ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 26 maggio 2017

Vivian Maier, una fotografa da scoprire

La vita e l’opera di Vivian Maier sono circondate da un alone di mistero che ha contribuito ad accrescerne il fascino. Tata di mestiere, fotografa per vocazione, l’artista americana non ha mai abbandonato la sua macchina fotografica, una Rolleiflex, con la quale ha scattato, tra il 1950 e il 1990, centinaia di migliaia di fotografie in giro per il mondo, dalla Francia agli Stati Uniti. Questi lavori sono rimasti a lungo sconosciuti fino a quando, nel 2007, John Maloof, all’epoca agente immobiliare, acquistò durante un’asta parte dell’archivio di Vivian Maier, confiscato per un mancato pagamento. Capì subito di trovarsi di fronte a un tesoro prezioso e iniziò a ricercare altro materiale sull’artista, arrivando ad archiviare oltre 150.000 negativi e 3.000 stampe.
Una selezione di questi scatti è in mostra fino al 18 giugno al Museo di Roma in Trastevere e farà, quindi, tappa al Palazzo Ducale di Genova, dove sarà visibile dal 23 giugno al 24 settembre. La curatela della rassegna è di Anne Morin e Alessandra Mauro. Si tratta di centoventi fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni Settanta, oltre ad alcuni filmati in super 8 che mostrano come Vivian Maier si avvicinasse ai suoi soggetti.
Figura imponente, ma discreta, decisa e intransigente nei modi, l’artista ritraeva le città dove aveva vissuto, New York e Chicago, con uno sguardo curioso, attratto da piccoli dettagli, dai particolari, dalle imperfezioni ma anche dai bambini, dagli anziani, dalla vita che le scorreva davanti agli occhi per strada, dalla città e i suoi abitanti in un momento di fervido cambiamento sociale e culturale.
I suoi incredibili scatti in bianco e nero sono, dunque, uno straordinario specchio della società americana, ritratta nella quotidianità del Dopoguerra con l’abilità e il talento che un buon street photographer deve possedere: un occhio per il dettaglio, per la luce e la composizione, un tempismo impeccabile, un atteggiamento partecipe e umano verso gli altri e un’instancabile capacità di continuare a scattare per riuscire a cogliere ogni istante.
È già difficile trovare tutte queste qualità in un fotografo professionista che dispone di una buona preparazione e vive a contatto con colleghi e mentori, ed è ancora più raro trovarle in una persona priva di formazione specifica e senza una rete di relazioni professionali. Vivian Maier, invece, possedeva queste doti. Le sue sono immagini straordinarie, di ampio respiro e di ottima qualità, che raccontano con ironia, sensibilità e dinamismo le mille sfaccettature della vita urbana americana.
Osservando il corpus fotografico spicca la presenza di numerosi autoritratti, quasi un possibile lascito nei confronti di un pubblico con cui l’artista non ha mai voluto o potuto avere a che fare. Il suo sguardo austero, riflesso nelle vetrine, nelle pozzanghere, la sua lunga ombra che incombe sul soggetto della fotografia diventano un tramite per avvicinarsi al suo lavoro, che non è mai pubblicato quando era in vita.
Come scrive, infatti, Marvin Heiferman: «Vivian Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo». Vivian Maier è, dunque, un caso estremo di riscoperta postuma: «ciò che visse coincise esattamente con ciò che vide. Non solo era sconosciuta in ambito fotografico – scrive Geoff Dyer- ma sembra addirittura che nessuno l’abbia mai vista scattare fotografie. Può sembrare triste e forse anche crudele -una conseguenza del fatto che non si sposò, non ebbe figli e apparentemente nessun amico- ma la sua vicenda rivela anche molto su quanto sia grande il potenziale nascosto di tanti esseri umani». Come scrive Wisława Szymborska, nel poema «Census», a proposito di Omero, «Nessuno sa cosa faccia nel tempo libero».

Didascalie delle immagini
[Fig.1] New York, 10 settembre, 1955.© Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery; [fig. 2] New York.7. New York, 1954.© Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery; [fig. 3] New York.Senza titolo, senza data.© Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York.

Informazioni utili
Vivian Maier. Museo di Roma in Trastevere, piazza di Sant’Egidio, 1/b - Roma. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-20.00, chiuso lunedì e il 1° maggio; la biglietteria chiude alle ore 19.00. Ingresso: intero € 9,50, ridotto € 8,50. Informazioni: tel. 060608. Sito web: www.museodiromaintrastevere.it. Fino al 18 giugno 2017.  

Vivian Maier. Palazzo Ducale, piazza Matteotti, 9 - Genova. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-19.00; lunedì chiuso. Ingresso: Open € 12,00; intero € 10,00; ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 010.9280010 o biglietteria@palazzoducale.genova.it. Dal dal 23 giugno al 24 settembre 2017. 

