiatura e disegni di Paolo Fiumi; mentre lo sviluppo multimediale, animazione e realizzazione sono a cura di Antonio Osea Mansi.
Il video vede dialogare Michelangelo con Lorenzo Bartolini, l’uomo che ebbe l’idea «… di far mettere il David al riparo dalle intemperie».
Davanti «a una bevanda di gran moda» ai suoi tempi, il caffè, l’artista pratese racconta le sue origini, di come è diventato scultore, delle sue vicissitudini nel Regno di Francia e del suo legame con Napoleone Bonaparte, che lo vide arruolarsi nell'esercito francese e stabilirsi a Parigi.
Dopo la sconfitta del generale corso, Lorenzo Bartolini si rifugiò a Firenze e qui realizzò numerosi ritratti, disseminati in tutto il mondo, mentre nel suo studio rimanevano i modelli in gesso, quelli che si trovano ora in Gipsoteca.
Dopo la sua dipartita lo Stato italiano acquisì i gessi e li collocò nel convento di San Salvi, dove nel 1966 una terribile alluvione li danneggiò. «Ma non tutti i mali vengono per nuocere», afferma un partecipe Michelangelo nel video, perché i gessi furono riscoperti, restaurati e collocati alla Galleria dell'Accademia di Firenze e riallestiti come nello studio di Bartolini.
Per maggiori informazioni e per visionare il video è possibile collegarsi alla pagina www.galleriaaccademiafirenze.beniculturali.it.

Fondazione Cini, restauro e digitalizzazione per l’edizione veneziana delle favole di Esopo stampata da Bernardo Benali
Si concludono con un importante evento legato alle favole di Esopo, o meglio all’unica copia al mondo dell’edizione veneziana dell’opera stampata da Bernardino Benali (1490 circa), i settant’anni di attività della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Il volume arrivò sull’Isola di San Giorgio Maggiore nel 1962, con l’acquisizione del fondo di libri antichi appartenuto a Tammaro De Marinis (1878-1969) grazie al munifico intervento di Vittorio Cini.
Nel 2019 venne battuto a Firenze dalla casa d’asta Pandolfini un lotto della collezione Tammaro De Marinis e fra i libri e i documenti venne rinvenuto un foglio «staccato» proprio dell’edizione delle favole di Esopo conservata alla Fondazione Cini.
Il lotto è stato acquistato grazie al contributo di Giovanni Alliata di Montereale, nipote di Vittorio Cini, che l’ha prontamente donato alla fondazione veneziana consentendo il ricongiungimento delle parti. Il volume, scompleto di nove fogli, è stato, quindi, restaurato e integrato di una delle pagine mancanti.
Il restauro e la digitalizzazione dell’antico volume, che ha rappresentato la più recente sfida del centro di eccellenza ARCHiVe, è stato reso possibile grazie al finanziamento della Soprintendenza archivistica e bibliografica del Veneto e del Trentino-Alto Adige che ha valutato positivamente la proposta di restauro e di valorizzazione del bene.
Il volume consta oggi di 92 carte suddivise in 13 fascicoli dalla a alla n e le carte mancanti rendono mutili 3 fascicoli (c, m, n). La carta ritrovata, con la xilografia e il finale della favola n. 62, appartiene al fascicolo m e lì è stata ricollocata. Infine, l’intero volume è stato ricucito ed è stato nuovamente ancorato alla coperta che l’ha custodito negli ultimi 200 anni.
Le favole di Esopo saranno liberamente accessibili al pubblico, tramite la pubblicazione online nel sito della Fondazione Cini e nei principali cataloghi delle biblioteche. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cini.it.

mercoledì 22 dicembre 2021

«Admirabile signum», La Spezia fa da scenario a una mostra sul presepe tra arte antica e contemporanea

