Caravaggio arriva al cinema. Esce lunedì 19 febbraio in oltre trecentoquaranta sale italiane, grazie alla distribuzione di Nexo Digital, il documentario realizzato da Sky, in collaborazione con Magnitudo Film, su Michelangelo Merisi, uno degli artisti più amati, controversi e misteriosi della storia dell'arte.
La regia del progetto è stata affidata a Jesus Garces Lambert, mentre a dare voce all’artista, al suo io interiore, è Manuel Agnelli, frontman degli «Afterhours» e giudice di «X Factor», che racconterà i continui moti d’animo del Caravaggio, riproducendo le sfumature del suo carattere e tradendo le emozioni, spesso violente, che albergavano in lui, aiutando così lo spettatore a entrare in contatto con l’animo e la mente dell’inquieto genio seicentesco.
«Caravaggio – L’anima e il sangue», questo il titolo del film che rimarrà in cartellone fino al 21 febbraio, racconta, dunque, l’esistenza tormentata dell’artista e la sua propensione a vivere sempre sull’orlo dell’abisso attraverso scene fotografiche contemporanee, essenziali e simboliche, che focalizzano l’attenzione su sentimenti quali la costrizione e la ricerca della libertà, il dolore, la passione, l’attrazione per il rischio, la ricerca della misericordia, fino alla richiesta di perdono e redenzione.
Lo spettatore si ritroverà così a vivere un’esperienza cinematografica emozionale, inquieta e quasi tattile anche grazie all’ultra risoluzione di un girato in sorgente in 8K (7680x4320 pixel), che permette di carpire i dettagli delle opere riprese, di percepire la singola pennellata restituendo così la voluttuosità e la consistenza materica della produzione dell’artista. Ad aiutare questa esperienza visiva sarà anche il formato Cinemascope 2:40, che consente una visione più allungata e orizzontale dell’immagine, molto vicina all’effettiva visione dell’occhio umano, con il risultato di rendere l’immagine percepita meno rafforzata e artefatta.
A queste scelte visive si aggiunge il trattamento di post produzione della luce, protagonista nella rappresentazione delle opere caravaggesche, che regala un’esperienza di immersione di fortissimo impatto visivo, assolutamente inedita e pionieristica.
Il film racconta l’uomo e l’artista attraverso un’approfondita indagine investigativa effettuata attraverso documenti originali preziosissimi, mostrati per la prima volta sul grande schermo, tra cui quelli custoditi all’Archivio storico diocesano di Milano, che conserva l'atto di battesimo datato 29 settembre 1571, e all’Archivio di Stato di Roma, scrigno ricco di testimonianze preziosissime, documenti originali mostrati per la prima volta sul grande schermo, capaci di proiettarci nella vita e nei guai di Caravaggio, come querele e verbali dei processi a suo carico, che restituiscono il ritratto di un personaggio tenebroso e sanguigno, spavaldo e incline alle baruffe. Non mancano i contratti delle commesse, come quella per la Cappella Contarelli e la Cappella Cerasi, e i libri contabili del Pio Monte della Misericordia di Napoli.
La narrazione -che si avvale della consulenza scientifica di Claudio Strinati, Mina Gregori e Rossella Vodret- si sviluppa attraverso cinque città, una quindicina di luoghi e una quarantina di opere, tra le più celebri e rappresentative della produzione caravaggesca, come «Canestra di frutta», «Ragazzo morso da un ramarro», «Bacchino Malato», la «Vocazione di San Matteo», «Giuditta e Oloferne», «Scudo con la Testa di Medusa», «Davide con la testa di Golia», «Sette Opere di Misericordia» e «Decollazione di San Giovanni Battista».
Artista rivoluzionario e per questo spesso poco amato dai contemporanei, Caravaggio girò l’Italia in cerca di fortuna o forse in cerca di se stesso, sfuggendo ai nemici che sempre si creava al suo passaggio. Milano, Firenze, Roma, Napoli, la Sicilia e Malta sono i luoghi che lo videro lavorare, dalle prime nature morte, di grande realismo, fino alle ultime tele, complesse scene di figure sacre e profane, di luce e di ombra che attraversano la tempestosa vita di un uomo tormentato nello spirito.
In questo excursus narrativo e visivo l'uomo Caravaggio e la sua vita tormentata sono ricostruiti attraverso una ricerca documentale approfondita, condotta in stretto riferimento con la sua esistenza fatta di luci e ombre, contrasti e contraddizioni, genio e sregolatezza, e che trova nei suoi capolavori l’eco delle esperienze personali.
Va, infine, sottolineato che il film compie un’operazione senza precedenti, riposizionando virtualmente l’opera rifiutata «La Madonna dei Parafrenieri» nella sede a cui era originariamente destinata, ovvero l’attuale Altare di San Michele Arcangelo nella Basilica di San Pietro, proprio di fianco al Baldacchino del Bernini.