giovedì 25 maggio 2017

«Dialoghi sull’uomo», a Pistoia tre giorni di appuntamenti sulla cultura

Compie otto anni «Pistoia – Dialoghi sull’uomo», festival di antropologia del contemporaneo, ideato e diretto da Giulia Cogoli, che da venerdì 26 a domenica 28 maggio porterà nella città toscana, scelta per il 2017 quale Capitale italiana della Cultura, venticinque incontri di profilo internazionale, rivolti a un pubblico intergenerazionale, sempre alla ricerca di nuovi strumenti per comprendere la realtà di oggi.
«La cultura ci rende umani. Movimenti, diversità e scambi» è il tema scelto per questa edizione della manifestazione che sarà inaugurata da una lezione magistrale di Salvatore Settis a partire dal libro «Cieli d’Europa» (venerdì 26 maggio, dalle ore 17.30, in piazza Duomo), appena pubblicato per i tipi di Utet. Lo studioso, attualmente presidente del consiglio scientifico del Louvre di Parigi, parte dal presupposto che siamo ormai incapaci di convivere con il nostro passato, al quale guardiamo spesso solo con nostalgia o disagio. Questo comporta uno scenario difficile: le distruzioni intenzionali di opere d’arte, l’incuria che affligge monumenti e paesaggi, il declino delle città storiche e il diffondersi dei ghetti urbani sono segnali di una crisi che non è solo economica e politica, ma anche culturale. L’esercizio creativo del pensiero critico diventa così l’unica cosa che può consentirci di comprendere i processi in corso oggi nel mondo: una memoria «plurale», un sentimento che incardina l’individuo nella comunità di cui fa parte, «è -secondo Salvatore Settis- il terreno di crescita di una creatività che non mira all’effimera felicità del successo, ma comporta la piena realizzazione delle proprie potenzialità».
La giornata inaugurale vedrà anche la presenza a Pistoia del fisico Guido Tonelli (venerdì 26 maggio, alle ore 19, al teatro Bolognini), uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs, che parlerà al pubblico dell’importanza della cultura e della ricerca scientifica e delle nuove sfide che la scienza sta affrontando a partire dallo studio dalle nostre origini.
Sempre il primo giorno «Pistoia – Dialoghi sull’uomo» vedrà la presenza di Claudio Magris (venerdì 26 maggio, dalle ore 21.30, in piazza Duomo), uno dei maggiori intellettuali del nostro tempo, che, partendo dalla sua personale esperienza di allievo del poeta Biagio Marin e poi di insegnante, affronterà il tema dello speciale rapporto che intercorre tra maestro e allievo e che fin dall’antichità – come dimostrano i grandi esempi della letteratura – ha permesso la trasmissione di conoscenza e il riconoscimento tra le due figure.
Evento clou della giornata di apertura sarà l’esecuzione della Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven (venerdì 26 maggio, alle ore 21, al teatro Manzoni - ingresso € 7,00). Il messaggio di fratellanza universale di questo brano musicale, adottato nel 1972 come inno europeo, sarà portato in scena, sotto la direzione del maestro Daniele Giorgi, dall’Orchestra Leonore, un progetto di eccellenza culturale, che dal 2014 riunisce musicisti di prestigiosi ambiti cameristici e di orchestre internazionali.
A chiudere la programmazione della giornata sarà la proiezione del film «Il ragazzo selvaggio» (venerdì 26 maggio, alle ore 22.30, con l’intervento di Adriano Favole) nell’ambito di una mini-rassegna sulla cinematografia di François Truffaut al teatro Bolognini, che prevede anche appuntamenti con «Fahrenheit 451» (sabato 27 maggio, dalle ore 22.30, con il commento di Stefano Allovio) e «L’ultimo metrò» (domenica 28 maggio, alle ore 20, con l’analisi critica di Marco Aime).
Il secondo giorno di festival si aprirà con un incontro sulla gastronomia e la dieta mediterranea animato dagli antropologi Elisabetta Moro e Marino Niola (sabato 27 maggio, alle ore 10.30, al teatro Bolognini).
Lo scrittore Edoardo Albinati (sabato 27 maggio, alle ore 11, in piazza San Bartolomeo), che da oltre vent’anni insegna nel penitenziario di Rebibbia, sarà, invece, testimone di come la cultura possa intervenire in situazioni di degrado sociale, creando una diversa consapevolezza e l’apertura di nuove possibilità per chi non ne ha avuto o ha mancato quelle che gli si presentavano.
Appuntamento da non perdere anche quello con la filosofa Michela Marzano (sabato 27 maggio, alle ore 12, in piazza Duomo) che intratterrà i presenti sul tema «A cosa serve la cultura oggi?», affermando che avere capacità critica significa anche avere il coraggio di pensare in maniera autonoma, senza cedere ai processi globali che producono cultura, esattamente come si producono le merci.
Spazio, quindi, a Gianni Berengo Gardin (sabato 27 maggio, alle ore 15, al teatro Bolognini), maestro della fotografia italiana, che rifletterà su quale sia il senso del lavoro del fotografo oggi, in un dialogo con l’editore e curatore Roberto Koch: «si avverte più che mai la necessità -afferma il fotografo- di un tempo lento, approfondito, diverso da quello tumultuoso che porta a realizzare scatti a valanga, a riempire i social di selfie, a guardare e dimenticare immediatamente migliaia di immagini».
L’incontro sarà accompagnato da una mostra a cura di Giulia Cogoli, che racconta attraverso sessanta fotografie in bianco e nero, realizzate da Gianni Berengo Gardin fra 1957 e il 2009 ed esposte al Palazzo comunale, la società italiana, i suoi riti e mutamenti, le feste popolari, i costumi e le tradizioni antiche e meticce di tutte le regioni.
Il festival proseguirà con un incontro animato dallo storico francese Serge Gruzinski (sabato 27 maggio, alle ore 15.30, al Palazzo comunale) e con un appuntamento con lo psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi (sabato 27 maggio, alle ore 16, in piazza Bartolomeo). Sarà, quindi, la volta di Silvia Ronchey (sabato 27 maggio, alle ore 17.30, al teatro Bolognini) e dell’antropologo Adriano Favole (sabato 27 maggio, alle ore 17.30, al Palazzo comunale) che parlerà dei limiti della cultura a partire dal mito di Prometeo che metteva in guardia sui rischi della hybris, dell’arroganza delle tecniche: si tratta di un tema oggi molto attuale, per esempio nel campo delle leggi che regolano la vita del nostro pianeta, al punto da trasformare il suo clima, o delle tecnologie genetiche.
L’antropologo Marco Aime e il genetista Guido Barbujani (sabato 27 maggio, alle ore 18.30, in piazza Duomo) dialogheranno, quindi, sui processi dell’evoluzione umana: «il lungo cammino degli umani, i loro continui spostamenti, gli incontri, gli scambi hanno portato -affermano i due studiosi- a una mescolanza genetica e culturale tale che non esistono più razze o culture pure, contrariamente a quanto vogliono far credere costruzioni identitarie che rievocano il mito della purezza».
La serata di sabato vedrà due appuntamenti da non perdere. Si inizia con l’assegnazione del «Premio internazionale Dialoghi sull’uomo» all’autore israeliano David Grossman che racconterà, con lo scrittore Paolo Di Paolo (sabato 27 maggio, alle ore 21.15, in piazza Duomo), il suo lavoro letterario e il suo costante impegno nella ricerca di una soluzione pacifica della questione mediorientale. Si proseguirà con Toni Servillo (sabato 27 maggio, alle ore 21.30, al teatro Manzoni) e il suo omaggio, a trent’anni dalla morte, a Primo Levi con letture tratte da «Il sistema periodico» e da «Se questo è un uomo», che restituiscono – come ne «Il canto di Ulisse» – il senso e il ruolo fondamentale della cultura nella vita di un uomo.
Ad aprire l’ultimo giorno di festival sarà la scrittrice Paola Mastrocola (domenica 28 maggio, alle ore 10.30, al teatro Bolognini), che si interrogherà sulle parole della nuova scuola – percorsi formativi, piano per la scuola digitale, certificazione delle competenze, alternanza scuola-lavoro – chiedendosi se esse hanno ancora a che fare con l’idea classica di cultura.
Mentre l’antropologo francese Jean-Loup Amselle (domenica 28 maggio, alle ore 11.30, in piazza San Bartolomeo) indagherà il destino del format «museo» come forma di narrazione culturale, partendo dal Louvre di Abu Dhabi di prossima apertura. Donald Sassoon (domenica 28 maggio, alle ore 11.30, al Palazzo comunale), massimo storico dei processi culturali, racconterà, invece, che la cultura è intrattenimento, istruzione, strumento di promozione personale e sociale, ma è anche un business.
Una delle massime esperte di antropologia culturale, Amalia Signorelli (domenica 28 maggio, alle ore 15, al teatro Bolognini), declinerà il concetto di «cultura popolare» nelle sue espressioni più attuali: la cultura televisiva, la cultura di massa, la cultura che nasce dalle esperienze dei mondi virtuali, la cultura delle reti e dei social, per arrivare a comprendere qual è oggi e quale ruolo occupa nella nostra società la cultura popolare. Mentre l’etno-antropologo Stefano Allovio (domenica 28 maggio, alle ore 16, in piazza San Bartolomeo) ripercorrerà la nostra storia evolutiva, evidenziando come vi si possa ritrovare la forza della cultura nel costruire umanità.
John Eskenazi (domenica 28 maggio, alle ore 17, al Palazzo comunale), uno dei maggiori studiosi dell’arte dell’Asia meridionale, metterà, invece, a confronto le figure del Buddha e di Alessandro Magno. Questo fortunoso incrocio sarà l'inizio di un innesto riuscitissimo di civiltà, religione, cultura, arte e commerci. Una straordinaria commistione di idee e stili, raccontata attraverso le immagini dell'arte Gandhara, che nasce dall'arte ellenistico-romana, assorbe influenze medio orientali e centro asiatiche, e finisce per determinare l'immagine del Buddha alla guisa di un imperatore romano.
Il festival si chiuderà con uno sguardo sul futuro che ci attende. In una conferenza-lezione speciale Marco Paolini (domenica 28 maggio, alle ore 18.30, in piazza Duomo) ci parlerà del futuro prossimo e del ruolo sempre maggiore della tecnologia. «Non sono un esperto di Internet, non sono un utente dei social. Non conosco la meccanica quantistica, né le neuroscienze e la fisica, né la robotica e le intelligenze artificiali» -dice l’attore-, «ma tutto questo mi riguarda e mi interessa. So che la mia vita sta cambiando grazie o per colpa delle tecnologie che da queste innovazioni derivano e di cui faccio uso anch’io come i miei simili».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine scattata durante una passata edizione di «Pistoia – Dialoghi sull’uomo»; [ fig. 2] Gianni Berengo Gardin. Foto: Luca Nizzoli Toetti; [fig.  3] Orchestra Leonore; [fig. 4] Giulio Paolini. Foto: Elisa Temporin; [fig. 5] Toni Servillo. Foto: Grazia Lissi; [fig. 6] Salvatore Settis

Informazioni utili
Gli eventi proposti sono tutti a pagamento (€ 3,00 per le conferenze; € 7,00 per gli spettacoli);  la lectio di apertura e la mostra di Gianni Berengo Gardin sono gratuite.  Prevendita biglietti: dal 28 aprile presso la biglietteria La Torre, via Tomba di Catilina 5/7 - Pistoia, dal lunedì al sabato, dalle ore 9 alle ore 13 e dalle ore 16.30 alle ore 19.30. Informazioni: tel. 0573.371305. Programma: www.dialoghisulluomo.it.

mercoledì 24 maggio 2017

Inaugurato «Il Ferdinando», il nuovo museo delle fortificazioni e delle frontiere della Valle d’Aosta


