ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 31 marzo 2022

Riapre a Venezia il Teatro Verde, gioiello architettonico della Fondazione Giorgio Cini

Era il luglio 1954 quando a Venezia, sull’isola di San Giorgio Maggiore, veniva inaugurato, con il testo sacro «Resurrezione e vita», il Teatro Verde, uno scenografico anfiteatro all’aperto che fonde insieme la solennità della architettura teatrale classica antica e la grazia preromantica di quella agreste, elemento fondamentale nella vita teatrale dei secoli che vanno dal '500 al '700.
Progettato dall’architetto Luigi Vietti (1903-1998) ispirandosi ai «teatri di verzura» che ornavano le ville venete della terraferma, la struttura della Fondazione Giorgio Cini, che ha per quinte il verde e il blu della laguna veneta e per soffitto il cielo, ha ospitato, negli anni, spettacoli complessi e sontuosi. Si sono succeduti sul palco il Teatro di Atene con l'«Ecuba» di Euripide e l'«Edipo Re» di Sofocle, il Théàtre populaire de France con il «Don Juan» di Molière e la «Ville» di Claudel, la Compagnia di Annie Ducaux con la «Bérénice» di Racine e quella dell'Oxford Playhouse con «Il sogno di una notte di mezza estate» di Shakespeare. Sono andati in scena anche spettacoli di «Nô» giapponesi, danze sacre tibetane, coreografie Maori e classici italiani come «La Moscheta» di Ruzzante, il «Campiello» di Carlo Goldoni e «L'amore delle tre melarance» di Carlo Gozzi, nonché appuntamenti lirici, dall'«Arianna» di Benedetto Marcello alla «Serva padrona» di Pergolesi, passando per la «Carmen» di Bizet.
Il cartellone, sempre di qualità, non ha mai oscurato la bellezza dello spazio che ha avuto tra i suoi estimatori anche l’attrice Katerine Hepburn. Fu lei a definire, negli anni Cinquanta, l’anfiteatro veneziano, che si trova nella porzione meridionale del bosco sull’isola di San Giorgio Maggiore, come «il teatro più bello del mondo». Non si può darle torto: le siepi di ligustro collocate sugli schienali delle sedute in pietra, gli alberi che fanno da quinte, il mare che fa da fondale e gli oltre millecinquecento posti a sedere fanno di questo palco, fortemente voluto dall’illuminato mecenate Vittorio Cini, un vero e proprio gioiello.
Da sempre esposto all’aggressività dell’ambiente lagunare e alle acque alte (la parte che si trova sotto il palcoscenico - contenente camerini, servizi, locali tecnici, depositi e la fossa dell’orchestra - è collocata a una quota inferiore rispetto al medio mare), il Teatro Verde ha avuto bisogno nel corso del tempo di svariati restauri. Il più consistente di questi riammodernamenti si è tenuto nel 1999 e ha visto in campo la Biennale di Venezia, che nel luglio dello stesso anno ha riaperto lo spazio, dopo venticinque anni di chiusura, con lo spettacolo «Parabola» di Carolyn Carlson. Nel 2016 anche il Fai – Fondo per l’ambiente italiano si è interessato, con la campagna «I luoghi del cuore», alle sorti del teatro veneziano organizzando delle visite guidate per la cittadinanza.
