ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 21 aprile 2017

Tutta l’opera di Franca Ghitti in un libro di Skira

È uscito da qualche mese in libreria il volume monografico che Skira editore dedica a Franca Ghitti (1932-2012), scultrice di fama internazionale le cui opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private, tra cui la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma e i Musei vaticani.
Il libro -che si avvale di un saggio introduttivo della curatrice Elena Pontiggia, docente all’Accademia di Belle arti di Brera- ripercorre l’intero percorso creativo dell’artista, dagli anni Cinquanta alla sua scomparsa.
L’avventura creativa di Franca Ghitti ha inizio in Valle Camonica, suo paese di nascita, al quale rimane significativamente legata durante il corso della sua vita; le opere dell’artista documentano, infatti, un ciclico ritorno alle origini e alla sua terra, che la sprona a continui studi, approfondimenti e ricerche.
Molto attenta alla scelta dei materiali, l’artista inizialmente predilige soprattutto quelli legati alla terra e al mondo del lavoro, fra cui vecchie assi di legno e avanzi di segheria. Successivamente opta anche per il ferro e i metalli, recuperati nelle antiche fucine della Valcamonica, come stampi, ritagli, tondini, chiodi, polvere di fusione, ma anche scarti di lavorazione delle industrie metalliche.
Il suo stile nel ricomporre restituisce ai materiali nuova energia e profondi significati. L’artista presenta, infatti, un linguaggio essenziale e concreto, legato alle linee, alle forme, alla geometria, che unisce in un armonico dialogo il presente al passato. Numerosi sono, infatti, i riferimenti alle incisioni rupestri e ai simboli primitivi delle tribù africane che si mescolano a espressioni moderne e contemporanee.
Ben tratteggia Elena Pontiggia, nel suo testo critico, questo modus operandi: «Quello di Franca Ghitti è un mondo complesso, un crogiolo di esperienze occidentali e primitive, di arte e architettura, di ripetizione e differenza. La sua scultura è sempre un disegno di mappe, una collezione di segni: non cerca il volume, il modellato, la massa, ma la superficie, la tavola, la pagina. La sua arte insegna la ricerca di alfabeti che non si trovano nei libri e di mondi che non coincidono con il nostro. Insegna che le mani sanno quello che la mente non capisce, mentre il linguaggio dei segni custodisce qualcosa che le parole non registrano».
I primi lavori in legno, realizzati negli anni Sessanta e intitolati «Mappe», sono tavole di legno con incisioni, ispirate alle incisioni rupestri a cui seguono altri cicli scultorei, sempre di matrice minimalista, a cui si aggiunge l’utilizzo di nuovi elementi, i chiodi, considerati dall’artista fondamentali per l’uso e la forma. Fra questi si ricordano «I Rituali», «Le Vicinie», «Le Storie dei morti», «I Reliquiari» che restituiscono la cultura contadina e in cui si allude alla tradizione, alle leggende, al dialetto, ai canti, ai proverbi.
Negli anni Settanta, l’esperienza africana e il suo trasferimento per alcuni anni in queste terre, conducono l’artista ad inserire nel suo linguaggio nuovi simboli, nuovi colori, nuovi materiali fra cui il cemento e il vetro.
In un continuo divenire, i lavori di Franca Ghitti assumono negli anni successivi dimensioni e forme diverse sempre intrinsecamente legate al suo vissuto, come la verticalità, ispirata dalla visione dei grattacieli di Montreal e dai boschi del Labrador, che caratterizza le opere «Cancelli», «Libri Chiusi», «Alberi». Il ritmo verticale tuttavia è spesso contrastato da un’energia orizzontale, resa dall’accostamento seriale di tessere e liste di legno, come se la materia fosse tessuta o intrecciata. In una poetica costantemente attenta al rapporto con lo spazio, alla fine degli anni Ottanta si inserisce l’interesse per la forma circolare, «Ciclo dei Tondi», dove il cerchio più o meno regolare evoca il concetto di ripetitività.
Anche nelle installazioni, «Meridiane», sono presenti temi legati al tempo e allo spazio, ma aprono contemporaneamente nuovi orizzonti con esplicite riflessioni sulla città, sull’architettura e sul linguaggio; in «Alfabeti perduti» e «Altri Alfabeti», realizzati alla fine degli anni Novanta, l’artista riscopre linguaggi dimenticati, di culture passate.
La sua ricerca artistica prosegue con continui approfondimenti, che contengono la memoria di vissuti comunitari connessi a epoche e luoghi differenti connessi alla contemporaneità.
Franca Ghitti, infatti, affermava: «non credo nell’improvvisazione. Un’opera è il risultato di una lunga meditazione, di un processo di conoscenza che dura tutta la vita».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertina del volume pubblicato da Skira; [fig. 2]Franca Ghitti all’OK Harris Gallery di New York nel 2008, con l'opera Valigia. ©Fabio Cattabiani; [fig. 3] Franca Ghitti, Libro fasciato, 2010 - Collezione Contemporanea Musei Vaticani. Carta bianca trattata, garza, chiodi, cm 49x30x25. ©Fabio Cattabiani

Informazioni utili
Elena Pontiggia (a cura e con saggio introduttivo), Franca Ghitti, Skira editore, Milano 2016 . Note utili: edizione bilingue (italiano-inglese) | 24 x 28 cm | 128 pagine | 110 colori e b/n | cartonato. ISBN 978-88-572-3411-3. Costo: € 28,00.

giovedì 20 aprile 2017

«Dal futurismo al ritorno all’ordine», dieci anni di arte italiana in mostra a Torino

È il febbraio del 1910 quando i pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo si riuniscono a Milano per firmare il «Manifesto dei pittori futuristi». È l’inizio di un periodo importante per l’arte italiana che, grazie a un gruppo di giovani ribelli nei confronti della tradizione e dei linguaggi dell’Accademia, si apre alla modernità. A ripercorrere questa storia è, fino al prossimo 18 giugno, la mostra «Dal futurismo al ritorno all’ordine», allestita per la curatela di Nicoletta Carbone e dello Studio Berman di Giuliana Godio al Museo Accorsi – Ometto di Torino. Settantadue opere provenienti da rinomati musei e archivi storici italiani ed europei, come il Mart di Rovereto e la Fondazione VAF-Stiftung di Francoforte sul Meno, ripercorrono la nostra storia pittorica dal 1910 al 1920, un «decennio cruciale» nel quale la ribellione futurista cede il passo al «ritorno al candore» del periodo simbolista, fino ad approdare alla riconquista della tradizione mediterranea anche attraverso linguaggi metafisici o richiami a una «moderna classicità».
Ad aprire il percorso espositivo sono opere del Futurismo storico. Umberto Boccioni, Luigi Russolo, Gino Severini, Carlo Carrà e Fortunato Depero sono, insieme con il teorico Filippo Tommaso Marinetti, i protagonisti indiscussi di questa prima parte della rassegna, nella quale trovano spazio anche indipendenti come Mario Sironi, Achille Funi, Antonio Sant’Elia, Adriana Bisi Fabbri e Gerardo Dottori.
Tra i pezzi esposti che permettono di comprendere appieno l’innovazione data dal linguaggio futurista all’arte vi è l’opera l’«Antigrazioso» (1912-1913) di Umberto Boccioni, straordinario ritratto della madre che nel titolo cita un’indicazione di Marinetti a proposito della necessità di un’arte non accattivante, ma, anzi, deformatrice nel proprio dinamismo. «Antigraziosa» è anche la «Danzatrice» (1916) di Enrico Prampolini, una ballerina che sembra applicare fedelmente il Manifesto della danza futurista, nel quale si esaltava il ballo «disarmonico» e «sgarbato».
Paroliberismo e forme destrutturate caratterizzano questa sezione, nella quale trovano posto i rossi bagliori di «Chioma. I capelli di Tina» di Luigi Russolo, il travolgente «Paesaggio guerresco» di Fortunato Depero e la natura morta «Lacerba e bottiglia» (1914) di Carlo Carrà. La sezione futurista include anche la presenza di due fuoriusciti quali Romolo Romani, precursore delle tendenze astrattive, in mostra con le opere «Ritratto di Giosuè Carducci» (1906) e «Ritratto d’uomo» (1908)e Aroldo Bonzagni, testimone di un espressionismo di intonazione sociale, qui rappresentato dallo storico dipinto «Il tram di Monza» (1916).
La seconda sezione si articola in tre segmenti: simbolismi, secessionismi e primitivismi. Le opere di Alberto Martini e Lorenzo Viani dialogano con lavori di Felice Casorati, Tullio Garbari, Umberto Moggioli, Galileo Chini, Cipriano Efisio Oppo e molti altri.
Gigiotti Zanini, Pompeo Borra, Alberto Salietti rappresentano, invece, quella volontà di guardare al passato tipica del primitivismo, tendenza volta al recupero del primordio inteso come azzeramento delle stratificazioni culturali per ritrovare la semplicità e il candore di espressioni popolari, ingenue, ispirate anche ai trecentisti e quattrocentisti italiani, Giotto e Paolo Uccello innanzi a tutti.
A chiudere il percorso espositivo è la stagione del cosiddetto «Ritorno all’ordine», fenomeno di portata europea che, subito dopo la Grande guerra (1914-1918), traccia un recupero delle forme. È la stagione della Metafisica, illustrata in mostra da opere di Giorgio de Chirico («Composizione con biscotti e mostrine», 1916), Carlo Carrà («Le due sorelle», 1917), Filippo de Pisis («Natura morta», 1920), accostate a saggi della metafisica eterodossa, rappresentata da Mario Sironi e Achille Funi, per approdare alla poetica della corrente Valori Plastici, che dal 1918 diffonde il principio della supremazia culturale e artistica italiana.
In questo settore della mostra si intersecano differenti linguaggi, caratterizzati dai principi di sintesi, costruzione e plasticità. Ecco così due limpide nature morte di Ardengo Soffici come «Mele e calice di vino» (1919) e «Pera e bicchiere di vino» (1920) dialogare con la potenza e la solidità delle forme di «Macchina e tram» (1919) di Mario Sironi o con le «Donne alla fonte» di Rosai.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Umberto Boccioni, Antigrazioso, 1912-13. Olio su tela, cm 80 x 80. Fondazione FC per l’Arte; [fig. 2] Giacomo Balla, Figure + Paesaggio, 1914. Collage, cm 32x22. Collezione privata; [fig. 3] Giorgio Morandi, Natura morta con bottiglia e brocca, 1915. Incisione, cm 15,4x12,5. Collezione privata

