Dalle origini nella Maremma Toscana ai primi concerti come musicista-cantante «colorati» di battute e aneddoti, fino ad arrivare ai monologhi che lo hanno reso una delle star di «Zelig»: Sergio Sgrilli si racconta a tutto tondo sul palco del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
Venerdì 17 novembre, alle ore 21, la stagione 2017/2018 della sala di via Calatafimi, intitolata ancora una volta «Mettiamo in circolo la cultura» e inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», apre le porte a «20 in poppa», uno show celebrativo di vent’anni di carriera o -come dichiarano dall’agenzia Ridens, che distribuisce lo spettacolo- «una sorta di Bignami di quasi tutto ciò che è e ha fatto Sgrilli comico».
Il risultato è un racconto di più di trent’anni, quarantotto alla anagrafe, dedicati alla creatività e a uno stile di vita che il comico toscano, sul palco anche nelle vesti di musicista e cantautore, definisce: «sbarcare il lunario al meglio che si può!».
«In scena l’essenziale: una sedia, una chitarra e tante, tante cose da raccontare -assicurano dalla distribuzione dello spettacolo- per risate a crepapelle intervallate da momenti introspettivi», che fanno di «20 in poppa» uno spettacolo interattivo e mutevole, capace di instaurare con il pubblico un rapporto diretto, dialettico ed entusiasmante. Gli affezionati abbonati del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio ne sanno già qualcosa. «Quello di Sergio Sgrilli nella nostra sala -racconta, infatti, Marco Bianchi, direttore organizzativo della realtà di via Calatafimi- è un gradito ritorno. L’artista toscano è stato nostro ospite anche due stagioni fa, in primavera, con «Prendila così non possiamo farne un dramma...», una performance che ha parlato d’amore attraverso le canzoni di Tenco, Capossela, Bennato, Dalla e De Gregori».
Questa volta a tessere la trama dello show saranno il racconto di viaggi e collaborazioni, stralci di vecchi e nuovi spettacoli, pezzi popolari fatti in tv e qualche brano del disco «Dieci venti d’amore», uscito nel 2012.
Sergio Sgrilli racconterà così dei suoi inizi in Toscana, quando Faso di «Elio e Le Storie Tese» gli disse: «tu sei bravo a cantare, ma come cabarettista saresti un fenomeno!». Parlerà, poi, dei tanti eventi che, nel tempo, lo hanno visto affiancarsi a grandi del cabaret come Cochi e Renato, Enzo Iannacci e Claudio Bisio, al quale si deve anche il soprannome «uomo del blues», un ricordo di quando negli anni d’oro di «Zelig» il comico toscano faceva le sue entrate suonando un blues orecchiabile alla chitarra, per poi incentrare i suoi sketch su parodie musicali. Tecnica artistica e fantasia si uniranno così in una «serata da ricordare», assicurano dall’agenzia Ridens, che vedrà Sergio Sgrilli vestire i tanti abiti che gli sono congeniali: musicista, cantautore, autore, attore, narratore o, come ama definirsi lui, «mente pensante».
Si apre, dunque, alla comicità e alla musica d’autore la stagione 2017/2018 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, ideata da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Geppi Cuccari a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Vanessa Gravina, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu. Un’occasione per passare una serata all’insegna del sorriso e della riflessione.
Per saperne di più
https://issuu.com/teatromanzonidibustoarsizio/docs/opuscolo_stagteatrale_2017-2018_24
Informazioni utili
«20 in poppa», show con Sergio Sgrilli. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 – Busto Arsizio. Quando: venerdì 17 novembre 2017, ore 21.00. Ingresso: € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00. Botteghino: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. Prevendita on line: I biglietti sono già comodamente acquistabili anche on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sul sito www.cinemateatromanzoni.it. Informazioni: cell. 339.7559644, tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì), info@cinemateatromanzoni.it.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
sabato 11 novembre 2017
giovedì 9 novembre 2017
«Restituzioni», al museo civico archeologico di Bologna si restaura un sarcofago egizio
C’è anche l’Istituzione Bologna Musei | Museo civico archeologico tra i musei, i siti archeologici e i luoghi di culto selezionati per «Restituzioni», il programma biennale di interventi volti alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio pubblico del nostro Paese, ideato e curato da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con gli enti ministeriali preposti alla tutela dei beni archeologici e storico-artistici.
Avviato nel 1989 dall’allora Banca cattolica del Veneto, con obiettivi e finalità legati al territorio di competenza di quell’Istituto, il progetto ha gradualmente ampliato il proprio raggio di azione, di pari passo con la crescita della banca, ed ha raggiunto oggi dimensione e importanza nazionali.
In quasi trenta anni di operatività, «Restituzioni» è riuscito a coinvolgere pressoché l’intero territorio nazionale ed è in continua espansione, come testimoniano i numeri della passata edizione, la diciassettesima, che ha visto la restituzione al pubblico di oltre centoquaranta singoli manufatti e il coinvolgimento di trentasei enti ministeriali attivi in dodici regioni italiane e l’inclusione per la prima volta di un Paese straniero con il restauro di tre rilievi lignei provenienti dal Calvario Di Banská Štiavnica in Repubblica Slovacca.
Dal 1989 a oggi, sono ormai più di un migliaio le opere “restituite” alla collettività: una sorta di ideale museo, con testimonianze che spaziano dalle epoche proto-storiche fino all’età contemporanea, dall’archeologia all’oreficeria, alle arti plastiche e pittoriche.
A queste opere, ora, se ne aggiungono altre duecento per un totale di quarantanove enti di tutela coinvolti e cinquantanove enti proprietari, tra musei, chiese, siti archeologici. Tra questi c’è il Museo archeologico di Bologna che, per la terza volta consecutiva, vedrà restaurata un’opera della sua collezione.
La proposta presentata per la diciotto edizione del progetto prevede l’intervento conservativo del sarcofago antropoide ligneo di un alto funzionario egiziano chiamato di «Unmontu», attribuibile per tipologia, apparato iconografico e testuale all'epoca della XXV dinastia (746 – 655 a.C.).
Il prezioso manufatto è giunto a Bologna attraverso un lascito del pittore bolognese Pelagio Pelagi che donò alla sua città natale un'immensa collezione di reperti comprendente anche 3109 antichità egiziane acquistate sul mercato antiquario negli anni tra il 1824 e il 1845, successivamente confluite nel patrimonio del Museo civico archeologico come uno dei principali nuclei originari.
Sin dal suo arrivo in città nel 1861 questo sarcofago attirò l'attenzione degli studiosi e dei cittadini bolognesi per la vivace policromia, il raffinato apparato iconografico e la ricchezza dei testi funerari in caratteri geroglifici che si distribuiscono in colonne sull’intera superficie esterna sia della cassa sia del coperchio.
Nelle scorse settimane è stata avviata la valutazione dello stato conservativo del manufatto attraverso un complesso studio conoscitivo condotto sotto la direzione scientifica di Daniela Picchi, funzionario egittologo del museo, e a cura del Consorzio Croma (Conservazione e restauro di opere e monumenti d'arte) di Roma, con il supporto scientifico di esperti in diverse discipline operanti in vari atenei e istituzioni, dall’Alma Mater Studiorum alla Carlo Bo di Urbino.
L'articolato progetto diagnostico, finalizzato a fornire le conoscenze preliminari agli interventi di restauro, è stato supportato dalle più avanzate tecnologie non distruttive. Accanto all’analisi tomografica computerizzata con raggi X e alla datazione con il metodo del radiocarbonio sono state effettuate analisi anatomiche per determinare la specie legnosa e uno studio relativo alla policromia mediante indagini non invasive e micro-invasive; approcci diagnostici tesi ad un’analisi accuratissima del manufatto, che hanno permesso di individuare i materiali costitutivi, le tecniche esecutive, le diverse fasi di lavorazione ed eventuali interventi conservativi di epoca moderna.
Le risultanze delle indagini hanno evidenziato un precario stato conservativo del sarcofago e la necessità di un nuovo intervento, dopo un precedente restauro effettuato negli anni sessanta del Novecento.
Come già sperimentato in passato, il Museo civico archeologico condividerà con il pubblico questo importante momento di ricerca e conservazione aprendo le porte del cantiere per seguire gli interventi di restauro fino al termine previsto nel dicembre 2017.
In corrispondenza delle fasi più significative del lavoro sarà infatti possibile assistere “in diretta” alle pazienti operazioni degli esperti grazie ad un box/laboratorio posizionato tra le teche espositive della sezione egizia, la terza in Italia per importanza. Una modalità di fruizione, quella del cantiere aperto, particolarmente efficace coma pratica di divulgazione e valorizzazione dei beni culturali, per favorire la conoscenza del patrimonio artistico conservato negli spazi museali attraverso un'emozionante esperienza di coinvolgimento.
La restituzione del sarcofago, che ne salvaguarderà correttamente la futura fruizione all'interno del percorso espositivo, verrà così assicurata da una virtuosa sinergia tra le competenze scientifiche attivate dal Museo Civico Archeologico e l'impegno di Intesa Sanpaolo nella difesa dei beni artistici nazionali.
Al termine dei lavori, domenica 18 febbraio 2018, Daniela Picchi ed Emiliano Antonell del Consorzio Croma presenteranno gli esiti dell'importante operazione in una conferenza aperta al pubblico.
Inoltre, a conclusione della campagna di restauri finanziati per la XVIII edizione di «Restituzioni», il sarcofago di «Unmontu», unitamente ad altre duecento opere salvate, sarà esposto Sanpaolo dal 27 marzo al 16 settembre 2018 alla Venaria Reale di Torino, in una grande mostra organizzata da Intesa Sanpaolo.
Informazioni utili
Museo civico archeologico, via dell'Archiginnasio 2 - 40124 Bologna, tel. 051.2757211 o mca@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/archeologico
Avviato nel 1989 dall’allora Banca cattolica del Veneto, con obiettivi e finalità legati al territorio di competenza di quell’Istituto, il progetto ha gradualmente ampliato il proprio raggio di azione, di pari passo con la crescita della banca, ed ha raggiunto oggi dimensione e importanza nazionali.
In quasi trenta anni di operatività, «Restituzioni» è riuscito a coinvolgere pressoché l’intero territorio nazionale ed è in continua espansione, come testimoniano i numeri della passata edizione, la diciassettesima, che ha visto la restituzione al pubblico di oltre centoquaranta singoli manufatti e il coinvolgimento di trentasei enti ministeriali attivi in dodici regioni italiane e l’inclusione per la prima volta di un Paese straniero con il restauro di tre rilievi lignei provenienti dal Calvario Di Banská Štiavnica in Repubblica Slovacca.
Dal 1989 a oggi, sono ormai più di un migliaio le opere “restituite” alla collettività: una sorta di ideale museo, con testimonianze che spaziano dalle epoche proto-storiche fino all’età contemporanea, dall’archeologia all’oreficeria, alle arti plastiche e pittoriche.
A queste opere, ora, se ne aggiungono altre duecento per un totale di quarantanove enti di tutela coinvolti e cinquantanove enti proprietari, tra musei, chiese, siti archeologici. Tra questi c’è il Museo archeologico di Bologna che, per la terza volta consecutiva, vedrà restaurata un’opera della sua collezione.
La proposta presentata per la diciotto edizione del progetto prevede l’intervento conservativo del sarcofago antropoide ligneo di un alto funzionario egiziano chiamato di «Unmontu», attribuibile per tipologia, apparato iconografico e testuale all'epoca della XXV dinastia (746 – 655 a.C.).
Il prezioso manufatto è giunto a Bologna attraverso un lascito del pittore bolognese Pelagio Pelagi che donò alla sua città natale un'immensa collezione di reperti comprendente anche 3109 antichità egiziane acquistate sul mercato antiquario negli anni tra il 1824 e il 1845, successivamente confluite nel patrimonio del Museo civico archeologico come uno dei principali nuclei originari.
Sin dal suo arrivo in città nel 1861 questo sarcofago attirò l'attenzione degli studiosi e dei cittadini bolognesi per la vivace policromia, il raffinato apparato iconografico e la ricchezza dei testi funerari in caratteri geroglifici che si distribuiscono in colonne sull’intera superficie esterna sia della cassa sia del coperchio.
Nelle scorse settimane è stata avviata la valutazione dello stato conservativo del manufatto attraverso un complesso studio conoscitivo condotto sotto la direzione scientifica di Daniela Picchi, funzionario egittologo del museo, e a cura del Consorzio Croma (Conservazione e restauro di opere e monumenti d'arte) di Roma, con il supporto scientifico di esperti in diverse discipline operanti in vari atenei e istituzioni, dall’Alma Mater Studiorum alla Carlo Bo di Urbino.
L'articolato progetto diagnostico, finalizzato a fornire le conoscenze preliminari agli interventi di restauro, è stato supportato dalle più avanzate tecnologie non distruttive. Accanto all’analisi tomografica computerizzata con raggi X e alla datazione con il metodo del radiocarbonio sono state effettuate analisi anatomiche per determinare la specie legnosa e uno studio relativo alla policromia mediante indagini non invasive e micro-invasive; approcci diagnostici tesi ad un’analisi accuratissima del manufatto, che hanno permesso di individuare i materiali costitutivi, le tecniche esecutive, le diverse fasi di lavorazione ed eventuali interventi conservativi di epoca moderna.
Le risultanze delle indagini hanno evidenziato un precario stato conservativo del sarcofago e la necessità di un nuovo intervento, dopo un precedente restauro effettuato negli anni sessanta del Novecento.
Come già sperimentato in passato, il Museo civico archeologico condividerà con il pubblico questo importante momento di ricerca e conservazione aprendo le porte del cantiere per seguire gli interventi di restauro fino al termine previsto nel dicembre 2017.
In corrispondenza delle fasi più significative del lavoro sarà infatti possibile assistere “in diretta” alle pazienti operazioni degli esperti grazie ad un box/laboratorio posizionato tra le teche espositive della sezione egizia, la terza in Italia per importanza. Una modalità di fruizione, quella del cantiere aperto, particolarmente efficace coma pratica di divulgazione e valorizzazione dei beni culturali, per favorire la conoscenza del patrimonio artistico conservato negli spazi museali attraverso un'emozionante esperienza di coinvolgimento.
La restituzione del sarcofago, che ne salvaguarderà correttamente la futura fruizione all'interno del percorso espositivo, verrà così assicurata da una virtuosa sinergia tra le competenze scientifiche attivate dal Museo Civico Archeologico e l'impegno di Intesa Sanpaolo nella difesa dei beni artistici nazionali.
Al termine dei lavori, domenica 18 febbraio 2018, Daniela Picchi ed Emiliano Antonell del Consorzio Croma presenteranno gli esiti dell'importante operazione in una conferenza aperta al pubblico.