Infine, nel 2021 è iniziato un nuovo restauro che ha riportato alla luce l’architettura, valorizzandone tutte le qualità dei materiali costruttori, la struttura botanica circostante, le spazialità e gli straordinari scorci paesaggistici. L’intervento, a cura della Fondazione Cini, è stato reso possibile grazie alla partnership con Cartier, maison da sempre attenta alle eccellenze culturali.
Per l’occasione è stato organizzato con l’Uia - Università internazionale dell’arte un cantiere didattico curricolare per la pulitura delle sedute in marmo, con trattamento biocida, allo scopo di riportare alla luce la qualità dei marmi impiegati, valorizzando i materiali e le cromie. Sono state messe, inoltre, in atto la rimessa in sicurezza delle scale di accesso, operazioni di consolidamento del palco e lavori di cura, sostituzione e potatura del verde, per restituire alla vista gli straordinari scorci lagunari.
Parallelamente a questa serie di interventi, la Fondazione Cini sta sviluppando innovativi progetti culturali per la conoscenza e la valorizzazione della struttura, attraverso lo studio della documentazione d’archivio presente all’Istituto per il teatro e il melodramma, mediante la digitalizzazione di fotografie e documenti e attivando anche specifici progetti artistici per la fruizione innovativa dello spazio.
In attesa di nuovi restauri, in programma per i prossimi anni, il Teatro Verde riapre al pubblico in occasione di Homo Faber Event 2022 (homofaber.com), iniziativa culturale dedicata all’eccellenza dei mestieri d’arte contemporanei, in programma dal 10 aprile, mentre a partire dal 20 maggio potrà essere visitato attraverso una serie di visite guidate (informazioni e biglietti su visitcini.com).
In occasione dell’apertura di aprile, sarà possibile vedere un’anticipazione del film site specific, prodotto dalla Fondazione Cini nell’ambito del centro di eccellenza ARCHiVe. «La maschera del tempo» (le ultime due immagini sono due still da video), questo il titolo del progetto curato da Ennio Bianco, è un’opera audiovisiva creata da Mattia Casalegno in quattro atti, intitolati rispettivamente la «Storia», gli «Spettacoli», il «Presente» e il «Futuro». Ispirata alle vicende e alla architettura del Teatro Verde, l’opera parte dall’idea di teatro inteso come luogo di finzione e rappresentazione e si colloca all’intersezione tra natura e cultura, indagando sulle relazioni e tensioni che uniscono l’ambiente naturale, l’uomo e le sue tecnologie.
Per quest'opera l'artista ha collaborato Factum Foundation partner istituzionale di ARCHiVe che, con un avanzato utilizzo dei droni per la fotogrammetria, ha fornito il completo rilievo 3D del Teatro Verde. Mentre il sound è affidato al compositore elettronico e sound designer Maurizio Martusciello in arte Martux_m. Partendo dalle collezioni e dai fondi negli archivi storici musicali della Fondazione Cini, i due artisti hanno affrontato un percorso produttivo in cui audio e video si fondono in un unico meta-linguaggio espressivo, che mette al centro il tema della sostenibilità ambientale. Venezia scrive così un ulteriore tappa del suo Rinascimento culturale, che sta vedendo il restauro e la valorizzazione di molti spazi che hanno fatto la storia della città.