Si configura come un coinvolgente viaggio attraverso l’evoluzione delle tecniche difensive, dei sistemi di assedio e del concetto di frontiera, il nuovo progetto museografico del Forte di Bard. Dopo aver inaugurato i percorsi tematici «Museo delle Alpi», «Alpi dei ragazzi» e «Prigioni», il grande polo turistico della Regione autonoma Valle d’Aosta ha da poco inaugurato il «Ferdinando, Museo delle fortificazioni e delle frontiere».
Collocato nell'Opera Ferdinando, un’area situata al primo livello della rocca fortificata e recentemente sottoposta a restauro nell’ambito del progetto «Sentinelle delle Alpi», il museo si estende su una superficie di oltre duemila metri quadri. Tre sono le sezioni che formano il percorso espositivo: il «Museo del Forte e delle fortificazioni», «Le Alpi fortificate (1871-1946)» e «Le Alpi, una frontiera?».
La prima parte, allestita nell’Opera Ferdinando superiore, presenta una serie di ambientazioni storiche corredate da plastici, filmati e armi autentiche, con un iter narrativo che mette in luce l’evoluzione delle fortezze delle Alpi occidentali attraverso il progredire delle armi e delle strategie militari, dei materiali e delle tecniche costruttive, a partire dall’epoca romana per giungere sino alle nuove soluzioni architettoniche e balistiche del Novecento. La visita permette un apprendimento rapido: grazie alla riproposizione cinematografica di celebri spezzoni di film contenenti scene di guerra («Le Crociate - Kingdom of Heaven», Ridley Scott, 2005; «Masada», Boris Sagal, 1981; «Il mestiere delle armi», Ermanno Olmi, 2001; «Alatriste, il destino di un guerriero», Augustin Diaz Yanks, 2006; «The last valley», James Clavell, 1971; «Revolution», Hugh Hudson, 1985; «L’ultimo dei Mohicani», Michael Mann, 1992; «Glory. Uomini di gloria», Edward Zwick, 1989, «Cold Mountain», Anthony Minghella, 2003) e percorsi narrativi, cartografia d’epoca e contemporanea e scenografie ricreate con armi e ricostruzioni in scala di sezioni murarie di fortificazioni, lo spettatore è proiettato nell’epoca di pertinenza di ogni singola sala in un viaggio che lo vede protagonista.
La seconda parte del museo, «Le Alpi fortificate (1871-1946)», collocata nelle sale dell'Opera Ferdinando inferiore, è dedicata alle trasformazioni intervenute tra la fine del XIX e il XX secolo, e inserisce il Forte di Bard all’interno del sistema delle fortezze ottocentesche. Al suo interno sono riproposti modelli in scala e ricostruzioni scenografiche, volti a evidenziare non solo i caratteri considerati maggiormente rappresentativi delle fortificazioni nell’arco alpino, ma cercando anche di rendere protagoniste le Alpi stesse, teatro di un’evoluzione tecnologica che le ha portate a divenire la frontiera d’Italia. Il percorso espositivo si configura così come un racconto nell’evoluzione delle fortezze attraverso il progredire delle armi, il mutare dei materiali e delle tecniche costruttive, il graduale ispessimento dei muri, la collocazione dei forti in luoghi sempre più dominanti, l’evolversi delle metodologie strategiche e delle soluzioni architettoniche, il tutto costantemente rapportato alle capacità offensive del nemico.
Il tema della montagna militarizzata è toccato nelle sezioni dedicate alla Prima e alla Seconda guerra mondiale e alla Resistenza, sempre puntando sull'impatto evocativo affidato a un approccio multimediale.
La terza e ultima parte del museo pone l’interrogativo «Le Alpi, una frontiera?» con l’obiettivo di mettere il visitatore nella condizione di riflettere sul percorso compiuto e sul significato da dare al termine frontiera: confine o barriera? Ostacolo o tratto d’unione?
Si delinea così un percorso espositivo che trasmette una visione complessa e strutturata non solo del Forte di Bard, ma anche del contesto storico, sociale, culturale e geopolitico all'interno del quale esso è inserito nelle diverse epoche storiche: un viaggio nel passato che si conclude con una riflessione estremamente attuale sul presente.
Il visitatore è così protagonista di un dialogo con il luogo in cui si trova, alla ricerca di un’identità, quella delle Alpi, in continua evoluzione, che diviene crocevia delle grandi vicende del passato e di quella storia degli uomini fatta di semplici memorie e azioni.
In occasione dell’inaugurazione il Ferdinando ospiterà, fino al 26 novembre, la prima mondiale dell’esposizione «Paolo Pellegrin. Frontiers», un reportage esclusivo che documenta il dramma dei viaggi della speranza delle migliaia di migranti che fuggono in cerca di un futuro migliore. Gli intensi scatti del reporter della Magnum Photos testimoniano l’orrore delle traversate del Mar Mediterraneo, l’esperienza degli sbarchi e della permanenza nei centri di accoglienza.
Queste fotografie, tutte in bianco e nero, sono state scattate nel 2015 e raccontano prevalentemente la situazione sull’isola greca di Lesbo dove, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sono sbarcati più di 500.000 degli 850.000 rifugiati giunti in Grecia nel corso del 2015.
Il tema dell’esposizione offre un punto di vista quanto mai attuale sul dramma dei migranti, oltre a un’esplicita riflessione sulle frontiere –visibili o invisibili, geografiche, politiche e sociali– che dividono le persone, in un’Europa che oggi è chiamata alla sfida dell’accoglienza. Nelle sue fotografie, Paolo Pellegrin documenta i fatti di cui è testimone dalla prospettiva del fotogiornalista, ma soprattutto interpreta la tragicità del dolore attraverso la sua esperienza di essere umano. Il suo intento è rinnovare la visione degli accadimenti che registra: «Quella che mi interessa di più è una fotografia non finita, dove chi guarda ha la possibilità di cominciare un proprio dialogo… Io presento la domanda che mi sono fatto davanti ai morti, alle guerre, alla sofferenza, poi lascio spazio ad ognuno perché si interroghi, perché si faccia un'idea».

Informazioni utili
Il Ferdinando. Museo delle Fortificazioni e delle Frontiere. Forte di Bard - Valle d’Aosta. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00 – 18.00 | sabato, domenica e festivi, ore 10.00 – 19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 9,00, ridotto € 7,00, ridotto ragazzi (6-18 anni) e scuole € 5,00, cumulativo adulti (Museo delle Alpi, Il Ferdinando, Prigioni) € 15,00, visita assistita (per gruppi) sino a 25 persone € 80,00 + biglietto ingresso ridotto. Informazioni: Associazione Forte di Bard, tel. 0125.833811 o info@fortedibard.it. Sito internet: www.fortedibard.it.

martedì 23 maggio 2017

Dal Cafè all’Educational Center: nuovi spazi alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia

