ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 21 novembre 2017

Riapre a Venezia la fornace Orsoni

Dagli smalti e dalle piastre d’oro antico per i mosaici che decorano la Basilica di San Marco a Venezia alle preziose tessere per il grande Buddha del Wat Phikhun Thong Temple in Thailandia, senza dimenticare le decorazioni per la Sagrada Familia fatta costruire dall’architetto Antoni Gaudì a Barcellona o le colorate realizzazioni per i meravigliosi palazzi da mille e una notte dei reali dell'Arabia Saudita: sono tante le referenze prestigiose legate al nome Orsoni.
La prestigiosa fornace, nata nel lontano 1888 a Cannaregio e unica di questo tipo in centro storico, è tornata da poco a brillare dopo un importante lavoro di restauro architettonico a firma dello studio Duebarradue, già noto in città per aver contribuito al recupero conservativo del Fondaco dei Tedeschi e delle Procuratie Vecchie.
Veneziani e turisti potranno così tornare ad ammirare la Biblioteca del Colore, una sala espositiva che conserva più di tremila e cinquecento colori, debitamente codificati in un numero sconfinato di tonalità e sfumature: un luogo di rara bellezza che, in un’epoca velocizzata e spesso semplificata dal digitale, è uno strumento di comunicazione fortissimo per i progettisti, per gli artisti ma anche per gli appassionati di arte storia e cultura.
Per il restauro, lo studio Duebarradue si è avvalso di fornitori d’eccezione quali i tendaggi di Rodolfo Bevilacqua o i serramenti di Lunardelli o brand di punta del made in Italy nel settore arredo quali Roda e Cappellini.
Nella nuova visione della fornace ci sarà grande attenzione per la tradizione artigiana, cifra stilistica che ha resa questa azienda un’eccellenza nel mondo a partire dal lavoro del suo fondatore, Angelo Orsoni, un uomo realmente innamorato delle misteriose alchimie di un materiale nobile e prezioso come il mosaico, parte fondamentale nella storia artistica veneziana. Quella di Orsoni fu una scommessa caratterizzata fin dall'inizio dal successo. Le tessere della sua fornace, realizzate con tecniche ardite che coniugavano metodologia artigianale e innovazione, conquistarono, infatti, la mitica Esposizione Universale di Parigi, dove il pubblico poté scoprire il suo pannello multicolore della fornace, campionario di smalti e ori musivi. La nuova stagione, capitanata da Riccardo Bisazza, porterà anche a un rinsaldato dialogo con la città, rendendo questo luogo dal fascino senza tempo un punto di interesse per i giovani artisti dell’arte vetraria. Da qui è nata la collaborazione con la Biennale, che ha portato all’esposizione nel Padiglione Venezia del vetro con micro-diamanti, nella inedita tonalità black che segue la versione "chiara" che ha spopolato a Milano al FuoriSalone - Milano Design Week.
Turisti e veneziani potranno visitare la fornace in due appuntamenti fissi al mese,  il primo e l’ultimo mercoledì, esclusi i giorni festivi. Le visite, tutte a titolo gratuito, si terranno su prenotazione a visit@orsoni.com e saranno riservate a gruppi di massimo venti persone, comprese le scolaresche a partire dalla prima media. La Orsoni offre così un'occasione al suo pubblico per accostarsi a progetto innovativo e rivoluzionario che interpreta al meglio la filosofia di una azienda che dalla sua prestigiosa storia trova slancio per un futuro di ricerca e sviluppo sempre nel segno dell'esclusività.

Informazioni utili
http://trend-group.com/orsoni/index.php

domenica 19 novembre 2017

Anton Domenico Gabbani e la pittura tardo-barocca toscana in mostra a Pistoia

Prosegue il cartellone di iniziative ideate per Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017. Il Museo civico ospita fino al prossimo 7 gennaio una mostra a cura di Riccardo Spinelli intorno all’opera «Presentazione di Gesù al Tempio» di Anton Domenico Gabbiani.
La tela, proveniente dalla chiesa benedettina di Santa Maria degli Angeli di Sala, venne commissionata all’artista nel 1709 ma consegnata solo dieci anni più tardi, nell’agosto del 1719. L’opera venne studiata e preparata dal pittore fiorentino in due tempi: una «prima idea» della composizione generale, veloce e abbreviata nel tratto, e un vero e proprio bozzetto su carta, finito e quadrettato per il riporto su tela. Entrambi vennero incisi per cura dall’allievo Ignazio Enrico Hugford nella «Raccolta di cento pensieri», edita nel 1762 a corredo di un’importante biografia del pittore nella quale si descrive e commenta anche il dipinto pistoiese.
Facendo perno sulla pala del Gabbiani, la mostra dà conto dell’importanza della cultura tardo-barocca fiorentina e romana a Pistoia: tale innesto è rappresentato dalla chiesa dell’antico monastero benedettino, che costituisce ancora oggi uno dei più interessanti esempi di interno settecentesco organicamente concepito, decorato fra il 1709 e il 1719 con affreschi, stucchi, sculture, dipinti dei più insigni artefici fiorentini, raccomandati per questa impresa dal Gran principe Ferdinando de’ Medici.
Oltre al capolavoro del celebre pittore, in mostra anche un’altra tela del Museo civico sempre proveniente dalla chiesa di Sala, opera del napoletano Jacopo Del Po, e altri materiali collegati al complesso pistoiese e alla sua storia come ricevute autografe degli artisti, memorie, cronache, studi preparatori e incisioni, in prestito dall’Archivio di Stato di Firenze, dalla Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze e dal Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.
Per la prima volta, inoltre, il pubblico potrà ammirare altre due pale della chiesa delle benedettine, rimaste di proprietà delle religiose, conservate nella clausura del monastero per oltre un secolo e pertanto pressoché inedite, restaurate per l’occasione: la «Nascita della Vergine» (1712) di Alessandro Gherardini e l’«Annunciazione» (1710-1716) di Benedetto Luti.
Sede dell’esposizione, nel trecentesco Palazzo comunale, è il grande salone del Museo civico, dove la pittura fiorentina del Seicento e del Settecento è ampiamente rappresentata dalle opere dei principali interpreti del periodo.
Attraverso la ricostruzione puntuale del contesto originario delle opere (la chiesa di Santa Maria degli Angeli è attualmente sede della banda comunale e sarà visitabile nel periodo della mostra), il progetto espositivo costituisce anche l'occasione per riallacciare, quel legame col territorio su cui si fonda il carattere della raccolta d'arte antica della prima e maggiore istituzione museale cittadina, suggerendo connessioni in grado di abbattere idealmente le mura che tengono separato il museo dal territorio e di promuovere la conoscenza di un patrimonio diffuso.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Anton Domenico Gabbiani (Firenze 1652 - 1726), Presentazione di Gesù al Tempio, 1709-1719. Olio su tela, 220x165 cm . Pistoia, Museo Civico, inv. 1975, n. 58; [fig. 2] Benedetto Luti (Firenze 1666 – Roma 1724), Annunciazione, 1710-1716. Olio su tela, 283x192 cm. Pistoia, monastero delle benedettine di Santa Maria degli Angeli di Sala; [fig. 3] Jacopo Del Po (Roma 1652 – Napoli 1726), Riposo durante la fuga in Egitto, 1675-1676 circa. Olio su tela, 220x165 cm. Pistoia, Museo Civico, inv. 1975, n. 663 