Inoltre, a conclusione della campagna di restauri finanziati per la XVIII edizione di «Restituzioni», il sarcofago di «Unmontu», unitamente ad altre duecento opere salvate, sarà esposto Sanpaolo dal 27 marzo al 16 settembre 2018 alla Venaria Reale di Torino, in una grande mostra organizzata da Intesa Sanpaolo.
Informazioni utili
Museo civico archeologico, via dell'Archiginnasio 2 - 40124 Bologna, tel. 051.2757211 o mca@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/archeologico
martedì 7 novembre 2017
Luigi Crespi, un ritrattista bolognese del Settecento
È noto principalmente per essere l’autore del terzo tomo della «Felsina Pittrice – Vite de’ pittori bolognesi», edito nel 1769 in prosecuzione dei due volumi pubblicati da Carlo Cesare Malvasia nel 1678. Ma fu anche un apprezzato ritrattista del Settecento bolognese, in relazione al clima di rinnovamento culturale favorito dall'illuminata opera pastorale del cardinale Prospero Lambertini (1731-1754). Stiamo parlando di Luigi Crespi (1708-1779), figlio del celebre pittore Giuseppe Maria detto lo Spagnolo (1665-1747), a cui i Musei civici d’arte antica dell'Istituzione Bologna musei dedicano, in questi giorni, un'ampia mostra nelle sale della Galleria Davia Bargellini.
L'esposizione, a cura di Mark Gregory D'Apuzzo e Irene Graziani, presenta il nucleo più significativo di dipinti dell'artista conservati nel museo di Strada Maggiore, apprezzato soprattutto per la sua pregevole quadreria senatoria di dipinti bolognesi dal XIV al XVIII secolo, in dialogo con altre sue opere provenienti dalle collezioni comunali e con prestiti di altre importanti istituzioni cittadine e di collezionisti privati, in un percorso antologico articolato in sette sezioni tematiche che, per la prima volta, consente di ricostruire le fasi più rilevanti della sua vicenda artistica.
Luigi Crespi iniziò a dipingere nella bottega paterna fra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del Settecento. Molti anni più tardi, nella biografia del padre (1769), sosterrà di essersi cimentato in questa attività «per divertimento», quasi significare il privilegio accordato al prestigioso ruolo, assunto a partire dagli anni Cinquanta, di scrittore e critico d’arte, che gli frutterà importanti riconoscimenti come l’aggregazione alle Accademie di Firenze (1770), di Parma (1774) e di Venezia (1776).
Grazie all’amicizia del padre Giuseppe Maria con Prospero Lambertini, Luigi sostenne la carriera clericale e venne nominato «segretario generale della visita della città e della diocesi», canonico della collegiata di Santa Maria Maggiore ed infine, dopo l'elezione al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV (1740-1758), suo cappellano segreto.
La sua produzione figurativa, in particolar modo quella rappresentata dal più congeniale genere del ritratto, rivela un autore sensibile al dialogo con la scienza moderna e con la libera circolazione delle idee dell’Europa cosmopolita. Nonostante l’impegno applicato anche all’ambito dell’arte sacra, cui Luigi Crespi si dedica almeno fino agli inizi degli anni Settanta, è soprattutto nella ritrattistica che egli raggiunge esiti di grande finezza ed efficacia, molto apprezzati dalla committenza. «Ebbe un particolare dono di ritrarre le fisionomie degli Uomini, e ne fece una serie di Ritratti di Cavaglieri e Damme», scrive infatti l'erudito del tempo Marcello Oretti, celebrandone l’abilità nell’adattare la formula del codice ritrattistico alle esigenze della clientela.
Come dimostrano il «Ritratto di giovane dama con cagnolino», o i tre ritratti dei Principi Argonauti in origine nel collegio gesuitico di San Francesco Saverio, la pittura di Crespi junior, già addestrato dal genitore Giuseppe Maria ad un fare schietto, attento al naturale e al «vero», evolve verso un nitore della visione che risalta i dettagli, in un’analitica investigazione della realtà, memore di certi esempi virtuosistici (Balthasar Denner e Martin van Meytens, in primis) osservati nel 1752 durante un viaggio fra Austria e Germania, dove visita le Gallerie delle corti di Dresda e Vienna. Dal confronto con il «grande mondo» –per utilizzare un’espressione di Prospero Lambertini– Luigi Crespi deriva la conferma della validità del genere del ritratto ufficiale, che gli consente di rappresentare i personaggi, qualificandone i gusti sofisticati, le abitudini raffinate, i comportamenti eleganti e disinvolti da assumere nella vita di società, dove si praticano i rituali di quella «civiltà della conversazione» che nella moderna Europa riunisce aristocratici e intellettuali in un dialogo paritario, dettato dalla condivisione di regole e valori comuni.
La prossimità con la cultura lambertiniana lo conduce inoltre a sperimentare, dapprima ancora con il sostegno del padre, poi autonomamente, nuove invenzioni compositive in cui lo sguardo incrocia i volti di individui del ceto borghese: talvolta sono gli oggetti a raccontare con la loro perspicuità di definizione la dignità del lavoro (è il caso del «Ritratto di Antonio Cartolari»), altre volte sono invece i gesti caratteristici, l’inquadratura priva di infingimenti (come avviene nel «Ritratto di fanciulla»), la resa confidenziale del modello, quasi al limite della caricatura (si veda il «Ritratto di Padre Corsini»), a fare emergere il valore umano di quella parte della società, cui papa Lambertini riconosceva un ruolo fondamentale nella riforma dei rapporti con le istituzioni ecclesiastiche.
La mostra, per la quale è previsto anche un ciclo di incontri e di visite guidate, è accompagnata da un volume, il primo monografico nella bibliografia sull'artista, edito da Silvana Editoriale, corredato da un apparato iconografico che documenta la produzione ritrattistica, una presentazione di Massimo Medica e saggi di Gabriella Zarri, Giovanna Perini Folesani, Irene Graziani e Mark Gregory D'Apuzzo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luigi Crespi, Autoritratto. Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1771. Olio su tela, cm 87,5x68,5 (Inv. 6414); [fig. 2] Luigi Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi. In Roma, in Marco Pagliarini stamperia, 1769. Biblioteca Igino Benvenuto Supino, Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Dipartimento delle Arti; [fig. 3] Giuseppe Maria e Luigi Crespi, Ritratto di Antonio Cartolari. ASP Città di Bologna, in prestito presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, 1730 ca. Olio su tela, cm 93x75
Informazioni utili
Luigi Crespi ritrattista nell’età di papa Lambertini. Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore, 44 - Bologna. Orari: dal martedì al sabato, ore 9.00–14.00; domenica e festivi, ore 9.00 – 13.00; chiuso i lunedì feriali. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 3 dicembre 2017
Luigi Crespi iniziò a dipingere nella bottega paterna fra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del Settecento. Molti anni più tardi, nella biografia del padre (1769), sosterrà di essersi cimentato in questa attività «per divertimento», quasi significare il privilegio accordato al prestigioso ruolo, assunto a partire dagli anni Cinquanta, di scrittore e critico d’arte, che gli frutterà importanti riconoscimenti come l’aggregazione alle Accademie di Firenze (1770), di Parma (1774) e di Venezia (1776).
Grazie all’amicizia del padre Giuseppe Maria con Prospero Lambertini, Luigi sostenne la carriera clericale e venne nominato «segretario generale della visita della città e della diocesi», canonico della collegiata di Santa Maria Maggiore ed infine, dopo l'elezione al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV (1740-1758), suo cappellano segreto.
La sua produzione figurativa, in particolar modo quella rappresentata dal più congeniale genere del ritratto, rivela un autore sensibile al dialogo con la scienza moderna e con la libera circolazione delle idee dell’Europa cosmopolita. Nonostante l’impegno applicato anche all’ambito dell’arte sacra, cui Luigi Crespi si dedica almeno fino agli inizi degli anni Settanta, è soprattutto nella ritrattistica che egli raggiunge esiti di grande finezza ed efficacia, molto apprezzati dalla committenza. «Ebbe un particolare dono di ritrarre le fisionomie degli Uomini, e ne fece una serie di Ritratti di Cavaglieri e Damme», scrive infatti l'erudito del tempo Marcello Oretti, celebrandone l’abilità nell’adattare la formula del codice ritrattistico alle esigenze della clientela.
Come dimostrano il «Ritratto di giovane dama con cagnolino», o i tre ritratti dei Principi Argonauti in origine nel collegio gesuitico di San Francesco Saverio, la pittura di Crespi junior, già addestrato dal genitore Giuseppe Maria ad un fare schietto, attento al naturale e al «vero», evolve verso un nitore della visione che risalta i dettagli, in un’analitica investigazione della realtà, memore di certi esempi virtuosistici (Balthasar Denner e Martin van Meytens, in primis) osservati nel 1752 durante un viaggio fra Austria e Germania, dove visita le Gallerie delle corti di Dresda e Vienna. Dal confronto con il «grande mondo» –per utilizzare un’espressione di Prospero Lambertini– Luigi Crespi deriva la conferma della validità del genere del ritratto ufficiale, che gli consente di rappresentare i personaggi, qualificandone i gusti sofisticati, le abitudini raffinate, i comportamenti eleganti e disinvolti da assumere nella vita di società, dove si praticano i rituali di quella «civiltà della conversazione» che nella moderna Europa riunisce aristocratici e intellettuali in un dialogo paritario, dettato dalla condivisione di regole e valori comuni.
La prossimità con la cultura lambertiniana lo conduce inoltre a sperimentare, dapprima ancora con il sostegno del padre, poi autonomamente, nuove invenzioni compositive in cui lo sguardo incrocia i volti di individui del ceto borghese: talvolta sono gli oggetti a raccontare con la loro perspicuità di definizione la dignità del lavoro (è il caso del «Ritratto di Antonio Cartolari»), altre volte sono invece i gesti caratteristici, l’inquadratura priva di infingimenti (come avviene nel «Ritratto di fanciulla»), la resa confidenziale del modello, quasi al limite della caricatura (si veda il «Ritratto di Padre Corsini»), a fare emergere il valore umano di quella parte della società, cui papa Lambertini riconosceva un ruolo fondamentale nella riforma dei rapporti con le istituzioni ecclesiastiche.
La mostra, per la quale è previsto anche un ciclo di incontri e di visite guidate, è accompagnata da un volume, il primo monografico nella bibliografia sull'artista, edito da Silvana Editoriale, corredato da un apparato iconografico che documenta la produzione ritrattistica, una presentazione di Massimo Medica e saggi di Gabriella Zarri, Giovanna Perini Folesani, Irene Graziani e Mark Gregory D'Apuzzo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luigi Crespi, Autoritratto. Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1771. Olio su tela, cm 87,5x68,5 (Inv. 6414); [fig. 2] Luigi Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi. In Roma, in Marco Pagliarini stamperia, 1769. Biblioteca Igino Benvenuto Supino, Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Dipartimento delle Arti; [fig. 3] Giuseppe Maria e Luigi Crespi, Ritratto di Antonio Cartolari. ASP Città di Bologna, in prestito presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, 1730 ca. Olio su tela, cm 93x75
Informazioni utili
Luigi Crespi ritrattista nell’età di papa Lambertini. Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore, 44 - Bologna. Orari: dal martedì al sabato, ore 9.00–14.00; domenica e festivi, ore 9.00 – 13.00; chiuso i lunedì feriali. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 3 dicembre 2017
domenica 5 novembre 2017
Venezia, un viaggio nel vetro con Rosslynd Piggott
Proseguono a Venezia gli eventi di «Muve contemporaneo», il programma di eventi promosso dai locali Musei civici in occasione della Biennale d’arte. Al museo del vetro di Murano, nell’affascinante Spazio Conterie, va in scena l’esposizione «Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2», a cura di Chiara Squarcina, Francesca Giubilei e Luca Berta.
La rassegna, visitabile fino al 3 dicembre, presenta l’articolato percorso dell’artista australiana, che in oltre trent’anni di carriera ha affiancato alla pittura, l’esplorazione di un’ampia gamma di altre tecniche, compresa l’indagine sul vetro, sperimentando supporti come lo specchio, i tessuti, ma anche oggetti antichi e ritrovati, metalli, carta e gioielli.
I primi lavori con il vetro risalgono al 1990. Di quest’anno è l’opera «100 Glasses», una poesia spazio-lineare, composta da cento bicchieri disposti su di una lunga mensola, incisi con parole. La sequenza inizia con nomi di città lontane, storicamente e sentimentalmente pregnanti, «Roma», «Egitto», «Tebe» e «Venezia». Vengono, poi, gli elementi, il sale e l’inchiostro, i sostantivi, le date del passato e del futuro, i nomi di autori come «Marcel» (Proust o Duchamp) e «Virginia» (Woolf), per finire con i quattordici bicchieri senza nessuna incisione che implicano l’apertura, lo spazio non finito.
In questo primo lavoro, Rosslynd Piggott si sofferma sul potenziale metafisico del vetro. Da quel momento questo materiale ha continuato ad essere importante per la sua pratica, in particolare per le sue qualità paradossali: contiene e rivela al tempo stesso, è solido e fluido e ha la capacità di evocare un senso dello spazio multiplo.
Per una pittrice quale Rosslynd Piggott, abituata a lavorare con velature sovrapposte di delicato colore semitrasparente, il vetro si offre come supporto coerente con il suo senso della materia.
L’incontro con Murano avviene nel 2011; in questa occasione l’artista realizza nove vasi con tappi caratterizzati da motivi floreali, contenenti una collezione d’aria, raccolta presso il famoso «Giardino di Ninfa».
Tra il 2012 e 2016 Rosslynd Piggott inizia a lavorare regolarmente sull’isola veneziana con il maestro incisore Maurizio Vidal dello studio Ongaro e Fuga. Questi suoi nuovi lavori sono spesso accompagnati da delicati disegni in cui lentamente la figura si dissolve, fino a sparire, nel bianco assoluto della cellulosa.
I disegni su carta sono la continuazione o il prodromo delle nuove opere su vetro: lievissimi tratti di matita, quasi impercettibili, segnano la continuità con l’affilata rotella di pietra che incide delicatamente il vetro.
La scoperta dell’incisione su vetro e della maestria degli artigiani muranesi la porta a realizzare una serie di lavori composti da una stratificazione insolita e affascinante: lastre di vetro inciso con soggetti botanici, sovrapposte in più strati a piccoli intervalli, e uno specchio sul fondo. La presenza dello specchio come fondale ha la funzione di raddoppiare la stratificazione vegetale, conferendole un carattere quasi vertiginoso, ma anche quella di includere, seppur in maniera ambigua e deformata, il rifesso dell’osservatore nell’opera.
Lo specchio ha un ruolo di primaria importanza nel lavoro di Piggott, in particolare se la superficie è intaccata dal tempo, e l’ossidazione rende più misteriosa e oscura la riflessione. In Australia realizza numerosi specchi deformati, caratterizzati da superfici nebulose e quasi liquide. Anche nelle opere della serie «Garden Fracture/Mirror in Vapour» si scruta attraverso le superfici rifrangenti e riflettenti che fanno rimbalzare lo sguardo, catturato da una miriade di lenti tondeggianti sovrapposte a rami spezzati di glicine, petali di ciliegio in caduta, fori di peonia maturi: visione multipla e moltiplicata di un giardino caotico per staccarsi da sé.