Sono giunti al termine i lavori di ristrutturazione e ampliamento degli spazi della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, avviati nel 2015 grazie alla Campagna Capitale intrapresa dal museo dal 2014 per tre anni. Ad orchestrare l’importante operazione di raccolta fondi il direttore Philip Rylands, affiancato da un Comitato preposto, costituito da alcuni rappresentanti del Comitato Consultivo del museo: Alberto Vitale (chair), Barbara Maccaferri (co-chair), Marco Carbonari, Stefano Del Vecchio, Giovanna Forlanelli Rovati, David Gallagher, Leon Koffler, Benjamin B. Rauch, Miles Rubin e James B. Sherwood.
L’acquisizione di nuovi spazi, dove è stata creata una nuova caffetteria e un giardino per le sculture, la nascita di due nuove sale espositive e la conversione di una veranda in spazio espositivo per sculture e zona relax con WiFi per i visitatori, un Education Center per laboratori e workshop per adulti e bambini. È questo il ragguardevole traguardo raggiunto grazie alla Campagna Capitale sostenuta in primis dai soci dell’Advisory Board della collezione, che dal 1980 ricopre un ruolo consultivo a fianco del direttore e storicamente è intervenuto in tutte le fasi di crescita del museo e dalla Fondazione Araldi Guinetti Vaduz. A questo si uniscono numerosi altri sostenitori, soci della collezione, membri degli International Patrons e Guggenheim Circle, appassionati filantropi, donatori che hanno preferito rimanere anonimi, a cui il museo è oggi grato.
Al fianco dei privati si sono unite prestigiose realtà aziendali nazionali e internazionali, il cui contributo è stato di fondamentale importanza: Enel, Lavazza, Aermec, Manifatture Sigaro Toscano e Swatch, che hanno finanziato la campagna. A queste si aggiunge il contributo di molte aziende del gruppo Guggenheim Intrapresæ: di nuovo Aermec, insieme a Arclinea, Florim, Arper, Mapei, Reggiani Illuminazione, Hangar Design Group, Istituto Europeo di Design.
Nell’area recentemente acquisita, adiacente il museo, è stato aperto, lo scorso settembre, il nuovo Peggy Guggenheim Cafè: uno spazio luminoso, dotato di un’ampia veranda e giardino, in cui i visitatori possono rilassarsi tra le sculture della Collezione, sorseggiando un caffè o pranzando, scegliendo dal ricco menù a loro disposizione. Indispensabili in questo ambito i contributi di Arclinea, che ha progettato la zona bar, Arper, che firma gli arredi, Florim, protagonista per i rivestimenti ceramici, Reggiani Illuminazione, che ha lavorato con alcuni light designer sull’illuminazione, Mapei, che ha fornito prodotti edilizi di ultima generazione, Hangar Design Group ha contribuito alla fase progettuale. La cucina professionale è Electrolux. All’apertura della caffetteria-ristorante, è seguita quella delle Project Rooms, inaugurate lo scorso 25 febbraio in occasione dell’apertura al pubblico della mostra «Rita Kernn-Larsen. Dipinti surrealisti», a cura di Gražina Subelytė. Le due nuove sale nascono come spazi destinati ad accogliere progetti espositivi raccolti e mirati, finalizzati ad approfondire il lavoro di un artista, o specifiche tematiche legate alla produzione artistica di un determinato interprete del XX secolo, legato alla collezione di Peggy. All’omaggio all’artista danese Rita Kernn-Larsen, scoperta ed esposta dalla mecenate americana nella galleria londinese Guggenheim Jeune nel 1938, seguirà la mostra in focus «Picasso sulla spiaggia», a cura di Luca Massimo Barbero, in apertura il 26 agosto, giorno del compleanno di Peggy. Una selezione di undici opere, tra disegni e dipinti, realizzati tra febbraio e dicembre del 1937, che ruotano intorno al capolavoro picassiano «Sulla spiaggia» (1937), proprietà del museo veneziano, legate al tema della spiaggia.
Infine, ciliegina sulla torta di questa significativa operazione di ampliamento, la creazione, terminata a fine marzo, dell’Education Center: una nuova area dedicata alle attività educative del museo, ideata come spazio flessibile, funzionale ai diversi utilizzi, come luogo preposto allo svolgimento dei laboratori didattici per i più piccoli e, al contempo, come sala per l’incontro, il confronto e la formazione per gli adulti, nonché luogo per gli appuntamenti di «Doppio Senso», il progetto di accessibilità inclusivo per non vedenti e ipovedenti. Indispensabile nella realizzazione è stata la donazione di Mary e Howard S. Frank, soci del Comitato consultivo, mentre il prezioso pavimento e le pareti a mosaico sono il risultato del generoso contributo di Orsoni, storicamente celebre per i mosaici veneziani. Alla fase progettuale ha partecipato con entusiasmo un gruppo di studenti dello IED Venezia, Istituto Europeo di Design. Sia Orsoni che IED sono soci di Guggenheim Intrapresae.
Tutti i lavori sono stati sovrintesi dallo studio di architetti TheMa, di Giacomo di Thiene.


Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Particolari della collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Foto di Matteo De Fina

Informazioni utili
Collezione Peggy Guggenheim - Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 - Venezia | tel. 041.2405415 o guggenheim-venice.it

lunedì 22 maggio 2017

City Lego®: una città di mattoncini in mostra a Pesaro

Il mondo dei Lego va in scena a Pesaro, negli spazi del Centro arti visive Pescheria. Sono oltre sette milioni i celebri mattoncini per le costruzioni che il Lab - Literally Addicted to Bricks ha utilizzato per comporre il grandioso diorama di quindici metri per quattro ospitato, fino al prossimo 11 giugno, nello spazio ottagonale dell’ex chiesa del Suffragio e introdotto da gigantografie a tema Lego, allestite nel Loggiato.
City Lego®, in mostra nelle Marche per iniziativa di Kornice e con la collaborazione di Giuliamaria Dotto, è il frutto della fantasia di Wilmer Archiutti, fondatore del Lab, laboratorio creativo di Roncade, in provincia di Treviso, nato allo scopo di realizzare forme e architetture di Lego, uniche e irripetibili. I celebri mattoncini-giocattolo vengono assemblati con cura certosina e uno dei giochi più creativi di sempre si è trasformato in un vero e proprio mestiere, grazie a una squadra di bricks addicted, specializzati nella creazione di scenografie incredibili. Il progetto prende il nome di City Booming ed è il risultato di circa un anno di lavoro, iniziato nel 2012, con i pezzi provenienti dalla collezione di Wilmer, raccolta in quarant’anni anni di passione.
Una città vera e funzionante, con il centro commerciale, la fioreria, la pasticceria, il negozio di giocattoli, il negozio di animali, cinema e pinacoteche, e ancora, il quartiere residenziale con il barbiere e l’investigatore privato intento a consultare le mappe con la lente d’ingrandimento: tutto è ricostruito nei minimi dettagli.
Sono ricostruite persino le vite private negli appartamenti, arredati e illuminati, nei quali, ad esempio, padre e figlio si preparano da mangiare mentre qualcuno si rilassa nella vasca a idromassaggio o si prepara un caffè in cucina.
In questa fantastica città ci sono inoltre tantissimi personaggi famosi inseriti appositamente per focalizzare l’attenzione su alcuni dettagli del diorama: supereroi quali Batman, Wonder Woman, Spiderman, Hulk e molti altri si mescolano tra la folla ed è un incentivo a riconoscere momenti noti, ad esempio, l’arrivo alla prima di un film americano con tanto di red carpet calcato dai divi del jet set internazionale come Sean Connery.
Dal centro pulsante ai numerosi particolari naturalistici, i più disparati scenari convivono permettendo al visitatore di ammirare le competenze artistiche e i virtuosismi costruttivi.
Si tratta di un’esperienza unica nel suo genere che riunisce il lato ludico al lato artistico rivolgendosi non solo ai più piccoli ma anche agli appassionati, ai curiosi e a tutti coloro che amano ampliare i loro orizzonti: la presenza di video e immagini dell’interno delle costruzioni, permette infatti al pubblico di avere una percezione reale e tecnica di quanto è nascosto dietro ogni singola riproduzione. Si possono, per esempio, ammirare i sistemi di automazione e illuminazione, gru, elevatori e i meccanismi che fanno funzionare per esempio il treno o la coloratissima ruota panoramica all’interno di un Luna Park.
Quando, nel lontano 1932, l’olandese Ole Kirk Christiansen ebbe l’idea di creare i colorati mattoncini con cui sperava di intrattenere qualche bambino, non poteva di certo immaginare che stava dando forma a uno dei successi più clamorosi di tutti i tempi: capace di vincere latitudini ed ere, gli ormai celebri mattoncini, da giocattoli comuni sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo fino a essere considerati opere d’arte.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] ©Giulia Fedel / City Lego®

Informazioni utili
City Lego®. Centro arti visive Pescheria, corso XI settembre, 18 – Pesaro. Orari: 8 aprile – 11 giugno 2017 Orario da martedì a venerdì, ore 15.00-20.00; sabato e domenica e festivi, ore 10.00-21.00; lunedì chiuso (la biglietteria chiude mezz'ora prima). Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00 o € 4,00, biglietto famiglia € 20,00 (fino a 2 adulti € 6 cad + fino a 2 bambini € 4 cad + 3° bambino omaggio); ingresso libero > bambini fino a 6 anni non compiuti; disabili più accompagnatore; giornalisti con regolare tessera dell’Ordine nazionale. Informazioni: tel. 0721.387541 o pesaro@sistemamuseo.it. Sito internet: www.pesarocultura.it. Fino all’11 giugno 2017.