Informazioni utili 
Attorno all’opera: «La presentazione di Gesù al Tempio» di Anton Domenico Gabbiani. Museo civico - Palazzo comunale, piazza Duomo, 1 – Pistoia. Orari: dal lunedì al giovedì, ore 10.00-14.00; dal venerdì alla domenica e festivi, ore 10.00-18.00; Natale e Capodanno, ore 16.00-19.00. Ingresso: intero € 3,50, ridotto € 2,00, ingresso gratuito domenica 5 novembre, 3 dicembre e 7 gennaio. Catalogo: Gli Ori edizioni (€ 18,00). Sito internet: www.pistoia17.it | www.mostragabbianipistoia.it. Informazioni: tel. 0573.371214. Fino al 7 gennaio 2018.

venerdì 17 novembre 2017

«Giudizio Universale», Sting mette in musica un Michelangelo da spettacolo

È il 1535 quando Michelangelo Buonarotti riceve da papa Clemente VII il compito di affrescare la parete dietro l’altare della Cappella Sistina, nei Palazzi Vaticani di Roma. Sei anni dopo, nel 1541, durante il papato di Paolo III Farnese, la grandiosa composizione è completa. Nasce così Il «Giudizio Universale», una delle opere più famose della storia dell’arte, vanto della cultura italiana nel mondo. A questo capolavoro guarda l’ambizioso progetto ideato da Artainment Worldwide Shows, società appartenente alla Worldwide Shows Corporation, che si propone di raccontare in modo nuovo il nostro straordinario patrimonio artistico, rivolgendosi al grande pubblico e in particolare alle giovani generazioni.
Utilizzando un linguaggio inedito, e nel pieno rispetto storiografico ed artistico, Artainment Worldwide Shows inizia la sua attività con lo spettacolo «Giudizio Universale. Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel», che il 15 marzo 2018 debutterà all'Auditorium Conciliazione di Roma.
Ideato da Marco Balich, che ha diretto numerose cerimonie olimpiche, e realizzato con la consulenza scientifica dei Musei Vaticani, lo show è il primo esempio di un format innovativo che unisce il racconto filologico della genesi di un capolavoro con gli strumenti tecnologici più sofisticati dell’intrattenimento dal vivo. Concepito per la lunga tenitura, «Giudizio Universale» mira a essere un appuntamento importante per gli amanti dell’arte e un must-see per i milioni di visitatori italiani e internazionali che ogni anno scelgono Roma come meta del loro viaggio nel Paese della bellezza.
Per questo progetto Marco Balich si è avvalso della collaborazione di artisti di alto livello come Sting, musicista di fama mondiale, che ha composto il tema musicale originale. Altro importante contributo è la supervisione teatrale di Gabriele Vacis, figura di riferimento nelle diverse forme artistiche del panorama culturale italiano, come il teatro, l’opera e l’intreccio dei linguaggi con i nuovi media.
Protagonista assoluta è la Cappella Sistina, uno dei luoghi più incredibili della storia dell’arte mondiale è al centro di uno spettacolo che nasce dalla contaminazione di tante e diverse forme artistiche: da un lato l’azione fisica della performance teatrale incontra la magia immateriale degli effetti speciali, dall’altro la tecnologia più avanzata si mette al servizio di un racconto per parole e immagini mai visto prima. L’immersività di proiezioni a 270° porta lo spettatore al centro stesso dell’evento.
Lo spettacolo durerà sessanta minuti. Gli spettatori assisteranno al racconto della nascita del capolavoro michelangiolesco, dalla commissione da parte di Giulio II degli affreschi della volta fino alla realizzazione del «Giudizio Universale», attraverso una rievocazione della Cappella Sistina anche come luogo dell’elezione pontificia. Attraverso il racconto del Buonarroti animeremo gli affreschi che compongono la Cappella Sistina fino al meraviglioso «Giudizio Universale» che prenderà vita in tutto lo spazio attorno al pubblico. Lo spettacolo andrà in scena due volte al giorno, con la possibilità di seguirlo anche in inglese (e più avanti anche in altre lingue), per almeno un anno.

Informazioni utili
I biglietti sono già acquistabili dal sito giudiziouniversale.com e attraverso il circuito Vivaticket. Per ulteriori informazioni: tel. 06 6875393 o info@giudiziouniversale.com.