Nella grande tela, di quasi tre metri di altezza per due di larghezza, Caravaggio rappresenta la Vergine con Cristo bambino e Sant’Anna impegnati in una lotta contro il serpente, simbolo del male. La giovane madre è inondata dalla luce, protagonista assoluta dell’azione, con le fattezze di Maddalena Antognetti, descritta in molte cronache come «Lena donna di Michelangelo», cortigiana e concubina del Caravaggio, mentre alla Santa Patrona della Confraternita è affidato un ruolo da comprimaria, avvolta dall’oscurità e raffigurata come una donna anziana e fragile.
Quando Caravaggio consegnò l’opera, l’8 aprile del 1606, rilasciò al Decano della confraternita l’unica dichiarazione scritta di suo pugno che ci sia pervenuta, in cui si dichiara «contento e satisfatto» del dipinto realizzato; fu invece inappellabile il verdetto: «Rifiutata». L’opera rimase così nella sua collocazione originaria solo pochi giorni, rimossa rapidamente, e ben presto si sparse la voce che fosse stato Scipione Borghese, nipote di Papa Paolo V, a determinare il rifiuto dell’opera in modo da poterla acquistare a buon prezzo e arricchire così la sua collezione di dipinti del Caravaggio, oggi ammirabile nella Galleria Borghese.
«Caravaggio – l'anima e il sangue» si configura, dunque, come un’immersione assolutamente inedita e pionieristica nelle opere e nell'animo di Caravaggio, un film palpitante che racconta l’arte di un uomo la cui audacia e genio furono tormento ma anche slancio verso una gloria affidata all’eternità.
Informazioni utili
www.nexodigital.it
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
domenica 18 febbraio 2018
sabato 17 febbraio 2018
«Lightquake», quando la luce si fa arte
Quindici artisti e due sedi espositive per un omaggio alla poetica della light art: si presenta così il progetto «Lightquake», in cartellone fino al 25 febbraio in due spazi espositivi del Polo museale dell’Umbria, ovvero la Rocca Albornoz - Museo nazionale del Ducato di Spoleto e il Palazzo Ducale di Gubbio.
Le due rassegne offrono al visitatore, attraverso installazioni luminose e opere interattive, un’esperienza di notevole qualità percettiva, che permette di indagare il ruolo della luce, forma di comunicazione immediata e partecipativa, dalla forte valenza emotiva.
Il progetto, ideato da Rosaria Mencarelli, è stato realizzato da Paola Mercurelli Salari, con la direzione artistica di Gisella Gellini e Claudia Bottini e con la collaborazione di Fabio Agrifoglio e degli studenti del corso Light Art e Design della Luce del Politecnico di Milano.
Nata per sostenere il recupero del patrimonio culturale danneggiato dal sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, la rassegna è corredata da una raccolta fondi e ha una piccola appendice al Tempietto del Clitunno, dove è presente un’installazione luminosa di Carlo Dell’Amico, e alla galleria ADD Ard di Spoleto, dove espongono Mario Agrifoglio e Nicola Evangelisti.
Protagonista a Gubbio è la light art, forma di arte contemporanea che trasforma luoghi e città, nata intorno alla metà del XX secolo e affermatasi grazie alle opere di Dan Flavin e James Turrell. Il mezzo di espressione di questo linguaggio, a cui devono molto l’arte concettuale e il minimalismo, e il fine dell’opera è la luce.
In vari spazi del Palazzo Ducale espongono tre artisti: nel cortile interno c’è «La macchina del tempo» di Federica Marangoni, una delle più importanti light artist italiane che fin dagli anni Settanta realizza monumentali installazioni luminose; mentre nel transetto destro è possibile ammirare due opere di luce site specific realizzate dall’artista umbro Stefano Frascarelli e dal toscano Saverio Mercati, che cambiano la percezione e la spazialità delle stanze di Palazzo Ducale.
La Rocca di Spoleto guarderà, invece, all’esperienza della Black Light, la luce nera, con la mostra itinerante «La luce che colora il buio», già allestita a Milano e Como. Il nucleo degli artisti a Spoleto è composto da: Mario Agrifoglio, Nino Alfieri, Alessio Ancillai, LeoNilde Carabba, Claudio Sek De Luca, Giulio De Mitri, Nicola Evangelisti, Maria Cristiana Fioretti, Federica Marangoni, Yari Miele, Ugo Piccioni e Sebastiano Romano.
La Black Light è uno strumento espressivo in grado di coinvolgere lo spettatore in una esperienza sensoriale dove la realtà non appare con il solito aspetto ma si veste di colori, di forme e di spazialità insolite e sorprendenti.
La luce nera, affascinante ossimoro, non serve, infatti, per illuminare in modo convenzionale, ma si utilizza per far apparire in modo diverso gli oggetti o lo spazio circostante, sia per scopi spiccatamente pratici che in ambito artistico.