Informazioni utili
«Dal futurismo al ritorno all’ordine». Museo di arti decorative Accorsi – Ometto, via Po, 55 – Torino. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00 – 13.00 e ore  14.00 – 18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00– 13.00 e ore 14.00– 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00 (studenti fino a 26 anni, over 65, convenzioni). Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo (Milano). Informazioni:  tel. 011.837.688 int. 3  o info@fondazioneaccorsi-ometto.it. Sito internet: www.fondazioneaccorsi-ometto.it . Fino al 18 giugno 2017

mercoledì 19 aprile 2017

Ristampato a Bologna il catalogo della storica Settimana internazionale della performance

Sono passati quarant’anni dalla prima edizione della Settimana internazionale della performance, che si tenne nel giugno del 1977 alla Galleria d'arte moderna di Bologna, ad eccezione dell'azione di Hermann Nitsch -che ebbe luogo nello spazio centrale di quella che all'epoca era l’ex chiesa di Santa Lucia- a - e di alcune installazioni nella città. Per ricordare questa ricorrenza il Comune di Bologna e l'Istituzione Bologna Musei stanno sviluppando un ampio progetto di valorizzazione dell'evento che fu un vero e proprio spartiacque per la cultura artistica della città e per la storia del museo stesso. Attraverso il recupero e la riproposizione delle fonti storiche e documentali, favorendo l'accesso del pubblico a materiali non facilmente reperibili, il Mambo - Museo d’arte moderna di Bologna vuole rendere disponibili testimonianze e documenti relativi alle azioni performative, per definizione immateriali e non permanenti, che si succedettero dal 1 al 6 giugno 1977, riportando al clima stesso di quell'esperienza.
Come primo atto delle celebrazioni del quarantennale della Settimana della performance (che vedranno la realizzazione in città di molte iniziative ad essa ispirate come l'imminente Live Arts Week e la mostra di Ginevra Grigolo al Mambo), grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, le Edizioni Mambo hanno realizzato la ristampa anastatica del volume di documentazione della manifestazione, edito nel 1978 da La Nuova Foglio Editore con il titolo «La Performance», diventato nel tempo introvabile e attualmente non disponibile per il pubblico.
Il catalogo, identico per contenuti a quello originale, presenta il materiale fotografico relativo alle performance che videro la partecipazione di numerosi artisti, tra i quali Marina Abramović e Ulay, Laurie Anderson, Giuseppe Chiari, Fabio Mauri, Hermann Nitsch, Luigi Ontani, Vettor Pisani e Fabrizio Plessi. Il volume si apre con la prefazione di Franco Solmi, allora direttore della galleria d’arte moderna, e prosegue con un testo critico di Renato Barilli e le schede firmate da Francesca Alinovi, Roberto Daolio e Marilena Pasquali suddivise secondo le sette categorie scelte come temi unitari di riferimento per le performance: il corpo, i sensi, iperestesia, la musica, la parola, la ricerca dell'identità, la ricerca sul sociale.
Il testo, in vendita al corrainiMambo artbookshop, documenta quanto avvenne a Bologna quarant’anni fa per sei giorni, lungo le sale espositive e negli spazi esterni del museo, dove si succedettero ininterrottamente dal pomeriggio alla sera quarantanove azioni di artisti italiani e internazionali. «Sotto gli occhi di tutti, almeno dei presenti, avvengono -così ricorda Renato Barilli- le esibizioni nude e dirette del corpo con tutti i suoi prolungamenti; ma l’occhio nudo degli spettatori che fanno circolo è prontamente doppiato dai molti occhi meccanici o elettronici degli apparecchi fotografici e delle ‘camere’ che coi loro clic e il loro tenace ronzio fanno da sottofondo…». La riflessione del curatore metteva così a fuoco il carattere particolare di esperienze artistiche immateriali e impermanenti e la necessità di affidarne la testimonianza al film, al video e all’immagine fotografica.
Sempre nell’ambito delle celebrazioni per i quarant’anni della Settimana internazionale della performance, il Mambo propone la mostra «My way, A modo mio» che ripercorre quarantaquattro anni di attività di Ginevra Grigolo, figura chiave e punto di riferimento con la sua galleria Studio G7 nelle vicende dell'arte contemporanea a Bologna, precipuamente per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione.
La gallerista è omaggiata attraverso un’esposizione, visibile dal 30 aprile al 28 maggio, che riunisce nella Sala delle ciminiere e nelle stanze attigue centocinquanta opere di sessantuno artisti, in cui grandi presenze internazionali si affiancano ad artisti di generazioni più giovani.
Il percorso espositivo è volutamente non cronologico e rispecchia il gusto e le esperienze di Ginevra Grigolo, mescolando i percorsi tematici con cui si è confrontata negli anni. È lei stessa a raccontarlo: «gli anni Settanta mi hanno vista abbracciare il multiplo nella sua totalità, amandone il concetto e la forma. Ho inaugurato con Pistoletto, ho raccontato la pop americana ed inglese, ho conosciuto e dato spazio al gruppo dei torinesi, e poi ho cominciato un lavoro di personali dove la conoscenza dell’artista e la piena consapevolezza del suo lavoro sono state fondamentali per orientarmi al pezzo unico. L’amore per la pittura è stato affiancato dal fascino che ha sempre provocato in me anche la scultura [...]. Tengo molto a sottolineare come ogni artista sia stato per me scoperta, conoscenza e amicizia, e come ricordo tutti con equa importanza nella diversità di ricerca che hanno condiviso con me. […] La mostra vuole dunque raccontare con fare divertito e consapevole quella che è la mia storia, includendone i momenti più importanti e sottolineando come ciò che è entrato in galleria è riuscito anche a trovare dimora in spazi pubblici e privati. Non si tratta di qualcosa di cronologico, è amore per l’arte e per quello a cui ho dedicato tutta la mia vita».
Tra le opere in mostra, di cui rimarrà documentazione in un catalogo edito da Corraini, spicca un video inedito di Marina Abramovic, della quale rimane memorabile per la storia della galleria la performance con Ulay che si tenne nel 1977, dal titolo «Relazione nel tempo»: i due artisti rimasero seduti schiena contro schiena con i capelli legati tra loro per diciassette ore. Mentre David Tremlett, che fu chiamato per la prima volta allo Studio G7 nel 1998 e in seguito realizzò a Bologna l'opera permanente A new light nella cappella di Palazzo Re Enzo, ha realizzato appositamente per la mostra un wall drawing site specific di grandi dimensioni.
Il pubblico potrà, inoltre, vedere un'ampia scelta di pubblicazioni (come la rivista mensile «G7 Studio» nata nel 1976), fotografie d'epoca e materiali documentari relativi alla storia della galleria.

Informazioni utili
Catalogo «La Performance». Testi di Francesca Alinovi, Renato Barilli, Roberto Daolio, Marilena Pasquali, Franco Solmi. Edizioni Mambo, Bologna 2017. Dati tecnici: 21 x 28 cm, pp. 200 b/n. ISBN: 978-88-96296-13-4. Prezzo: € 25,00. Informazioni: Mambo – Museo d'arte moderna di Bologna, via Don Minzoni, 14 – Bologna, sito web: www.mambo-bologna.org.