Con questa mostra Rosslynd Piggott ribadisce l’indiscutibile valenza dell’eccellenza muranese, unica capace di tramutare l’idea dell’artista in opera d’arte. È a Murano che l’artista può sfidare la materia e realizzare l’impossibile: i lavori di Piggott catapultano l’osservatore in un mondo senza tempo, uno spazio per l’immaginazione e l’intangibile, per lo stupore e il piacere, dove tutto rinvia alla frattura tra il sé e il non-sé.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rosslynd Piggott, 100 Glasses, 1991. Installation, 100 handblown and engraved glasses, painted shelf and walls. Variable dimensions; [fig. 2] Rosslynd Piggott, Garden fracture/ Mirror in vapour no. 8, 2016. Engraved clear glass, mirrored Murano glass, slumped and mirrored glass, 53 x 55 x 20cm; [fig. 3] Rosslynd Piggott, Mirror shift- Wisteria bloom, 2016. Engraved mirror, engraved glass with avventurina, wooden shelf. 55 x 150 x 20cm
Informazioni utili
«Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 - Murano (Venezia). Orari: tutti i giorni, ore 10.00–17.00; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, offerta scuola € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it, 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.museovetro.visitmuve.it. Fino al 3 dicembre 2017
La rassegna, visitabile fino al 3 dicembre, presenta l’articolato percorso dell’artista australiana, che in oltre trent’anni di carriera ha affiancato alla pittura, l’esplorazione di un’ampia gamma di altre tecniche, compresa l’indagine sul vetro, sperimentando supporti come lo specchio, i tessuti, ma anche oggetti antichi e ritrovati, metalli, carta e gioielli.
I primi lavori con il vetro risalgono al 1990. Di quest’anno è l’opera «100 Glasses», una poesia spazio-lineare, composta da cento bicchieri disposti su di una lunga mensola, incisi con parole. La sequenza inizia con nomi di città lontane, storicamente e sentimentalmente pregnanti, «Roma», «Egitto», «Tebe» e «Venezia». Vengono, poi, gli elementi, il sale e l’inchiostro, i sostantivi, le date del passato e del futuro, i nomi di autori come «Marcel» (Proust o Duchamp) e «Virginia» (Woolf), per finire con i quattordici bicchieri senza nessuna incisione che implicano l’apertura, lo spazio non finito.
In questo primo lavoro, Rosslynd Piggott si sofferma sul potenziale metafisico del vetro. Da quel momento questo materiale ha continuato ad essere importante per la sua pratica, in particolare per le sue qualità paradossali: contiene e rivela al tempo stesso, è solido e fluido e ha la capacità di evocare un senso dello spazio multiplo.
Per una pittrice quale Rosslynd Piggott, abituata a lavorare con velature sovrapposte di delicato colore semitrasparente, il vetro si offre come supporto coerente con il suo senso della materia.
L’incontro con Murano avviene nel 2011; in questa occasione l’artista realizza nove vasi con tappi caratterizzati da motivi floreali, contenenti una collezione d’aria, raccolta presso il famoso «Giardino di Ninfa».
Tra il 2012 e 2016 Rosslynd Piggott inizia a lavorare regolarmente sull’isola veneziana con il maestro incisore Maurizio Vidal dello studio Ongaro e Fuga. Questi suoi nuovi lavori sono spesso accompagnati da delicati disegni in cui lentamente la figura si dissolve, fino a sparire, nel bianco assoluto della cellulosa.
I disegni su carta sono la continuazione o il prodromo delle nuove opere su vetro: lievissimi tratti di matita, quasi impercettibili, segnano la continuità con l’affilata rotella di pietra che incide delicatamente il vetro.
La scoperta dell’incisione su vetro e della maestria degli artigiani muranesi la porta a realizzare una serie di lavori composti da una stratificazione insolita e affascinante: lastre di vetro inciso con soggetti botanici, sovrapposte in più strati a piccoli intervalli, e uno specchio sul fondo. La presenza dello specchio come fondale ha la funzione di raddoppiare la stratificazione vegetale, conferendole un carattere quasi vertiginoso, ma anche quella di includere, seppur in maniera ambigua e deformata, il rifesso dell’osservatore nell’opera.
Lo specchio ha un ruolo di primaria importanza nel lavoro di Piggott, in particolare se la superficie è intaccata dal tempo, e l’ossidazione rende più misteriosa e oscura la riflessione. In Australia realizza numerosi specchi deformati, caratterizzati da superfici nebulose e quasi liquide. Anche nelle opere della serie «Garden Fracture/Mirror in Vapour» si scruta attraverso le superfici rifrangenti e riflettenti che fanno rimbalzare lo sguardo, catturato da una miriade di lenti tondeggianti sovrapposte a rami spezzati di glicine, petali di ciliegio in caduta, fori di peonia maturi: visione multipla e moltiplicata di un giardino caotico per staccarsi da sé.
Con questa mostra Rosslynd Piggott ribadisce l’indiscutibile valenza dell’eccellenza muranese, unica capace di tramutare l’idea dell’artista in opera d’arte. È a Murano che l’artista può sfidare la materia e realizzare l’impossibile: i lavori di Piggott catapultano l’osservatore in un mondo senza tempo, uno spazio per l’immaginazione e l’intangibile, per lo stupore e il piacere, dove tutto rinvia alla frattura tra il sé e il non-sé.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rosslynd Piggott, 100 Glasses, 1991. Installation, 100 handblown and engraved glasses, painted shelf and walls. Variable dimensions; [fig. 2] Rosslynd Piggott, Garden fracture/ Mirror in vapour no. 8, 2016. Engraved clear glass, mirrored Murano glass, slumped and mirrored glass, 53 x 55 x 20cm; [fig. 3] Rosslynd Piggott, Mirror shift- Wisteria bloom, 2016. Engraved mirror, engraved glass with avventurina, wooden shelf. 55 x 150 x 20cm
Informazioni utili
«Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 - Murano (Venezia). Orari: tutti i giorni, ore 10.00–17.00; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, offerta scuola € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it, 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.museovetro.visitmuve.it. Fino al 3 dicembre 2017
venerdì 3 novembre 2017
Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat in mostra a Milano
Va alla scoperta degli usi e dei costumi di uno dei popoli più affascinanti della Nuova Guinea la nuova mostra del Mudec, il Museo delle culture di Milano. Ha, infatti, da poco aperto le porte «Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat», primo momento di riflessione in un museo pubblico italiano su uno dei popoli più affascinanti dell’area oceanica.
Il percorso espositivo, che si è avvalso della collaborazione di Paolo Campione, direttore dell’omonimo museo di Lugano, presenta una selezione di circa centocinquanta opere appartenenti alla collezione Fardella-Azzaroli, concessa in comodato all’istituzione milanese, e alla raccolta Leigheb-Fiore, acquisita nel 2015 dal Comune, per incrementarne il patrimonio e colmare la dolorosa lacuna creatasi più di settanta anni fa a causa dei bombardamenti che colpirono il Castello Sforzesco, allora sede delle Collezioni etnografiche.
Attraverso sculture, armi, strumenti musicali, oggetti d’uso e rituali, i visitatori potranno approfondire non solo gli aspetti legati alla vita quotidiana delle popolazioni Asmat nel corso del XX secolo, ma conoscerne anche i complessi rituali e le tradizioni che legano indissolubilmente la pratica scultorea alla dimensione spirituale più profonda di questo popolo. Grazie ai rituali, secondo questo gruppo etnico, gli antenati entrano in contatto con i vivi e tornano alla vita attraverso le figure intagliate.
L’incontro con i popoli occidentali, avvenuto molto tardivamente, principalmente alla metà del secolo scorso, ha fatto conoscere al mondo questa loro straordinaria abilità artistica e di conseguenza il mondo rituale, caratterizzato anche dalle temibili pratiche del cannibalismo e della caccia alle teste, attirando così l’attenzione non solo dei collezionisti d’arte e degli artisti, ma anche di studiosi, antropologi ed etnografi, come il giovane Michael Rockefeller, tragicamente scomparso proprio durante una spedizione tra gli Asmat nel 1961. A tutt’oggi queste popolazioni continuano ad esercitare grande fascino e a suscitare vivo interesse essendo associati, nell’immaginario collettivo, ad un mondo primigenio e incontaminato: Sebastião Salgado ha scelto di realizzare alcuni scatti del suo recente progetto «Genesi», proprio tra queste popolazioni, quali testimoni viventi di un perfetto equilibrio tra uomo e natura.
Gli Asmat custodiscono, infatti, ancora oggi i tratti caratteristici della propria antica cultura, perfettamente adattata al difficile ecosistema in cui vivono, ma hanno anche saputo rinnovarsi e affrontare le sfide della modernità grazie alla mediazione di diversi gruppi missionari e all’avvio, nel 1968 del Fundwi (Fund of the United Nations for the Development of West Irian), uno specifico programma di aiuto allo sviluppo voluto dalle Nazioni Unite.
All’interno di questo programma prese infatti avvio l’«Asmat Art Project», un insieme di iniziative volte al recupero, come mezzo di sussistenza, della tradizione scultorea in parte indebolita dalla proibizione dei violenti rituali relativi al culto degli antenati, ai quali è profondamente legata.
Grande attenzione è riservata lungo il percorso espositivo, che propone anche un documentario e numerose fotografie, a due pali cerimoniali bis, alti più di quattro metri, interamente scolpiti e decorati con pigmenti naturali. Durante lo studio di queste particolari decorazioni sono emerse delle criticità relative allo stato di conservazione di uno dei due pali: la mostra diventa occasione per presentare al pubblico l’importante lavoro di ricerca sui questi temi e consentirà di osservare da vicino il lavoro dei restauratori, grazie ad un apposito allestimento.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Tamburo (em) sec. XX Legno/ scultura, pigmenti naturali 12 Museo delle Culture, Milano Coll. Mariangela Fardella, Giorgio Azzaroli Inv. FARDELLA 0014; [fig. 2] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Pannello sec. XX 2 Legno/ intaglio Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb Inv. SEA 00155; [fig. 3] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Ornamento nasale (bipane) sec. XX 7 Conchiglia/ intaglio, rafia, cera d'api Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb. Inv. SEA 00174
Informazioni utili
«Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat». Mudec – Museo delle Culture, via Tortona, 56 – Milano. Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; martedì / mercoledì / venerdì / domenica, ore 09.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Biglietto: intero 5,00, ridotto € 3,00.Informazioni: 0254917 (lun-ven, ore 10.00-17.00). Sito internet: www.mudec.it. Fino all’8 luglio 2018
Il percorso espositivo, che si è avvalso della collaborazione di Paolo Campione, direttore dell’omonimo museo di Lugano, presenta una selezione di circa centocinquanta opere appartenenti alla collezione Fardella-Azzaroli, concessa in comodato all’istituzione milanese, e alla raccolta Leigheb-Fiore, acquisita nel 2015 dal Comune, per incrementarne il patrimonio e colmare la dolorosa lacuna creatasi più di settanta anni fa a causa dei bombardamenti che colpirono il Castello Sforzesco, allora sede delle Collezioni etnografiche.
Attraverso sculture, armi, strumenti musicali, oggetti d’uso e rituali, i visitatori potranno approfondire non solo gli aspetti legati alla vita quotidiana delle popolazioni Asmat nel corso del XX secolo, ma conoscerne anche i complessi rituali e le tradizioni che legano indissolubilmente la pratica scultorea alla dimensione spirituale più profonda di questo popolo. Grazie ai rituali, secondo questo gruppo etnico, gli antenati entrano in contatto con i vivi e tornano alla vita attraverso le figure intagliate.
L’incontro con i popoli occidentali, avvenuto molto tardivamente, principalmente alla metà del secolo scorso, ha fatto conoscere al mondo questa loro straordinaria abilità artistica e di conseguenza il mondo rituale, caratterizzato anche dalle temibili pratiche del cannibalismo e della caccia alle teste, attirando così l’attenzione non solo dei collezionisti d’arte e degli artisti, ma anche di studiosi, antropologi ed etnografi, come il giovane Michael Rockefeller, tragicamente scomparso proprio durante una spedizione tra gli Asmat nel 1961. A tutt’oggi queste popolazioni continuano ad esercitare grande fascino e a suscitare vivo interesse essendo associati, nell’immaginario collettivo, ad un mondo primigenio e incontaminato: Sebastião Salgado ha scelto di realizzare alcuni scatti del suo recente progetto «Genesi», proprio tra queste popolazioni, quali testimoni viventi di un perfetto equilibrio tra uomo e natura.
Gli Asmat custodiscono, infatti, ancora oggi i tratti caratteristici della propria antica cultura, perfettamente adattata al difficile ecosistema in cui vivono, ma hanno anche saputo rinnovarsi e affrontare le sfide della modernità grazie alla mediazione di diversi gruppi missionari e all’avvio, nel 1968 del Fundwi (Fund of the United Nations for the Development of West Irian), uno specifico programma di aiuto allo sviluppo voluto dalle Nazioni Unite.
All’interno di questo programma prese infatti avvio l’«Asmat Art Project», un insieme di iniziative volte al recupero, come mezzo di sussistenza, della tradizione scultorea in parte indebolita dalla proibizione dei violenti rituali relativi al culto degli antenati, ai quali è profondamente legata.
Grande attenzione è riservata lungo il percorso espositivo, che propone anche un documentario e numerose fotografie, a due pali cerimoniali bis, alti più di quattro metri, interamente scolpiti e decorati con pigmenti naturali. Durante lo studio di queste particolari decorazioni sono emerse delle criticità relative allo stato di conservazione di uno dei due pali: la mostra diventa occasione per presentare al pubblico l’importante lavoro di ricerca sui questi temi e consentirà di osservare da vicino il lavoro dei restauratori, grazie ad un apposito allestimento.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Tamburo (em) sec. XX Legno/ scultura, pigmenti naturali 12 Museo delle Culture, Milano Coll. Mariangela Fardella, Giorgio Azzaroli Inv. FARDELLA 0014; [fig. 2] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Pannello sec. XX 2 Legno/ intaglio Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb Inv. SEA 00155; [fig. 3] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Ornamento nasale (bipane) sec. XX 7 Conchiglia/ intaglio, rafia, cera d'api Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb. Inv. SEA 00174
Informazioni utili
«Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat». Mudec – Museo delle Culture, via Tortona, 56 – Milano. Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; martedì / mercoledì / venerdì / domenica, ore 09.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Biglietto: intero 5,00, ridotto € 3,00.Informazioni: 0254917 (lun-ven, ore 10.00-17.00). Sito internet: www.mudec.it. Fino all’8 luglio 2018
giovedì 2 novembre 2017
«Con precise parole», al cinema teatro Manzoni di Busto si va a scuola di dizione
L'orologio batte le vénti o le vènti? Ti chiedi il perché o il perchè delle cose? Hai gettato l'àncora o l'ancóra? Ha magiato una pésca o una pèsca? Sono tanti i dubbi sulla corretta pronuncia delle parole italiane che vengono in mente quando si sta parlando. A chi fosse curioso di conoscere l’«italiano neutro» parlato dai professionisti della voce (attori, doppiatori, speaker e presentatori) viene incontro «Culturando» con un nuovo progetto della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», realtà educativa votata principalmente alla formazione dei giovani in età scolare (dai 5 ai 23 anni) nell’ambito delle discipline connesse al mondo dello spettacolo (recitazione, danza, canto e scrittura drammaturgica).