Anche se di solito il pubblico generico la associa alle scenografie del Cirque du Soleil o alle ambientazioni delle discoteche, la black light fu usata per la prima volta dal grande artista Lucio Fontana, con il suo ambiente spaziale a luce nera del 1949.
Successivamente, negli anni Sessanta, decennio che vide la nascita dell’optical art e dell’arte cinetica, Gianni Colombo la ripropone con il suo «Spazio Elastico», che vince il premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1986 e che Bice Curiger ha riproposto all’edizione del 2011, proprio all’ingresso del padiglione principale ai Giardini.
Data la peculiarità del tema e delle opere esposte, l’allestimento presenta ambienti oscurati con gradazioni diverse, in modo da valorizzare al meglio le opere esposte e offrire un coinvolgente percorso espositivo.
Grande spazio nel percorso espositivo è dato alla figura di Mario Agrifoglio, unico artista scomparso, che fa da trait d’union per il concept della mostra, nella quale sono esposte opere che indagano il rapporto luce e materia, sperimentando le interazioni con materiali veicolatori di luce, come il vetro, oppure gli effetti di speciali pigmenti fotosensibili, luminescenti o fluorescenti, il tutto con la luce di Wood.
Il tutto confermerà un modo di dire che fa da filo rosso tra le opere esposte: «il buio non esiste, è soltanto l’assenza della luce».
Informazioni utili
«Lightquake». Rocca Albornoz – Museo Nazionale del Ducato di Spoleto (Pg) e Palazzo Ducale di Gubbio (Pg). SPOLETO - dal martedì alla domenica, dalle ore 9.30 alle ore 18.00, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. GUBBIO - dal martedì alla domenica, dalle ore 8.30 alle ore 19.30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura. Aperture straordinarie in occasione di eventi speciali, ponti e festività. Ingresso: La mostra è compresa nel biglietto d’ingresso alle due strutture museali. I possessori del biglietto di un museo hanno diritto al biglietto ridotto dell’altro. SPOLETO: intero € 7,50, ridotto € 3,75 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del MiBACT. Spoleto Card: Red Card € 9,50, Green Card € 8,00 (+ 65, da 15 a 25 anni, gruppi oltre 15 persone). GUBBIO: intero € 5,00, ridotto € 2,50 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del MiBACT. Ingresso gratuito in entrambi i musei la prima domenica del mese. Visite guidate: SPOLETO gruppi fino a 20 unità € 80,00 (in lingua € 100,00); scuole fino a 20 unità visita tematica mostra + Rocca € 60,00; percorsi educativi a tariffa agevolata € 30,00 (classi fino a 20 unità) nei giorni 13,20 dicembre, 17,24,31 gennaio, 7,14,21 febbraio dalle 10.00 alle 12.00. GUBBIO gruppi fino a 20 unità € 80,00 (in lingua € 100,00); scuole fino a 20 unità visita guidata mostra + Palazzo Ducale € 60,00. L’ingresso alla mostra e al museo è gratuito per le scuole. Tariffe personalizzate per visite guidate alla mostra + città e itinerari turistici regionali. Tutte le visite guidate a Spoleto a Gubbio sono garantite solo su prenotazione. Info e prenotazioni: Call center Sistema Museo 199151123 o callcenter@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 25 febbraio 2018.
Le due rassegne offrono al visitatore, attraverso installazioni luminose e opere interattive, un’esperienza di notevole qualità percettiva, che permette di indagare il ruolo della luce, forma di comunicazione immediata e partecipativa, dalla forte valenza emotiva.
Il progetto, ideato da Rosaria Mencarelli, è stato realizzato da Paola Mercurelli Salari, con la direzione artistica di Gisella Gellini e Claudia Bottini e con la collaborazione di Fabio Agrifoglio e degli studenti del corso Light Art e Design della Luce del Politecnico di Milano.
Nata per sostenere il recupero del patrimonio culturale danneggiato dal sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, la rassegna è corredata da una raccolta fondi e ha una piccola appendice al Tempietto del Clitunno, dove è presente un’installazione luminosa di Carlo Dell’Amico, e alla galleria ADD Ard di Spoleto, dove espongono Mario Agrifoglio e Nicola Evangelisti.
Protagonista a Gubbio è la light art, forma di arte contemporanea che trasforma luoghi e città, nata intorno alla metà del XX secolo e affermatasi grazie alle opere di Dan Flavin e James Turrell. Il mezzo di espressione di questo linguaggio, a cui devono molto l’arte concettuale e il minimalismo, e il fine dell’opera è la luce.