.«My way, A modo mio». Mambo, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì, domenica e festivi, ore 10.00 – 18.00 (fino alle ore 19 nei martedì degli incontri con gli artisti); giovedì, venerdì e sabato, ore 10.00 – 19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero mostra € 6,00, ridotto mostra € 4,00 (Card Musei Metropolitani Bologna e altre riduzioni); intero cumulativo € 10,00, ridotto cumulativo € 8,00. Informazioni: tel. 051. 6496611 o info@mambo-bologna.org. Sito web: www.mambo-bologna.org. Dal 30 aprile al 28 maggio 2017.

martedì 18 aprile 2017

«2200 anni lungo la Via Emilia»: eventi a Parma, Modena, Reggio e Bologna


La via Emilia si mette in mostra e racconta i suoi duemiladuecento anni di storia. Lo fa coinvolgendo tre città che sorgono su di essa, tutte costruite da Marco Emilio Lepido, console esponente della gens Aemilia: Modena (l’antica Mutina) e Parma, diventate colonie nel 183 a. C., ma anche Reggio Emilia, istituita come forum negli stessi anni con il nome di Regium Lepidi.
Su questa importante arteria viaria che collega i maggiori centri dell’attuale Regione Emilia Romagna, hanno viaggiato dall'antichità, e viaggiano ancora ai giorni nostri, le merci e i prodotti di un'economia florida, ma anche popoli, genti, donne e uomini con il proprio bagaglio di esperienze, idee, sensibilità, lingue e credi differenti, consentendo così il formarsi di una cultura aperta, che affonda le radici in una società che fa dell'accoglienza una delle sue maggiori risorse.
Per celebrare la via Emilia -non solo asse di collegamento, ma anche presidio politico in quello che un tempo era lo Stato dei Boi, barriera ideale contro le popolazioni liguri, cerniera fra l’Italia centrale e i coloni stabiliti in Gallia- è nato un programma ricco di eventi, incontri, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche e mostre, che intende non solo valorizzare le origini romane di Modena, Parma e Reggio Emilia, ma contestualizzarle nell’ambito del ruolo svolto fino ai nostri giorni dalla strada che le collega.
Il ponte fra romanità e contemporaneità è rappresentato con linguaggi diversi che vanno dall’esposizione dei reperti agli incontri di approfondimento scientifico, dalla narrazione alla street art, dalla multimedialità al gioco.
Il progetto, che si intitola «2200 anni lungo la Via Emilia», è promosso dall’Amministrazioni comunale delle tre città coinvolte e dalle Soprintendenze archeologia Belle arti e Paesaggio di Bologna e Parma, dal Segretariato regionale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo per l'Emilia-Romagna e dalla Regione Emilia-Romagna.
Modena, definita da Cicerone «firmissima et splendidissima», propone al Foro Boario una grande mostra che si intitola appunto «Mutina Splendidissima» (dal 25 novembre all’8 aprile 2018), nella quale si racconta l’antica città romana al di sotto delle strade del centro storico, custodita dai depositi delle alluvioni che si verificarono in epoca tardoantica.
Già Plinio ricordava che Mutina basava la sua ricchezza su tre produzioni di eccellenza: ceramica pregiata, vino e lane (quest’ultime erano così importanti da essere addirittura citate nell’Editto dei prezzi del III secolo dopo Cristo). Nuove ricerche hanno fatto ritrovare tracce tangibili dell’economia della lana e individuare ville che ne controllavano il commercio.
Recentissime scoperte hanno portato anche alla luce decorazioni parietali con scene figurate tracciate con pigmenti pregiati, stucchi a rilievo ed elementi d’arredo di elevato pregio artistico, equiparabili a quelli provenienti da Pompei.
Coniugando dati epigrafici e storici verranno, inoltre, resi noti i profili dei mutinenses: dai primi coloni ai cittadini emigrati in altre regioni dell’impero.
Modena presenta anche un’altra serie di appuntamenti da non perdere, che spaziano dalla street art 3D con artisti internazionali invitati a creare varchi illusori verso il sottosuolo (dal 12 al 14 maggio) alla rievocazione storica (dal 7 al 10 settembre), dallo spettacolo «La città sepolta» con gli studenti del liceo classico Muratori-San Carlo (3 giugno) all’installazione site-specific di Eron (dal 15 al 17 settembre).
Reggio Emilia apre, invece, i festeggiamenti con la mostra «Lo Scavo in piazza. Una casa, una strada, una città» (dall’8 aprile al 31 agosto), che documenta la storia di un quartiere suburbano, alla luce degli scavi archeologici in piazza Vittoria; mentre «La buona strada. Regium Lepidi e la via Aemilia» (dal 23 novembre all’8 aprile 2018), descrive la fortuna della strada dagli antefatti in età preromana sino al Medioevo e riporta l'attenzione sulla figura del costruttore, il console Marco Emilio Lepido. Ricostruzioni di mezzi di trasporto e apparecchiature all’avanguardia come i caschi Oculus Rift, le postazioni olografiche di Z-space, le proiezioni 3D di Dreamoc, i QR code consentiranno di conoscere meglio l’antica Regium Lepidi.
Ricco è anche il programma messo a punto dalla città di Parma, che nel mese di ottobre inaugurerà un nuovo spazio museale all’aperto nell’area di Ponte Ghiaia: «Aemilia 187 a. C.», un percorso pedonale archeologico urbano su diversi livelli e uno spazio-laboratorio polifunzionale, gestito dall’Università di Parma, nel quale troveranno spazio circa centosettanta reperti.
Tra le altre iniziative in programma in città, si segnalano le esposizioni «Archeologia e alimentazione nell’eredità di Parma romana» (dal 2 giugno al 16 luglio), che ripercorrerà le origini della cultura alimentare parmense, e «Alla scoperta della Cisa Romana» (dall’8 ottobre al 17 dicembre), con gli esiti della ricerca archeologica sul Monte Valoria. Completano il programma il concorso per giovani illustratori, i percorsi «Parma Sotterranea» alla scoperta della città nascosta, la «Festa della storia» e il simposio internazionale (12-13 dicembre).
La rassegna farà tappa anche a Bologna, dove è in programma, al Museo civico medioevale, l’evento principale: la «mostra «Medioevo svelato. Storie dell’Emilia Romagna attraverso l’archeologia», per la curatela di Sauro Gelichi e Luigi Malnati. L’esposizione, allestita dal 24 novembre al 2 aprile 2018, si configura come un viaggio nel tempo lungo quasi un millennio, dal V secolo agli inizi del Trecento, in una regione in cui ancora oggi sono profondamente radicati i confini fisici e gastronomici tra Emilia longobarda e Romagna bizantina.
Il racconto, articolato in sei sezioni, si dipana dalle trasformazioni delle città tardoantiche all’evoluzione degli insediamenti rurali, evidenziando il potere dei nuovi ceti dirigenti (Goti, Bizantini e Longobardi) attraverso la ritualità funeraria. Dopo un’istantanea sulle città nell’alto Medioevo, profondamente ridimensionate rispetto alla vitalità dei secoli precedenti e contrapposte al dinamismo dei nuovi empori commerciali, lo sguardo si allarga alla riorganizzazione delle campagne: villaggi, castelli, borghi franchi, pievi e monasteri).
La narrazione termina ciclicamente con la rinascita delle città, studiate nella nuova fase di età comunale: Parma e Ferrara (di cui verranno esposti oggetti di straordinario valore, perché conservati nonostante la deperibilità del materiale, il legno), Rimini e Ravenna, caratterizzate da rinnovato dinamismo e Bologna, rappresentata dalla più antica croce viaria lapidea (anno 1143), recuperata nel 2013 sotto il portico della chiesa di Santa Maria Maggiore (via Galliera).
Un’ulteriore mostra, intitolata «Alle soglie della Romanizzazione: Storia e Archeologia di Forum Gallorum» (dal 7 ottobre al 13 novembre), si terrà a Castelfranco Emilia. L’esposizione, in cartellone da illustrerà la nascita e l’evoluzione dell’insediamento di Forum Gallorum con un quadro ricostruttivo sul territorio e la sua economia, passando per l’analisi dell’ideologia funeraria e religiosa, che fornirà anche validi elementi per la lettura topografica dello scenario in cui si è svolta la famosa battaglia di Mutina del 43 a.C. Nella tenuta di Villa Sorra (Gaggio in piano) è in programma anche una iniziativa dedicata ai «grani antichi e al pane», con correlate degustazioni (8 ottobre).