venerdì 19 maggio 2017

Dal Louvre a Perugia, all’abbazia di San Pietro una mostra sul Sassoferrato


È ritornata a Perugia «L’Immacolata Concezione» di Giovan Battista Salvi, noto con il nome di Sassoferrato. La magnifica pala, che faceva parte dei tesori della millenaria abbazia benedettina di San Pietro, era stata trasferita in Francia da Dominique-Vivant Denon, direttore del Musée Napoleon, per poi essere esposta permanentemente al Louvre.
A ottenere il rientro, naturalmente temporaneo, dell’opera è stata la Fondazione per l’Istruzione Agraria, presieduta dal professor Franco Moriconi, Magnifico Rettore dell’Università degli studi di Perugia.
La pala del Sassoferrato è ora esposta accanto a una quarantina di dipinti, in parte dell’autore stesso e in parte di famosi maestri ai quali egli si ispirò, a partire da Pietro Perugino, la cui purezza formale delle immagini ha lasciato un segno indelebile nella sua mente.
L’artista marchigiano, passato alla storia con il nome di «pittore delle belle Madonne» per la copiosa produzione di immagini devozionali della Vergine di grande successo, riservò pari attenzione alle opere umbre di Raffaello. All’artista si rende omaggio, tra l’altro, con il confronto fra due copie della sua «Deposizione Borghese», la prima di Orazio Alfani, la seconda di Giuseppe Cesari detto il cavalier d’Arpino, provenienti dalla Galleria nazionale dell’Umbria, e una bella versione dipinta dal Sassoferrato nel 1639.
La mostra, curata da Cristina Galassi con Vittorio Sgarbi, riserva, inoltre, uno spazio significativo alla cosiddetta Madonna del Giglio, immagine devozionale che assicurò grande notorietà al Sassoferrato. Se ne presentano tre versioni: le prime due provengono da Modena e da Bologna, la terza è di proprietà della Fondazione per l’Istruzione Agraria. In queste opere l’artista riprende un’antica immagine di culto realizzata da Giovanni di Pietro detto lo Spagna, dotatissimo seguace di Perugino e Raffaello.
La basilica con la sagrestia e la cripta, il campanile con la sua guglia protesa verso il cielo, simbolo di Perugia, i tre chiostri di luminosa fattura, la scala nuova che conduce al corridoio trecentesco e alle celle e ai dormitori dei monaci, l’antica aula capitolare e il refettorio, fino all’orto medievale, alla biblioteca e alla galleria d’arte fanno, infatti, di questo luogo uno scrigno che racchiude meraviglie e misteri da lasciare incantati i visitatori.
Ferdinand Gregorovius, nelle sue «Passeggiate per l’Italia» (1864-1871), scrisse, per esempio, di San Pietro: «la sua chiesa, una bella basilica, con antiche colonne di granito, è ritenuta come la gemma più preziosa della città, ed è un vero museo della pittura umbra. Contiene splendidi quadri del Perugino, di Orazio Alfani, del Doni, dello Spagna e di altri maestri, e preziosissime copie delle opere del Perugino e di Raffaello, eseguite dal Sassoferrato».
Un luogo di straordinario fascino, dunque, quello che accoglie le opere del Sassoferrato e che rende ancora più affascinante la mostra perugina, della quale rimarrà documentazione in un ricco catalogo pubblicato per l’occasione dall’editore Aguaplano., che raccoglie lo studio sistematico delle opere esposte, in aggiunta ad alcuni documenti inediti emersi dalle carte custodite nell’archivio della Basilica e di nuove fonti utili per la ricostruzione della vita del Sassoferrato.
«Di fronte a opere del genere -racconta Cristina Galassi- gli studiosi si sono legittimamente chiesti fino a che punto la pittura di Sassoferrato debba essere considerata originale. In realtà, e la mostra lo conferma in pieno, sarebbe sbagliato considerare il Salvi un mero imitatore, perché, come ha acutamente osservato Federico Zeri, egli non si limita a copiare le opere degli artisti presi a modello ma aggiunge sempre la sua personale interpretazione. Ciò emerge chiaramente dal confronto tra la bellissima «Maddalena del Tintoretto e la versione di mano del Sassoferrato, dove le forme turgide e quasi sensuali del pittore veneto vengono riproposte dal Salvi con un linguaggio più asciutto e temperato. In mostra non mancano, d’altra parte, opere in cui l’artista si palesa in tutta la sua eccezionale originalità. Ecco dunque la «Giuditta con la testa di Oloferne», un dipinto che non è esagerato includere tra i capolavori del Seicento italiano, la grande «Annunciazione della Vergine», opera di rara finezza esecutiva, i Santi Benedetto, Barbara, Agnese e Scolastica, lavori in cui l’artista, pur rispettando l’autorità dei modelli, mette da parte ogni forma di deferente imitazione. Esemplare, in tal senso, è anche la «Madonna con il Bambino e Santa Caterina da Siena», concessa dalla Fondazione Cavallini Sgarbi, autentico vertice della pittura religiosa del Seicento».
Tutte le opere del Salvi conservate in San Pietro furono commissionate dall’abate Leone Pavoni che resse per lunghi anni la comunità benedettina di San Pietro. Era di sua proprietà la magnifica Santa Francesca Romana con l‘angelo, oggi custodita nella sagrestia della basilica, per lunghi anni attribuita a Caravaggio, in realtà capolavoro di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino, uno degli interpreti più fedeli del maestro lombardo. In omaggio all’abate Pavoni, singolare figura di committente e collezionista, anche questa tela farà parte del percorso espositivo.
Il tutto permette di gettare nuova luce su un artista efficacemente definito da Adolfo Venturi aveva «un quattrocentista smarrito nel Seicento».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Immacolata Concezione, Parigi, Louvre; [fig. 2] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Barbara, Perugia, San Pietro; [fig. 3] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Barbara. Perugia, San Pietro; [fig. 4] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Caterina da Siena con Gesù Bambino, Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi

Informazioni utili
Sassoferrato. Dal Louvre a San Pietro. La collezione riunita. Complesso monumentale di San Pietro in Perugia, borgo XX giugno, 74 – Perugia. Orari: dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 19.00; da giugno a ottobre la chiusura è posticipata alle ore 20.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 075.33753 o cell. 328.6013446 o info@fiapg.it. Sito internet: www.sanpietroperugia.it o www.fondazioneagraria.it. Fino al 1° ottobre 2017. Prorogata al 15 novembre 2017.

giovedì 18 maggio 2017

Gli uomini di José Molina in mostra alla Reggia di Caserta

È l’uomo con il suo bagaglio di sentimenti, tensioni e inquietudini a caratterizzare la produzione artistica del madrileno José Molina, protagonista fino al prossimo 3 giugno della mostra «Paesaggio dopo la battaglia» allestita per iniziativa della Deodato arte di Milano nella prestigiosa cornice della Reggia di Caserta.
L’esposizione, per la curatela di Lorenzo Canova, allinea circa trenta opere tra dipinti, disegni e sculture, tra cui la nuova serie che dà il titolo all’appuntamento campano. In questi lavori, esposti anche grazie alla collaborazione dell’Ambasciata di Spagna in Italia e dell’istituto Cervantes di Napoli, sono descritti minuziosamente i temi cari all’artista, estremamente attento alla ricerca psicologica e antropologica. A tal proposito Lorenzo Canova scrive: «l’artista, come un grande romanziere lavora componendo grandi cicli con una lunga e paziente azione che sembra voler costruire una nuova grande Commedia Umana composta da capitoli serrati e analitici che attraversano la metamorfica e sfaccettata natura dell’animo umano, i suoi vizi e le sue virtù, in bilico perenne tra peccato e redenzione, tra misericordia e crudeltà».
I lavori di Molina popolati da uomini, demoni, animali, personaggi mitici ed eroi svelano l’identità dell’uomo, ciò che si tende a mostrare e ciò che si è spinti a nascondere. Viene ricomposto un universo fatto da frammenti enigmatici e contrastanti, da soggetti mostruosi e talvolta grotteschi, che ritraggono le innumerevoli sfaccettature dell’umanità.
Lo si evince nelle opere inedite, così come nei cicli storici «Predatores», «Los Olvidados», «Peccati e Virtù», esposti in mostra. In essi la stretta connessione con l’attualità, la politica e il potere sono un passaggio obbligato, rappresentato da un linguaggio metaforico molto forte, come nell’opera «Le Formiche II» (serie «Predatores»), dove un uomo saldamente ancorato alla terra con i denti vuole sopravvivere dominando i deboli, o nella tela intitolata «Senza cuore, senza occhi (Los Olvidados) », in cui un volto senza occhi, trasmette indifferenza, privato della capacità di essere empatico. La serie Los «Olvidados» si sofferma su figure sconosciute, dimenticate, esseri umani sconfitti, vinti e messi a tacere, inseriti in un contesto dove si privilegiano i peggiori anziché i meritevoli.
Nello sguardo di Molina sul genere umano non manca l’analisi dei peccati e delle virtù, rivisitati in chiave personale e attuale, con esasperazioni di gesti o elementi allegorici che riconducono ai vizi capitali. Così l’«Ira» è un volto aggrottato con due braccia alzate a pugni chiusi, la «Gola» diviene il ritratto di un uomo nell’atto di divorare un arto e la «Lussuria» è rappresentata da numerose lingue che lambiscono il corpo di una donna sdoppiata e coperta da veli leggeri.
Ad essi, nella serie «Peccati e Virtù», si aggiungono “nuovi vizi” legati alla società contemporanea fra cui l’indifferenza nei confronti delle responsabilità ben riprodotta nel volto di «Un altro giorno in paradiso», e l’avidità di potere ritratta in «Il guardiano delle chiavi» attraverso una figura dalle sembianze mostruose che sfoggia un’aggressività estrema nel difendere i propri privilegi.
L’opera «Pelle fredda ritrae invece chi subisce il peccato e non colui che lo compie, l’uomo rappresentato ha perso tutte le forze e di conseguenza la testa crolla all’indietro in uno stato di totale abbandono.
Un ulteriore approfondimento di queste tematiche è ripreso nelle sculture, realizzate in resina e legno acidificati. Nella serie «Morsi» l’artista si sofferma nuovamente sul potere inteso come manipolazione e oppressione, in contrapposizione al dialogo e alla comunicazione, quindi bocche, denti e mandibole assumono un ruolo centrale e di forte impatto visivo, ne sono esempio «Bunker», «Bucefalo» e «Il Sopravvissuto». Nel gruppo di sculture inedite «I feel», caratterizzata da lavori simili a grandi tazze labirintiche con una caratterizzazione umana all’esterno e a spirale all’interno, Molina dona tridimensionalità tattile alle emozioni e agli stati d’animo. Nella scultura «Io dubito», che unisce elementi della tradizione egizia, greco-latina e buddista, l’artista mette in luce la possibilità di trovare sempre una via d’uscita anche in situazioni complesse in cui il dubbio pone davanti molteplici scelte.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Jose Molina, Il Grande Fratello, 2017. Matita grassa su carta, cm 28,3 x 37,3. ©Ernesto Blotto; [fig. 2] Jose Molina, La bontà è una caramella dalla quale tutti vogliono strapparne un pezzo, 2017. Matita grassa su carta, cm 35,3 x 30,8. ©Ernesto Blotto; [fig. 3] Jose Molina, Lussuria, 2017. Olio su tavola, cm 147 x170. ©Ernesto Blotto