mercoledì 15 novembre 2017

Bologna, un focus sull'incisione nel nuovo percorso espositivo del Museo Morandi

Il Museo Giorgio Morandi di Bologna ha da qualche settimana un nuovo percorso espositivo. Il rinnovato assetto è stato possibile grazie al rientro di trentaquattro opere concesse in prestito in occasione delle due importanti mostre sull’artista bolognese, recentemente tenutesi al Museo Pushkin di Mosca e all'Artipelag di Stoccolma.
Il ritorno di questi prestiti ha dato la possibilità allo staff curatoriale di rendere visibili contemporaneamente nel nuovo allestimento, come non succedeva da lungo tempo, alcuni tra i principali capolavori di proprietà del museo, affiancati da una selezione significativa di opere scelte tra le oltre quaranta generosamente concesse in comodato da collezionisti privati. Il percorso presenta così un totale di novantotto lavori tra dipinti, acquerelli, incisioni e disegni.
Di assoluta novità nel nuovo allestimento sono alcune opere pervenute recentemente in comodato che vengono presentate per la prima volta al pubblico nella cornice del Museo Morandi. Si tratta di un disegno e tre acqueforti appartenenti alla collezione Merlini: «Paesaggio» del 1962 (T.P. 1962/101), «Natura morta di vasi, bottiglie ecc. su un tavolo» del 1929 ca (V.inc. 67), «Vari oggetti su un tavolo» del 1931 (V.inc. 87) e «Natura morta a grandi segni» del 1931 (V.inc. 83).
Lungo il percorso espositivo meritano, inoltre, una segnalazione le due acqueforti della collezione Zani -«Fiore in un vasetto di bianco» del 1928 (V.inc. 51) e «Zinnie in un vaso a strisce» del 1929 (V. inc. 65)– a cui si aggiunge l'acquaforte «Grande natura morta con la lampada a petrolio» del 1930 (V.inc. 75) di proprietà di collezionisti privati, come il dipinto «Conchiglie» del 1943 (P. 2000 1943/4), già in comodato da gennaio 2017.
Il percorso espositivo, attraverso una nuova sala tematica denominata «Morandi e l'arte dell'incisione», offre inoltre la possibilità di approfondire le risultanze di una tecnica che trova nell'artista uno straordinario interprete. L’incisione è, infatti, un capitolo fondamentale dell’intera vicenda artistica di Giorgio Morandi, che vi si dedica inizialmente da autodidatta, tra il 1907 e il 1912, trascorrendo molto tempo nello studio delle riproduzioni delle opere grafiche degli antichi maestri incisori. L'artista aveva guardato a lungo e minuziosamente alle più difficili e oscure prove di Rembrandt, del quale possedeva quattro incisioni originali e le riproduzioni dell’intero corpus incisorio raccolto in volumi in folio.
Tra il 1912 e il 1956 Morandi realizza principalmente acqueforti (fanno eccezione una ceramolle, due puntesecche e una xilografia) utilizzando lastre di rame o di zinco che successivamente consegna a Carlo Alberto Petrucci, egli stesso incisore di talento e capace direttore della Calcografia nazionale di Roma (istituto che oggi possiede la quasi totalità delle matrici morandiane). È a Petrucci, infatti, che Morandi affida il privilegio della tiratura delle sue lastre, tiratura che egli volle sempre in numeri molto ridotti e che sorvegliò in ogni passaggio. Il rigore della pratica incisoria sarà alla base del suo insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove, nel 1930, ottiene «per chiara fama» la cattedra di Incisione, incarico che mantiene fino al 1956. Del resto, come egli stesso dichiarò nel 1961 a Edith Schloss, artista tedesca di nascita che lavorò a lungo negli Stati Uniti e in seguito in Italia: «L’incisione all’acquaforte in fin dei conti è una tecnica, qualcosa di tangibile che può essere insegnato. L’Arte non si può insegnare».
La sala dedicata all'arte incisoria si completa con il torchio a stella originale su cui Morandi eseguì le prime prove di stampa delle sue acqueforti.
La presentazione del nuovo assetto espositivo è stata anche l’occasione per parlare dei futuri progetti internazionali che vedranno coinvolto il Museo Morandi, il primo in ordine di tempo sarà la mostra che il Museo Belvédère di Leeuwarden (Paesi Bassi) dedicherà al maestro bolognese nel 2018, anno in cui la provincia della Frisia sarà Capitale europea della cultura. Il concept della rassegna, in programma dal 23 febbraio al 10 giugno 2018, è stato sviluppato a partire da un'idea di Ada Duker, artista olandese protagonista nel 2015 di una mostra negli spazi di Casa Morandi, in cui si evidenziavano le analogie formali tra la struttura compositiva delle nature morte di Giorgio Morandi e le architetture dei portici bolognesi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giorgio Morandi, Natura morta (Conchiglie), 1943. Olio su tela. Collezione privata. Provenienza: deposito in comodato gratuito da gennaio 2017; [fig. 2] Giorgio Morandi, Natura morta a grandi segni, 1931. Acquaforte su zinco. Collezione Merlini. Provenienza: deposito in comodato gratuito da gennaio 2017; [fig. 3] Giorgio Morandi, Vari oggetti su un tavolo, 1931. Acquaforte su rame. Collezione Merlini. Provenienza: deposito in comodato gratuito da gennaio 2017

Informazioni utili
Museo Morandi, via Don Minzoni, 14 - 40121 Bologna. Orari: martedì, mercoledì, domenica, ore 10.00–18.00; giovedì, venerdì, sabato, ore 10.00–19.00; lunedì chiuso. Biglietti: intero € 6,00; ridotto € 4,00; gratuito possessori Card Musei Metropolitani Bologna e prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.6496611. Sito internet: www.mambo-bologna.org/museomorandi/