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cesena (FC), particolare di missorium (piatto di uso simbolico-celebrativo) in argento (diametro cm 62 peso kg 6,6) con decorazione eseguita a niello nel tondo centrale, in cui sono raffigurate scene di banchetto e della vita agiata di un possidente terriero nella tardantichità. Il prezioso reperto si data al IV sec. d.C. ma è stato recuperato a Cesena nel 1948 presso via G. Bono in un deposito databile entro la metà del VI secolo (fenomeno della tesaurizzazione, occultamento di riserve di valore in momenti di instabilità politica). Museo Civico Archeologico di Cesena; [fig. 2] Russi (RA), pozzo della villa romana. Anforetta in ceramica a rivestimento rosso (VI-VII secolo). Deposito SABAP-RA; [fig. 3] Nicolò dell'Abate, L'incontro dei triunviri Ottaviano, Antonio e Lepido, 1546, dipinto murale su tela. Modena, Palazzo Comunale, sala del Fuoco; [fig. 4] Antefisse in terracotta dal santuario di Cittanova (MO). Fine III secolo a.C.; [fig. 5] Maschera decorativa in marmo, forse bocca di una fontana, da una domus nei pressi del Foro, Reggio Emilia, prima metà I sec. d. C., Musei Civici di Reggio Emilia. Credits: Carlo Vannini

Informazioni utili
http://www.2200anniemilia.it/

venerdì 14 aprile 2017

«Viaggi nell’antica Roma», due percorsi alla scoperta dei Fori di Augusto e Cesare

Due storie, due percorsi e uno straordinaio archeoshow per conoscere la storia dell’Urbe. Ritorna il progetto «Viaggi nell’antica Roma», per l’ideazione e la curatela di Piero Angela e Paco Lanciano, con la storica collaborazione di Gaetano Capasso e della direzione scientifica della Sovrintendenza capitolina.
L’iniziativa, partita nel 2014 con il Foro di Augusto e ampliata nel 2015 con il Foro di Cesare, ha raggiunto lo scorso anno un successo straordinario con oltre 140mila spettatori, provenienti da ogni parte del mondo e con un altissimo gradimento complessivo.
Partendo da pietre, frammenti e colonne presenti, con l’uso di tecnologie all’avanguardia, gli spettatori possono andare allo scoperta dei due luoghi capitolini grazie alla voce di Piero Angela (il servizio è disponibile in otto lingue: italiano, inglese, francese, russo, spagnolo, tedesco, cinese e giapponese) e a magnifici filmati e ricostruzioni che mostrano i luoghi così come si presentavano nell’antica Roma: una rappresentazione emozionante e allo stesso tempo ricca di informazioni dal grande rigore storico e scientifico.
Lo spettacolo all’interno del Foro di Cesare è itinerante. Si accede dalla scala accanto alla Colonna Traiana e si attraversa il Foro di Traiano su una passerella realizzata appositamente.
Attraverso la galleria sotterranea dei Fori Imperiali, aperta al pubblico nel 2015, si raggiunge il Foro di Cesare e si prosegue così fino alla Curia Romana.
Il racconto di Piero Angela, accompagnato da ricostruzioni e filmati, parte dalla storia degli scavi realizzati per la costruzione di via dei Fori Imperiali, quando un esercito di millecinquecento muratori, manovali e operai venne mobilitato per un'operazione senza precedenti: radere al suolo un intero quartiere e scavare in profondità tutta l'area per raggiungere il livello dell'antica Roma. Quindi si entra nel vivo della storia partendo dai resti del maestoso Tempio di Venere, voluto da Giulio Cesare dopo la sua vittoria su Pompeo e si può rivivere l’emozione della vita del tempo a Roma, quando funzionari, plebei, militari, matrone, consoli e senatori passeggiavano sotto i portici del Foro. Tra i colonnati rimasti riappaiono le taberne del tempo, cioè gli uffici e i negozi del Foro e, tra questi, il negozio di un nummulario, una sorta di uffici cambi del tempo. All'epoca c'era anche una grande toilette pubblica di cui sono rimasti curiosi resti. Per realizzare il suo Foro, Giulio Cesare dovette espropriare e demolire un intero quartiere e il costo complessivo fu di cento milioni di aurei, l'equivalente di almeno trecento milioni di euro. Accanto al Foro fece costruire la Curia, la nuova sede del Senato romano, un edificio che ancora esiste e che, attraverso una ricostruzione virtuale, è possibile rivedere come appariva all'epoca.
In quegli anni, mentre la potenza di Roma cresceva a dismisura, il Senato si era molto indebolito e fu proprio in questa situazione di crisi interna che Cesare riuscì a ottenere poteri eccezionali e perpetui. Grazie al racconto di Piero Angela si potrà conoscere più da vicino quest’uomo intelligente e ambizioso, idolatrato da alcuni, odiato e temuto da altri.
Il racconto del Foro di Augusto parte, invece, dai marmi ancora visibili al suo interno e, attraverso una multiproiezione di luci, immagini, filmati e animazioni, il racconto di Piero Angela si sofferma sulla figura di Augusto, la cui gigantesca statua, alta ben dodici metri, era custodita accanto al tempio dedicato a Marte Ultore. Con Augusto Roma ha inaugurato un nuovo periodo della sua storia: l'età imperiale è stata, infatti, quella della grande ascesa che, nel giro di un secolo, ha portato Roma a regnare su un impero esteso dall'attuale Inghilterra ai confini con l'attuale Iraq, comprendendo gran parte dell'Europa, del Medio Oriente e tutto il Nord Africa. Queste conquiste portarono l'espansione non solo di un impero, ma anche di una grande civiltà fatta di cultura, tecnologia, regole giuridiche, arte. In tutte le zone dell'Impero ancora oggi sono rimaste le tracce di quel passato, con anfiteatri, terme, biblioteche, templi, strade.
Dopo Augusto, del resto, molti altri imperatori lasciarono la loro traccia nei Fori imperiali. Roma a quel tempo contava più di un milione di abitanti: nessuna città al mondo aveva mai avuto una popolazione di quelle proporzioni; solo Londra nell'800 ha raggiunto queste dimensioni. Era la grande metropoli dell'antichità: la capitale dell'economia, del diritto, del potere e del divertimento.
Con il mese di aprile si potenziano anche le possibilità di partecipare all’archeo-show «L’Ara come era», che porta ala scoperta dell’Ara Pacis, importante monumento romano costruito tra il 13 e il 9 a.C. per celebrare la pace instaurata da Augusto sui territori dell’impero. Grazie alla recente integrazione tra computer grafica e realtà virtuale, il percorso di visita combina riprese cinematografiche dal vivo, ricostruzioni in 3D e immersioni a 360 gradi nel luogo, il tutto spiegato dalla voce degli attori Luca Ward e Manuela Mandracchia.


Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Foro di Cesare. Foto di Andrea Franceschini; [fig. 4] Foro di Augusto. Foto di Andrea Franceschini; [fig. 5] Ara Pacis, Roma

Informazioni utili
Viaggi nell’antica Roma. Foro di Augusto, via Alessandrina tratto prospiciente Foro di Augusto e Foro di Cesare, in prossimità della Colonna Traiana – Roma. Quando: Foro di Augusto - dal 13 aprile al 30 aprile, ore 20.20 – 21.20 – 22.20; dal 1° maggio al 31 agosto, ore 21.00 – 22.00 – 23.00; dal 1° settembre al 30 settembre, ore 20.00 – 21.00 – 22.00; dal 1° ottobre al 31 ottobre, ore 19.00 – 20.00 – 21.00 – 22.00; dal 1° novembre al 12 novembre: ore 19.00 – 20.00 – 21.00 | Foro di Cesare (spettacoli ogni 20 minuti) - dal 13 aprile al 30 aprile, ore 20.20 – 22.40; dal 1° maggio al 31 maggio, ore 20.40 – 23.20; dal 1° giugno al 31 luglio, ore 21.00 – 23.40; dal 1° agosto al 31 agosto, ore 20.40 – 23.40; dal 1° settembre al 30 settembre, ore 20.00 – 23.20; dal 1° ottobre al 31 ottobre, ore 19.00 – 22.20; dal 1° novembre al 12 novembre, ore 18.20 – 22.00. Ingresso: singolo spettacolo, intero € 15,00, ridotto € 10,00 | combinato Foro di Augusto + Foro di Cesare, intero € 25,00, ridotto € 17,00 | gruppi (gruppi superiori alle dieci unità, solo per spettacoli del lunedì, martedì e mercoledì, escluse festività); singolo spettacolo € 10,00; combinato Foro di Cesare + Foro di Augusto € 17,00. Informazioni: tel. 060608 (tutti i giorni, ore 9.00 – 21.00). Sito internet: www.viaggioneifori.it - www.turismoroma.it. Dal 13 aprile al 12 novembre 2017. 