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mercoledì 30 marzo 2022

Arriva al cinema il documentario «Tintoretto. L’uomo che uccise la pittura»

«La sua opera è immensa include ogni cosa, dalla natura morta fino a Dio; è un enorme arca di Noè; io mi sarei trasferito a Venezia soltanto per lui!». Così Paul Cézanne parlava del Tintoretto (Venezia 1518/1519 - ivi 1594), al secolo Jacopo Robusti, «il furioso» della pittura a cavallo tra Manierismo e Barocco, che ha scritto un’importante pagina della storia dell’arte con il suo tratto drammatico e deciso, con gli inebrianti giochi di luce, con il sofisticato uso del colore, con gli azzardi compositivi e prospettici che lo hanno fatto definire da Jean Paul Sartre «il primo cineasta della storia».
Al maestro veneziano, che seppe unire la potenza del disegno di Michelangelo alla tavola del Tiziano, è dedicato il film «Tintoretto. L’artista che uccise la pittura», nelle sale italiane dall’11 al 13 aprile, dopo la selezione ufficiale in importanti rassegne internazionali come il Fifa di Montrèal in Canada e il Beirut Art Film Festival.
Co-prodotto da Kublai Film, Videe, ZetaGroup, Gebrueder Beetz Filmproduktion, in collaborazione con la rete televisiva franco-tedesca Arte, il documentario, che si avvale della regia di Erminio Perocco e delle musiche di Carlo Raiteri e Teho Teardo, verrà presentato in anteprima nei prossimi giorni al Cinema Mexico di Milano (4 aprile), al Cinema Eden di Roma (6 aprile) e al Multisala Rossini di Venezia (8 aprile).
Il film conduce gli spettatori nei luoghi che videro muoversi e operare Tintoretto, nella Venezia del Cinquecento, rievocando le atmosfere del tempo, le luci della città vibrante sull’acqua e i colori dei preziosi pigmenti che giungevano nella Serenissima come in nessun altro luogo e di cui il Robusti, figlio di un tintore, sapeva servirsi con straordinaria maestria.
Irrequieto e caparbio, determinato nella costruzione della propria carriera, Tintoretto volle contrapporsi allo stile e alle mode del tempo, giungendo per primo a sfaldare la pennellata, a usare il non finito, imponendo prospettive diverse all’interno di uno stesso quadro, soluzioni inattese e audaci che - coniugando le esperienze della pittura, della scultura e dell’architettura - diedero vita a narrazioni complesse, storie che si svolgono dinnanzi agli occhi dello spettatore fino ad assorbirlo e a renderlo parte delle stesse.
Come un regista cinematografico ante litteram, l’artista è stato capace di trasporre in pittura l’azione scenica e la forza espressiva dei movimenti dei corpi. Lo evidenzia bene il documentario grazie a fascinosi tableux vivant.
Tintoretto ha infranto le regole della pittura e come tutti gli innovatori ha saputo conquistare gli artisti che sono venuti dopo di lui, da Rubens a El Greco, da Jackson Pollock a Emilio Vedova.
Il film di Erminio Perocco prova a raccontarne la modernità e lo spirito rivoluzionario, carpendone i pensieri e lo stile, inquadrandone il contesto storico e politico, ma anche presentando contributi di importanti studiosi e guest star: Robert Echols (curatore dell’ultima grande mostra a Venezia sull’artista), Roland Krischel, Antonio Manno, Stefania Mason, Gabriele Matino, Miguel Falomir (direttore del Prado di Madrid), Fabrizio Gazzarri, Mario Infelise, Roberto Mazzetto, Luciano Pezzollo e Jorge Pombo.
La macchina da presa va alla ricerca dei lavori, drammatici e coinvolgenti, dell’artista per tutta Venezia, in un viaggio che spazia dagli edifici pubblici alle chiese, fino a Palazzo Ducale, cuore del potere e del governo cittadino. Dal potente e rivoluzionario «San Marco libera lo schiavo» (1548) alla «Presentazione della Vergine al Tempio» (1551 – 1556), realizzata per la Madonna dell’Orto, dalla monumentale «Crocefissione» (1565), della Scuola Grande di San Rocco, alla strabiliante e gigantesca tela con il «Paradiso »(1588) per la Sala del Maggior Consiglio nel Palazzo del Doge, sono tante le opere che raccontano il genio del Tintoretto, l’artista che Giorgio Vasari definiva «il più terribile cervello che mai abbia avuto la pittura».

Informazioni utili
«Tintoretto. L’artista che uccise la pittura». Genere: Documentario biografico | Durata: 86' | Regia: Erminio Perocco | Musiche: Carlo Raiteri e Teho Teardo | Fotografa: Giovanni Andreota | Montaggio: Mateo Trevisan | Anno di uscita: 2022 | Produttore: Kublai Film; ZDF / arte; Gebruder Beetz; Videe Spa; Zeta Group Nei cinema italiani dall’11 al 13 aprile 2022 Anteprime: Milano - 4 aprile, ore 21.30 - Cinema Mexico - Via Savona, 57 - Informazioni per acquisto biglietti: www.cinemamexico.it, tel. 02.4895 1802 | Roma – 6 aprile, ore 21.00 - Cinema Eden, Piazza Cola di Rienzo- Informazioni per acquisto biglietti: https://eden.efc.18tickets.it, tel. 06.3612449 | Venezia - 8 aprile, ore 21.00 - Multisala Rossini - San Marco 3997 - Informazioni: tel. 041.2417274