Mentre si sta valutando l’avvio per il lunedì o il mercoledì di ulteriori due classi per i corsi «I piccoli attori» (dai 5 ai 10 anni) e «Attori in erba» (dagli 11 ai 15 anni), che registrano attualmente la presenza di una quarantina di bambini per il progetto sulla Commedia dell’arte in agenda tutti i venerdì pomeriggio, l’associazione olgiatese propone agli amanti del teatro e a chi quotidiamante lavora a contatto con il pubblico il corso di dizione, comunicazione e public speaking «Con precise parole».
L’open day di presentazione del progetto, riservato agli adulti dai 18 anni in su, è fissato per la mattinata di sabato 4 novembre, dalle ore 10 alle ore 12, negli spazi del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio; un ulteriore incontro informativo ci sarà venerdì 10 novembre, dalle ore 21 alle ore 23.00, negli spazi dell’oratorio «San Filippo Neri» della parrocchia San Michele Arcangelo (in via don Albertario, 10).
Venti gli incontri in agenda di un’ora e trenta ciascuno (il venerdì sera, dalle ore 20.30 alle ore 22.00), che si propongono di far acquisire ai presenti una maggiore sicurezza nel parlare in pubblico, un uso più vario e consapevole della propria intenzione vocale e, in generale, un modo più efficace di gestire la propria comunicazione.
«Questo -spiega Davide De Mercato, attore professionista che collabora stabilmente con la compagnia «Il carro di Tespi - Fratelli Miraglia» di Milano e che segue alcuni progetti di didattica teatrale per «Culturando»- avverrà mediante diverse fasi e proposte. Si inizierà con lo studio delle regole base di dizione: le è aperte e le é chiuse, le ò aperte e le ó chiuse, la s sorda e la s sonora, la z sorda e la z sonora. Si faranno, poi, diversi esercizi di respirazione e utilizzo del diaframma, per lavorare sull’emissione vocale, sulla durata, sul suono lungo, sui toni e sul volume della voce. In questa secondo fase si giungerà, inoltre, a gettare le basi della modulazione della voce per riuscire a interpretare un testo. Sono, infine, previste improvvisazioni individuali e di gruppo mediate dal teatro in cui sperimentare contesti significativi di comunicazione, da quella professionale a quella più intima».
«Con precise parole» proporrà, come tutti i progetti di «Culturando», anche un momento di confronto con il palcoscenico: i corsisti saranno, infatti, coinvolti nel saggio-spettacolo «Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo», lettura drammatizzata delle lettere scritte da Aldo Moro nei cinquantacinque giorni di prigionia, in cartellone nella serata di mercoledì 9 maggio 2018, in occasione del Giornata nazionale per il ricordo delle vittime del terrorismo.
Il saggio-spettacolo rientra nella mini-rassegna «1978, un anno su cui riflettere», progetto che «Culturando» sta ideando per la primavera e l’estate 2018, teso ad affrontare la vicenda e il pensiero di figure che hanno scritto la storia di quell’anno, da Sandro Pertini ai papi Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.
Nella stessa rassegna si inserisce il saggio-spettacolo «Se si insegnasse la bellezza...», dedicato alla figura di Peppino Impastato, che coinvolgerà gli iscritti al corso di educazione allo spettacolo e alla teatralità «I giovani artisti» (dai 16 ai 23 anni), le cui lezioni si tengono il lunedì pomeriggio, dalle 17 alle 19, e del quale le iscrizioni rimarranno aperte fino a gennaio 2018.
In queste settimane, «Culturando» sta, inoltre, raccogliendo le adesioni per un progetto rivolto ai bambini dai 7 ai 15 anni interamente dedicato al musical, a cura di Serena Biagi e Anna De Bernardi, insegnanti rispettivamente di danza e canto per «Culturando», entrambe fresche di studi all’«MTS – Musical! The School», accademia professionale di spettacolo con sede a Milano (il corso partirà al raggiungimento dei dodici iscritti, in orari da definire).
La scheda di iscrizione ai corsi di «Culturando» attualmente attivi, con le informazioni dettagliate sui calendari e sui costi, sono scaricabili al link https://goo.gl/E3ZByW.
Mentre si sta valutando l’avvio per il lunedì o il mercoledì di ulteriori due classi per i corsi «I piccoli attori» (dai 5 ai 10 anni) e «Attori in erba» (dagli 11 ai 15 anni), che registrano attualmente la presenza di una quarantina di bambini per il progetto sulla Commedia dell’arte in agenda tutti i venerdì pomeriggio, l’associazione olgiatese propone agli amanti del teatro e a chi quotidiamante lavora a contatto con il pubblico il corso di dizione, comunicazione e public speaking «Con precise parole».
L’open day di presentazione del progetto, riservato agli adulti dai 18 anni in su, è fissato per la mattinata di sabato 4 novembre, dalle ore 10 alle ore 12, negli spazi del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio; un ulteriore incontro informativo ci sarà venerdì 10 novembre, dalle ore 21 alle ore 23.00, negli spazi dell’oratorio «San Filippo Neri» della parrocchia San Michele Arcangelo (in via don Albertario, 10).
Venti gli incontri in agenda di un’ora e trenta ciascuno (il venerdì sera, dalle ore 20.30 alle ore 22.00), che si propongono di far acquisire ai presenti una maggiore sicurezza nel parlare in pubblico, un uso più vario e consapevole della propria intenzione vocale e, in generale, un modo più efficace di gestire la propria comunicazione.
«Questo -spiega Davide De Mercato, attore professionista che collabora stabilmente con la compagnia «Il carro di Tespi - Fratelli Miraglia» di Milano e che segue alcuni progetti di didattica teatrale per «Culturando»- avverrà mediante diverse fasi e proposte. Si inizierà con lo studio delle regole base di dizione: le è aperte e le é chiuse, le ò aperte e le ó chiuse, la s sorda e la s sonora, la z sorda e la z sonora. Si faranno, poi, diversi esercizi di respirazione e utilizzo del diaframma, per lavorare sull’emissione vocale, sulla durata, sul suono lungo, sui toni e sul volume della voce. In questa secondo fase si giungerà, inoltre, a gettare le basi della modulazione della voce per riuscire a interpretare un testo. Sono, infine, previste improvvisazioni individuali e di gruppo mediate dal teatro in cui sperimentare contesti significativi di comunicazione, da quella professionale a quella più intima».
«Con precise parole» proporrà, come tutti i progetti di «Culturando», anche un momento di confronto con il palcoscenico: i corsisti saranno, infatti, coinvolti nel saggio-spettacolo «Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo», lettura drammatizzata delle lettere scritte da Aldo Moro nei cinquantacinque giorni di prigionia, in cartellone nella serata di mercoledì 9 maggio 2018, in occasione del Giornata nazionale per il ricordo delle vittime del terrorismo.
Il saggio-spettacolo rientra nella mini-rassegna «1978, un anno su cui riflettere», progetto che «Culturando» sta ideando per la primavera e l’estate 2018, teso ad affrontare la vicenda e il pensiero di figure che hanno scritto la storia di quell’anno, da Sandro Pertini ai papi Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.
Nella stessa rassegna si inserisce il saggio-spettacolo «Se si insegnasse la bellezza...», dedicato alla figura di Peppino Impastato, che coinvolgerà gli iscritti al corso di educazione allo spettacolo e alla teatralità «I giovani artisti» (dai 16 ai 23 anni), le cui lezioni si tengono il lunedì pomeriggio, dalle 17 alle 19, e del quale le iscrizioni rimarranno aperte fino a gennaio 2018.
In queste settimane, «Culturando» sta, inoltre, raccogliendo le adesioni per un progetto rivolto ai bambini dai 7 ai 15 anni interamente dedicato al musical, a cura di Serena Biagi e Anna De Bernardi, insegnanti rispettivamente di danza e canto per «Culturando», entrambe fresche di studi all’«MTS – Musical! The School», accademia professionale di spettacolo con sede a Milano (il corso partirà al raggiungimento dei dodici iscritti, in orari da definire).
La scheda di iscrizione ai corsi di «Culturando» attualmente attivi, con le informazioni dettagliate sui calendari e sui costi, sono scaricabili al link https://goo.gl/E3ZByW.
mercoledì 1 novembre 2017
A Padova la Belle Ѐpoque di Lino Selvatico
«Squisito indagatore dell'anima, a traverso le fattezze del volto umano»: così lo storico Pompeo Molmenti definì Lino Selvatico (1872-1924), uno dei ritrattisti veneti più in voga del primo Novecento, al quale Padova dedica, negli spazi dei Musei civici agli Eremitani, un'ampia retrospettiva con oltre cinquanta dipinti e una sessantina di opere grafiche, quest'ultime mai esposte al pubblico. L’esposizione è stata realizzato dall’Amministrazione comunale e vede la curatela di Davide Banzato, Silvio Fuso, Elisabetta Gastaldi e Federica Millozzi.
Figlio del poeta e commediografo Riccardo Selvatico, sindaco di Venezia sul finire dell'Ottocento, ma soprattutto e ideatore della Biennale internazionale d’arte, Lino nacque accidentalmente a Padova, dove la famiglia aveva forti interessi commerciali, e, dopo gli studi in Legge nell’ateneo patavino, intraprese la strada della pittura esordendo alla Biennale veneziana del 1899 e, poi, partecipando a quasi tutte le successive.
Mostrò da subito le grandi potenzialità che lo avrebbero presto condotto al successo. Come ritrattista era dotato di mezzi tecnici ed espressivi personali e sicuri, con un’abilità del tutto inedita nel rendere l’aura e la personalità del personaggio effigiato. Così, grazie anche a una rete di relazioni di primo piano, le commissioni da ambienti alto borghesi e nobili divennero sempre più numerose, giungendo in qualche caso anche da esponenti di case reali, come fu per il ritratto di Alfonso III di Borbone, giovane re di Spagna, realizzato nel 1922.
Accanto ai ritratti di tono mondano, apprezzati soprattutto per la «scintillante perizia nella stesura di un colore vivo e vibrante», Lino Selvatico fu ammirato dal pubblico anche per le sue note di maggiore intimità e l’attenzione a spunti di verità derivati dalla vita quotidiana, raffigurati con spirito familiare e affettuoso.
Mondanità e passione quotidiana sono, dunque, i due tratti che connotano il percorso creativo e umano del pittore veneto, frequentatore di intellettuali e artisti tra i più conosciuti del tempo, ben introdotto nei circoli di Venezia e Milano, ma anche nei salotti parigini, amico della famiglia Sarfatti e stimato da critici autorevoli come Primo Levi, Pompeo Molmenti, Vittorio Pica e il potentissimo Ugo Ojetti.
Sono numerose le mostre nazionali alle quali l'artista prese parte, dall’Esposizione di Belle arti a Roma nel 1907 a quella Nazionale di Brera nel 1908, passando per rassegne internazionali a Monaco, Dusseldorf, Buenos Aires e Dresda, ritornando sempre, dopo questo bagno di mondanità, nella dimensione familiare delle sue abitazioni, a Mira e Biancade, nella celebre Villa dell’Orso.
Nelle tele dell’artista spicca, oltre ai ritratti, il mondo «altro» dell’infanzia e dei più poveri, con una certa vocazione al naturalismo di fine Ottocento. Selvatico era, infatti, un artista in continua evoluzione, «capace -scrive Davide Banzato nella sua introduzione al catalogo della mostra, edito da Grafiche Turato- di combinare a una visione sostanzialmente realistica spunti dal simbolismo e dal liberty e seguire il nuovo vento che spirava sulle arti durante e dopo gli anni travagliati del primo confitto mondiale».
Grande spazio nella mostra hanno i nudi che il pittore riesce a trasfondere stati d’animo che vanno dalla semplice ammirazione formale, all’eleganza della linea e delle forme, fno a una vera passione per il femminile. Le donne rimangono protagoniste dei suoi dipinti, anche descritte nella loro nudità ma sempre come icone moderne: nelle loro pose, con le loro sigarette e il loro languore.
Sono questi aspetti emblematici dell’arte di Selvatico, che emergono anche nella ricca e ancora poco nota produzione grafica (rinvenuta solo nel 2008), esposta a Padova in dialogo con i dipinti. Il pubblico potrà così approcciarsi a studi preparatori e interpretazioni grafiche dei soggetti cari all’artista, rivelatori della sua altissima qualità di disegnatore e incisore, sperimentatore di tecniche raffinate in particolare, appunto, negli stupendi nudi femminili.
Selvatico si scopre dunque ricercatore di perfezione tanto nella pittura, con colori corporei ma allo stesso modo evanescenti, quanto nello studio del segno e soprattutto nell’opera incisoria, una tecnica che non ammette errori e che egli aveva appreso da Emanuele Brugnoli, fondatore della libera scuola di incisione - dopo la chiusura della relativa cattedra all’Accademia di Belle Arti nel 1875 - che regalerà a Lino il torchio ricevuto anni prima da Whistler.
Nella grafica sono evidenti i richiami all’espressionismo di area tedesca e in particolare al simbolismo di von Stuck. Era certamente difficile, nell’epoca in cui in Europa s’imponevano le avanguardie, essere innovativi, soprattutto in ambito italiano, ma Selvatico nel suo corpus grafico esprime originalità, sperimentando diverse tecniche - carboncino, grafite, gessetti, pastelli, sanguigna, acquarelli – e raggiungendo notevoli effetti chiaroscurali e luministici. Quella grafica è comunque una produzione più intima, in cui il pittore ricerca e libera la fantasia nel fissare i gesti del piccolo Riccardo come nel ritrarre le sue modelle nude, spesso erotiche ma mai volgari, mantenendo armonia ed eleganza compositiva: una produzione che egli volle tenere con sé fino alla morte, giunta prematuramente nel 1924, a soli 52 anni.