L’Ara com’era. Museo dell’Ara Pacis, Lungotevere in Augusta (angolo via Tomacelli) – Roma. Ingresso: fino al 25 marzo - venerdì e sabato, dalle ore 19.30 alle ore 24.00 (ultimo ingresso ore 23); dal 31 marzo al 15 aprile - venerdì e sabato, dalle ore 20.00 alle ore 24.00 (ultimo ingresso ore 23); dal 21 aprile al 30 ottobre - tutte le sere, dalle ore 20 alle ore 24 (ultimo ingresso ore 23); giorni di chiusura - 1 gennaio, 1 maggio, 24, 25, 31 dicembre. Ingresso: intero € 12,00; ridotto € 10,00. Informazioni: 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00) . sito internet www.arapacis.it. Dal 21 aprile al 31 ottobre 2017.



giovedì 13 aprile 2017

La Roma «zingaresca e orientale» della Raphaël in mostra a Longiano

È un omaggio a tutto tondo all’opera di Antonietta Raphaël (Kaũnas, Lituania, 1895 – Roma 1975) la mostra antologica allestita, fino al prossimo martedì 25 aprile, al Castello malatestiano di Longiano, nelle sale della Fondazione Balestra. La rassegna -curata da Giuseppe Appella, che, con Giulia Mafai, ha appena dato alle stampe il catalogo ragionato della produzione scultorea dell’artista (Allemandi, Torino 2016)- allinea un centinaio di disegni datati tra il 1925 e il 1974, quindici sculture realizzate tra 1933 e il 1971, e il corpus completo delle opere grafiche (1948–1974).
Pittrice e scultrice dal temperamento inquieto, Antonietta Raphaël è stata definita «la signora bizzarra venuta dal ghetto baltico», perché, attraverso un vibrante e corposo realismo, ha dato vita a suggestioni contraddittorie, guardando sia al sensualismo plastico di Rodin sia al primitivismo di Jacob Epstein.
Dopo essersi diplomata in pianoforte nel 1915, alla Royal Academy di Londra, l’artista lituana giunse a Roma, dove sposò nel 1935 Mario Mafai. Con il marito e con Scipione, la Raphaël fondò la Scuola di via Cavour, fulcro della futura Scuola romana, che si opponeva al novecentismo ufficiale e, quindi, era lontana dal ritorno all’ordine, dal recupero della tradizione primitiva e rinascimentale, secondo premesse già espresse dalla pittura metafisica e dal realismo sintetico di Severini.
Le prime opere pittoriche dell’artista mostrano di risentire dell’influenza di Soutine, Chagall e dei Fauves: la città e la sua veste architettonica sono tra i soggetti privilegiati dalla pittrice. In queste opere si ritrova quello che Alfredo Mezio ha definito «un romanismo contaminato da un folklore orientale». Un’espressione, questa, che trova conferma in un successivo giudizio di Alberto Moravia: «curiosamente Roma, città museo sede di cento accademie dedicate al defunto classicismo umanistico, è diventata nei dipinti della Raphaël zingaresca, orientale, evanescente». Ne danno prova opere come «Colosseo», «Passeggiata archeologica», «L’arco di Settimio Severo». Il «sapore prettamente russo», tendente all’arabesco «di gusto arcaico e popolaresco», oltre che il respiro internazionale e la portata innovatrice dell’opera dell’artista -doti oggettivamente apprezzate dalla critica- non fecero, però, la sua fortuna in campo espositivo. Forse per un eccesso di esotismo dei suoi lavori, sono, infatti, poche le mostre che la Raphaël realizzò in vita.
A partire dal 1930 l’artista lituana si dedicò intensamente alla scultura, lavorando, in grande concentrazione e solitudine, nello studio dell’amico scultore Ettore Colla. «Miriam che dorme» e «Simona col pettine» risalgono a quegli anni e in esse si può verificare l’estraneità dell’artista dalla scultura italiana del tempo. In questa fase i suoi riferimenti sono piuttosto Maillol e la plastica francese, da Bourdelle e Despiau.
Per chi volesse saperne di più sulla produzione scultorea dell’artista oggi è anche disponibile un catalogo ragionato, frutto di una lunga ricerca tra fonti sparse ed eterogenee: fotografie, diapositive, cataloghi, lettere, diari a altri documenti. Questi preziosi quanto caotici materiali, rintracciati negli archivi di famiglia e in numerosi musei, istituzioni, gallerie, collezioni e archivi privati, chiariscono definitivamente dubbi e incongruenze relative a datazioni e attribuzioni. Dalla visione totale dell'opera emerge chiaramente come Raphaël sia stata una delle artiste più importanti del Novecento.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Gatto, 1940, inchiostro; [fig. 2] Nudo, 1967, inchiostro acquarellato; [fig. 3] Donna del popolo con bambino, 1956, gesso

Informazioni utili
Antonietta Raphaël - Disegni, sculture, dipinti e opere grafiche 1925-1974. Castello Malatestiano, piazza Malatestiana, 1 - Longiano (FC). Orari: dal martedì alla domenica e i giorni festivi, ore 10.00-12.00 e 15.00-19.00. Ingresso: intero € 7,00, ridotto (over 65 anni, docenti, gruppi 10 persone min., convenzioni) € 5,00, ridotto speciale studenti € 3,00, gratuito per under 13 anni accompagnati, disabili e accompagnatori, giornalisti, residenti nel Comune di Longiano. Informazioni: tel.0547.665850. Sito internet: www.fondazionetitobalestra.org. Fino al 25 aprile 2017. 

mercoledì 12 aprile 2017

«Una commedia in cerca di autori», un concorso under 40

«Dove non c’è umorismo non c’è umanità», diceva Eugene Ionesco. Con questo spirito «La Bilancia Produzioni», realtà che gestisce il teatro Martinitt di Milano e il teatro de’ Servi di Roma, lancia la quinta edizione del concorso nazionale «Una commedia in cerca di autori». Il contest, il cui termine ultimo di consegna dei materiali è fissato per lunedì 24 aprile, è rivolto alle giovani e talentuose penne italiane tra i 18 e 40 anni (ovvero ai nati tra il 1977 e il 1999).
«L’intento -spiegano gli organizzatori- è di dare una sferzata a un filone, quello della commedia brillante contemporanea, che spesso in Italia risulta assente o poco presente nei teatri, nelle scuole e nei laboratori di recitazione, propensi piuttosto a replicare, riformulare e reinterpretare i classici antichi e moderni».
La commedia è, invece, un genere virtuoso, di tutto rispetto, che ha radici profonde nella cultura italiana e che non va confuso, come spesso accade, con i film da botteghino. «Lieve ma impegnato, senza tempo eppure attuale, leggiadro ma spietato, sfacciato eppure sottile», questo genere teatrale usa, infatti, il linguaggio comico e ironico per fotografare con spiazzante lucidità e sondare in profondità qualsiasi tema, anche il più scomodo e delicato.
Sdrammatizzando, la commedia crea così una forte empatia con gli spettatori, «entra chiassosa nella loro quotidianità, -spiegano dalla società «La Bilancia Produzioni»- li invita a riflettere, ne scuote l’emotività, ma poi li salva regalando del sano, terapeutico divertimento».
Dopo «Solo sei bottiglie» di Federico Basso, «Ti presento papà» di Giuseppe Della Misericordia e «Il capo dei miei sogni» di Sara Palma e Daniele Benedetti, e mentre è in scena l’applaudita commedia «Bedda Maki» di Marco Di Stefano e Chiara Boscaro, che sta riscuotendo un ottimo successo di critica e di pubblico, ritorna, dunque, a far parlare di sé il concorso che cerca testi inediti e giovani penne di talento under 40, residenti in tutte le Regioni d’Italia, iscritti e no alla Siae.
Premio per il copione vincitore sarà la produzione dello spettacolo (scelta di attori, regista, scenografo, costumista, musicista sono a carico della società «La Bilancia Produzioni»), con una tournée in giro per l’Italia in oltre cinquanta piazze, realizzata grazie alla collaborazione di varie sale teatrali ubicate sul territorio nazionale, tra cui il Manzoni di Busto Arsizio, e che in questa edizione vede anche il sostegno di Torino Spettacoli e di Claps Spettacolo dal vivo.
Oggetto del concorso è la creazione di una commedia brillante in due atti, con tre o cinque attori, e non più di due ambientazioni. I concorrenti dovranno consegnare il proprio copione su supporto cartaceo e digitale, attraverso raccomandata spedita all’indirizzo del teatro Martinitt di Milano o a mano alla biglietteria del teatro, in via Riccardo Pitteri 58, entro le ore 18.00 del 24 aprile 2017. Tutti i dettagli del bando sono consultabili sulla piattaforma www.commedieitaliane.it. Per ulteriori informazioni è possibile contattare Viviana Gagliardi ai numeri 02.36580013 o 02.36580014 o all’indirizzo e-mail info@teatromartinitt.it.
Continua nel frattempo la tournée del testo che ha vinto lo scorso anno: «Bedda Maki – Come reSUSHItare il ristorante e vivere felici» di Chiara Boscaro e Marco Di Stefano. Lo spettacolo, per la regia di Roberto Marafante, sarà in cartellone venerdì 21 aprile, alle ore 21, al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio (biglietti da € 30,00 a € 23,00, in vendita al botteghino da venerdì 14 aprile). Cinque giovani e talentuosi attori professionisti -Roberta Azzarone, Caterina Gramaglia, Franco Mirabella, Lorenzo Parrotto e Arturo Scognamiglio- porteranno il pubblico tra i tavoli del ristorante «La Tonnara di Toni», un locale siciliano a Milano che, per sconfiggere la crisi, cerca di trasformarsi in un’azienda di ristorazione particolarmente all’avanguardia, dove i capisaldi della gastronomia isolana vengono trasformati in piatti sushi-fusion.
Con uno stile comico e fluido, lo spettacolo porta il pubblico alla scoperta di tanti temi attuali: dai «problemi mai risolti tra il nostro nord e il nostro sud» alla crisi delle attività commerciali, dalla «spasmodica ricerca del nuovo ‘a tutti i costi’» all’improbabile culto del mondo degli chef e molto altro.
Per maggiori informazioni sulla programmazione del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.