In vari spazi del Palazzo Ducale espongono tre artisti: nel cortile interno c’è «La macchina del tempo» di Federica Marangoni, una delle più importanti light artist italiane che fin dagli anni Settanta realizza monumentali installazioni luminose; mentre nel transetto destro è possibile ammirare due opere di luce site specific realizzate dall’artista umbro Stefano Frascarelli e dal toscano Saverio Mercati, che cambiano la percezione e la spazialità delle stanze di Palazzo Ducale.
La Rocca di Spoleto guarderà, invece, all’esperienza della Black Light, la luce nera, con la mostra itinerante «La luce che colora il buio», già allestita a Milano e Como. Il nucleo degli artisti a Spoleto è composto da: Mario Agrifoglio, Nino Alfieri, Alessio Ancillai, LeoNilde Carabba, Claudio Sek De Luca, Giulio De Mitri, Nicola Evangelisti, Maria Cristiana Fioretti, Federica Marangoni, Yari Miele, Ugo Piccioni e Sebastiano Romano.
La Black Light è uno strumento espressivo in grado di coinvolgere lo spettatore in una esperienza sensoriale dove la realtà non appare con il solito aspetto ma si veste di colori, di forme e di spazialità insolite e sorprendenti.
La luce nera, affascinante ossimoro, non serve, infatti, per illuminare in modo convenzionale, ma si utilizza per far apparire in modo diverso gli oggetti o lo spazio circostante, sia per scopi spiccatamente pratici che in ambito artistico.
Anche se di solito il pubblico generico la associa alle scenografie del Cirque du Soleil o alle ambientazioni delle discoteche, la black light fu usata per la prima volta dal grande artista Lucio Fontana, con il suo ambiente spaziale a luce nera del 1949.
Successivamente, negli anni Sessanta, decennio che vide la nascita dell’optical art e dell’arte cinetica, Gianni Colombo la ripropone con il suo «Spazio Elastico», che vince il premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1986 e che Bice Curiger ha riproposto all’edizione del 2011, proprio all’ingresso del padiglione principale ai Giardini.
Data la peculiarità del tema e delle opere esposte, l’allestimento presenta ambienti oscurati con gradazioni diverse, in modo da valorizzare al meglio le opere esposte e offrire un coinvolgente percorso espositivo.
Grande spazio nel percorso espositivo è dato alla figura di Mario Agrifoglio, unico artista scomparso, che fa da trait d’union per il concept della mostra, nella quale sono esposte opere che indagano il rapporto luce e materia, sperimentando le interazioni con materiali veicolatori di luce, come il vetro, oppure gli effetti di speciali pigmenti fotosensibili, luminescenti o fluorescenti, il tutto con la luce di Wood.
Il tutto confermerà un modo di dire che fa da filo rosso tra le opere esposte: «il buio non esiste, è soltanto l’assenza della luce».
Informazioni utili
«Lightquake». Rocca Albornoz – Museo Nazionale del Ducato di Spoleto (Pg) e Palazzo Ducale di Gubbio (Pg). SPOLETO - dal martedì alla domenica, dalle ore 9.30 alle ore 18.00, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. GUBBIO - dal martedì alla domenica, dalle ore 8.30 alle ore 19.30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura. Aperture straordinarie in occasione di eventi speciali, ponti e festività. Ingresso: La mostra è compresa nel biglietto d’ingresso alle due strutture museali. I possessori del biglietto di un museo hanno diritto al biglietto ridotto dell’altro. SPOLETO: intero € 7,50, ridotto € 3,75 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del MiBACT. Spoleto Card: Red Card € 9,50, Green Card € 8,00 (+ 65, da 15 a 25 anni, gruppi oltre 15 persone). GUBBIO: intero € 5,00, ridotto € 2,50 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del MiBACT. Ingresso gratuito in entrambi i musei la prima domenica del mese. Visite guidate: SPOLETO gruppi fino a 20 unità € 80,00 (in lingua € 100,00); scuole fino a 20 unità visita tematica mostra + Rocca € 60,00; percorsi educativi a tariffa agevolata € 30,00 (classi fino a 20 unità) nei giorni 13,20 dicembre, 17,24,31 gennaio, 7,14,21 febbraio dalle 10.00 alle 12.00. GUBBIO gruppi fino a 20 unità € 80,00 (in lingua € 100,00); scuole fino a 20 unità visita guidata mostra + Palazzo Ducale € 60,00. L’ingresso alla mostra e al museo è gratuito per le scuole. Tariffe personalizzate per visite guidate alla mostra + città e itinerari turistici regionali. Tutte le visite guidate a Spoleto a Gubbio sono garantite solo su prenotazione. Info e prenotazioni: Call center Sistema Museo 199151123 o callcenter@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 25 febbraio 2018.