Didascalie delle immagini
[Fig.1 ] Lino Selvatico, La maschera. Olio su tela, cm 75,7x62,8; [fig. 2] Lino Selvatico, Il gatto, 1920. Olio su tavola, cm 45,2x59,4; [fig. 3] Lino Selvatico, Nudo femminile che si pettina. Tecnica mista su compensato, cm 25,3x20; [fog. 4] Lino Selvatico, Studio di nudo femminile, 1920. Olio su cartone, cm 24,2x18,5
Informazioni utili
Lino Selvatico. Mondanità e passione quotidiana. Musei Civici agli Eremitani, piazza Eremitani 8 - Padova. Ingresso: dal martedì alla domenica, ore 9-00-19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 049.8204551. Sito internet: http://padovacultura.padovanet.it/it/musei/complesso-eremitani. Fino al 10 dicembre 2017. Prorogata al 28 gennaio 2018.
Figlio del poeta e commediografo Riccardo Selvatico, sindaco di Venezia sul finire dell'Ottocento, ma soprattutto e ideatore della Biennale internazionale d’arte, Lino nacque accidentalmente a Padova, dove la famiglia aveva forti interessi commerciali, e, dopo gli studi in Legge nell’ateneo patavino, intraprese la strada della pittura esordendo alla Biennale veneziana del 1899 e, poi, partecipando a quasi tutte le successive.
Mostrò da subito le grandi potenzialità che lo avrebbero presto condotto al successo. Come ritrattista era dotato di mezzi tecnici ed espressivi personali e sicuri, con un’abilità del tutto inedita nel rendere l’aura e la personalità del personaggio effigiato. Così, grazie anche a una rete di relazioni di primo piano, le commissioni da ambienti alto borghesi e nobili divennero sempre più numerose, giungendo in qualche caso anche da esponenti di case reali, come fu per il ritratto di Alfonso III di Borbone, giovane re di Spagna, realizzato nel 1922.
Accanto ai ritratti di tono mondano, apprezzati soprattutto per la «scintillante perizia nella stesura di un colore vivo e vibrante», Lino Selvatico fu ammirato dal pubblico anche per le sue note di maggiore intimità e l’attenzione a spunti di verità derivati dalla vita quotidiana, raffigurati con spirito familiare e affettuoso.
Mondanità e passione quotidiana sono, dunque, i due tratti che connotano il percorso creativo e umano del pittore veneto, frequentatore di intellettuali e artisti tra i più conosciuti del tempo, ben introdotto nei circoli di Venezia e Milano, ma anche nei salotti parigini, amico della famiglia Sarfatti e stimato da critici autorevoli come Primo Levi, Pompeo Molmenti, Vittorio Pica e il potentissimo Ugo Ojetti.
Sono numerose le mostre nazionali alle quali l'artista prese parte, dall’Esposizione di Belle arti a Roma nel 1907 a quella Nazionale di Brera nel 1908, passando per rassegne internazionali a Monaco, Dusseldorf, Buenos Aires e Dresda, ritornando sempre, dopo questo bagno di mondanità, nella dimensione familiare delle sue abitazioni, a Mira e Biancade, nella celebre Villa dell’Orso.
Nelle tele dell’artista spicca, oltre ai ritratti, il mondo «altro» dell’infanzia e dei più poveri, con una certa vocazione al naturalismo di fine Ottocento. Selvatico era, infatti, un artista in continua evoluzione, «capace -scrive Davide Banzato nella sua introduzione al catalogo della mostra, edito da Grafiche Turato- di combinare a una visione sostanzialmente realistica spunti dal simbolismo e dal liberty e seguire il nuovo vento che spirava sulle arti durante e dopo gli anni travagliati del primo confitto mondiale».
Grande spazio nella mostra hanno i nudi che il pittore riesce a trasfondere stati d’animo che vanno dalla semplice ammirazione formale, all’eleganza della linea e delle forme, fno a una vera passione per il femminile. Le donne rimangono protagoniste dei suoi dipinti, anche descritte nella loro nudità ma sempre come icone moderne: nelle loro pose, con le loro sigarette e il loro languore.
Sono questi aspetti emblematici dell’arte di Selvatico, che emergono anche nella ricca e ancora poco nota produzione grafica (rinvenuta solo nel 2008), esposta a Padova in dialogo con i dipinti. Il pubblico potrà così approcciarsi a studi preparatori e interpretazioni grafiche dei soggetti cari all’artista, rivelatori della sua altissima qualità di disegnatore e incisore, sperimentatore di tecniche raffinate in particolare, appunto, negli stupendi nudi femminili.
Selvatico si scopre dunque ricercatore di perfezione tanto nella pittura, con colori corporei ma allo stesso modo evanescenti, quanto nello studio del segno e soprattutto nell’opera incisoria, una tecnica che non ammette errori e che egli aveva appreso da Emanuele Brugnoli, fondatore della libera scuola di incisione - dopo la chiusura della relativa cattedra all’Accademia di Belle Arti nel 1875 - che regalerà a Lino il torchio ricevuto anni prima da Whistler.
Nella grafica sono evidenti i richiami all’espressionismo di area tedesca e in particolare al simbolismo di von Stuck. Era certamente difficile, nell’epoca in cui in Europa s’imponevano le avanguardie, essere innovativi, soprattutto in ambito italiano, ma Selvatico nel suo corpus grafico esprime originalità, sperimentando diverse tecniche - carboncino, grafite, gessetti, pastelli, sanguigna, acquarelli – e raggiungendo notevoli effetti chiaroscurali e luministici. Quella grafica è comunque una produzione più intima, in cui il pittore ricerca e libera la fantasia nel fissare i gesti del piccolo Riccardo come nel ritrarre le sue modelle nude, spesso erotiche ma mai volgari, mantenendo armonia ed eleganza compositiva: una produzione che egli volle tenere con sé fino alla morte, giunta prematuramente nel 1924, a soli 52 anni.
Didascalie delle immagini
[Fig.1 ] Lino Selvatico, La maschera. Olio su tela, cm 75,7x62,8; [fig. 2] Lino Selvatico, Il gatto, 1920. Olio su tavola, cm 45,2x59,4; [fig. 3] Lino Selvatico, Nudo femminile che si pettina. Tecnica mista su compensato, cm 25,3x20; [fog. 4] Lino Selvatico, Studio di nudo femminile, 1920. Olio su cartone, cm 24,2x18,5
Informazioni utili
Lino Selvatico. Mondanità e passione quotidiana. Musei Civici agli Eremitani, piazza Eremitani 8 - Padova. Ingresso: dal martedì alla domenica, ore 9-00-19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 049.8204551. Sito internet: http://padovacultura.padovanet.it/it/musei/complesso-eremitani. Fino al 10 dicembre 2017. Prorogata al 28 gennaio 2018.
martedì 31 ottobre 2017
«Non mi hai più detto ti amo», Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia conquistano il Manzoni di Busto
Sì è aperta con un «tutto esaurito» la stagione 2017/2018 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Quasi settecento persone hanno assistito venerdì 27 ottobre all’ironica e intelligente commedia «Non mi hai più detto ti amo», scritta e diretta da Gabriele Pignotta, con cui la sala di via Calatafimi ha scelto di inaugurare il suo cartellone di otto spettacoli, che nei prossimi mesi vedrà in scena protagonisti del teatro italiano quali Geppi Cucciari, Paola Quattrini, Vanessa Gravina, Emanuela Grimalda, Valentina Lodovini, Ivano Marescotti e Max Pisu.
Gran parte del merito di questo successo spetta senz’altro ai due protagonisti della serata: Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, attori molto amati dal grande pubblico, ritornati da poco in coppia sul palcoscenico, a vent’anni dal musical «Grease» e per la prima volta in uno spettacolo di prosa.
Al centro della commedia, che si è chiusa con quasi cinque minuti di applausi, c’è la storia di una famiglia in cui molti spettatori possono ritrovarsi. Lorella Cuccarini è Serena, una madre che, a seguito di una notizia traumatica, trova la forza di mettersi in discussione per riscoprire il suo essere donna e per rispolverare i suoi studi di architettura, messi nel cassetto con il matrimonio. Giampiero Ingrassia è suo marito, Giulio, un medico affermato che reagirà al repentino cambiamento della moglie, riscoprendo, finalmente, il suo ruolo di padre e la voglia di ritornare a corteggiare e a dire «ti amo».
Accanto a loro in scena, nella parte dei figli, ci sono due giovani e validi attori, Raffaella Camarda e Francesco Maria Conti, che danno voce e corpo alle difficoltà che si ritrovano a vivere dei ragazzi in età scolare, con le proprie insicurezze e i propri bisogni, la cui vita viene stravolta dal destino beffardo. Non è una situazione facile, ma «alla fine -come raccontano dalla produzione, che vede alla guida la Milleluci Entertainment- ognuno riesce a trovare delle risorse interiori inaspettate che portano la famiglia a ricomporsi».
A completare il cast c’è il baritono pisano Fabrizio Corucci nella parte del signor Morisini, un ingombrante e simpatico paziente di Giulio, che si insinua nella vita della coppia con i suoi tic e le sue idiosincrasie, regalando sorrisi e colpi di scena. Il risultato è uno spettacolo dall’ingranaggio teatrale perfetto, una commedia divertente e fresca, colorata di accenti che offrono spunti per riflettere sulla coppia alla prova della quotidianità e del tempo che passa.
Si è aperta, dunque, nel solco della tradizione, che vede da oltre quarant’anni il Manzoni di Busto Arsizio offrire al suo pubblico qualificati appuntamenti con i più importanti attori del teatro italiano, la nuova stagione, intitolata ancora una volta «Mettiamo in circolo la cultura». Un obiettivo, questo, riuscito. Osvaldo Gallazzi, responsabile del marketing e della comunicazione, ha, infatti, affermato, a chiusura della serata, mentre nel foyer Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia firmavano autografi ai loro fan, che «la vendita degli abbonamenti quest’anno ha registrato un aumento del 10%, così come c’è stato un maggior interesse da parte dei sostenitori per la proposta culturale della stagione che offre al pubblico otto tra i migliori spettacoli del circuito nazionale».
A fare gli onori di casa è stato, invece, Marco Bianchi, direttore organizzativo del Manzoni, che ha comunicato agli abbonati un cambio di spettacolo in cartellone. Venerdì 9 marzo 2018 la commedia «L’ispettore Drake e il delitto perfetto» del britannico David Tristram, che avrebbe dovuto vedere in scena Sergio Assisi, sarà sostituita dallo spettacolo «Alla faccia vostra!» di Pierre Chesnot, con Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, che mette a nudo la parte più meschina e cinica dell’animo umano, parlando di soldi e di eredità contese. Sempre Marco Bianchi con una e-mail ai membri del direttivo della sala, che vede alla guida per la parte artistica Maria Ricucci dell’agenzia «In Teatro» di Opera (Milano), ha tracciato un bilancio della serata: «è stato un gran successo di pubblico, ma soprattutto di apprezzamento. Qualcuno ci ha detto «Finalmente uno spettacolo come si usava fare una volta al Manzoni» e ci ha apertamente ringraziato. Volevo condividere con tutti voi questi ringraziamenti e apprezzamenti, che danno valore al nostro impegno necessario a portare in scena questo spettacolo e a realizzare tutta la stagione teatrale».
Il prossimo appuntamento ci sarà venerdì 17 novembre, quando sul palco della sala di via Calatafimi salirà Sergio Sgrilli, uno dei senatori di «Zelig», con «20 in poppa», uno show celebrativo e interattivo in bilico tra comicità d’autore e buona musica. Il botteghino riaprirà nella giornata di venerdì 10 novembre, ma i biglietti per tutti gli spettacoli sono già acquistabili, tramite il circuito Crea Informatica, on-line sul sito www.cinemateatromanzoni.it.
Per saperne di più
Il programma teatrale del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio
Gran parte del merito di questo successo spetta senz’altro ai due protagonisti della serata: Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, attori molto amati dal grande pubblico, ritornati da poco in coppia sul palcoscenico, a vent’anni dal musical «Grease» e per la prima volta in uno spettacolo di prosa.
Al centro della commedia, che si è chiusa con quasi cinque minuti di applausi, c’è la storia di una famiglia in cui molti spettatori possono ritrovarsi. Lorella Cuccarini è Serena, una madre che, a seguito di una notizia traumatica, trova la forza di mettersi in discussione per riscoprire il suo essere donna e per rispolverare i suoi studi di architettura, messi nel cassetto con il matrimonio. Giampiero Ingrassia è suo marito, Giulio, un medico affermato che reagirà al repentino cambiamento della moglie, riscoprendo, finalmente, il suo ruolo di padre e la voglia di ritornare a corteggiare e a dire «ti amo».
Accanto a loro in scena, nella parte dei figli, ci sono due giovani e validi attori, Raffaella Camarda e Francesco Maria Conti, che danno voce e corpo alle difficoltà che si ritrovano a vivere dei ragazzi in età scolare, con le proprie insicurezze e i propri bisogni, la cui vita viene stravolta dal destino beffardo. Non è una situazione facile, ma «alla fine -come raccontano dalla produzione, che vede alla guida la Milleluci Entertainment- ognuno riesce a trovare delle risorse interiori inaspettate che portano la famiglia a ricomporsi».
A completare il cast c’è il baritono pisano Fabrizio Corucci nella parte del signor Morisini, un ingombrante e simpatico paziente di Giulio, che si insinua nella vita della coppia con i suoi tic e le sue idiosincrasie, regalando sorrisi e colpi di scena. Il risultato è uno spettacolo dall’ingranaggio teatrale perfetto, una commedia divertente e fresca, colorata di accenti che offrono spunti per riflettere sulla coppia alla prova della quotidianità e del tempo che passa.
Si è aperta, dunque, nel solco della tradizione, che vede da oltre quarant’anni il Manzoni di Busto Arsizio offrire al suo pubblico qualificati appuntamenti con i più importanti attori del teatro italiano, la nuova stagione, intitolata ancora una volta «Mettiamo in circolo la cultura». Un obiettivo, questo, riuscito. Osvaldo Gallazzi, responsabile del marketing e della comunicazione, ha, infatti, affermato, a chiusura della serata, mentre nel foyer Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia firmavano autografi ai loro fan, che «la vendita degli abbonamenti quest’anno ha registrato un aumento del 10%, così come c’è stato un maggior interesse da parte dei sostenitori per la proposta culturale della stagione che offre al pubblico otto tra i migliori spettacoli del circuito nazionale».
A fare gli onori di casa è stato, invece, Marco Bianchi, direttore organizzativo del Manzoni, che ha comunicato agli abbonati un cambio di spettacolo in cartellone. Venerdì 9 marzo 2018 la commedia «L’ispettore Drake e il delitto perfetto» del britannico David Tristram, che avrebbe dovuto vedere in scena Sergio Assisi, sarà sostituita dallo spettacolo «Alla faccia vostra!» di Pierre Chesnot, con Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, che mette a nudo la parte più meschina e cinica dell’animo umano, parlando di soldi e di eredità contese. Sempre Marco Bianchi con una e-mail ai membri del direttivo della sala, che vede alla guida per la parte artistica Maria Ricucci dell’agenzia «In Teatro» di Opera (Milano), ha tracciato un bilancio della serata: «è stato un gran successo di pubblico, ma soprattutto di apprezzamento. Qualcuno ci ha detto «Finalmente uno spettacolo come si usava fare una volta al Manzoni» e ci ha apertamente ringraziato. Volevo condividere con tutti voi questi ringraziamenti e apprezzamenti, che danno valore al nostro impegno necessario a portare in scena questo spettacolo e a realizzare tutta la stagione teatrale».