Per saperne di più
www.commedieitaliane.it

martedì 11 aprile 2017

«Senso 80», Flavio Favelli interpreta l’Albergo Diurno Venezia

Si intitola «Senso 80» il progetto site specific studiato da Flavio Favelli per il suggestivo spazio dell’Albergo Diurno Venezia a Milano. L’artista ha creato su invito del Fai – Fondo per l’ambiente italiano un percorso in relazione all’architettura e agli spazi dell'ambiente partendo dagli elementi originali che ne hanno tracciato in modo profondo la poetica e la sua inconfondibile atmosfera.
Gli arredi così come i servizi e l’illuminazione, svelati nelle cartoline storiche del Diurno, ci riconducono alla sua funzione e alla sua essenza di luogo animato da uno spirito di cura del corpo e dell’anima.
Vedendo le immagini fotografiche degli anni Venti e Trenta del celebre bagno pubblico milanese, l’artista è rimasto colpito soprattutto dal gruppo di arredi collocati nella parte centrale del salone, oggi dispersi. Si trattava di quattro spazi con divani a forma circolare e di alcuni tavoli con sedie e lampade, per leggere, scrivere e conversare. Favelli ha deciso di ricostruire queste isole-divanetti e i volumi originali del salone con quattro installazioni, sculture in forme di assemblaggio e collage di vari materiali come mattonelle di graniglia, parti di mobilio e specchi. Il risultato è una reinterpretazione che intende essere fedele e insieme artificiale.
Anche la luce diventa un tema importante.
Il Diurno esibisce in alcuni punti i neon, senza alcuna copertura e questa luce fredda diventa parte dell’opera d’arte. Il progetto si chiude nei corridoi dell’Albergo con una serie di insegne luminose, le cui immagini, colori, grafie mischiate e sovrapposte, risultano difficilmente comprensibili e quasi indefinite, ma qui posizionate per evocare la presenza di varie attività commerciali in passato attive in questo luogo : «Al Diurno si trova ancora incollato qualche adesivo di pubblicità - racconta l’artista- ci sono le insegne di plastica delle Ferrovie dello Stato e dei negozi, ad esempio il Barbiere Manicure, ed è proprio questo, per molti marginale rispetto al fascino intrinseco del luogo, che io invece trovo interessante. Il Diurno era come un aeroporto, come una micro città che serviva solo per l’uomo e la donna moderna (la bellezza, l’acconciatura, le terme, i viaggi…) era un luogo super artificiale». 
 L’allestimento intende suggerire una lettura originale di ciò che c’era e non c’è più, usando la ricostruzione di parte degli arredi, apparentemente formale ma in realtà concettuale, e l’assemblaggio di vari materiali, stili e oggetti, per approdare all’evocazione di una memoria storica e affettiva e per restituire un’idea di narrazione che ben esprime la natura e la vocazione di questi spazi, intrisi di umanità e passato. Il rapporto che Favelli crea con i luoghi, espressione di una memoria propria, è un tema centrale nel suo lavoro e nella sua poetica. Così come emerge dal recente lavoro realizzato nella casa di Bologna dove la madre dell’artista ha vissuto negli ultimi vent’anni: un’opera-ambiente che parla di una storia intima, di affetti e della memoria, caratterizzata dalla presenza e dalla convivenza di elementi che testimoniano un passato non troppo lontano ma in disuso e di nuove strane presenze, a volte ingombranti, che celebrano lo spirito di quegli ambienti attraverso wall painting realizzati sui muri della casa.

Informazioni utili
«Senso 80». Flavio Favelli interpreta l’Albergo Diurno Venezia. Albergo Diurno Venezia, Piazza Oberdan – Milano. Orari: dal giovedì alla domenica, dalle ore 12 alle ore 19.30. Ingresso libero. Sito internet: www.flaviofavelli.com. Fino al 14 maggio 2017.

lunedì 10 aprile 2017

«Bedda Maki», tutto il gusto di una commedia da premio

«Tra pupi e kabuki, tra arancino e sushi, una commedia gastronomica in salsa nipponico-sicula, imperdibile e tutta da gustare». È così che la Bilancia Produzioni presenta lo spettacolo «Bedda Maki – Come reSUSHItare il ristorante e vivere felici», per la regia di Roberto Marafante, in agenda al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio nella serata di venerdì 21 aprile, alle ore 21.
La commedia, inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», è l’ottavo e ultimo appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Stefania Sandrelli a Sebastiano Somma, da Anna Galiena a Enzo Decaro.
Il testo drammaturgico, scritto da Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, ha vinto la quarta edizione del concorso «Una commedia in cerca d'autori», con il quale la sala di via Calatafimi prosegue la propria collaborazione con la Bilancia Produzioni, realtà che gestisce il teatro Martinitt di Milano e il teatro de’ Servi di Roma, e con altre sale di comunità del territorio come il cine-teatro Cristallo di Cesano Boscone, la Sala Argentia di Gorgonzola e il teatro San Rocco di Seregno.
Con uno stile comico e frizzante, lo spettacolo porta il pubblico alla scoperta di tanti temi attuali: dai «problemi mai risolti tra il nostro nord e il nostro sud» alla crisi delle attività commerciali, dalla «spasmodica ricerca del nuovo ‘a tutti i costi’» all’improbabile culto del mondo degli chef, dalla solidità della cucina italiana Doc alle tendenze fatue del food che strizzano l’occhio alle mode enogastronomiche del resto del mondo.
Sul palco saliranno cinque giovani e talentuosi attori professionisti -Roberta Azzarone, Caterina Gramaglia, Franco Mirabella, Lorenzo Parrotto e Arturo Scognamiglio- che porteranno gli spettatori tra i tavoli di un ristorante siciliano a Milano, «La tonnara di Toni», che, dopo aver deliziato per decenni il palato dei milanesi, viene soppiantato nel cuore dei suoi clienti dallo street food e dalla cucina fusion (e anche un po’ illusion): arancini al ragù e parmigiana di melanzana, tutti rigorosamente fritti, sembrano avere, infatti, fatto il loro tempo.
Il proprietario deve trovare centomila euro per pagare i debiti oppure sarà costretto a chiudere per sempre i battenti. La cameriera Maria e il figlio Calogero, sbarbatello dall’aria spavalda con una fidanzata brianzola borghese e un po’ snob, cercano di aiutarlo e, per sconfiggere la crisi, provano a trasformare il locale in un’azienda di ristorazione particolarmente all’avanguardia, capace di attrarre la movida meneghina, in cui i capisaldi della gastronomia isolana vengono trasformati in ricette sushi-fusion. Il piatto forte? Il Bedda Maki: melanzana fritta al posto dell’alga, riso, ripieno di tartare di tonno, cuore di pistacchio allo zafferano.
Anche il look del locale viene svecchiato. Le obsolete decorazioni polverose vengono sostituite con fiori di loto, lanterne e paraventi. Tutto è pronto, ma per far decollare nuovamente gli affari bisogna far sapere ai milanesi di questo grande cambiamento e il modo più semplice e veloce sono i social network. Star indiscussa del momento, in ambito di tendenze culinarie, è il food blogger Yannis Beretta. Sarà lui a recensire il locale. Toni e Maria riusciranno ad illuderlo?
«Tra travestimenti, dichiarazioni d’amore inaspettate, equivoci, scontri generazionali, hipster, twitter, finte disquisizioni estetiche e vere risate», la stagione 2016/2017 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio si chiude, dunque, con uno «spettacolo giovane, frizzante e gustoso», che lancia anche la nuova edizione, la quinta, del concorso nazionale «Una commedia in cerca d'autori».
Il contest, la cui consegna dei materiali è fissata per il 24 aprile, è rivolto alle giovani e talentuose penne italiane tra i 18 e 40 anni. «L’intento -spiega La Bilancia Produzioni- è di dare una sferzata a un filone, quello della commedia brillante contemporanea, che spesso in Italia risulta assente o poco presente nei teatri, nelle scuole e nei laboratori di recitazione, propensi piuttosto a replicare, riformulare e reinterpretare i classici antichi e moderni». Premio per il testo vincitore è la produzione dello spettacolo, con una tournée in giro per l’Italia. Tutti i dettagli del bando sono consultabili sulla piattaforma www.commedieitaliane.it.