lunedì 13 novembre 2017

A Bologna il tessuto e la tappezzeria hanno un loro museo

Ha da poco aperto i battenti, negli spazi di Villa Spada, il museo del tessuto e della tappezzeria «Vittorio Zironi», quattordicesima sede dell’Istituzione Bologna Musei nata grazie all'acquisizione, nel febbraio 2016, da parte dell’Amministrazione comunale dell’intero patrimonio appartenuto a Vittorio Zironi, collezionista di un’ampia gamma di reperti sulla produzione tessile europea dal IV secolo al Novecento.
Il lascito, ad opera dei parenti, ha portato a una prima revisione della struttura museale, la cui tutela e valorizzazione sono state affidate ai Musei civici di arte antica.
L’intervento conservativo, che per il momento ha interessato solo l’assetto espositivo di alcune sale, proseguirà nei prossimi mesi con interventi migliorativi che riguarderanno la dotazione di una nuova segnaletica e la realizzazione di apparati didattici.
Fondato nel 1946 su iniziativa di Vittorio Zironi, il Museo del tessuto e della tappezzeria si configura come un unicum di eccezionale rilievo nel panorama delle collezioni italiane ed estere dedicate all'arte tessile per il ricchissimo patrimonio di oltre seimila oggetti, di natura e varietà differenti, raccolto in oltre quarant'anni di acquisizioni e donazioni. Del tutto peculiare è poi l'attenzione con cui i manufatti tessili sono posti in relazione agli strumenti di lavoro e ad aspetti poco noti del processo produttivo tessile, che connota questa istituzione come una importante base di studio per conoscere i segreti e le tecniche di un lavoro artigiano dalle origini molto antiche.
La visione che fin dall'inizio guidò Zironi nella scelta dei reperti e delle modalità per la loro esposizione è improntata, infatti, a uno stretto rapporto con la cultura artistico-industriale, nell'intento di illustrare l'ampia varietà di funzioni specialistiche che hanno accompagnato l'evoluzione del mestiere del tappezziere. Dalla costruzione e restauro di mobili imbottiti all'applicazione di drappeggi e tendaggi in ambienti differenti, le abilità di questa figura si sono affinate con sempre maggiore padronanza di manualità, senso estetico e capacità di operare le scelte più appropriate nella selezione di colori, tessuti e imbottiture, fondata su una accurata conoscenza degli stili della decorazione di interni.
La rivisitazione dell'assetto museografico rispetta l'originario criterio basato sulla classificazione per tipologie di oggetti di carattere omogeneo. Attraverso nuove soluzioni di allestimento con vetrine, viene introdotto un accento più evidente su poli tematici che sottolineano sia la rilevanza sotto il profilo storico e artistico sia la capacità documentaria dei reperti. Da segnalare, inoltre, l'arricchimento delle sale con dipinti del XVIII secolo, in prevalenza ritratti, provenienti dalle collezioni dei Musei civici d'arte antica, che restituisce l'effetto dell'ambientazione originale di una dimora nobiliare coeva.
Il percorso di visita si articola oggi in venti sale disposte su tre piani ed espone una significativa ma parziale porzione dell'intero patrimonio –duemilacinquecento pezzi- che comprende collezioni di tessuti italiani (tra cui damaschi, lampassi, broccati, velluti, tele bandiera, broccatelli, taffetas e liseré), tessuti orientali (turchi egiziani, copti, caucasici, persiani e indiani), merletti e ricami, paramenti sacri, abiti e costumi, bandiere e stendardi, pelli, stampi, cuoi, passamanerie, telai, accessori e attrezzi per tappezzieri.
Il piano terra gravita sull'elegante loggia dove sono esposte bandiere e stendardi di area bolognese, a conferma di un profondo legame con il territorio fortemente voluto dal fondatore. Tra i manufatti esposti nella prima sala spicca un raro frammento serico eseguito con la tecnica del lampasso, databile al XIV secolo, che testimonia l'eccellente livello raggiunto dalle manifatture lucchesi per qualità di tessitura e ricchezza del modulo decorativo. Il motivo iconografico riprende la scena sacra dell'«Annunciazione» nell'esecuzione realizzata dal Ghirlandaio e rientra in una tradizione di produzione seriale destinata all'applicazione su paramenti ecclesiastici.
Le manifatture italiane di epoca rinascimentale sono riunite nella seconda sala, dove sono esposti pregiati velluti di Genova e Zoagli, capitali europee della lavorazione di velluti lisci cesellati con decorazioni arabescate, animate da alberi, uccelli e altre forme zoomorfe. Tra i pezzi di maggiore pregio allestiti in questa sezione si distinguono inoltre tre tessuti decorati con disegni di Mariano Fortuny y Madrazo, figura di eclettico genio che all'inizio del XX secolo fondò a Venezia un'officina per la stampa su seta di motivi originali divenuta celebre in tutto il mondo.
La diffusione dei lampassi come simbolo di ricchezza presso le corti, i nobili e i ricchi borghesi in Europa è testimoniata da un reperto di rilevante importanza storica: un cappello appartenente al corredo matrimoniale di Francesco I de' Medici, Granduca di Toscana.
La terza sala documenta l'evoluzione della lavorazione artigianale di altre tipologie tessili leggere, come i broccati, verso un gusto rococò influenzato dall'affermazione nel XVIII secolo di un esotismo di gusto orientale e, nel secolo successivo, verso un revival di eleganze neogotiche care al Romanticismo.
Tra il piano e il piano terra è situata l'affascinante ghiacciaia settecentesca, un ambiente absidato di forma circolare con copertura a volta, progettato come conserva di neve per il mantenimento delle derrate alimentari di cui spesso venivano dotate le ville nobiliari dell'epoca.
L'ingresso al primo piano introduce alla Galleria delle arti riccamente ornata dalle statue delle «Tre Arti scolpite» da Giacomo De Maria e dai ritratti a cameo dei marchesi Giacomo Zambeccari e Ginevra Gozzadini. In questa sala trova collocazione il nucleo più antico della collezione costituito da sessantaquattro frammenti di tessuti copti, risalenti ad un periodo tra il IV e il XII secolo provenienti da corredi funebri ornati da motivi decorativi con figure animali, vegetali e umane.
Procedendo nell'adiacente salone da pranzo, o sala delle Colonne, si incontra una sezione dedicata ai disegni di Guido Fiorini, il cui archivio professionale è stato donato al museo nel 1990. Pittore e grafico formatosi nell'ambiente di Alfonso Rubbiani, Fiorini è stato una figura chiave del Liberty bolognese e delle vicende della Aemilia Ars, fondata a Bologna nel 1898 con l'intento di rinnovare il campo delle arti applicate. Altri ricami e merletti di produzione italiana che illustrano un artigianato capace di riadattare antiche tecniche di lavorazione agli inizi del XX secolo sono quelli realizzati dalla Scuola Ricami Ranieri di Sorbello, operante in provincia di Perugia all'inizio del Novecento, specializzata nella realizzazione del Punto Umbro ispirato ad un antico punto arabo.
Ulteriori nuclei di rilievo sono, poi, costituiti da abiti e vesti liturgiche come dalmatiche e piviali del XVIII e XIX secolo, tra i quali l'esemplare di piviale indossato da Papa Giovanni XXIII quando era nunzio apostolico a Parigi.
Nella sala undici si trova traccia di un'altra pregiata parte della cultura artistica e artigianale cittadina con i damaschi bolognesi, ottenuti dalla lavorazione di decorazioni opache su fondo lucido. Qui è, inoltre, esposto un magnifico telaio verticale francese del XVII secolo, poi modificato con sistema meccanico basato su schede perforate per la lavorazione con tecnica Jacquard, straordinario testimone dell'evoluzione tecnologica nell'epoca della rivoluzione industriale.
Completa il primo piano una sala dedicata alle sete, tra cui alcuni importanti pezzi di sete policrome persiane finemente ricamate in oro.
Fra il primo e secondo piano si trova l'ampia sala della Meridiana magnificamente decorata, destinata ad ospitare convegni e conferenze, dalle cui vetrate si accede al giardino all'italiana progettato da Giovanni Battista Martinetti sfruttando la naturale pendenza del terreno che circonda la villa.
Salendo al secondo piano, un piccolo atrio decorato con pitture di prospettiva immette nella quattordicesima sala, detta sala Boschereccia o Giardino d'Inverno, animata da vedute di paesaggio con scene venatorie che circondano le vetrine dove sono conservati pizzi, ricami e abiti.
Attraversando la sala successiva dedicata alla tessitura italiana, con abiti e cappelli realizzati da note modisterie e sartorie non solo bolognesi tra XIX e XX secolo, si accede alla corposa collezione di tessuti orientali, tra cui quelli giapponesi, persiani, caucasici, egiziani e turchi, che costituisce senza dubbio uno dei nuclei più notevoli dell'intera collezione. Così come si distinguono per l'eccezionale qualità esecutiva e la ricchezza di decorazioni gli elegantissimi caftani ottomani del XVIII-XIX secolo allestiti nella sala diciassette.
Il percorso espositivo si conclude con una raccolta di abiti di rappresentanza provenienti dall'archivio del Comune di Bologna, e le ultime due sale che raccolgono altri telai, tra cui un rarissimo esemplare del 1380 per la lavorazione di passamanerie (galloni e cordoni), attrezzi di vari generi ed epoche, passamanerie e cuoi.
Si tratta di reperti frutto dell'attenzione primaria che Vittorio Zironi ebbe verso la documentazione di tutti gli aspetti connessi alla tecnologia tessile e del rapporto appassionato che egli intrattenne costantemente con la categoria professionale dei tappezzieri, nella consapevolezza che la storia di questa arte è anche la storia di mode e stili di vita dei popoli. Uno sguardo, quello del collezionista, che il museo intende continuare a mantenere vivo nella sua attività futura, come fucina di proposte per lo studio e l'analisi dell'artigianato, in generale, e della tessitura e della tappezzeria, in particolare.