Il prossimo appuntamento ci sarà venerdì 17 novembre, quando sul palco della sala di via Calatafimi salirà Sergio Sgrilli, uno dei senatori di «Zelig», con «20 in poppa», uno show celebrativo e interattivo in bilico tra comicità d’autore e buona musica. Il botteghino riaprirà nella giornata di venerdì 10 novembre, ma i biglietti per tutti gli spettacoli sono già acquistabili, tramite il circuito Crea Informatica, on-line sul sito www.cinemateatromanzoni.it.
Per saperne di più
Il programma teatrale del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio
lunedì 30 ottobre 2017
«Il capriccio e la ragione», in mostra a Prato la moda settecentesca
Il Settecento vive una stagione artistica ricchissima e varia, espressione di stimoli e cambiamenti che nascono da consapevolezze culturali e conoscenze acquisite nel secolo precedente e, allo stesso tempo, da nuove ed esaltanti scoperte che accelerano i tempi di sviluppo della società civile europea in tutti gli ambiti del sapere.
A questo periodo storico guarda la mostra «Il capriccio e la ragione» , allestita fino al prossimo 29 aprile negli spazi del Museo del tessuto di Prato, collocato, insieme alla Biblioteca comunale Lazzerini, all’interno dell’ex Fabbrica Campolmi, il più monumentale esempio di archeologia industriale tessile toscana (8.500 mq), recuperata dall’Amministrazione comunale per trasformarla in polo culturale cittadino.
Oltre cento reperti tra tessuti, capi d’abbigliamento femminili e maschili, porcellane, accessori moda -quali scarpe, bottoni, guanti, copricapi- dipinti e incisioni raccontano e motivano puntualmente i continui e significativi passaggi di stile che si susseguono nel XVIII secolo, dall’esotismo ai capricci compositivi dei primi decenni fino alle forme classiche austere dell’ornato neoclassico.
La mostra si avvale della determinante e prestigiosa collaborazione del Museo della moda e del costume delle Gallerie degli Uffizi, del Museo Stibbert di Firenze e della Fondazione Ratti di Como, nonché di altre prestigiose istituzioni sia pubbliche che private, che hanno permesso la costruzione di un percorso espositivo unico ed inedito su un secolo così ricco e complesso come il Settecento.
Nella prima parte dell’esposizione i temi riguardano l’esotismo, un contenuto importante che trae origine nel XVII secolo per effetto delle nuove conoscenze geografiche dovute ai traffici commerciali, alle ambascerie e all’azione delle missioni degli ordini religiosi nelle parti più estreme dell’Oriente, che portano all’attenzione di un vasto pubblico beni di lusso e di consumo che generano interesse e curiosità per le loro particolari e raffinate caratteristiche.
Lacche, porcellane, tessuti, dipinti su carta esprimono, infatti, linguaggi artistici che giocano su parametri compositivi ed estetici differenti da quelli maturati dalla tradizione europea e, pertanto, ricercati per la loro stravaganza e originalità.
I soggetti, la composizione delle scene e l’inattesa palette cromatica determinano una profonda trasformazione del gusto verso l’esotismo che ricade sulle produzioni delle maggiori manifatture europee, coinvolgendo principalmente la produzione di beni di lusso.
Questo nuovo flusso di idee alimenta in primis l’attività delle manifatture francesi che, a fine Seicento, vivono una stagione prolifica grazie alle riforme apportate dal governo di Luigi XIV.
La Francia è la prima nazione in Europa che innesca una filiera organizzata di saperi che si declinano in tutti i settori delle arti. Artisti come Charles Le Brun, Antoine Watteau, Jean Berain e François Boucher dedicano parte dell’attività creativa alla progettazione di ornati e impianti decorativi per tessuti, decorazioni pittoriche, argenterie che mediano l’ordine compositivo tradizionale con temi e forme della cultura orientale. L’accostamento dei tessuti alle più diverse tipologie di manufatti e tecniche artistiche permette al visitatore di avere una visione completa di tutti gli stili che attraversano il secolo – bizarre, chinoiserie, dentelles, revel, solo per citare alcuni tra i principali esempi della produzione tessile settecentesca – venendo così a creare un costante dialogo sia con i capi d’abbigliamento e gli accessori moda, sia con gli altri elementi d’arredo.
Gli straordinari quanto rari capi d’abbigliamento maschili e femminili provenienti dal Museo della moda e del costume delle Gallerie degli Uffizi raccontano la significativa trasformazione delle fogge di questo secolo: dai generosi volumi della robe à la français -ridondanti e con temi mutuati dalla natura (fiori, frutta, conchiglie, cartigli, paesaggi)- si passa alla riduzione della robe à la polonaise fino alla citazione classicista della robe en chemise, che molto deve all’avvio di campagne archeologiche tanto in voga sul finire del secolo.
Il passaggio di forme nell’abbigliamento segue fedelmente lo sviluppo culturale e sociale del tempo: si passa così dai fasti della corte francese alle comodità dello stile di campagna della nobiltà inglese degli ultimi decenni del secolo, quella del Grand tour, tanto interessata al tema delle «rovine» e a scenette esotiche, capricci con rovine e personaggi, piccole vedute con tempietti classici, mazzetti di fiori che si dispongono nelle anse.
Nel percorso della mostra sono presentati capi d’abbigliamento maschili e femminili che, contestualizzati con altri manufatti, raccontano la significativa trasformazione delle fogge di questo secolo. Tra l’altro, i tessuti operati in seta e preziosi filati metallici del museo pratese e della Fondazione Ratti di Como –custode di una straordinaria collezione di tessuti antichi con rarissimi esemplari in seta proprio del Settecento europeo– dialogano lungo il percorso espositivo con i preziosi gilet e le pregiate porcellane di manifattura cinese, Ginori e Sèvres, proveniente da quello scrigno di tesori che è il Museo Stibbert di Firenze, custode di un patrimonio di oltre cinquantamila oggetti tra costumi, armi e armature, arazzi, oggetti di arredo e di arte applicata.
Dalla Biblioteca nazionale Centrale di Firenze proviene un nucleo di volumi di argomento diverso, databili dalla seconda metà del XVII alla fine del XVIII secolo, fondamentali per comprendere la nascita e lo sviluppo dei diversi filoni stilistici che attraversano il secolo: dai repertori di motivi decorativi presenti nei volumi sulle ambascerie delle Compagnie delle Indie in Cina e Giappone alla rappresentazione delle creazioni di oggetti di arte applicata di stile rocaille, fino alle incisioni con soggetti archeologici che avranno un enorme ricaduta nella nascita e sviluppo del gusto neoclassico, affermatosi nel seconda metà del secolo.
In questo contesto si collocano -tra i complementi di abbigliamento appartenenti al Museo Stibbert- una curiosa serie di bottoni cameo in vetro e in porcellana con soggetti classici ripresi dai maggiori capolavori dell’arte greco romana, prodotti dalla manifattura inglese di Wedgwood nell’ultimo quarto del Settecento. Dal Museo Salvatore Ferragamo proviene, invece, un nucleo di calzature del XVIII secolo che rappresentano il nucleo storico della collezione avviata dallo stesso stilista come archivio di studio per le sue straordinarie creazioni.
Completano il percorso una serie di quadri provenienti dal Museo di Palazzo Pretorio e da importanti gallerie antiquarie fiorentine, che rappresentano una panoramica significativa di autori europei e soprattutto di soggetti che dialogano con i motivi decorativi rappresentati nei tessili: dalla pittura di genere ai cosiddetti capricci, dalle nature morte di fiori e frutta ai paesaggi animati da scenette popolari o da antiche rovine della classicità. Il tutto concorre a creare lo stile di un’epoca, dominata dal capriccio e dalla ragione, dall'eccesso e dalla semplificazione delle forme.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Corpetto femminile, Italia. Sec. XVIII, terzo quarto. Gros de Tours liseré broccato. Corpetto femminile steccato diviso in due metà collegate da stringhe.Firenze,
Museo Stibbert, n.inv. 14034; [fig. 2] Abito femminile, manifattura italiana, 1765 ca.Firenze, Museo della moda e del costume Gallerie degli Uffizi, n.inv. T.A. 3735-37; [fig. 3] Paio di pianelle in broccato di seta con opera a motivo floreale e trame in filo metallico dorato. Ruche decorativo in seta verde al collo del piede. Firenze, Museo Salvatore Ferragamo, n. inv. SC0000520; [fig. 4] Ventaglio con stecche di avorio intagliate e dipinte; ventola in carta dipinta con scene galanti e decori floreali, Italia. Sec. XVIII. Avorio intagliato, dorato e dipinto, carta dipinta. Firenze, Museo Stibbert, n.inv. 13916; [fig. 5] Pieter Kaastel III, Vasi di fiori , 1730-1740. Firenze, Tornabuoni Arte
Informazioni utili
Il capriccio e la ragione. Eleganze del Settecento europeo. Museo del Tessuto, via Puccetti, 3 – Prato. Orari: martedì – giovedì, ore 10.00-15.00; venerdì e sabato, ore 10.00-19.00; domenica, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Sito web: www.museodeltessuto.it. Fino al 29 aprile 2018
A questo periodo storico guarda la mostra «Il capriccio e la ragione» , allestita fino al prossimo 29 aprile negli spazi del Museo del tessuto di Prato, collocato, insieme alla Biblioteca comunale Lazzerini, all’interno dell’ex Fabbrica Campolmi, il più monumentale esempio di archeologia industriale tessile toscana (8.500 mq), recuperata dall’Amministrazione comunale per trasformarla in polo culturale cittadino.
Oltre cento reperti tra tessuti, capi d’abbigliamento femminili e maschili, porcellane, accessori moda -quali scarpe, bottoni, guanti, copricapi- dipinti e incisioni raccontano e motivano puntualmente i continui e significativi passaggi di stile che si susseguono nel XVIII secolo, dall’esotismo ai capricci compositivi dei primi decenni fino alle forme classiche austere dell’ornato neoclassico.
La mostra si avvale della determinante e prestigiosa collaborazione del Museo della moda e del costume delle Gallerie degli Uffizi, del Museo Stibbert di Firenze e della Fondazione Ratti di Como, nonché di altre prestigiose istituzioni sia pubbliche che private, che hanno permesso la costruzione di un percorso espositivo unico ed inedito su un secolo così ricco e complesso come il Settecento.
Nella prima parte dell’esposizione i temi riguardano l’esotismo, un contenuto importante che trae origine nel XVII secolo per effetto delle nuove conoscenze geografiche dovute ai traffici commerciali, alle ambascerie e all’azione delle missioni degli ordini religiosi nelle parti più estreme dell’Oriente, che portano all’attenzione di un vasto pubblico beni di lusso e di consumo che generano interesse e curiosità per le loro particolari e raffinate caratteristiche.
Lacche, porcellane, tessuti, dipinti su carta esprimono, infatti, linguaggi artistici che giocano su parametri compositivi ed estetici differenti da quelli maturati dalla tradizione europea e, pertanto, ricercati per la loro stravaganza e originalità.
I soggetti, la composizione delle scene e l’inattesa palette cromatica determinano una profonda trasformazione del gusto verso l’esotismo che ricade sulle produzioni delle maggiori manifatture europee, coinvolgendo principalmente la produzione di beni di lusso.
Questo nuovo flusso di idee alimenta in primis l’attività delle manifatture francesi che, a fine Seicento, vivono una stagione prolifica grazie alle riforme apportate dal governo di Luigi XIV.
La Francia è la prima nazione in Europa che innesca una filiera organizzata di saperi che si declinano in tutti i settori delle arti. Artisti come Charles Le Brun, Antoine Watteau, Jean Berain e François Boucher dedicano parte dell’attività creativa alla progettazione di ornati e impianti decorativi per tessuti, decorazioni pittoriche, argenterie che mediano l’ordine compositivo tradizionale con temi e forme della cultura orientale. L’accostamento dei tessuti alle più diverse tipologie di manufatti e tecniche artistiche permette al visitatore di avere una visione completa di tutti gli stili che attraversano il secolo – bizarre, chinoiserie, dentelles, revel, solo per citare alcuni tra i principali esempi della produzione tessile settecentesca – venendo così a creare un costante dialogo sia con i capi d’abbigliamento e gli accessori moda, sia con gli altri elementi d’arredo.
Gli straordinari quanto rari capi d’abbigliamento maschili e femminili provenienti dal Museo della moda e del costume delle Gallerie degli Uffizi raccontano la significativa trasformazione delle fogge di questo secolo: dai generosi volumi della robe à la français -ridondanti e con temi mutuati dalla natura (fiori, frutta, conchiglie, cartigli, paesaggi)- si passa alla riduzione della robe à la polonaise fino alla citazione classicista della robe en chemise, che molto deve all’avvio di campagne archeologiche tanto in voga sul finire del secolo.
Il passaggio di forme nell’abbigliamento segue fedelmente lo sviluppo culturale e sociale del tempo: si passa così dai fasti della corte francese alle comodità dello stile di campagna della nobiltà inglese degli ultimi decenni del secolo, quella del Grand tour, tanto interessata al tema delle «rovine» e a scenette esotiche, capricci con rovine e personaggi, piccole vedute con tempietti classici, mazzetti di fiori che si dispongono nelle anse.
Nel percorso della mostra sono presentati capi d’abbigliamento maschili e femminili che, contestualizzati con altri manufatti, raccontano la significativa trasformazione delle fogge di questo secolo. Tra l’altro, i tessuti operati in seta e preziosi filati metallici del museo pratese e della Fondazione Ratti di Como –custode di una straordinaria collezione di tessuti antichi con rarissimi esemplari in seta proprio del Settecento europeo– dialogano lungo il percorso espositivo con i preziosi gilet e le pregiate porcellane di manifattura cinese, Ginori e Sèvres, proveniente da quello scrigno di tesori che è il Museo Stibbert di Firenze, custode di un patrimonio di oltre cinquantamila oggetti tra costumi, armi e armature, arazzi, oggetti di arredo e di arte applicata.
Dalla Biblioteca nazionale Centrale di Firenze proviene un nucleo di volumi di argomento diverso, databili dalla seconda metà del XVII alla fine del XVIII secolo, fondamentali per comprendere la nascita e lo sviluppo dei diversi filoni stilistici che attraversano il secolo: dai repertori di motivi decorativi presenti nei volumi sulle ambascerie delle Compagnie delle Indie in Cina e Giappone alla rappresentazione delle creazioni di oggetti di arte applicata di stile rocaille, fino alle incisioni con soggetti archeologici che avranno un enorme ricaduta nella nascita e sviluppo del gusto neoclassico, affermatosi nel seconda metà del secolo.