Informazioni utili
«Bedda Maki – Come reSUSHItare il ristorante e vivere felici». Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Quando: venerdì 21 aprile 2017, ore 21.00. Ingresso: € 30,00 per la poltronissima, € 26,00 (intero) o € 24,00 (ridotto) per la poltrona, € 25,00 (intero) o € 23,00 (ridotto) per la galleria; le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Botteghino: la prevendita dei biglietti avrà inizio da venerdì 14 aprile 2017 e si terrà dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Informazioni: cell. 339.7559644 o tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì). Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.

venerdì 7 aprile 2017

Val di Non, Castel Valer apre le porte al pubblico

Chi non ha mai sognato di vedere un antico castello? Ma di vederlo proprio così come è in un film o come lo si immagina leggendo un libro. Autentico, non ricostruito o inventato da uno scenografo o da uno scrittore. Entrare, visitarlo, osservare da vicino la sua storia, provare a immaginare alcune scene che lo hanno animato nel corso di secoli: incontri, banchetti, danze, combattimenti, scene di vita quotidiana. Per quanto, tuttavia, si abbia il desiderio di poterlo fare sembra impossibile perché il tempo scorre, i proprietari cambiano, le dimore antiche mutano, e, piano piano, la loro identità ed evoluzione si disperdono e si sfaldano in restauri, vendite, ricollocazioni molto spesso improbabili delle cose, ammodernamenti.
In Val di Non, terra di meli e di castelli, è, però, avvenuto un piccolo miracolo: nel comune di Ville d’Ananunia, c’è un castello con nove secoli di vita che è rimasto felicemente fedele alla sua eredita storico-artistica e che dal 7 aprile sarà visitabile. Si chiama Castel Valer e in questa antica dimora –composta di ottantotto sale e stanze - tutto è stato perfettamente conservato, nulla si è disperso e, secolo dopo secolo, le sue sale abitate dal 1368 da un’unica famiglia hanno mantenuto viva non solo la loro storia, ma tutto ciò che le riempie: mobili, opere d’arte, oggetti di uso quotidiano, suppellettili, armi, documenti, tappeti, arazzi. Lo stesso vale per le camere, le cucine, i corridoi e tutte le altre aree. Senza tralasciare, naturalmente la bellezza e l’imponenza della struttura architettonica che, tra gli altri elementi fuori dal comune, vanta anche il primato di possedere la torre più alta dell’intera provincia (quaranta metri).
La famiglia da cui è abitato senza interruzioni dal 1368 è quella dei conti Spaur che da una zona apparentemente lontana dalla grande storia europea ha avuto una posizione di spicco nelle vicende del Tirolo, dell’Impero austro-ungarico, della Baviera e di altre corti della Mitteleuropa. Anche per questo, con passione, caparbietà ed encomiabile senso del valore dell’eredità di un luogo, intesto non solo come spazio privato, ma come palinsesto della storia del suo territorio, ha rispettato il maniero conservandolo perfettamente, mentre lo stava -e lo sta- abitando.E il dato straordinario di Castel Valer è proprio il fatto che tutto quello che è, internamente ed esternamente, non è frutto di un processo asetticamente museale, ma è legato organicamente alla sua evoluzione nei secoli, alla storia degli Spaur e alla loro quotidianità.
Per capire meglio quanto sia unico questo evento vale la pena di dare uno sguardo alla storia della dimora: le prime notizie che la riguardano datano l’anno 1211 quando fungeva da guardia militare. Le serie successive di cinte murarie risalgono al XIV (Castel di sotto) e al XVI (Castello di sopra) secolo. E solo questi due dati possono essere sufficienti a far capire quanto sarà emozionante varcare la soglia del maniero trentino. Sarà come fare davvero un viaggio nel tempo e attraversare le aree accessibili permetterà quasi di ripercorrere i passi dei nobili Spaur, oltre che dei loro ospiti, e di veder scorrere davanti agli occhi una parte della storia dell’Europa. Il pubblico potrà visitare, infatti, la cappella di San Valerio, la sala dei cavalli, il ponte, il cortile, i giardini, la cantina, il salone degli stemmi, la cucina gotica e gli studi adiacenti, la loggia e loggiato e le camere madruzziane. Dal 2017, sarà, inoltre, possibile anche fare richiesta di parte del castello per eventi privati in alcune aree.
Come è potuto accadere? Anche questo è un piccolo miracolo. In Val di Non, infatti, pubblico e privato si sono incontrati e questo incontro ha visto interagire il conte Ulrico Spaur e l’Azienda per il Turismo della Val di Non, con il comune intento di trovare una nuova dimensione di vita e di apertura sul mondo per uno dei castelli meglio conservati, nella fedeltà alla sua storia dei suoi nove secoli, di tutto l’arco alpino, e, forse, dell’Europa continentale. E grazie all’accordo tra proprietà e Azienda per il Turismo, per la prima volta in assoluto in Trentino, un sito culturale privato sarà valorizzato da un ente preposto alla promozione turistica del territorio, mediante l’organizzazione e la gestione delle sue aperture al pubblico, degli eventi ad esse legati, di tutte le attività di biglietteria, degli interventi delle guide e dell’intera parte logistica.
Menzione speciale anche alle guide che accompagneranno i visitatori: il gruppo di persone che si alterneranno nel corso dei giorni di apertura sarà costituito da laureati in Conservazione dei beni culturali e da giovani residenti in Val di Non, formati specificamente dalla Soprintendenza ai beni storico-artistici della provincia di Trento. L’apertura di Castel Valer non sarà, quindi, solo una bella esperienza per i suoi visitatori, ma offrirà anche nuove opportunità professionali a giovani e neo-laureati. E non poteva che essere così. Ogni castello che si rispetti deve fare da sfondo a una storia a lieto fine.

Informazioni utili
Castel Valer - Ville d’Ananunia (Trento). Note: Il castello sarà visitabile ogni mese, escluso novembre, per un numero variabile dalle sei alle otto giornate, con sei visite quotidiane; a luglio e agosto le visite saranno giornaliere. Ingresso (con visita guidata): € 10,00. Informazioni: APT Val di Non, tel. 0463.830133 o info@castel-valer.com. Sito internet: visitcastelvaler.it o www.visitvaldinon.it.

giovedì 6 aprile 2017

Venezia, Loris Cecchini in mostra a T Fondaco dei Tedeschi

Non solo centro dello shopping deluxe, ma anche luogo dove apprezzare le più recenti ricerche dell’arte contemporanea: si presenta così T Fondaco dei Tedeschi, il nuovo lifestyle department store di Dfs – Duty Free Shopper nel cuore di Venezia.
L'edificio, fondato nel XIII secolo per accogliere i commerci e le attività dei tedeschi che arrivavano in città, è stato distrutto da un incendio nel 1505 per essere, quindi, ricostruito e riaperto a tempo di record nel 1508.
A inizio dell’Ottocento lo stabile è stato trasformato in dogana voluta da Napoleone e, a partire dal 1870, è stato adibito a ufficio postale (la scritta Telecomunicazioni rimane sulla calle, come segno di rispetto del passato).
Oggi, dopo otto anni di chiusura e tre di cantiere che hanno visto all’opera l’architetto e urbanista Rem Koolhaas, il «Fontego» si presenta come un polo del lusso articolato su oltre settemila metri quadrati; il quarto piano, l’ultimo, è dedicato ai progetti culturali grazie alla crezione dell’Event Pavilion.
Dopo il successo di pubblico ottenuto dall’opera «Under Water» di Fabrizio Plessi, questo spazio si rinnova con un allestimento, curato da Hervé Mikaeloff, altrettanto suggestivo, che offrirà ai visitatori l’opportunità di un’immersione totale nell’opera e nella particolare atmosfera creata da Loris Cecchini. Presente di recente alle Biennali di Venezia e di Shanghai, l’artista si è fatto apprezzare sulla scena internazionale dell’arte contemporanea all’inizio degli anni 2000, grazie alle sue grandi installazioni che si collocano al crocevia tra scultura, architettura e dimensione organica e che confondono le percezioni dello spettatore per stimolarne l’immaginario.
L’installazione site-specific «Waterbones», presentata al T Fondaco dei Tedeschi e composta da migliaia di sottili moduli di acciaio assemblati l’uno all’altro, si inserisce nella sua serie di opere delicate e naturali, sospese tra costruzione e decostruzione.
Appoggiata alle pareti o appesa al soffitto vetrato del padiglione collocato all’ultimo piano del T Fondaco, la forma organica realizzata da Cecchini contamina l’intero spazio e gioca con la gravità, interagendo con l’architettura e creando un effetto tridimensionale, al contempo naturale e artificiale, statico e dinamico. I moduli di «Waterbones» possono essere assemblati all’infinito e combinarsi in innumerevoli modi, richiamando alla mente gli algoritmi matematici alla base della natura. Così l’installazione costituisce una metafora biologica straniante, ai confini tra scienza ed estetica: un punto di contatto tra narrazione poetica e produzione industriale.
In questa osmosi espressiva creata tra le forme biologiche e la struttura architettonica, Cecchini mette in scena un mondo in equilibrio tra realtà e finzione, che interroga la natura stessa della materia. «Vorrei che lo spazio dell’opera rimanesse quello del miraggio e si collocasse da qualche parte tra delirio e realtà, astrazione e utilità, sospensione e materialità», dichiara l’artista, invitando l’osservatore a perdersi nella moltitudine di realtà su cui si aprono le infinite possibili interpretazioni di questi frammenti di natura fluttuanti e sospesi in una dimensione concreta ed evanescente al tempo stesso.