Informazioni utili
«José Molina. Paesaggio dopo la battaglia». Retrostanze del ‘700, Reggia di Caserta, via Douhet 2/A – Caserta. Orari: Appartamenti storici – tutti i giorni, dalle ore 8.30 alle ore 19.00 (ultimo ingresso alle ore 18.00), parco – dalle ore 8.30 alle ore 18.00 (ultimo ingresso alle ore 17.00); chiusura settimanale il martedì. Ingresso (con biglietto di ingresso della Reggia): intero € 12,00, ridotto € 6,00; solo Appartamenti storici - intero € 9,00, ridotto € 4,50. Informazioni: Opera Laboratori Fiorentini, tel. 0823.277468 o 0823.448084, caserta@operalaboratori.com. Fino al 3 giugno 2017.

mercoledì 17 maggio 2017

Riaperto al pubblico il Museo delle dogane svizzero


Installazioni sorprendenti e filmati in più lingue si propongono di far conoscere a un vasto pubblico l’operato dell'Amministrazione federale delle dogane, dei suoi uomini e delle sue donne. Il museo getta anche uno sguardo più approfondito sulla «gestione dei confini», tema particolarmente importante in un Paese piccolo e con una forte tradizione di neutralità qual è la Svizzera. Nelle sale della nuova realtà museale sono anche riassunte le sfide più contemporanee affrontate ogni giorno dalla dogana elvetica: sfide che si confrontano con tecnologie avanzatissime in un'epoca caratterizzata dal commercio globale e da una maggiore apertura dei confini europei.

Ha da poco riaperto i battenti alle Cantine di Gandria, nel Luganese, il Museo delle dogane svizzero, spazio espositivo che propone una riflessione articolata sulla storia locale, sulle tradizioni e sul folklore cui è legata l’attività del doganiere e della sua eterna controparte: il contrabbandiere.
Vero e proprio gioiello architettonico, incastonato in un ambiente naturale ancora incontaminato e raggiungibile solo per via acquea, l’edificio che ospita la ‘nuova’ realtà museale, diretta da Maria Moser Menna, è stato costruito nel 1835. Per quasi un secolo, ovvero sino al 1921, è stato una caserma con funzioni di posto di guardia del confine svizzero-italiano.
Nel 1935 un ufficiale ticinese, Angelo Gianola, ebbe l’idea di trasformare questo vecchio e ormai inutilizzato sito in un museo e chiese ai suoi colleghi di raccogliere oggetti che potessero raccontare la vita quotidiana delle guardie di confine.
L’apertura del nuovo spazio espositivo avvenne qualche anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1949. Nelle sale erano esposte inizialmente merci sequestrate, nascondigli e mezzi di trasporto fantasiosi con cui gli «spalloni» tentavano di portare il loro carico al di qua e al di là della frontiera. Anche per questo motivo, il Museo delle dogane svizzero è popolarmente conosciuto come il «Museo dei contrabbandieri».
Nel 1970 il progetto museale è stato rielaborato e la sede ristrutturata. Dopo la riapertura, avvenuta nel 1978, il museo ha conosciuto un crescente successo di pubblico, grazie ai continui aggiornamenti e ampliamenti dell’esposizione permanente e ad alcune mostre temporanee dedicate a temi particolari.
Ora prende il via una nuova stagione, che vede alla gestione il Museo delle culture di Lugano.
Lo sviluppo di cicli di esposizioni d’arte sul tema del confine e delle identità a confronto è uno degli elementi di maggiore innovazione proposti dal Museo delle dogane. E «L’isola degli dèi» è la prima mostra temporanea realizzata espressamente in questo àmbito. In contemporanea proseguirà fino alla fine al 20 ottobre 2018 l’esposizione «Non è tutto oro quel che luccica», incentrata sulla contraffazione e la pirateria.
La mostra dedicata a Gotthard Schuh, allestita fino al 22 ottobre, raccoglie una selezione di trenta splendide foto scattate nel 1938 a Bali; Le opere in mostra sono stampe a partire dai negativi del fondo Gotthard Schuh conservati alla Fotostiftung Schweiz di Winterthur.

Informazioni utili
Museo delle dogane svizzero. Cantine di Gandria – Lugano. Orari: dalle ore 13.30 alle ore 17.30. Ingresso: . CHF 3.-/1.50, ingresso gratuito per i bambini fino ai 6 anni. Note: il museo è aperto solo durante la stagione di navigazione del lago e rimarrà chiuso di inverno. Informazioni: museodogane@lugano.ch o tel. +41.795129907. Sito web: http://www.afd.admin.ch/publicdb/newdb/zollmuseum/it/index.php.

martedì 16 maggio 2017

A Brescia due mostre sulle Mille Miglia e il «mito della velocità»

Per Brescia è diventato un avvenimento in grado di catalizzare l’attenzione internazionale sulla città. Da ormai novant’anni le «Mille Miglia» trasformano la «Leonessa d’Italia» nel «più grande museo ambulante dell’automobile». Quest’anno l’appuntamento è fissato per le giornate dal 18 al 21 maggio e per l’occasione il nuovo Brescia Photo Festival rende omaggio alla celebre corsa che ha dato un volto al «mito della velocità» con una mostra negli spazi di Palazzo Martinengo Colleoni, sede del Ma.Co.f - Centro italiano di fotografia.
Rappresentare questa vera e propria «leggenda universale» in una rassegna che le rendesse omaggio senza cadere negli stereotipi delle fotografie esposte in tutte le vetrine del centro storico, addobbate ad hoc durante la manifestazione, non si configurava impresa semplice. Ma Renato Corsini e Paolo Mazzetti, i due curatori, ci sono riusciti con classe, allargando il campo di indagine per condurlo a una visione più grande del fenomeno legato all’automobile: il «mito della velocità» nelle sue molteplici declinazioni. «Ci è parso, questo, -spiegano gli organizzatori- il modo forse più significativo e diretto per dedicare a Brescia, nel novantesimo anniversario della Mille Miglia, un’esposizione in grado di far colloquiare immagini e collezionismo, storia e attualità».
La mostra, visitabile fino al 4 giugno, si configura così come un intenso racconto della nascita dell’epopea della corsa, dal 1927, anno di inizio delle Mille Miglia, a quel tragico pomeriggio del 12 maggio del 1957, quando la manifestazione venne funestata dall’incidente occorso alla Ferrari 335 S n. 531 condotta dal pilota spagnolo Alfonso de Portago e dal copilota statunitense Edmund Gurner Nelson, sul rettilineo tra Cerlongo e Guidizzolo, sulla strada napoleonica Mantova-Brescia.
Quelle prime, gloriose pagine di storia sono raccontate dalle immagini tratte dagli archivi dell’epoca, ma anche dai quotidiani e riviste che allora, come oggi, hanno fatto dell’impresa un mito.
La seconda sezione, intitolata «Dal futurismo allo smartphone», parte dall’originale del Manifesto del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti e passa attraverso le poesie del Vate Gabriele D’Annunzio, la letteratura moderna e la grafica delle locandine pubblicitarie, per arrivare alla messa in discussione della velocità stessa.
Nella sezione successiva della rassegna sono, invece, riuniti esemplari di alto collezionismo dei primi modelli di automobili da corsa, fino alle più popolari macchine di latta a pedali per bambini.
Non poteva, poi, mancare il cinema. Con le sequenze più significative dei film dove la velocità è affrontata come valore ma anche come occasione di divertimento, con sguardo ironico: dal «Sorpasso» di Risi al «Vigile» con Sordi, da «Crash» al «Maggiolino tutto matto».
La mostra si chiude con una sezione dedicata al mito delle Mille Miglia che espone le immagini di dodici autori quali Silvano Cinelli, Eros Mauroner, Ernesto Fantozzi, Laura Giancaterina, Basilio Rodella, Roberto Ricca, Richard B. Datre, Giacomo Bretzel, Paolo M. azzetti, Beppe Vigasio, Paolo Mucciarelli e Claudio Amadei.
In contemporanea sarà visitabile anche la mostra «90 anni - Mille Miglia», una ricca esposizione di auto che parteciparono alla corsa fra il 1927 e il 1957. Tra i modelli esposti ci sono: l’Alfa Romeo 6C 1500 Gran Sport Testa Fissa (Zagato) del 1933, la la Aurelia B20 GT (Pinin Farina) del 1951, la Lancia Astura Mille Miglia Sport (Colli) del 1938 e la Ferrari 340 MM del 1953 ri-carrozzata Scaglietti. Completano il percorso espositivo totem touch screen, rassegne stampa, video e immagini per dare un tocco di modernità all’esposizione.