Informazioni utili 
Museo del tessuto e della tappezzeria «Vittorio Zironi», via di Casaglia, 3 - 40135 Bologna. Orari: giovedì, ore 9.00-14.00; sabato e domenica, ore 10.00-18.30; chiuso Natale, Capodanno, 1° maggio e festivi infrasettimanali. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito con la Card Musei metropoli-tani Bologna e la prima domenica di ogni mese. Informazioni: tel. 051.2194528 / 2193916 (bigliette-ria Museo civico medievale), museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/arteantica.

sabato 11 novembre 2017

«20 in poppa», Sergio Sgrilli tra cabaret e musica d’autore

Dalle origini nella Maremma Toscana ai primi concerti come musicista-cantante «colorati» di battute e aneddoti, fino ad arrivare ai monologhi che lo hanno reso una delle star di «Zelig»: Sergio Sgrilli si racconta a tutto tondo sul palco del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
Venerdì 17 novembre, alle ore 21, la stagione 2017/2018 della sala di via Calatafimi, intitolata ancora una volta «Mettiamo in circolo la cultura» e inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», apre le porte a «20 in poppa», uno show celebrativo di vent’anni di carriera o -come dichiarano dall’agenzia Ridens, che distribuisce lo spettacolo- «una sorta di Bignami di quasi tutto ciò che è e ha fatto Sgrilli comico».
Il risultato è un racconto di più di trent’anni, quarantotto alla anagrafe, dedicati alla creatività e a uno stile di vita che il comico toscano, sul palco anche nelle vesti di musicista e cantautore, definisce: «sbarcare il lunario al meglio che si può!».
«In scena l’essenziale: una sedia, una chitarra e tante, tante cose da raccontare -assicurano dalla distribuzione dello spettacolo- per risate a crepapelle intervallate da momenti introspettivi», che fanno di «20 in poppa» uno spettacolo interattivo e mutevole, capace di instaurare con il pubblico un rapporto diretto, dialettico ed entusiasmante. Gli affezionati abbonati del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio ne sanno già qualcosa. «Quello di Sergio Sgrilli nella nostra sala -racconta, infatti, Marco Bianchi, direttore organizzativo della realtà di via Calatafimi- è un gradito ritorno. L’artista toscano è stato nostro ospite anche due stagioni fa, in primavera, con «Prendila così non possiamo farne un dramma...», una performance che ha parlato d’amore attraverso le canzoni di Tenco, Capossela, Bennato, Dalla e De Gregori».
Questa volta a tessere la trama dello show saranno il racconto di viaggi e collaborazioni, stralci di vecchi e nuovi spettacoli, pezzi popolari fatti in tv e qualche brano del disco «Dieci venti d’amore», uscito nel 2012.
Sergio Sgrilli racconterà così dei suoi inizi in Toscana, quando Faso di «Elio e Le Storie Tese» gli disse: «tu sei bravo a cantare, ma come cabarettista saresti un fenomeno!». Parlerà, poi, dei tanti eventi che, nel tempo, lo hanno visto affiancarsi a grandi del cabaret come Cochi e Renato, Enzo Iannacci e Claudio Bisio, al quale si deve anche il soprannome «uomo del blues», un ricordo di quando negli anni d’oro di «Zelig» il comico toscano faceva le sue entrate suonando un blues orecchiabile alla chitarra, per poi incentrare i suoi sketch su parodie musicali. Tecnica artistica e fantasia si uniranno così in una «serata da ricordare», assicurano dall’agenzia Ridens, che vedrà Sergio Sgrilli vestire i tanti abiti che gli sono congeniali: musicista, cantautore, autore, attore, narratore o, come ama definirsi lui, «mente pensante».
Si apre, dunque, alla comicità e alla musica d’autore la stagione 2017/2018 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, ideata da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Geppi Cuccari a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Vanessa Gravina, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu. Un’occasione per passare una serata all’insegna del sorriso e della riflessione.

Per saperne di più
https://issuu.com/teatromanzonidibustoarsizio/docs/opuscolo_stagteatrale_2017-2018_24 

Informazioni utili 
 «20 in poppa», show con Sergio Sgrilli. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 – Busto Arsizio. Quando: venerdì 17 novembre 2017, ore 21.00. Ingresso: € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00. Botteghino: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. Prevendita on line: I biglietti sono già comodamente acquistabili anche on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sul sito www.cinemateatromanzoni.it. Informazioni: cell. 339.7559644, tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì), info@cinemateatromanzoni.it.

giovedì 9 novembre 2017

«Restituzioni», al museo civico archeologico di Bologna si restaura un sarcofago egizio