giovedì 15 febbraio 2018
«Tutti in maschera», con «Culturando», gli «Attori in erba» e il Tarlisu
Pulcinella, Arlecchino, Pantalone, Colombina, il dottor Balanzone, Brighella, ma non solo: l’Italia è un paese ricco di maschere regionali. Alcune sono nate in ambito teatrale, negli anni di maggior diffusione della Commedia dell’arte, altre sono state inventate appositamente per festeggiare il Carnevale. Sarà questo l’argomento al centro del laboratorio ludico-educativo «Tutti in maschera» che «Culturando» promuove per il pomeriggio di venerdì 16 febbraio, dalle ore 16.30, negli spazi del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
L’appuntamento, inserito nell’ambito delle attività promosse ai bambini e ai ragazzi dalla scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», è una lezione straordinaria dei corsi «I piccoli attori» (dai 5 ai 10 anni) e «Attori in erba» (dagli 11 ai 15 anni), i cui allievi, in questa stagione, stanno approfondendo proprio il magico mondo della Commedia dell’arte, importante patrimonio della tradizione teatrale italiana, attraverso i progetti «Ti conosco, mascherina!» e «Tra maschere, lazzi e canovacci».
In occasione del Carnevale, la festa più colorata e folle dell’anno, i giovani iscritti di «Culturando» -trentasei bambini e ragazzi di età compresa tra i 6 e i 15 anni- hanno deciso di aprire le porte del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio anche ai loro coetanei per una festa in maschera senza coriandoli e stelle filanti, ma con due ospiti d’eccezione. Grazie alla preziosa collaborazione della Famiglia Sinaghina, presieduta da Rolando Pizzoli, il palcoscenico di via Calatafimi accenderà, infatti, i riflettori sul Tarlisu (interpretato da Antonio Tosi, detto «Ul pedela») e sulla Bumbasina (impersonata da Jenny Castiglioni), le due maschere tipiche di Busto Arsizio, omaggio alla prestigiosa storia tessile della città.
L’incontro, studiato dalla Famiglia Sinaghina sul modello di quelli in programma in questi giorni nelle scuole cittadine, avrà inizio alle 17.00 e sarà anticipato, a partire dalle ore 16.30, da un allegro e colorato truccabimbi, a cura di «Ci pensa Pippi», servizio di animazione e party planning di Solbiate Olona. Ai bambini verrà, infine, proposto dagli insegnanti di «Culturando» -ovvero dagli attori Gerry Franceschini e Davide De Mercato, con le colleghe Serena Biagi e Anna De Bernardi- un percorso tra le maschere più rappresentative della Commedia dell’arte, dall’avaro Pantalone al vanaglorioso Capitan Spaventa e al pedante dottor Balanzone.
Dando spazio alla propria fantasia e creatività, i più piccoli avranno così modo di conoscere il fantastico modo del travestimento e l’eterno gioco del teatro attraverso una storia magica e lontana nel tempo, fatta di attori girovaghi, carrozzoni con teatri smontabili, bauli pieni di bellissimi abiti di scena e maschere.
Come camminano gli «zanni» Brighella e Arlecchino? Qual è il chiodo fisso di Pulcinella? Che cosa sono le «tiritere» del dottor Balanzone e le «smargiassate» di Capitan Spaventa? Che cosa direbbe la civettuola e astuta Colombina all’amica-rivale Isabella, la «giovane innamorata» della Commedia dell’arte? Queste alcune delle domande a cui bambini e ragazzi, attraverso l’interazione e il gioco, sapranno rispondere alla fine del pomeriggio, che si chiuderà con un piccolo momento di festa, aperto anche ai genitori e ai nonni.
La seconda parte del laboratorio sarà per «I piccoli attori» e gli «Attori in erba» una sorta di ripasso di quanto imparato in questi mesi, in vista del saggio-spettacolo «In viaggio con le maschere della Commedia dell’arte» (il titolo è ancora provvisorio), in programma venerdì 18 maggio, alle ore 20.45.
Il conto alla rovescia per l’appuntamento è già partito sulla pagina Facebook di «Culturando» (@associazioneculturando), dove nelle prossime settimane verranno diffusi, periodicamente, approfondimenti sulla Commedia dell’arte e sulle maschere della tradizione italiana, oltre ad alcuni canovacci nati in seno al laboratorio di scrittura creativa della scuola «Il cantiere delle arti», condotto da Annamaria Sigalotti. Sul profilo dell’associazione sono, inoltre, in corso di pubblicazione alcuni video sulla favola musicale «C’era una volta…Gioachino Rossini», che gli «Attori in erba» hanno portato in scena a Busto Arsizio lo scorso maggio, la cui ambientazione era la città di Bologna nei giorni di Carnevale del 1806 e in cui la sezione dedicata all’opera «Il barbiere di Siviglia» era ispirata alla tradizione della Commedia dell’arte.
L’ingresso al laboratorio «Tutti in maschera» è gratuito per i bambini di Busto Arsizio e dei paesi limitrofi; è gradita conferma della propria presenza all’indirizzo info@associazioneculturando.com o al numero 347.5776656.