Informazioni utili
«Mille Miglia. Il mito della velocità». Macof – Centro della fotografia italiana, via Moretto 78 – Brescia. Orari: giovedì-domenica, ore 15.00-19.30. Ingresso: intero € 12,00, ridotto gruppi e convenzioni € 9,00, ridotto over 65, 14-18, universitari € 7,00, ridotto 6-13 € 4,50. Informazioni: tel. 3455447029, e-mail info@macof.it. Fino al 4 giugno 2017.

«90 anni - Mille Miglia». Museo delle Mille Miglia, viale della Bornata, 123 - S. Eufemia (Brescia). Orari: tutti i giorni, ore 10.00-18.00. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00. Informazioni: tel. 030. 3365631 o segreteria@museomillemiglia.it. Fino al 7 gennaio 2018.

lunedì 15 maggio 2017

I Sironi di Antonio Allaria in mostra al Mart di Rovereto

È dedicato a Mario Sironi e alla collezione di Antonio Allaria il nuovo focus tematico del Mart di Rovereto, inserito in una serie di appuntamenti nati con l’intento di esplorare le radici dell’arte italiana contemporanea, i movimenti storici internazionali, le nuove emergenze partendo dal vasto patrimonio del museo trentino.
Attraverso circa cento opere, di cui oltre sessanta del maestro sardo, suddivise in nove sezioni tematiche, la mostra, allestita fino all’11 giugno, esplora il rapporto di amicizia nato a Cortina nel 1947 tra il collezionista e l’artista, restituendo un Sironi privato, quasi totalmente sconosciuto al pubblico.
Tra quadri e disegni, lungo il percorso espositivo, che si avvale della curatela di Daniela Ferrari e Alessandra Tiddia, si incontrano opere dal contenuto più politico, composizioni figurative con esiti quasi astratti e, addirittura, giocosi e colorati disegni realizzati per le figlie dell’artista e regalati in seguito all’amico Allaria in occasione della nascita della figlia Alessandra.
In generale però la maggior parte delle opere di Sironi presenti nella collezione Allaria, recentemente acquisita dal Mart, appartiene agli anni più duri dell’esistenza dell’artista, quelli del secondo Dopoguerra, segnati dal dramma della morte di una delle figlie e dall’ostilità della critica, che vedeva in lui un vecchio artista del regime fascista.
Un’atmosfera cupa si riverbera nei paesaggi dipinti in questo periodo, nelle vedute prevalgono le ombre e i toni plumbei di un eterno crepuscolo. Molte opere hanno come protagonista la montagna, che si staglia scura e massiccia all’orizzonte, dal profilo tracciato sinteticamente con impasti densi, cretosi.
Si tratta quasi sempre di una montagna ideale, fuori dal tempo, ma che in alcuni casi rivela un preciso riferimento alle cime ampezzane, come le Tofane e il Becco di Mezzodì.  Il mondo di rovine dipinto da Sironi in questi anni è popolato da personaggi che ricordano eroi sconfitti, titani schiacciati dal peso delle costruzioni o di un paesaggio che si stringe intorno a loro, soffocandoli. Emergono dall’oscurità figure irrigidite in impasti cromatici calcinati, appena sbozzate come grandi idoli di pietra, murate nelle loro nicchie o nell’atto di fuggire faticosamente da questi spazi angusti.
Come scrivono il direttore e la presidente del Mart nell’introduzione al catalogo della mostra: «Di grande rilevanza è anche il fatto che la parte più ampia e organica della collezione presentata dal Mart con una mostra temporanea […] sia focalizzata sull’opera di Mario Sironi, ossia di uno degli artisti più importanti del Novecento italiano e, nonostante l’acclarato rilievo, rappresentante di un’epoca che merita comunque aggiornati studi e approfondimenti scientifici ad oggi inadeguati rispetto al portato di una generazione che ha vissuto la crisi del proprio tempo con gesti non riducibili alla sola prospettiva ideologica e da inquadrare oggi con maggiore coscienza storica».
In mostra le opere di Sironi vengono messe a confronto con i lavori di altri artisti acquistati da Allaria, come Morandi e Picasso. In particolare, l’esposizione si sofferma sulla presenza all’interno della collezione di tre grandi artisti a cui Allaria era legato da rapporti di profonda amicizia: Renato Guttuso, Anton Zoran Mušič e Graham Vivian Sutherland. Le opere del collezionista dialogano inoltre con le opere delle Ccllezioni del Mart e con i suoi allestimenti permanenti. Il dialogo tra nuovi e vecchi ospiti, selezionati per coerenza tematica, finisce ancora una volta per contraddistinguere l’intero percorso di visita del museo di Rovereto.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Massimo Campigli, Le due sorelle, 1931. Mart, Collezione Allaria; [fig. 2] Mario Sironi, Ritratto di Antonio Allaria, (1950). Mart, Collezione Allaria; [fig. 3] Mario Sironi, Figure arcaiche, (1949). Mart, Collezione Allaria 

Informazioni utili
Focus – Mario Sironi nella collezione Allaria. Mart, corso Angelo Bettini, 43 - Rovereto (Trento). Orari: martedì – domenica, ore 10.00-18.00; venerdì, ore 10.00-21.00; lunedì chiuso | la biglietteria chiude mezz'ora prima della chiusura del Museo. Ingresso: intero € 11,00, ridotto € 7,00. Informazioni: numero verde 800.397760; contatti dall’estero tel. +39.0445.230315, info@mart.trento.it. Sito internet: www.mart.trento.it. Fino all’11 giugno 2017