C’è anche l’Istituzione Bologna Musei | Museo civico archeologico tra i musei, i siti archeologici e i luoghi di culto selezionati per «Restituzioni», il programma biennale di interventi volti alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio pubblico del nostro Paese, ideato e curato da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con gli enti ministeriali preposti alla tutela dei beni archeologici e storico-artistici.
Avviato nel 1989 dall’allora Banca cattolica del Veneto, con obiettivi e finalità legati al territorio di competenza di quell’Istituto, il progetto ha gradualmente ampliato il proprio raggio di azione, di pari passo con la crescita della banca, ed ha raggiunto oggi dimensione e importanza nazionali.
In quasi trenta anni di operatività, «Restituzioni» è riuscito a coinvolgere pressoché l’intero territorio nazionale ed è in continua espansione, come testimoniano i numeri della passata edizione, la diciassettesima, che ha visto la restituzione al pubblico di oltre centoquaranta singoli manufatti e il coinvolgimento di trentasei enti ministeriali attivi in dodici regioni italiane e l’inclusione per la prima volta di un Paese straniero con il restauro di tre rilievi lignei provenienti dal Calvario Di Banská Štiavnica in Repubblica Slovacca.
Dal 1989 a oggi, sono ormai più di un migliaio le opere “restituite” alla collettività: una sorta di ideale museo, con testimonianze che spaziano dalle epoche proto-storiche fino all’età contemporanea, dall’archeologia all’oreficeria, alle arti plastiche e pittoriche.
A queste opere, ora, se ne aggiungono altre duecento per un totale di quarantanove enti di tutela coinvolti e cinquantanove enti proprietari, tra musei, chiese, siti archeologici. Tra questi c’è il Museo archeologico di Bologna che, per la terza volta consecutiva, vedrà restaurata un’opera della sua collezione.
La proposta presentata per la diciotto edizione del progetto prevede l’intervento conservativo del sarcofago antropoide ligneo di un alto funzionario egiziano chiamato di «Unmontu», attribuibile per tipologia, apparato iconografico e testuale all'epoca della XXV dinastia (746 – 655 a.C.).
Il prezioso manufatto è giunto a Bologna attraverso un lascito del pittore bolognese Pelagio Pelagi che donò alla sua città natale un'immensa collezione di reperti comprendente anche 3109 antichità egiziane acquistate sul mercato antiquario negli anni tra il 1824 e il 1845, successivamente confluite nel patrimonio del Museo civico archeologico come uno dei principali nuclei originari.
Sin dal suo arrivo in città nel 1861 questo sarcofago attirò l'attenzione degli studiosi e dei cittadini bolognesi per la vivace policromia, il raffinato apparato iconografico e la ricchezza dei testi funerari in caratteri geroglifici che si distribuiscono in colonne sull’intera superficie esterna sia della cassa sia del coperchio.
Nelle scorse settimane è stata avviata la valutazione dello stato conservativo del manufatto attraverso un complesso studio conoscitivo condotto sotto la direzione scientifica di Daniela Picchi, funzionario egittologo del museo, e a cura del Consorzio Croma (Conservazione e restauro di opere e monumenti d'arte) di Roma, con il supporto scientifico di esperti in diverse discipline operanti in vari atenei e istituzioni, dall’Alma Mater Studiorum alla Carlo Bo di Urbino.
L'articolato progetto diagnostico, finalizzato a fornire le conoscenze preliminari agli interventi di restauro, è stato supportato dalle più avanzate tecnologie non distruttive. Accanto all’analisi tomografica computerizzata con raggi X e alla datazione con il metodo del radiocarbonio sono state effettuate analisi anatomiche per determinare la specie legnosa e uno studio relativo alla policromia mediante indagini non invasive e micro-invasive; approcci diagnostici tesi ad un’analisi accuratissima del manufatto, che hanno permesso di individuare i materiali costitutivi, le tecniche esecutive, le diverse fasi di lavorazione ed eventuali interventi conservativi di epoca moderna.
Le risultanze delle indagini hanno evidenziato un precario stato conservativo del sarcofago e la necessità di un nuovo intervento, dopo un precedente restauro effettuato negli anni sessanta del Novecento.
Come già sperimentato in passato, il Museo civico archeologico condividerà con il pubblico questo importante momento di ricerca e conservazione aprendo le porte del cantiere per seguire gli interventi di restauro fino al termine previsto nel dicembre 2017.
In corrispondenza delle fasi più significative del lavoro sarà infatti possibile assistere “in diretta” alle pazienti operazioni degli esperti grazie ad un box/laboratorio posizionato tra le teche espositive della sezione egizia, la terza in Italia per importanza. Una modalità di fruizione, quella del cantiere aperto, particolarmente efficace coma pratica di divulgazione e valorizzazione dei beni culturali, per favorire la conoscenza del patrimonio artistico conservato negli spazi museali attraverso un'emozionante esperienza di coinvolgimento.
La restituzione del sarcofago, che ne salvaguarderà correttamente la futura fruizione all'interno del percorso espositivo, verrà così assicurata da una virtuosa sinergia tra le competenze scientifiche attivate dal Museo Civico Archeologico e l'impegno di Intesa Sanpaolo nella difesa dei beni artistici nazionali.
Al termine dei lavori, domenica 18 febbraio 2018, Daniela Picchi ed Emiliano Antonell del Consorzio Croma presenteranno gli esiti dell'importante operazione in una conferenza aperta al pubblico.
Inoltre, a conclusione della campagna di restauri finanziati per la XVIII edizione di «Restituzioni», il sarcofago di «Unmontu», unitamente ad altre duecento opere salvate, sarà esposto Sanpaolo dal 27 marzo al 16 settembre 2018 alla Venaria Reale di Torino, in una grande mostra organizzata da Intesa Sanpaolo.

Informazioni utili 
Museo civico archeologico, via dell'Archiginnasio 2 - 40124 Bologna, tel. 051.2757211 o mca@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/archeologico 