L’appuntamento, inserito nell’ambito delle attività promosse ai bambini e ai ragazzi dalla scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», è una lezione straordinaria dei corsi «I piccoli attori» (dai 5 ai 10 anni) e «Attori in erba» (dagli 11 ai 15 anni), i cui allievi, in questa stagione, stanno approfondendo proprio il magico mondo della Commedia dell’arte, importante patrimonio della tradizione teatrale italiana, attraverso i progetti «Ti conosco, mascherina!» e «Tra maschere, lazzi e canovacci».
In occasione del Carnevale, la festa più colorata e folle dell’anno, i giovani iscritti di «Culturando» -trentasei bambini e ragazzi di età compresa tra i 6 e i 15 anni- hanno deciso di aprire le porte del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio anche ai loro coetanei per una festa in maschera senza coriandoli e stelle filanti, ma con due ospiti d’eccezione. Grazie alla preziosa collaborazione della Famiglia Sinaghina, presieduta da Rolando Pizzoli, il palcoscenico di via Calatafimi accenderà, infatti, i riflettori sul Tarlisu (interpretato da Antonio Tosi, detto «Ul pedela») e sulla Bumbasina (impersonata da Jenny Castiglioni), le due maschere tipiche di Busto Arsizio, omaggio alla prestigiosa storia tessile della città.
L’incontro, studiato dalla Famiglia Sinaghina sul modello di quelli in programma in questi giorni nelle scuole cittadine, avrà inizio alle 17.00 e sarà anticipato, a partire dalle ore 16.30, da un allegro e colorato truccabimbi, a cura di «Ci pensa Pippi», servizio di animazione e party planning di Solbiate Olona. Ai bambini verrà, infine, proposto dagli insegnanti di «Culturando» -ovvero dagli attori Gerry Franceschini e Davide De Mercato, con le colleghe Serena Biagi e Anna De Bernardi- un percorso tra le maschere più rappresentative della Commedia dell’arte, dall’avaro Pantalone al vanaglorioso Capitan Spaventa e al pedante dottor Balanzone.
Dando spazio alla propria fantasia e creatività, i più piccoli avranno così modo di conoscere il fantastico modo del travestimento e l’eterno gioco del teatro attraverso una storia magica e lontana nel tempo, fatta di attori girovaghi, carrozzoni con teatri smontabili, bauli pieni di bellissimi abiti di scena e maschere.
Come camminano gli «zanni» Brighella e Arlecchino? Qual è il chiodo fisso di Pulcinella? Che cosa sono le «tiritere» del dottor Balanzone e le «smargiassate» di Capitan Spaventa? Che cosa direbbe la civettuola e astuta Colombina all’amica-rivale Isabella, la «giovane innamorata» della Commedia dell’arte? Queste alcune delle domande a cui bambini e ragazzi, attraverso l’interazione e il gioco, sapranno rispondere alla fine del pomeriggio, che si chiuderà con un piccolo momento di festa, aperto anche ai genitori e ai nonni.
La seconda parte del laboratorio sarà per «I piccoli attori» e gli «Attori in erba» una sorta di ripasso di quanto imparato in questi mesi, in vista del saggio-spettacolo «In viaggio con le maschere della Commedia dell’arte» (il titolo è ancora provvisorio), in programma venerdì 18 maggio, alle ore 20.45.
Il conto alla rovescia per l’appuntamento è già partito sulla pagina Facebook di «Culturando» (@associazioneculturando), dove nelle prossime settimane verranno diffusi, periodicamente, approfondimenti sulla Commedia dell’arte e sulle maschere della tradizione italiana, oltre ad alcuni canovacci nati in seno al laboratorio di scrittura creativa della scuola «Il cantiere delle arti», condotto da Annamaria Sigalotti. Sul profilo dell’associazione sono, inoltre, in corso di pubblicazione alcuni video sulla favola musicale «C’era una volta…Gioachino Rossini», che gli «Attori in erba» hanno portato in scena a Busto Arsizio lo scorso maggio, la cui ambientazione era la città di Bologna nei giorni di Carnevale del 1806 e in cui la sezione dedicata all’opera «Il barbiere di Siviglia» era ispirata alla tradizione della Commedia dell’arte.
L’ingresso al laboratorio «Tutti in maschera» è gratuito per i bambini di Busto Arsizio e dei paesi limitrofi; è gradita conferma della propria presenza all’indirizzo info@associazioneculturando.com o al numero 347.5776656.
martedì 13 febbraio 2018
«Perfetta», Geppi Cucciari e il mondo femminile
Si tinge ancora di rosa il palcoscenico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Dopo la commedia «Queste pazze donne», che lo scorso 25 gennaio ha visto in sala circa seicento spettatori, la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», offre nuovamente uno sguardo autentico, divertente e disincantato sul mondo femminile.