In questo contesto si collocano -tra i complementi di abbigliamento appartenenti al Museo Stibbert- una curiosa serie di bottoni cameo in vetro e in porcellana con soggetti classici ripresi dai maggiori capolavori dell’arte greco romana, prodotti dalla manifattura inglese di Wedgwood nell’ultimo quarto del Settecento. Dal Museo Salvatore Ferragamo proviene, invece, un nucleo di calzature del XVIII secolo che rappresentano il nucleo storico della collezione avviata dallo stesso stilista come archivio di studio per le sue straordinarie creazioni.
Completano il percorso una serie di quadri provenienti dal Museo di Palazzo Pretorio e da importanti gallerie antiquarie fiorentine, che rappresentano una panoramica significativa di autori europei e soprattutto di soggetti che dialogano con i motivi decorativi rappresentati nei tessili: dalla pittura di genere ai cosiddetti capricci, dalle nature morte di fiori e frutta ai paesaggi animati da scenette popolari o da antiche rovine della classicità. Il tutto concorre a creare lo stile di un’epoca, dominata dal capriccio e dalla ragione, dall'eccesso e dalla semplificazione delle forme.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Corpetto femminile, Italia. Sec. XVIII, terzo quarto. Gros de Tours liseré broccato. Corpetto femminile steccato diviso in due metà collegate da stringhe.Firenze,
Museo Stibbert, n.inv. 14034; [fig. 2] Abito femminile, manifattura italiana, 1765 ca.Firenze, Museo della moda e del costume Gallerie degli Uffizi, n.inv. T.A. 3735-37; [fig. 3] Paio di pianelle in broccato di seta con opera a motivo floreale e trame in filo metallico dorato. Ruche decorativo in seta verde al collo del piede. Firenze, Museo Salvatore Ferragamo, n. inv. SC0000520; [fig. 4] Ventaglio con stecche di avorio intagliate e dipinte; ventola in carta dipinta con scene galanti e decori floreali, Italia. Sec. XVIII. Avorio intagliato, dorato e dipinto, carta dipinta. Firenze, Museo Stibbert, n.inv. 13916; [fig. 5] Pieter Kaastel III, Vasi di fiori , 1730-1740. Firenze, Tornabuoni Arte
Informazioni utili
Il capriccio e la ragione. Eleganze del Settecento europeo. Museo del Tessuto, via Puccetti, 3 – Prato. Orari: martedì – giovedì, ore 10.00-15.00; venerdì e sabato, ore 10.00-19.00; domenica, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Sito web: www.museodeltessuto.it. Fino al 29 aprile 2018
sabato 28 ottobre 2017
Al via il Siena International Photo Awards Festival
Compie tre anni il Siena International Photo Awards Festival, promosso dall’associazione culturale Art Photo Travel, che per oltre un mese, a partire dal 29 ottobre, porterà nella città del Palio eventi, workshop, photo tour e incontri con le firme più prestigiose della fotografia internazionale.
Ad aprire il ricco programma sarà l’inaugurazione della mostra «Beyond the Lens», che raccoglie i migliori scatti del contest di fotografia lanciato dalla manifestazione toscana, al quale sono giunte oltre 45mila immagini, opere di fotografi professionisti, dilettanti e amatori provenienti da più di centosessanta Paesi di tutto il mondo.
La cerimonia di premiazione si terrà sabato 29 ottobre, alle ore 17.30, al teatro dei Rozzi. Durante l’incontro, al quale farà seguito una Cena di gala, saranno assegnati i riconoscimenti ai primi classificati di ciascuna delle dieci categorie in gara e verrà decretato il vincitore assoluto, a cui andrà il titolo di Photographer of the Year SIPAContest 2017.
Una giuria internazionale formata da ventisei tra le firme più prestigiose della fotografia mondiale -tra cui Timothy Allen, Dave Black, Alex Noriega, David Lazar, Adrian Dennis, Sophie Stafford, David Shultz- ha scelto tra le migliaia di immagini in concorso le migliori di ogni sezione: libero colore; libero monochrome; viaggi & avventure; persone e volti accattivanti; la bellezza della natura; animali nel loro ambiente naturale; architettura e spazi urbani; sport in azione; portfolio storytelling e il ghiaccio fragile, tema dell'anno 2017.
Le opere migliori saranno, poi, in mostra da domenica 30 ottobre fino a giovedì 20 novembre nei nuovi spazi espositivi dell’ex distilleria dello Stellino, in Via Fiorentina, uno spazio che risale alla prima metà del ‘900 e si caratterizza per il forte carattere industriale.
Al Siena International Photo Awards Festival ci saranno, poi, tanti momenti dedicati alla formazione e all'approfondimento di tecniche e strumenti, a partire dal workshop «Photoshop e Lightroom», in compagnia Marianna Santoni, considerata un «Guru di Photoshop», con all'attivo premi e riconoscimenti per la sua attività di ricerca, la sua carriera e le sue qualità di docente e divulgatrice in Italia e all'estero.
La grande fotografia salirà, inoltre, in cattedra con due incontri speciali, in programma venerdì 27 ottobre, che porteranno a Siena due grandi nomi del fotogiornalismo internazionale: Randy Olson e Ami Vitale, autori di spettacolari immagini realizzate per la rivista «National Geograpghic». L’appuntamento sarà un'occasione unica per conoscere, attraverso immagini straordinarie, gli inediti racconti di viaggio che Olson ha realizzato negli angoli più remoti del nostro pianeta, raccontando le preziose risorse che l’uomo ha imparato a sfruttare e i luoghi inospitali a cui ha saputo adattarsi tra mille difficoltà, in continua lotta per la sopravvivenza.
S’ispira alla sua filosofia di «vivere la storia», invece, l’incontro con Ami Vitale, che a Siena metterà in mostra le spettacolari immagini che ha realizzato, vivendo in capanne di fango e zone di guerra, contraendo la malaria e indossando un costume da panda per documentare i diversi aspetti legati al tema della conservazione dell’ambiente.
Il fotogiornalismo contemporaneo sarà protagonista anche sabato 28 ottobre in occasione dell’incontro con il fotoreporter romano Giorgio Bianchi, che, dopo cinque viaggi in quattro anni in Donbass, regione dell’Ucraina orientale, racconterà la guerra in Ucraina, un conflitto invisibile di cui nessuno sembra accorgersi e che si combatte dal 2014 tra l’esercito governativo di Kiev e le milizie filorusse.
Le tradizioni secolari, la natura e il territorio senese saranno al centro suggestivi tour ed escursioni inedite, dal photo tour del Chianti al tramonto al percorso alla scoperta del centro storico di Siena, patrimonio dell’Unesco e del Palio di Siena per immortalare il connubio di colori, tradizioni ed emozioni tramandate da quattro secoli. Da non perdere anche l’appuntamento con «One shot together», per scattare tutti insieme una foto ricordo in Piazza del Campo.
Per saperne di più
www.sipacontest.com
Ad aprire il ricco programma sarà l’inaugurazione della mostra «Beyond the Lens», che raccoglie i migliori scatti del contest di fotografia lanciato dalla manifestazione toscana, al quale sono giunte oltre 45mila immagini, opere di fotografi professionisti, dilettanti e amatori provenienti da più di centosessanta Paesi di tutto il mondo.
La cerimonia di premiazione si terrà sabato 29 ottobre, alle ore 17.30, al teatro dei Rozzi. Durante l’incontro, al quale farà seguito una Cena di gala, saranno assegnati i riconoscimenti ai primi classificati di ciascuna delle dieci categorie in gara e verrà decretato il vincitore assoluto, a cui andrà il titolo di Photographer of the Year SIPAContest 2017.
Una giuria internazionale formata da ventisei tra le firme più prestigiose della fotografia mondiale -tra cui Timothy Allen, Dave Black, Alex Noriega, David Lazar, Adrian Dennis, Sophie Stafford, David Shultz- ha scelto tra le migliaia di immagini in concorso le migliori di ogni sezione: libero colore; libero monochrome; viaggi & avventure; persone e volti accattivanti; la bellezza della natura; animali nel loro ambiente naturale; architettura e spazi urbani; sport in azione; portfolio storytelling e il ghiaccio fragile, tema dell'anno 2017.
Le opere migliori saranno, poi, in mostra da domenica 30 ottobre fino a giovedì 20 novembre nei nuovi spazi espositivi dell’ex distilleria dello Stellino, in Via Fiorentina, uno spazio che risale alla prima metà del ‘900 e si caratterizza per il forte carattere industriale.
Al Siena International Photo Awards Festival ci saranno, poi, tanti momenti dedicati alla formazione e all'approfondimento di tecniche e strumenti, a partire dal workshop «Photoshop e Lightroom», in compagnia Marianna Santoni, considerata un «Guru di Photoshop», con all'attivo premi e riconoscimenti per la sua attività di ricerca, la sua carriera e le sue qualità di docente e divulgatrice in Italia e all'estero.
La grande fotografia salirà, inoltre, in cattedra con due incontri speciali, in programma venerdì 27 ottobre, che porteranno a Siena due grandi nomi del fotogiornalismo internazionale: Randy Olson e Ami Vitale, autori di spettacolari immagini realizzate per la rivista «National Geograpghic». L’appuntamento sarà un'occasione unica per conoscere, attraverso immagini straordinarie, gli inediti racconti di viaggio che Olson ha realizzato negli angoli più remoti del nostro pianeta, raccontando le preziose risorse che l’uomo ha imparato a sfruttare e i luoghi inospitali a cui ha saputo adattarsi tra mille difficoltà, in continua lotta per la sopravvivenza.
S’ispira alla sua filosofia di «vivere la storia», invece, l’incontro con Ami Vitale, che a Siena metterà in mostra le spettacolari immagini che ha realizzato, vivendo in capanne di fango e zone di guerra, contraendo la malaria e indossando un costume da panda per documentare i diversi aspetti legati al tema della conservazione dell’ambiente.
Il fotogiornalismo contemporaneo sarà protagonista anche sabato 28 ottobre in occasione dell’incontro con il fotoreporter romano Giorgio Bianchi, che, dopo cinque viaggi in quattro anni in Donbass, regione dell’Ucraina orientale, racconterà la guerra in Ucraina, un conflitto invisibile di cui nessuno sembra accorgersi e che si combatte dal 2014 tra l’esercito governativo di Kiev e le milizie filorusse.
Le tradizioni secolari, la natura e il territorio senese saranno al centro suggestivi tour ed escursioni inedite, dal photo tour del Chianti al tramonto al percorso alla scoperta del centro storico di Siena, patrimonio dell’Unesco e del Palio di Siena per immortalare il connubio di colori, tradizioni ed emozioni tramandate da quattro secoli. Da non perdere anche l’appuntamento con «One shot together», per scattare tutti insieme una foto ricordo in Piazza del Campo.
Per saperne di più
www.sipacontest.com
giovedì 26 ottobre 2017
L’uomo e il paesaggio: settanta foto in mostra a Biella
L’uomo, il paesaggio e l’influenza che l’uno esercita sull’altro sono al centro della mostra fotografica «Terre di uomini», che Chiara Dall’Olio cura per la Fondazione Fotografia Modena e Palazzo Gromo Losa. L’esposizione, in programma dal 27 ottobre al 7 gennaio a Biella, comprende oltre settanta opere di ventisette artisti, che prendono in esame differenti visioni del paesaggio, con particolare riferimento alla tradizione americana, africana e italiana.
Il percorso espositivo, che presenta opere provenienti per la quasi totalità dalla Fondazione Fotografia Modena, si apre con un omaggio all’opera dei grandi maestri della fotografia statunitense: da Ansel Adams, che nelle sue fotografie evoca la leggendaria ultima frontiera, a Edward Weston, interprete, negli anni Trenta e Quaranta, di particolari della natura in chiave estetica e allegorica, per arrivare, negli anni Sessanta, alle sperimentazioni di Callahan e Siskind, che restano tuttavia sempre nel solco tracciato da Adams, della fotografi pura ed elegante. Fondamentale, poi, la figura di Stephen Shore, che immortala la provincia americana finalmente con la pellicola a colori, utilizzata anche da Misrach per agli ampi spazi desertici che richiamano l’attenzione allo sfruttamento della natura effettuato dall’uomo. Lo stesso tema si ritrova nelle periferie industriali di Gossage, così come nei lavori che negli stessi anni Ottanta vanno conducendo anche i fotografi europei. Nel mezzo si collocano autori come White, Caponigro, Bullock e Chappell, interpreti di una fotografia visionaria e contemplativa, che riflette innanzitutto sul posizionamento dell’essere umano nel mondo. L’uomo è anche al centro delle ricerche di Friedlander e di Van Deren Coke, prodotto di una società che è andata sviluppandosi negli anni Sessanta e Settanta, tenendo ai margini il diverso, in nome di un benessere collettivo e di uno sfrenato consumismo, inevitabili conseguenze del capitalismo americano.
Nonostante un territorio naturale affascinante ed estremo che condiziona fortemente la vita quotidiana, gli autori africani non si lasciano ammaliare dalla perturbante bellezza della natura. La fotografia è narrazione di un contesto quotidiano difficile, spesso conflittuale, in cui non c'è spazio per la contemplazione e il paesaggio resta sullo sfondo.
Tra i vari scatti si possono vedere la foresta nigeriana sfruttata e inquinata dagli oleodotti di Osodi, le tracce dell'apartheid in lembi di terra remota raffigurate da Goldblatt, o la vita di tutti i giorni ritratta da Nunn. Anche i cani ritornati randagi dopo essere stati abbandonati dai bianchi in fuga dalle fattorie dopo la fine dell’apartheid, ritratti da Naudé, sono un emblema del recente passato sudafricano. Nella periferia di Tangeri ripresa da Barrada c’è tutta la precarietà di una nazione come il Marocco, così come nelle immagini della prima campagna elettorale democratica del Congo, fotografata da Tillim nel 2006, la tensione delle piazze è palpabile. Tuttavia, la speranza di un futuro normale resiste, come vediamo nelle immagini di Apagya, dove gli adulti si collocano dentro un fondale che è il sogno a occhi aperti di un mondo nuovo.