È il 1223 quando a Greccio San Francesco d’Assisi dà vita alla tradizione del presepe. Da allora, ogni anno a Natale, i paesi dell’Occidente ricreano la scena della natività «come incontro con il divino nella povertà, come momento di resistenza e di forza interiore nella rinascita spogliata dalla ricchezza, come miracoloso calato nella quotidianità». A questa storia guarda la mostra «Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea», allestita fino al 30 gennaio negli spazi della Fondazione Carispezia, per la curatela di Lara Conte e Alberto Salvadori che, per la parte relativa all’arte antica, hanno lavorato alla costruzione del percorso espositivo in dialogo con Simonetta Maione e Giulio Sommariva, con il contributo di Andrea Marmori.
La mostra mette in relazione importanti esemplari di presepe di produzione genovese e lombarda del XVIII secolo con un nucleo di opere e installazioni contemporanee, creando un ponte tra presente e passato, tra figurazione ed evocazione. Attraverso media e linguaggi diversi, nel corso del XX secolo e nella contemporaneità gli artisti hanno continuato a confrontarsi con uno dei temi maggiormente rappresentati nella storia dell’arte occidentale, fornendone interpretazioni che vanno oltre l’iconografia e la dimensione figurativa tradizionale.
Il viaggio attraverso l’arte presepiale parte da Genova, dove nel corso del XVII secolo si sviluppa un’attenzione minuziosa alla rappresentazione scultorea della nascita di Gesù quando la Compagnia del santo presepio di Santa Maria di Castello, appositamente costituita per celebrare la figurazione del Natale, commissiona a Matteo Castellino figurine lignee che risulteranno opere di straordinaria invenzione.
Nel corso del Settecento la cultura genovese dei presepi raggiunge il proprio apice: le statuine genovesi divengono veri oggetti d’arte, il cui impatto è accresciuto da apparati scenici di fragile e spesso effimera fattura. I presepi genovesi presto divengono uno dei segni distintivi della Superba, che così dimostra, anche grazie a tali produzioni, una qualità sopraffina di mezzi e di gusto.
Legno intagliato e policromato, pasta di vetro per gli occhi, per gli abiti stoffe di rara fattura impreziosite da pizzi e galloni in argento e oro filato, pietre dure, coralli e filigrana per i raffinati monili erano i materiali utilizzati nella produzione delle statuine, rese con irraggiungibile verità storica. La messa a disposizione da parte dei Musei civici genovesi di parte del proprio patrimonio di presepi è stata occasione per mettere in luce una tradizione artistica di cui la Liguria è stata officina primaria. Il Museo Luxoro, che custodisce alcuni tra i più straordinari esempi di quest’arte, ha tra l’altro concesso in prestito uno straordinario presepe settecentesco a sagome dipinte su carta di produzione lombarda.
La mostra focalizza, poi, l’attenzione sul contemporaneo. Una sala è dedicata ai presepi di Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013) ed è realizzata con la preziosa collaborazione dell’archivio a lei dedicato.
«Amo il presepe – raccontava l’artista – come esperienza di qualcosa che, più ne indago l’inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco. Amo il presepe perché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo. Amo il presepe perché si propone a tutti i linguaggi del mondo e come l’arte anche il presepe ha la possibilità di infinite interpretazioni personali».
Durante la sua lunga vicenda creativa l’artista sarda ha fatto della Natività uno dei temi centrali della propria ricerca, reinterpretandola tra favola ed epica con stoffe, sabbia, pane, pietre e terracotta, istituendo una continua relazione tra terra e cielo. Ogni suo presepe, realizzato esplorando antiche tradizioni artigianali e utilizzando materiali poveri, è un momento di avvicinamento al sacro come manifestazione di rinascita e rigenerazione.
La mostra spezzina presenta alcuni tra i più significativi presepi realizzati dall’artista nel corso degli anni e altre opere come ad esempio alcune mappe stellari cucite, che concorrono a dar vita alla narrazione di un’ascesa cosmica.
Grazie al Museo internazionale del presepio «Vanni Scheiwiller» di Castronuovo Sant’Andrea è stato, poi, possibile includere nel percorso espositivo il «Presepe foresta» (2001) di Roberto Almagno (Aquino, 1954) e il «Presepe blu notte» (2007) di Guido Strazza (Santa Fiora, 1922), che accoglie il visitatore nel salone di ingresso della Fondazione Carispezia. Quest’ultima installazione, presentata negli ultimi anni in alcuni dei più prestigiosi musei italiani d’arte contemporanea, affronta la tematica del presepe rinunciando completamente all’approccio figurativo, utilizzando al posto delle tradizionali statuette forme geometriche collocate sul profondo blu di un grande cielo circolare.
Partendo dal legno, materiale al centro della sua ricerca scultorea, Roberto Almagno costruisce, invece, una narrazione intensamente spirituale. La sua scultura nasce in continuità con la spiritualità della natura. Nei boschi l’artista sceglie i rami di legno che, poi, lavora con il fuoco e l’acqua, levigandoli e incurvandoli sino a ottenere forme essenziali e sinuose, che, come un disegno, ritmano lo spazio danzando nell’aria.
Il percorso espositivo si completa con due nomi cruciali dell’arte contemporanea italiana: Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) e Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), artisti che a vario modo si sono relazionati con il tema della Natività e del presepe, ripensando la dimensione fisica e concettuale del linguaggio scultoreo e dell’iconografia sacra. Nell’allestimento della mostra, le filiformi creazioni metalliche di Fausto Melotti, prive di ogni monumentalità e retorica, attivano un dialogo intenso con il «Paesaggio» (1965) di Michelangelo Pistoletto, facente parte della serie degli «Oggetti in meno»: una piccola opera di cartone, carta colorata e figure di gesso, in cui manca l’immagine di Gesù Bambino.
Ad accogliere il visitatore in questo viaggio tra antico e contemporaneo alla scoperta del presepe è un’opera di Marco Lodola (Dorno, Pavia, 1955), concepita appositamente per l’occasione, che rallegrerà l’atmosfera della città proponendo un immaginario ludico e pop. «La condizione di sofferenza che viviamo oggi - racconta l’artista - è stata l’ispirazione da cui sono partito per rappresentare una rinascita luminosa, un senso di speranza, la fiducia in un cambiamento». Natale è anche questo, un tempo per andare oltre la paura del futuro.

Didascalie delle immagini
1. Anonimo artista lombardo, Complesso di figure da Presepe, seconda metà del secolo XVIII. Carta dipinta a tempera grassa incollata su cartone, scontornato e rinforzato da anime di ferro. Museo Giannettino Luxoro, Genova; 2. Presepe genovese, secolo XVIII. Museo Giannettino Luxoro, Genova; 3.Michelangelo Pistoletto, Paesaggio, 1965 (Oggetti in meno, 1965-1966), Cartone, veline, figurine da presepe, stracci, 70 x 40 x 20 cm. Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Biella. Foto: Archivio Pistoletto; 4. Una stanza della mostra spezzina; 5. In primo piano: Guido Strazza, Presepe blu notte, 2007 Legno, vetro, acciaio, Ø 300 cm. Museo Internazionale del Presepio Vanni Scheiwiller, Castronuovo Sant’Andrea (PZ); 6. Stanza dedicata a Maria Lai

Informazioni utili
Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea. Fondazione Carispezia, via Domenico Chiodo, 36 – La Spezia. Orari di apertura: tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 11.00 - 20.00 (25 dicembre chiuso). Ingresso gratuito. Informazioni: www.fondazionecarispezia.it. Fino a domenica 30 gennaio 2022