venerdì 12 maggio 2017

Veneto, cento anni di moda italiana in mostra a Villa Pisani

Cento anni di stile italiano in trecento fotografie: si potrebbe riassumere così la mostra «Gli Italiani e la moda. 1860-1960», allestita fino al 1° novembre al Museo nazionale di Villa Pisani a Stra, a pochi chilometri di distanza da Venezia. Pur non dimenticando lo sfarzo dell’alta moda, i personaggi famosi che facevano «tendenza», l’esposizione si concentra sui modi di abbigliarsi e di acconciarsi di tutti i giorni, mostrando uomini, donne e bambini che affollavano strade e piazze, uffici e giardini pubblici.
Dalla redingote (abito maschile elegante) alla giacca, dai corsetti alle linee morbide dei tailleur femminili, dal cilindro alla bombetta: il visitatore si ritrova a confronto con i tanti modi italiani dell’abbigliamento nel periodo a cavallo dall’alba dell’Unità nazionale al primo decennio della Repubblica.
Se è vero che l’alta moda detta i canoni dell’estetica dell’abbigliamento, a cui la «buona società» fa riferimento, è altrettanto vero che la moda di tutti i ceti sociali, della quotidianità, ha contraddistinto l’aspetto degli italiani. Nel mondo de «la moda di tutti i giorni», gli abiti e le acconciature discendono o si rifanno ai tipi della «moda alta», imitandola, semplificandola e, spesso, conservando gli elementi della tradizione del costume, a cui soprattutto le generazioni d’età maggiore stentano a rinunciare.
Le fotografie dell’Ottocento raccontano e descrivono un’età ormai perduta nelle cui immagini ritorna la serietà e i modelli dei ruoli sociali e del buon gusto d’allora. Signori in abito elegante e cilindro, con i pantaloni rigorosamente non stirati, sono ripresi dal fotografo nel loro più consono aspetto quanto mai dignitoso. Questi si accostano a signore e signorine chiuse in abiti con uno stretto corsetto, dalle ampie gonne sorrette da apposite strutture, ornato da fiocchi e merletti fatti a mano in casa. re Vittorio Emanuele II prima e Umberto I dopo, mentre la pettinatura delle signore raccoglie in morbidi chignon i lunghi capelli o si ispira alle acconciature ricercate della principessa Sissi.
Le popolane si avvolgono in grandi scialli e le loro lunghe gonne scendono diritte a terra. I lavoratori, invece, indossano per il fotografo l’abito della festa e magari si tolgono la bombetta che durerà loro per una vita. Anche le acconciature si ispirano ai modelli delle classi sociali maggiori, che nell’Ottocento hanno il loro prototipo nella figura del sovrano. Così nei ritratti fotografici, la foggia dei capelli, dei baffi lunghi, folti e arricciati, come del taglio delle barbe, fanno eco a quelli del
Poi, con il Novecento, tutto muta, e mentre gli abiti maschili riscoprono i colori tenui per le stagioni più calde, le donne abbandonano gli ampi e invadenti vestiti per fogge più semplici nel taglio e nel profilo, dall’orlo che svela le caviglie, mentre anche le belle chiome si offrono alle forbici del parrucchiere. Le fotografie registrano ogni cambiamento dell’aspetto e dell’abbigliamento, poiché la fotografia segue e insegue il mondo e la sua realtà umana e sociale.
Così si arriva alle mode degli anni del regime fascista, dove modelli di apparente proto femminismo della buona società si confrontano con la praticità degli abiti maschili, mentre perdura negli uomini l’uso di portare il cappello che per le donne è ancora un elegante vezzo. È con gli anni del secondo Dopoguerra che l’abbigliamento maschile e femminile dividono le loro strade e se gli uomini ancora non abbandonano, nell’impresa della ricostruzione, giacca e cravatta, le donne indossano abiti sempre più pratici e accorciati, individuando nel tailleur il modello e segno della crescente richiesta del riconoscimento di una completa pari dignità con l’altro sesso. A ispirare la gente comune non sono più (solo) re e principesse, ma i divi del cinema: Tyron Power, Amedeo Nazzari, Alida Valli e Rossano Brazzi.
Contemporaneamente a Villa Pisani sarà visibile, fino al 23 luglio, anche la mostra «Lancerotto. Il ritorno di un protagonista», a cura di Monica Pregnolato e Camillo Tonini, prima esposizione dedicata all’artista noalese nel centenario della sua morte. Attraverso trentaquattro dipinti provenienti dalla collezione civica di Noale, da musei pubblici e da collezioni private si evidenzia il ruolo di primaria rilevanza che Lancerotto, prima vicino al realismo pittorico, poi al simbolismo ha ricoperto nella straordinaria stagione pittorica veneta tra Otto e Novecento.

Informazioni utili
Gli italiani e la moda. 1860-1960. Museo Nazionale di Villa Pisani, via Doge Pisani 7 - Stra (Venezia). Orari: fino al 30 settembre, dalle ore 9.00 alle ore 20.00; dal 1° al 29 ottobre, dalle ore 9.00 alle ore 18.00; dal 29 ottobre al 1° novembre, dalle ore 9.00 alle ore 17.00; chiuso il lunedì. Ingresso: villa, parco e mostra - intero € 10,00, ridotto € 7,50 (cittadini UE tra i 18 e i 25 anni); parco e mostra - intero € 7,50, ridotto € 5,00 (cittadini UE tra i 18 e i 25 anni), gratuito per cittadini UE fino ai 18 anni, biglietto unico residenti Riviera del Brenta (Comuni di Campagna Lupia, Campolongo Maggiore, Camponogara, Dolo, Fiesso d’Artico, Fossò, Mira, Noventa Padovana, Stra, Vigonovo) € 5,00. Informazioni: tel. 049.502270. Sito internet: www.villapisani.beniculturali.it o www.munus.com Fino al 1° novembre 2017.

giovedì 11 maggio 2017

«Viva Vivaldi», a Venezia la musica si vede e si respira

Videomapping, ambienti immersivi, audio multi-direzionale ed effetti olfattivi: offre una narrazione in chiave spettacolare della storia e della vita del grande musicista veneziano Antonio Vivaldi (Venezia 1678-Vienna 1741) il format artistico progettato dall’azienda bolognese Emotional Experience per il Complesso di Sant’Apollonia a Venezia.
«Viva Vivaldi», questo il titolo del progetto, aprirà le sue porte al pubblico il prossimo 13 maggio, nei giorni della Biennale, all’interno degli spazi del Museo diocesano, a pochi passi da San Marco, alle spalle del ponte dei Sospiri.
Il format artistico dedicato al maestro delle «Quattro Stagioni» rappresenta per la città, e non solo, una vera e propria primavera espositiva, un modo completamente nuovo di proporre la conoscenza dell’arte e della storia della musica attraverso un allestimento polimediale capace di immergere il visitatore in un’esperienza di straordinario impatto emotivo.
Grandi proiezioni in hd, multi-directional sound, effetti olfattivi vanno componendo un affresco di nome e colori simili a una partitura musicale, che porta alla scoperta di tutto lo scibile del «prete rosso», grande virtuoso del violino, il più importante ed originale esponente del tardo barocco.
Il percorso immersivo si svolge in più sale ed è fruibile anche anche da parte di un pubblico poco avvezzo alla musica classica o ai musei.
Vivaldi rivive nell’interpretazione del poeta Davide Rondoni, che è stata affiancato da un cast che vede la direzione di produzione artistica e tecnica di Jean Francois Touillaud, la capacità immaginifica e artistica del creativo Gilles Ledos, la consulenza musicale del compositore Cristian Carrara, la consulenza del critico cinematografico Gianni Canova.
«L’unicità artistica di Venezia – afferma Gianpiero Perri - merita un format capace di esprimere tutte le potenzialità di un nuovo modo di avvicinarsi all’arte, più vicino alla sensibilità del nostro tempo. Con «Viva Vivaldi» si intende offrire una modalità nuova per valorizzare i capolavori che appartengono alla storia di Venezia e a quella universale, e permetterne il godimento di tutti. È  la prima volta in Italia che le nuove tecnologie dell’immagine e del suono vengono utilizzate per raccontare di un musicista: la musica si trasformerà in colori e profumi e prenderà vita con modalità del tutto nuove, coinvolgenti ed emozionanti, per un’indimenticabile esperienza sensoriale».
Il progetto propone, dunque, un nuovo modo di ascoltare la musica di Antonio Vivaldi grazie a un percorso musicale originale, con «zone di cesura inedite» appositamente composte da Cristian Carrara. Le tre sale su cui è imperniato «VivaVivaldi» sono un tutt'uno, musicalmente parlando: il visitatore incontra quindici-venti frammenti di brani vivaldiani – per circa trentacinque minuti di ascolto - che sono però collegati fra loro come fossero un unico lavoro, un'unica musica.
Lo scopo della mostra non è solo quello di fare conoscere la produzione musicale, ma di connetterla con la persona di Vivaldi. «La cosa interessante –spiega Carrara– è stata perciò individuare le pagine musicali che meglio si adattassero alle situazioni umane sottolineate dallo storyboard scritto dal poeta Davide Rondoni. Questa è anche la novità di questa proposta veneziana, per cui chi viene alla mostra non entra in un museo vivaldiano, ma vive l'interpretazione che abbiamo dato della musica di Vivaldi, collegata al suo essere uomo. La musica, insomma, parla di Vivaldi stesso».
Tutto ciò per conoscere Vivaldi in profondità, ma anche con modalità attraenti per tutti, per cui saranno proposti ambienti immersivi e soluzioni tecnologiche altamente innovative, tra cui il primo video – mapping di interni. Per un’esperienza unica che arricchirà i giorni, già ricchi, della Biennale di Venezia.

Informazioni utili
«Viva Vivaldi». Museo Diocesano, San Marco - VeneziaOrari: da maggio a ottobre – dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 22.00; da novembre ad aprile, dalle ore 10.00 alle ore 20.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 15,00, ridotto € 12,00 (bambini 6-12 anni, studenti, over 65), scuole € 6,00, ingresso gratuito per bambini sotto i 6 anni accompagnati da un adulto. Informazioni: www.vivavivaldivenezia.com. Dal 13 maggio 2017.