Informazioni utili
«Waterbones» - Personale di Loris Cecchini. T Fondaco dei Tedeschi, Calle del Fontego dei Tedeschi, Ponte di Rialto - Venezia. Orari: tutti i giorni, 10.00-20.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 041.3142000. sito internet: https://www.dfs.com/en/venice/stores/t-fondaco-dei-tedeschi-by-dfs?cid=seo-yextfb-yext. Dal 7 aprile al 27 novembre 2017.

mercoledì 5 aprile 2017

Al Mudec una settimana all’insegna del design

È ormai riconosciuta come la più importante manifestazione al mondo per il settore del disegno industriale e dell’arredamento. Stiamo parlando della Milano Design Week che fino a domenica 9 aprile animerà ben undici distretti della città di Milano. L’iniziativa è composta da due ‘anime’ principali: il Salone del Mobile a Rho, fiera rivolta principalmente agli addetti ai lavori, e il Fuori Salone, una serie di eventi autonomi dedicati al design, che vanno dal carillon del britannico Lee Broom in Stazione centrale agli orsi di Paola Pivi per le vetrine della Rinascente.
Tra gli eventi da non perdere ci sono quelli promossi dal Mudec – Museo delle culture in zona Tortona. All’esterno dell’edificio sarà visibile fino al 9 luglio l’«Albero stilematico» dell’architetto Alessandro Mendini, ispirato al linguaggio figurativo di Kandinskij.
La struttura site-specific è costituita da un palo d’acciaio alto sei metri, attorno al quale si collocano sette stilemi con sette colori per un totale di trenta decori. Il totem, che mostra i tratti distintivi e il linguaggio ispirato dai segni e dai colori che tanto ha caratterizzato l’artista russo, è un omaggio alla complessità simbolica che spesso si cela nell’oggetto più semplice e comune.
La collaborazione quarantennale che Alessandro Mendini ha con la società Abet Laminati, che lo supporta da sempre nelle sue architetture coloratissime con i propri materiali laminati, ha permesso anche questa volta di creare un connubio virtuoso tra impresa privata e artista a favore dell’arte e del design.
La piazza del museo è animata anche da una spettacolare installazione site-specific ideata dal brand Qeeboo. Da una lastra di specchio emergono squali, portaombrelli-contenitori di invenzione del duo Studio Job; a presidiarli ci sono due imponenti guardiani-gorilla creati da Stefano Giovannoni: una lampada da terra in polietilene con braccio-proiettore orientabile.
In occasione del Fuorisalone 2017 il Design Store del Mudec si colora, inoltre, di materiali e forme dall’estetica giocosa e libera, uniti sotto il comune denominatore del tema del circo. Da sempre mondo affascinante perché alla rovescia, in cui le regole della società non esistono e dove la verità e la magia si confondono. Un mondo senza regole che ha però le sue linee estetiche. Le geometrie che rivestono i tendoni e gli ambienti alternano triangoli e righe. Il bianco, giallo, rosso e blu sono i suoi colori. Oro e argento e giochi di luci animano lo show.
«Circus Show» è il titolo di questo allestimento primaverile, annunciato dalle grandi lettere di metallo con lampadine e dalle scimmie di Marcantonio Raimondi Malerba arrampicate negli angoli dello store, entrambe prodotte da Seletti. La linea «Circus» di Alessi, ideata dal designer Marcel Wanders, richiama la geometria e i colori circensi. I coperchi dei barattoli diventano tendoni e i vassoi in metallo smaltato sono palchi su cui si esibiscono i rituali quotidiani. Le porcellane raffinate di Lladrò trasformano una classica lampada con paralume in un pagliaccio dall’ampio cappello. Statuette di acrobati e ballerine dipinte a mano danzano sui tavoli dello store. Ad impreziosire l’esposizione, le splendide ceramiche del laboratorio milanese Paravicini: la serie di piatti serigrafati illustra trapezisti sospesi nel vuoto, scimmie e orsi da circo, creando una parade di personaggi.
Le sedute «Rabbit» di Stefano Giovannoni e gli sgabelli «Tab.u» di Bruno Rainaldi rigorosamente gold diventano sculture specchianti.
Il design del circo si esprime attraverso soggetti e personaggi, dove oltre alla funzionalità entrano in gioco aspetti emozionali e comunicativi. È un design di superficie, in cui dominano la decorazione e il colore.
infine, il Mudec Bistrot ospita, durante la settimana del Fuorisalone, «Carta in luce», una serie di lampade di design in carta e cartone riciclati selezionate dall’osservatorio «L’altra faccia del macero». Sono le mille vite della carta, su cui Comieco fa riflettere il visitatore grazie a questo allestimento in cui carta e cartone sono protagonisti assoluti.

Informazioni utili 
Fuori Salone al Mudec. Mudec - Museo delle culture, via Tortona, 56 – Milano. Orari: martedì, mercoledì, venerdì e domenica, ore 9.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Sito internet: http://www.mudec.it/ita/. Fino al 9 aprile 2017.

martedì 4 aprile 2017

Lugano, David Bowie visto da Masayoshi Sukita

Trentotto immagini che parlano di un’amicizia, quella tra David Bowie e Masayoshi Sukita: si potrebbe riassumere così la mostra «Heros» che l’azienda ThinkDesign propone, in prima nazionale svizzera, negli spazi della galleria d’arte Dip contemporary art di Lugano, inaugurata nel 2016 per volontà di Michela Negrini.
L’artista londinese e il maestro giapponese della fotografia, uno dei più importanti della scena cinematografica e musicale di New York, si conobbero nel 1972 dopo un concerto; all’epoca la superstar britannica, camaleonte del pop che ha influenzato lo stile per diverse generazioni, era nel suo periodo «Ziggy Stardust» e già stregava il pubblico col suo carisma ineguagliato. Ad assediarlo c’erano centinaio di fotografi e giornalisti. «Quando toccò a me – ricorda Masayoshi Sukita- ho pensato semplicemente: stappiamo una bottiglia di vino e rilassiamoci». Nacque così un’amicizia durata oltre quarant’anni, che nel corso dei decenni si è palesata in immagini uniche ed estremamente personali.
Masayoshi Sukita non solo immortalò in maniera molto personale le innumerevoli metamorfosi di David Bowie, creando tra l’altro la leggendaria copertina dell’album «Heros», ma fino alla prematura morte dell’artista lo seguì anche in momenti molto privati nei quali, privo di trucco e abiti di scena, appare estremamente avvicinabile e vulnerabile. L’artista poté, infatti, godere di una vicinanza con Bowie che la superstar non concesse mai a nessun altro fotografo.

La mostra fotografica di Lugano presenta, inoltre, David Bowie in tutta la sua capacità di metamorfosi come una delle più grandi icone pop del secolo e come persona colta nella sua quotidianità, lontano da qualsiasi eccentricità.
«Bowie era una persona profonda, e io lo mostro in tutte le sue sfaccettature», afferma Sukita aggiungendo: «in ogni sua fase è stato sempre completamente se stesso».
Lo stilista John Richmond, che oltre a Bowie ha vestito e veste Mick Jagger, Rod Stewart e altre icone della musica, impreziosisce l’evento con la sua nuova collezione realizzata in collaborazione con il marchio Mantero. L’esposizione si concluderà con uno spettacolare omaggio a Bowie al Casinò di Campione d’Italia, che rivisiterà varie pietre miliari della vita dell’artista. 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] © Photo by Sukita, Watch That Man III, 1973; [Fig. 2] © Photo by Sukita, Starman, 1973

Informazioni utili 
«Heros». Galleria d’arte Dip contemporary art, via Dufour, 21 (ang. Via Vanoni) - 6900 Lugano (Svizzera). Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 10.30 alle ore 18.30. Ingresso libero. Imformazioni: info@dipcontemporaryart.com, tel. +41 (0)919211717. Siti internet: http://think-design.ch/david-bowie-lugano/ o http://dipcontemporaryart.com. Fino al 26 aprile 2017.