martedì 7 novembre 2017

Luigi Crespi, un ritrattista bolognese del Settecento

È noto principalmente per essere l’autore del terzo tomo della «Felsina Pittrice – Vite de’ pittori bolognesi», edito nel 1769 in prosecuzione dei due volumi pubblicati da Carlo Cesare Malvasia nel 1678. Ma fu anche un apprezzato ritrattista del Settecento bolognese, in relazione al clima di rinnovamento culturale favorito dall'illuminata opera pastorale del cardinale Prospero Lambertini (1731-1754). Stiamo parlando di Luigi Crespi (1708-1779), figlio del celebre pittore Giuseppe Maria detto lo Spagnolo (1665-1747), a cui i Musei civici d’arte antica dell'Istituzione Bologna musei dedicano, in questi giorni, un'ampia mostra nelle sale della Galleria Davia Bargellini. L'esposizione, a cura di Mark Gregory D'Apuzzo e Irene Graziani, presenta il nucleo più significativo di dipinti dell'artista conservati nel museo di Strada Maggiore, apprezzato soprattutto per la sua pregevole quadreria senatoria di dipinti bolognesi dal XIV al XVIII secolo, in dialogo con altre sue opere provenienti dalle collezioni comunali e con prestiti di altre importanti istituzioni cittadine e di collezionisti privati, in un percorso antologico articolato in sette sezioni tematiche che, per la prima volta, consente di ricostruire le fasi più rilevanti della sua vicenda artistica.
Luigi Crespi iniziò a dipingere nella bottega paterna fra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del Settecento. Molti anni più tardi, nella biografia del padre (1769), sosterrà di essersi cimentato in questa attività «per divertimento», quasi significare il privilegio accordato al prestigioso ruolo, assunto a partire dagli anni Cinquanta, di scrittore e critico d’arte, che gli frutterà importanti riconoscimenti come l’aggregazione alle Accademie di Firenze (1770), di Parma (1774) e di Venezia (1776).
Grazie all’amicizia del padre Giuseppe Maria con Prospero Lambertini, Luigi sostenne la carriera clericale e venne nominato «segretario generale della visita della città e della diocesi», canonico della collegiata di Santa Maria Maggiore ed infine, dopo l'elezione al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV (1740-1758), suo cappellano segreto.
La sua produzione figurativa, in particolar modo quella rappresentata dal più congeniale genere del ritratto, rivela un autore sensibile al dialogo con la scienza moderna e con la libera circolazione delle idee dell’Europa cosmopolita. Nonostante l’impegno applicato anche all’ambito dell’arte sacra, cui Luigi Crespi si dedica almeno fino agli inizi degli anni Settanta, è soprattutto nella ritrattistica che egli raggiunge esiti di grande finezza ed efficacia, molto apprezzati dalla committenza. «Ebbe un particolare dono di ritrarre le fisionomie degli Uomini, e ne fece una serie di Ritratti di Cavaglieri e Damme», scrive infatti l'erudito del tempo Marcello Oretti, celebrandone l’abilità nell’adattare la formula del codice ritrattistico alle esigenze della clientela.
Come dimostrano il «Ritratto di giovane dama con cagnolino», o i tre ritratti dei Principi Argonauti in origine nel collegio gesuitico di San Francesco Saverio, la pittura di Crespi junior, già addestrato dal genitore Giuseppe Maria ad un fare schietto, attento al naturale e al «vero», evolve verso un nitore della visione che risalta i dettagli, in un’analitica investigazione della realtà, memore di certi esempi virtuosistici (Balthasar Denner e Martin van Meytens, in primis) osservati nel 1752 durante un viaggio fra Austria e Germania, dove visita le Gallerie delle corti di Dresda e Vienna. Dal confronto con il «grande mondo» –per utilizzare un’espressione di Prospero Lambertini– Luigi Crespi deriva la conferma della validità del genere del ritratto ufficiale, che gli consente di rappresentare i personaggi, qualificandone i gusti sofisticati, le abitudini raffinate, i comportamenti eleganti e disinvolti da assumere nella vita di società, dove si praticano i rituali di quella «civiltà della conversazione» che nella moderna Europa riunisce aristocratici e intellettuali in un dialogo paritario, dettato dalla condivisione di regole e valori comuni.
La prossimità con la cultura lambertiniana lo conduce inoltre a sperimentare, dapprima ancora con il sostegno del padre, poi autonomamente, nuove invenzioni compositive in cui lo sguardo incrocia i volti di individui del ceto borghese: talvolta sono gli oggetti a raccontare con la loro perspicuità di definizione la dignità del lavoro (è il caso del «Ritratto di Antonio Cartolari»), altre volte sono invece i gesti caratteristici, l’inquadratura priva di infingimenti (come avviene nel «Ritratto di fanciulla»), la resa confidenziale del modello, quasi al limite della caricatura (si veda il «Ritratto di Padre Corsini»), a fare emergere il valore umano di quella parte della società, cui papa Lambertini riconosceva un ruolo fondamentale nella riforma dei rapporti con le istituzioni ecclesiastiche.
La mostra, per la quale è previsto anche un ciclo di incontri e di visite guidate, è accompagnata da un volume, il primo monografico nella bibliografia sull'artista, edito da Silvana Editoriale, corredato da un apparato iconografico che documenta la produzione ritrattistica, una presentazione di Massimo Medica e saggi di Gabriella Zarri, Giovanna Perini Folesani, Irene Graziani e Mark Gregory D'Apuzzo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luigi Crespi, Autoritratto. Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1771. Olio su tela, cm 87,5x68,5 (Inv. 6414); [fig. 2] Luigi Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi. In Roma, in Marco Pagliarini stamperia, 1769. Biblioteca Igino Benvenuto Supino, Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Dipartimento delle Arti; [fig. 3] Giuseppe Maria e Luigi Crespi, Ritratto di Antonio Cartolari. ASP Città di Bologna, in prestito presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, 1730 ca. Olio su tela, cm 93x75

Informazioni utili
Luigi Crespi ritrattista nell’età di papa Lambertini. Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore, 44 - Bologna. Orari: dal martedì al sabato, ore 9.00–14.00; domenica e festivi, ore 9.00 – 13.00; chiuso i lunedì feriali. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 3 dicembre 2017

domenica 5 novembre 2017

Venezia, un viaggio nel vetro con Rosslynd Piggott

Proseguono a Venezia gli eventi di «Muve contemporaneo», il programma di eventi promosso dai locali Musei civici in occasione della Biennale d’arte. Al museo del vetro di Murano, nell’affascinante Spazio Conterie, va in scena l’esposizione «Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2», a cura di Chiara Squarcina, Francesca Giubilei e Luca Berta.
La rassegna, visitabile fino al 3 dicembre, presenta l’articolato percorso dell’artista australiana, che in oltre trent’anni di carriera ha affiancato alla pittura, l’esplorazione di un’ampia gamma di altre tecniche, compresa l’indagine sul vetro, sperimentando supporti come lo specchio, i tessuti, ma anche oggetti antichi e ritrovati, metalli, carta e gioielli.
I primi lavori con il vetro risalgono al 1990. Di quest’anno è l’opera «100 Glasses», una poesia spazio-lineare, composta da cento bicchieri disposti su di una lunga mensola, incisi con parole. La sequenza inizia con nomi di città lontane, storicamente e sentimentalmente pregnanti, «Roma», «Egitto», «Tebe» e «Venezia». Vengono, poi, gli elementi, il sale e l’inchiostro, i sostantivi, le date del passato e del futuro, i nomi di autori come «Marcel» (Proust o Duchamp) e «Virginia» (Woolf), per finire con i quattordici bicchieri senza nessuna incisione che implicano l’apertura, lo spazio non finito.
In questo primo lavoro, Rosslynd Piggott si sofferma sul potenziale metafisico del vetro. Da quel momento questo materiale ha continuato ad essere importante per la sua pratica, in particolare per le sue qualità paradossali: contiene e rivela al tempo stesso, è solido e fluido e ha la capacità di evocare un senso dello spazio multiplo.
Per una pittrice quale Rosslynd Piggott, abituata a lavorare con velature sovrapposte di delicato colore semitrasparente, il vetro si offre come supporto coerente con il suo senso della materia.
L’incontro con Murano avviene nel 2011; in questa occasione l’artista realizza nove vasi con tappi caratterizzati da motivi floreali, contenenti una collezione d’aria, raccolta presso il famoso «Giardino di Ninfa».
Tra il 2012 e 2016 Rosslynd Piggott inizia a lavorare regolarmente sull’isola veneziana con il maestro incisore Maurizio Vidal dello studio Ongaro e Fuga. Questi suoi nuovi lavori sono spesso accompagnati da delicati disegni in cui lentamente la figura si dissolve, fino a sparire, nel bianco assoluto della cellulosa.
I disegni su carta sono la continuazione o il prodromo delle nuove opere su vetro: lievissimi tratti di matita, quasi impercettibili, segnano la continuità con l’affilata rotella di pietra che incide delicatamente il vetro.
La scoperta dell’incisione su vetro e della maestria degli artigiani muranesi la porta a realizzare una serie di lavori composti da una stratificazione insolita e affascinante: lastre di vetro inciso con soggetti botanici, sovrapposte in più strati a piccoli intervalli, e uno specchio sul fondo. La presenza dello specchio come fondale ha la funzione di raddoppiare la stratificazione vegetale, conferendole un carattere quasi vertiginoso, ma anche quella di includere, seppur in maniera ambigua e deformata, il rifesso dell’osservatore nell’opera.
Lo specchio ha un ruolo di primaria importanza nel lavoro di Piggott, in particolare se la superficie è intaccata dal tempo, e l’ossidazione rende più misteriosa e oscura la riflessione. In Australia realizza numerosi specchi deformati, caratterizzati da superfici nebulose e quasi liquide. Anche nelle opere della serie «Garden Fracture/Mirror in Vapour» si scruta attraverso le superfici rifrangenti e riflettenti che fanno rimbalzare lo sguardo, catturato da una miriade di lenti tondeggianti sovrapposte a rami spezzati di glicine, petali di ciliegio in caduta, fori di peonia maturi: visione multipla e moltiplicata di un giardino caotico per staccarsi da sé.
Con questa mostra Rosslynd Piggott ribadisce l’indiscutibile valenza dell’eccellenza muranese, unica capace di tramutare l’idea dell’artista in opera d’arte. È a Murano che l’artista può sfidare la materia e realizzare l’impossibile: i lavori di Piggott catapultano l’osservatore in un mondo senza tempo, uno spazio per l’immaginazione e l’intangibile, per lo stupore e il piacere, dove tutto rinvia alla frattura tra il sé e il non-sé. 


Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rosslynd Piggott, 100 Glasses, 1991. Installation, 100 handblown and engraved glasses, painted shelf and walls. Variable dimensions; [fig. 2] Rosslynd Piggott, Garden fracture/ Mirror in vapour no. 8, 2016. Engraved clear glass, mirrored Murano glass, slumped and mirrored glass, 53 x 55 x 20cm; [fig. 3] Rosslynd Piggott, Mirror shift- Wisteria bloom, 2016. Engraved mirror, engraved glass with avventurina, wooden shelf. 55 x 150 x 20cm 

Informazioni utili 
«Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 - Murano (Venezia). Orari: tutti i giorni, ore 10.00–17.00; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, offerta scuola € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it, 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.museovetro.visitmuve.it. Fino al 3 dicembre 2017

venerdì 3 novembre 2017

Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat in mostra a Milano

Va alla scoperta degli usi e dei costumi di uno dei popoli più affascinanti della Nuova Guinea la nuova mostra del Mudec, il Museo delle culture di Milano. Ha, infatti, da poco aperto le porte «Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat», primo momento di riflessione in un museo pubblico italiano su uno dei popoli più affascinanti dell’area oceanica.
Il percorso espositivo, che si è avvalso della collaborazione di Paolo Campione, direttore dell’omonimo museo di Lugano, presenta una selezione di circa centocinquanta opere appartenenti alla collezione Fardella-Azzaroli, concessa in comodato all’istituzione milanese, e alla raccolta Leigheb-Fiore, acquisita nel 2015 dal Comune, per incrementarne il patrimonio e colmare la dolorosa lacuna creatasi più di settanta anni fa a causa dei bombardamenti che colpirono il Castello Sforzesco, allora sede delle Collezioni etnografiche.
Attraverso sculture, armi, strumenti musicali, oggetti d’uso e rituali, i visitatori potranno approfondire non solo gli aspetti legati alla vita quotidiana delle popolazioni Asmat nel corso del XX secolo, ma conoscerne anche i complessi rituali e le tradizioni che legano indissolubilmente la pratica scultorea alla dimensione spirituale più profonda di questo popolo. Grazie ai rituali, secondo questo gruppo etnico, gli antenati entrano in contatto con i vivi e tornano alla vita attraverso le figure intagliate.
L’incontro con i popoli occidentali, avvenuto molto tardivamente, principalmente alla metà del secolo scorso, ha fatto conoscere al mondo questa loro straordinaria abilità artistica e di conseguenza il mondo rituale, caratterizzato anche dalle temibili pratiche del cannibalismo e della caccia alle teste, attirando così l’attenzione non solo dei collezionisti d’arte e degli artisti, ma anche di studiosi, antropologi ed etnografi, come il giovane Michael Rockefeller, tragicamente scomparso proprio durante una spedizione tra gli Asmat nel 1961. A tutt’oggi queste popolazioni continuano ad esercitare grande fascino e a suscitare vivo interesse essendo associati, nell’immaginario collettivo, ad un mondo primigenio e incontaminato: Sebastião Salgado ha scelto di realizzare alcuni scatti del suo recente progetto «Genesi», proprio tra queste popolazioni, quali testimoni viventi di un perfetto equilibrio tra uomo e natura.
Gli Asmat custodiscono, infatti, ancora oggi i tratti caratteristici della propria antica cultura, perfettamente adattata al difficile ecosistema in cui vivono, ma hanno anche saputo rinnovarsi e affrontare le sfide della modernità grazie alla mediazione di diversi gruppi missionari e all’avvio, nel 1968 del Fundwi (Fund of the United Nations for the Development of West Irian), uno specifico programma di aiuto allo sviluppo voluto dalle Nazioni Unite.
All’interno di questo programma prese infatti avvio l’«Asmat Art Project», un insieme di iniziative volte al recupero, come mezzo di sussistenza, della tradizione scultorea in parte indebolita dalla proibizione dei violenti rituali relativi al culto degli antenati, ai quali è profondamente legata.
Grande attenzione è riservata lungo il percorso espositivo, che propone anche un documentario e numerose fotografie, a due pali cerimoniali bis, alti più di quattro metri, interamente scolpiti e decorati con pigmenti naturali. Durante lo studio di queste particolari decorazioni sono emerse delle criticità relative allo stato di conservazione di uno dei due pali: la mostra diventa occasione per presentare al pubblico l’importante lavoro di ricerca sui questi temi e consentirà di osservare da vicino il lavoro dei restauratori, grazie ad un apposito allestimento.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Tamburo (em) sec. XX Legno/ scultura, pigmenti naturali 12 Museo delle Culture, Milano Coll. Mariangela Fardella, Giorgio Azzaroli Inv. FARDELLA 0014; [fig. 2] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Pannello sec. XX 2 Legno/ intaglio Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb Inv. SEA 00155; [fig. 3] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Ornamento nasale (bipane) sec. XX 7 Conchiglia/ intaglio, rafia, cera d'api Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb. Inv. SEA 00174

Informazioni utili
«Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat». Mudec – Museo delle Culture, via Tortona, 56 – Milano. Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; martedì / mercoledì / venerdì / domenica, ore 09.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Biglietto: intero 5,00, ridotto € 3,00.Informazioni: 0254917 (lun-ven, ore 10.00-17.00). Sito internet: www.mudec.it. Fino all’8 luglio 2018