Mercoledì 21 febbraio, alle ore 21, la sala di via Calatafimi aprirà le porte a una delle novità più attese del nuovo anno teatrale: l’one woman show «Pefetta», su testo e per la regia di Mattia Torre, noto sceneggiatore, regista e autore teatrale romano, che ha, tra l’altro, scritto per il programma «Parla con me» di Serena Dandini e, dal 2007, per la prima, la seconda e la terza stagione di «Boris», andata in onda su Fox Italia, e per «Boris – il film».
Le musiche originali dello spettacolo, che debutterà il prossimo venerdì 16 febbraio al teatro Moderno di Grosseto, sono di Paolo Fresu e i costumi di Antonio Marras. Il disegno luci porta la firma di Luca Barbati; assistente alla regia è Giulia Dietrich.
Protagonista di «Perfetta» è l’ironica e tagliente Geppi Cucciari, noto volto televisivo che, dopo l’esordio a «Zelig» del 2001, si è destreggiata tra spettacoli teatrali come il musical «La famiglia Addams» e abili conduzioni radiofoniche e televisive, tra cui quelle per i programma «Un giorno da pecora» di Radio2 e per le trasmissioni televisive «Per un pugno di libri» e «Le parole della settimana» di Rai3, che la vedono rispettivamente accanto a Piero Dorfles e Massimo Gramellini.
«Perfetta» si configura come una sorta di «radiografia sociale ed emotiva, fisica, di ventotto comici e disperati giorni» raccontati attraverso le quattro fasi del ciclo femminile. Il monologo teatrale parla, dunque, -si legge nella sinossi- di «una donna che conduce una vita regolare, scandita da abitudini che si ripetono ogni giorno, e che come tutti noi lotta nel mondo. Ma è una donna, e il suo corpo è una macchina faticosa e perfetta che la costringe a dei cicli, di cui gli uomini sanno pochissimo e di cui persino molte donne non sono così consapevoli».
Ha, dunque, tutti gli ingredienti per accontentare l’affezionato pubblico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio (quasi trecentoquaranta gli abbonati della sala) lo spettacolo «Perfetta», scelto da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) per la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Vanessa Gravini a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu.
La stagione teatrale del Manzoni di Busto Arsizio proseguirà nella serata di venerdì 9 marzo, alle ore 21, con la commedia «Alla faccia vostra», pièce leggera e divertente scritta da Pierre Chesnot, autore anche dell'ormai celebre «L’inquilina del piano di sopra», che promette due ore di divertimento e risate. In scena, nei panni dei protagonisti, due attori d’eccezione: l’esilarante Gianfranco Jannuzzo e la splendida Debora Caprioglio, coppia ormai collaudata del teatro brillante italiano, già vista insieme in «È ricca, la sposo e la ammazzo».
Il costo del biglietto per lo spettacolo «Perfetta» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto da mercoledì 14 gennaio con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono già comodamente acquistabili on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.
Informazioni utili
Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese), tel. 0331.677961 (dal lunedì al venerdì, dalle 17.00 alle 19.00, e in orario serale), info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.
Mercoledì 21 febbraio, alle ore 21, la sala di via Calatafimi aprirà le porte a una delle novità più attese del nuovo anno teatrale: l’one woman show «Pefetta», su testo e per la regia di Mattia Torre, noto sceneggiatore, regista e autore teatrale romano, che ha, tra l’altro, scritto per il programma «Parla con me» di Serena Dandini e, dal 2007, per la prima, la seconda e la terza stagione di «Boris», andata in onda su Fox Italia, e per «Boris – il film».
Le musiche originali dello spettacolo, che debutterà il prossimo venerdì 16 febbraio al teatro Moderno di Grosseto, sono di Paolo Fresu e i costumi di Antonio Marras. Il disegno luci porta la firma di Luca Barbati; assistente alla regia è Giulia Dietrich.
Protagonista di «Perfetta» è l’ironica e tagliente Geppi Cucciari, noto volto televisivo che, dopo l’esordio a «Zelig» del 2001, si è destreggiata tra spettacoli teatrali come il musical «La famiglia Addams» e abili conduzioni radiofoniche e televisive, tra cui quelle per i programma «Un giorno da pecora» di Radio2 e per le trasmissioni televisive «Per un pugno di libri» e «Le parole della settimana» di Rai3, che la vedono rispettivamente accanto a Piero Dorfles e Massimo Gramellini.
«Perfetta» si configura come una sorta di «radiografia sociale ed emotiva, fisica, di ventotto comici e disperati giorni» raccontati attraverso le quattro fasi del ciclo femminile. Il monologo teatrale parla, dunque, -si legge nella sinossi- di «una donna che conduce una vita regolare, scandita da abitudini che si ripetono ogni giorno, e che come tutti noi lotta nel mondo. Ma è una donna, e il suo corpo è una macchina faticosa e perfetta che la costringe a dei cicli, di cui gli uomini sanno pochissimo e di cui persino molte donne non sono così consapevoli».