lunedì 28 marzo 2022

Venezia, Palazzo Diedo diventa un centro d’arte contemporanea

Avrà una nuova vita Palazzo Diedo, prestigioso edificio settecentesco di Venezia, nel sestiere di Canareggio, costruito nei primi del 1700 dall’architetto Andrea Tirali e affrescato al suo interno da artisti locali quali Francesco Fontebasso e Costantini Cedini. Questi spazi - con un passato prima da scuola elementare e poi, fino al 2012, da Tribunale di sorveglianza – sono stati messi in vendita dalla Cassa Depositi e Prestiti e ora diventeranno un polo di arte contemporanea. L’idea è del filantropo Nicolas Berggruen, fondatore dell’omonimo istituto di ricerca con sedi a Los Angeles e Pechino, attivo nelle politiche internazionali e nelle sfide globali del XXI secolo, e membro dei consigli internazionali per la Tate di Londra, il Museum of Modern Art di New York, la Fondation Beyeler di Basilea e il President’s International Council for The J. Paul Getty Trust di Los Angeles, nonché esponente di una storica famiglia dell'arte europea del Novecento, che ha donato la sua collezione con oltre un centinaio di opere di Pablo Picasso (e non solo) alla Nationalgalerie di Berlino. 
Quello di Nicolas Berggruen non è un nome nuovo per Venezia: un anno fa il miliardario parigino, con residenza americana e tedesca, aveva, infatti, acquisito nella città lagunare, per farne la sede europea della Berggruen Arts & Culture, Casa dei Tre Oci, celebre palazzo neogotico sull’isola della Giudecca, noto agli amanti dell’arte per aver organizzato, negli anni, mostre fotografiche di artisti del calibro di David LaChapelle, Helmut Newton e Lewis Hine.
Attualmente in fase di restauro, sotto la supervisione dell’architetto veneziano Silvio Fassi, Palazzo Diedo inizierà la sua nuova vita nei giorni della cinquantanovesima edizione della Biennale di Venezia (dal 23 aprile al 27 novembre, con pre-apertura dal 20 al 22 aprile). Durante l’intervento conservativo dell’edificio, che sarà completato nel 2024, verrà avviato un progetto di residenza d’artista. A essere stato invitato è l’americano-olandese Sterling Ruby, classe 1972, che il 20 aprile presenterà «A Project in Four Acts», una struttura in rilievo che si appoggia sulla facciata del palazzo e che rimarrà esposta fino a novembre 2022. «L’installazione che ho immaginato – racconta l’autore - cambierà con l’edificio, esprimendo e anche commentando che cosa significa lavorare per un palazzo con una lunghissima storia, e riflettendo in modo diretto, concreto, le tradizioni della creazione di arte e artigianato che sono parte integrante di Venezia». 
La prima fase di «A Project in Four Acts» durerà, dunque, fino a novembre; Sterling Ruby allestirà, poi, altre due installazioni esterne tra la fine del 2022 e la tarda primavera del 2023, avvolgendo la struttura man mano che si trasforma. La fase finale del progetto comprenderà, invece, una residenza che si concluderà con una mostra a Palazzo Diedo, nell’ambito dell’inaugurazione ufficiale prevista per la primavera del 2024, nei giorni della sessantesima Biennale d'arte.
Sotto la direzione artistica del veneziano Mario Codognato, già capo curatore del Madre di Napoli e oggi direttore della Anish Kapoor Foundation, con sede in un altro edificio storico di Venezia, l’appena restaurato Palazzo Manfrin, la Berggruen Arts & Culture in Canareggio accoglierà, quindi, mostre, installazioni, simposi e un programma di residenze d’artista.
«Un’arte che parla al pubblico, che ci induce a pensare in modo diverso e che innesca discussioni» è quella che Mario Codognato vuole portare a Palazzo Diedo e nella città lagunare, sempre più crocevia mondiale di idee e di creatività. Oltre alla Berggruen Arts & Culture e alla Anish Kapoor Foundation, altre istituzioni culturali stanno, infatti, approdando in Laguna in questi ultimi mesi. È il caso della Fondazione dell’Albero d’Oro, capeggiata dal finanziere francese Gilles Etrillard, che ha riaperto e restaurato Palazzo Vendramin Grimani, e della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che ha acquistato da Cassa Depositi e Prestiti l’isola di San Giacomo in Paludo per farne un polo d’arte contemporanea. Venezia vive, dunque, un nuovo Rinascimento culturale.

Didascalie delle immagini
1. Palazzo Diedo, sede di Berggruen Arts & Culture, situato a Venezia, nel sestiere di Cannaregio, rio di Santa Fosca. Foto © Alessandra Chemollo, courtesy Berggruen Arts & Culture; 2.  Palazzo Diedo, sede di Berggruen Arts & Culture, situato a Venezia, nel sestiere di Cannaregio, rio di Santa Fosca. Foto © Alessandra Chemollo, courtesy Berggruen Arts & Culture. Portale di collegamento al lungomare laterale, ornato da colonne ioniche, trabeazione a fasce inclinate e timpano centrale in pietra d'Istria, sormontato da sculture in gesso e legno; 3. Palazzo Diedo, sede di Berggruen Arts & Culture, situato a Venezia, nel sestiere di Cannaregio, rio di Santa Fosca. Foto © Alessandra Chemollo, courtesy Berggruen Arts & Culture. Soffitto della sala laterale anteriore del piano nobile di Palazzo Diedo con affreschi del XVIII secolo con grandi figure allegoriche, circondate da putti e amorini, Imeneo con divinità dell'Olimpo di Costantino Cedini, 1795