E in Italia? Il paesaggio italiano è stato da sempre uno dei soggetti più amati dai fotografi nostrani, fin dalle sue origini, un’eredità quasi scontata dal lontano Rinascimento. Difficile, per un autore contemporaneo, liberarsi da un approccio -che poi è una visione- così fortemente radicato, difficile anche solo immaginare un paesaggio diverso dal Bel Paese. Sono fotografi come Franco Fontana -che interpreta il mondo in campiture di colore- o come Luigi Ghirri -che volge l'attenzione alla provincia della pianura padana- a dimostrare fin dagli anni Settanta che non esiste solo la bellezza delle coste o delle Alpi italiane. Sulla loro scia, Fossati indaga le rive del Po, che diventano quasi un paesaggio lunare, e Guidi ferma lo sguardo sulle contaminazioni che l'industria ha portato al nostro territorio, segnandolo e in molti casi deturpandolo. Occorre allora allontanarsi, prendere il largo come Mimmo Jodice che, da moderno Ulisse, ricerca nei luoghi del Mediterraneo le radici di una cultura ancora vibrante di forza. Oppure allargare il campo visivo e fare entrare nella fotografia il brulicare dell'attività umana moderna, invisibile ma palpabile presenza nelle fotografie di architetture di Basilico, colorata e invasiva massa nei paesaggi alpini di Niedermayr, che ormai hanno perduto per sempre il fascino selvaggio, la wilderness tanto amata da Ansel Adams, tanto che la fotografia stessa non può più essere unica, ma è frammentata in più cornici, spezzata come lo sguardo contemporaneo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Minor White, Golden Gate Bridge, 1959. Stampa alla gelatina d’argento; [fig. 2] Luigi Ghirri, Formigine, 1984. Dalla serie Il profilo delle nuvole, c-print, 39 x 49,5 cm; [fig. 3] Franco Fontana, Paesaggio urbano, New York, 1979. c-print, 45 x 30 cm. © l’artista
Informazioni utili
Terre di Uomini. Adams, Shore, Goldblatt, Ghirri, Basilico, Jodice e altri 21 grandi fotografi raccontano il paesaggio. Palazzo Gromo Losa, corso del Piazzo, 22/24 - Biella. Orari: venerdì e sabato, ore 15.30-19.00; domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-19.00; 1° novembre, 8 e 26 dicembre, 1° e 6 gennaio, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-19.00; mostra chiusa il 25 dicembre. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00 → Soci Touring Club, Soci FAI, Soci Plein Air, Tessera Abbonamento Musei Torino e Piemonte, Amici di Castelli Aperti, gruppi di almeno 12 persone; ingresso gratuito → under 25, studenti universitari con tesserino, disabili + 1 accompagnatore, insegnanti se accompagnano una classe, giornalisti con patentino, guide turistiche con patentino | visite guidate per gruppi (min. 12 - max. 25 persone) a cura di Ideazione Società Cooperativa € 65,00 a gruppo in aggiunta al prezzo del biglietto (tel. 329.1866660). Informazioni: tel. 015.2520432 o info@fondazionecrbiella.it | tel. 059.6139623 o cell. 335.1621739, mostre@fondazionefotografia.org. Sito internet: www.fondazionefotografia.org. Dal 27 ottobre al 7 gennaio 2018.
Il percorso espositivo, che presenta opere provenienti per la quasi totalità dalla Fondazione Fotografia Modena, si apre con un omaggio all’opera dei grandi maestri della fotografia statunitense: da Ansel Adams, che nelle sue fotografie evoca la leggendaria ultima frontiera, a Edward Weston, interprete, negli anni Trenta e Quaranta, di particolari della natura in chiave estetica e allegorica, per arrivare, negli anni Sessanta, alle sperimentazioni di Callahan e Siskind, che restano tuttavia sempre nel solco tracciato da Adams, della fotografi pura ed elegante. Fondamentale, poi, la figura di Stephen Shore, che immortala la provincia americana finalmente con la pellicola a colori, utilizzata anche da Misrach per agli ampi spazi desertici che richiamano l’attenzione allo sfruttamento della natura effettuato dall’uomo. Lo stesso tema si ritrova nelle periferie industriali di Gossage, così come nei lavori che negli stessi anni Ottanta vanno conducendo anche i fotografi europei. Nel mezzo si collocano autori come White, Caponigro, Bullock e Chappell, interpreti di una fotografia visionaria e contemplativa, che riflette innanzitutto sul posizionamento dell’essere umano nel mondo. L’uomo è anche al centro delle ricerche di Friedlander e di Van Deren Coke, prodotto di una società che è andata sviluppandosi negli anni Sessanta e Settanta, tenendo ai margini il diverso, in nome di un benessere collettivo e di uno sfrenato consumismo, inevitabili conseguenze del capitalismo americano.
Nonostante un territorio naturale affascinante ed estremo che condiziona fortemente la vita quotidiana, gli autori africani non si lasciano ammaliare dalla perturbante bellezza della natura. La fotografia è narrazione di un contesto quotidiano difficile, spesso conflittuale, in cui non c'è spazio per la contemplazione e il paesaggio resta sullo sfondo.
Tra i vari scatti si possono vedere la foresta nigeriana sfruttata e inquinata dagli oleodotti di Osodi, le tracce dell'apartheid in lembi di terra remota raffigurate da Goldblatt, o la vita di tutti i giorni ritratta da Nunn. Anche i cani ritornati randagi dopo essere stati abbandonati dai bianchi in fuga dalle fattorie dopo la fine dell’apartheid, ritratti da Naudé, sono un emblema del recente passato sudafricano. Nella periferia di Tangeri ripresa da Barrada c’è tutta la precarietà di una nazione come il Marocco, così come nelle immagini della prima campagna elettorale democratica del Congo, fotografata da Tillim nel 2006, la tensione delle piazze è palpabile. Tuttavia, la speranza di un futuro normale resiste, come vediamo nelle immagini di Apagya, dove gli adulti si collocano dentro un fondale che è il sogno a occhi aperti di un mondo nuovo.
E in Italia? Il paesaggio italiano è stato da sempre uno dei soggetti più amati dai fotografi nostrani, fin dalle sue origini, un’eredità quasi scontata dal lontano Rinascimento. Difficile, per un autore contemporaneo, liberarsi da un approccio -che poi è una visione- così fortemente radicato, difficile anche solo immaginare un paesaggio diverso dal Bel Paese. Sono fotografi come Franco Fontana -che interpreta il mondo in campiture di colore- o come Luigi Ghirri -che volge l'attenzione alla provincia della pianura padana- a dimostrare fin dagli anni Settanta che non esiste solo la bellezza delle coste o delle Alpi italiane. Sulla loro scia, Fossati indaga le rive del Po, che diventano quasi un paesaggio lunare, e Guidi ferma lo sguardo sulle contaminazioni che l'industria ha portato al nostro territorio, segnandolo e in molti casi deturpandolo. Occorre allora allontanarsi, prendere il largo come Mimmo Jodice che, da moderno Ulisse, ricerca nei luoghi del Mediterraneo le radici di una cultura ancora vibrante di forza. Oppure allargare il campo visivo e fare entrare nella fotografia il brulicare dell'attività umana moderna, invisibile ma palpabile presenza nelle fotografie di architetture di Basilico, colorata e invasiva massa nei paesaggi alpini di Niedermayr, che ormai hanno perduto per sempre il fascino selvaggio, la wilderness tanto amata da Ansel Adams, tanto che la fotografia stessa non può più essere unica, ma è frammentata in più cornici, spezzata come lo sguardo contemporaneo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Minor White, Golden Gate Bridge, 1959. Stampa alla gelatina d’argento; [fig. 2] Luigi Ghirri, Formigine, 1984. Dalla serie Il profilo delle nuvole, c-print, 39 x 49,5 cm; [fig. 3] Franco Fontana, Paesaggio urbano, New York, 1979. c-print, 45 x 30 cm. © l’artista
Informazioni utili
Terre di Uomini. Adams, Shore, Goldblatt, Ghirri, Basilico, Jodice e altri 21 grandi fotografi raccontano il paesaggio. Palazzo Gromo Losa, corso del Piazzo, 22/24 - Biella. Orari: venerdì e sabato, ore 15.30-19.00; domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-19.00; 1° novembre, 8 e 26 dicembre, 1° e 6 gennaio, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-19.00; mostra chiusa il 25 dicembre. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00 → Soci Touring Club, Soci FAI, Soci Plein Air, Tessera Abbonamento Musei Torino e Piemonte, Amici di Castelli Aperti, gruppi di almeno 12 persone; ingresso gratuito → under 25, studenti universitari con tesserino, disabili + 1 accompagnatore, insegnanti se accompagnano una classe, giornalisti con patentino, guide turistiche con patentino | visite guidate per gruppi (min. 12 - max. 25 persone) a cura di Ideazione Società Cooperativa € 65,00 a gruppo in aggiunta al prezzo del biglietto (tel. 329.1866660). Informazioni: tel. 015.2520432 o info@fondazionecrbiella.it | tel. 059.6139623 o cell. 335.1621739, mostre@fondazionefotografia.org. Sito internet: www.fondazionefotografia.org. Dal 27 ottobre al 7 gennaio 2018.
martedì 24 ottobre 2017
Cuccarini, Ingrassia e la coppia: al Manzoni di Busto va in scena «Non mi hai più detto ti amo»
La famiglia è ancora il cardine della società e il nostro punto di riferimento assoluto? Come si stanno evolvendo le coppie alla luce delle trasformazioni sociali, politiche ed economiche in atto? Sono queste due domande a tessere la trama della commedia «Non mi hai più detto ti amo», scelta da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) per aprire la stagione 2017/2018 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, intitolata ancora una volta «Mettiamo in circolo la cultura» e inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro».
L’appuntamento, in agenda nella serata di venerdì 27 ottobre (alle ore 21), segna il ritorno in coppia sul palcoscenico, a vent’anni dal musical «Grease» e per la prima volta in uno spettacolo di prosa, di due tra gli attori più amati dal grande pubblico: Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia.
Con questi due straordinari e assoluti mattatori della scena saliranno sul palco anche Raffaella Camarda, Francesco Maria Conti e Fabrizio Corucci. Le musiche portano la firma di Giovanni Caccamo, cantautore siciliano scoperto da Franco Battiato e lanciato dal Festival di Sanremo, che lo ha visto vincere nel 2015 nella sezione «Giovani». Firma le scene Alessandro Chiti; i costumi sono stati realizzati da Silvia Frattolillo. Il light designer dello spettacolo è Umile Vainieri; il sound designer Luca Finotti.
«Non mi hai più detto ti amo», commedia ironica e intelligente scritta e diretta da Gabriele Pignotta, racconta «la storia di una famiglia italiana contemporanea, costretta -si legge nella sinossi- ad affrontare un cambiamento traumatico improvviso e che, alla fine di un percorso umano difficile e intenso, si ritroverà completamente trasformata e forse più preparata a sopravvivere».
Lorella Cuccarini, al debutto in una commedia non musicale, interpreta Serena, una madre che, con grande coraggio, trova la forza di mettersi in discussione per riscoprire il suo essere donna, mettendo così in gioco gli equilibri della sua famiglia. Giampiero Ingrassia è suo marito, Giulio, un uomo che reagirà al repentino cambiamento della moglie, riscoprendo, finalmente, il suo ruolo di padre.
«Anche i due figli, due ragazzi di vent'anni, -racconta Gabriele Pignotta- andranno incontro a una crisi profonda esattamente come i loro genitori, ma quando tutto sembra portare verso la più amara delle disgregazioni familiari, ognuno riuscirà a trovare delle risorse interiori inaspettate che porteranno la famiglia a ricomporsi con un avvincente finale a sorpresa».
La famiglia è, dunque, il motore principale di questo spettacolo e si mostra con le sue fragilità e con la sua forza. «L’amore tra uomo e donna e tra genitori e figli -raccontano dalla produzione, che vede alla guida Milleluci Entertainment- è visto con leggerezza ma anche con passione, sbirciando attraverso la quotidianità: risate, lacrime, sospetti, cambiamenti e tante altre piccole e grandi situazioni condiscono la commedia, in cui ognuno di noi può ritrovare uno spaccato della sua vita». Un appuntamento, dunque, tra risate e riflessioni quello che propone il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, dove Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia faranno tappa con una delle prime date della tournée invernale del loro nuovo spettacolo.
Informazioni utili
«Non mi hai più detto ti amo». Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio. Venerdì 27 ottobre 2017, ore 21. Ingresso: il costo del biglietto per lo spettacolo «Non mi hai più detto ti amo» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00. Informazioni: 339.7559644 o 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì); info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.
L’appuntamento, in agenda nella serata di venerdì 27 ottobre (alle ore 21), segna il ritorno in coppia sul palcoscenico, a vent’anni dal musical «Grease» e per la prima volta in uno spettacolo di prosa, di due tra gli attori più amati dal grande pubblico: Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia.
Con questi due straordinari e assoluti mattatori della scena saliranno sul palco anche Raffaella Camarda, Francesco Maria Conti e Fabrizio Corucci. Le musiche portano la firma di Giovanni Caccamo, cantautore siciliano scoperto da Franco Battiato e lanciato dal Festival di Sanremo, che lo ha visto vincere nel 2015 nella sezione «Giovani». Firma le scene Alessandro Chiti; i costumi sono stati realizzati da Silvia Frattolillo. Il light designer dello spettacolo è Umile Vainieri; il sound designer Luca Finotti.
«Non mi hai più detto ti amo», commedia ironica e intelligente scritta e diretta da Gabriele Pignotta, racconta «la storia di una famiglia italiana contemporanea, costretta -si legge nella sinossi- ad affrontare un cambiamento traumatico improvviso e che, alla fine di un percorso umano difficile e intenso, si ritroverà completamente trasformata e forse più preparata a sopravvivere».
Lorella Cuccarini, al debutto in una commedia non musicale, interpreta Serena, una madre che, con grande coraggio, trova la forza di mettersi in discussione per riscoprire il suo essere donna, mettendo così in gioco gli equilibri della sua famiglia. Giampiero Ingrassia è suo marito, Giulio, un uomo che reagirà al repentino cambiamento della moglie, riscoprendo, finalmente, il suo ruolo di padre.
«Anche i due figli, due ragazzi di vent'anni, -racconta Gabriele Pignotta- andranno incontro a una crisi profonda esattamente come i loro genitori, ma quando tutto sembra portare verso la più amara delle disgregazioni familiari, ognuno riuscirà a trovare delle risorse interiori inaspettate che porteranno la famiglia a ricomporsi con un avvincente finale a sorpresa».
La famiglia è, dunque, il motore principale di questo spettacolo e si mostra con le sue fragilità e con la sua forza. «L’amore tra uomo e donna e tra genitori e figli -raccontano dalla produzione, che vede alla guida Milleluci Entertainment- è visto con leggerezza ma anche con passione, sbirciando attraverso la quotidianità: risate, lacrime, sospetti, cambiamenti e tante altre piccole e grandi situazioni condiscono la commedia, in cui ognuno di noi può ritrovare uno spaccato della sua vita». Un appuntamento, dunque, tra risate e riflessioni quello che propone il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, dove Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia faranno tappa con una delle prime date della tournée invernale del loro nuovo spettacolo.
Informazioni utili
«Non mi hai più detto ti amo». Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio. Venerdì 27 ottobre 2017, ore 21. Ingresso: il costo del biglietto per lo spettacolo «Non mi hai più detto ti amo» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00. Informazioni: 339.7559644 o 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì); info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.
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