Ha, dunque, tutti gli ingredienti per accontentare l’affezionato pubblico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio (quasi trecentoquaranta gli abbonati della sala) lo spettacolo «Perfetta», scelto da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) per la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Vanessa Gravini a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu.
La stagione teatrale del Manzoni di Busto Arsizio proseguirà nella serata di venerdì 9 marzo, alle ore 21, con la commedia «Alla faccia vostra», pièce leggera e divertente scritta da Pierre Chesnot, autore anche dell'ormai celebre «L’inquilina del piano di sopra», che promette due ore di divertimento e risate. In scena, nei panni dei protagonisti, due attori d’eccezione: l’esilarante Gianfranco Jannuzzo e la splendida Debora Caprioglio, coppia ormai collaudata del teatro brillante italiano, già vista insieme in «È ricca, la sposo e la ammazzo».
Il costo del biglietto per lo spettacolo «Perfetta» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto da mercoledì 14 gennaio con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono già comodamente acquistabili on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.
Informazioni utili
Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese), tel. 0331.677961 (dal lunedì al venerdì, dalle 17.00 alle 19.00, e in orario serale), info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.
domenica 11 febbraio 2018
A Milano una mostra sui disegni di Fausto Melotti per «Linee»
È una mostra importante dal punto di vista storico e filologico quella che presenta in questi giorni la galleria Tonelli di Milano. Fino al prossimo 28 febbraio lo spazio espositivo di via Aurelio Saffi propone «Sul disegno», rassegna curata da Marco Meneguzzo, che allinea venti disegni di Fausto Melotti (1901-1986), di cui ben diciotto esposti per la prima volta assieme. Questi lavori, di recente acquisizione, sono tutti databili ai primi anni Settanta, uno dei periodi più fecondi dell’artista trentino, e sono stati in parte utilizzati per accompagnare la pubblicazione dei due quaderni di «Linee», editi l’uno nel 1975, l’altro nel 1978 per i tipi della casa editrice Adelphi.
Considerato uno dei maggiori scultori del Novecento, Fausto Melotti è noto anche come scrittore e poeta. Suoi sono una serie di aforismi acuti, pungenti, lirici e talvolta amari, raccolti in volume alla vigilia dell’ultima felice stagione artistica.
In questo contesto di rinnovata creatività, la pratica del disegno, come della grafica, diventa fondamentale: non tutti i disegni esposti sono progetti di sculture, ma tutti possiedono quella particolare atmosfera di sottile narratività, e stilisticamente si ricollegano ai lavori dell’anteguerra, molto più di quanto non si possano ricondurre le sculture degli anni Settanta e Ottanta a quelle degli anni Trenta.
«Linee» è un titolo che richiama alla mente «un note-book» o per usare le parole che si trovano nel risvolto di copertina scritto da Giuseppe Zampa, «uno zibaldone d’artista che raccoglie riflessioni, ricordi, moralità, poesie, agudezas, considerazioni tecniche». Si ritrova qui la purezza e la brevità delle forme dell’artista: il timbro aereo delle sculture si fa in queste pagine parola e segno. Le incisioni arricchiscono e completano il volume, conferendole, in ragione della tiratura limitata, un alto pregio bibliografico. A tal proposito Giorgio Manganelli, sulle pagine del quotidiano «Il messaggero», ha parlato per questi aforismi di «frammenti di una storia delicata, inquietante grazia; forse raccontata in una lingua in cui abbiamo accesso nei sogni, nei giochi». In occasione della mostra, di concerto col curatore Marco Meneguzzo, la Galleria Tonelli ha inteso fornire a collezionisti, studiosi e appassionati uno strumento storico-critico, basato sullo studio analitico di questo gruppo di disegni, che si è concretizzato in un ampio volume, per certi aspetti sistematico, sul disegno melottiano, e sui metodi di comparazione tra disegni e sculture, alla ricerca di temi e stilemi sia comuni che peculiari al disegno e alla scultura.
Il risultato è un volume bilingue (italiano-inglese), edito da Silvana Editoriale, di oltre centocinquanta pagine: un lungo saggio introduttivo del curatore sulla pratica del disegno, precede le singole ampie schede, sempre curate da Meneguzzo, che mostrano apparentamenti e temi ricorrenti nella poetica melottiana, attraverso l’accostamento visivo di disegni e sculture concettualmente vicini a quelli esposti; una biografia «raccontata» a cura della storica dell’arte Sarah Boglino e una bibliografia completano il volume.
Il percorso espositivo è arricchito da una ventina di sculture e ceramiche, come il «Vaso Sole» del 1950, i «Bambini» del 1953, il «Cavallino» del 1960, Il grande «Contrappunto Piano», nella versione unica, del 1973, uno dei lavori più famosi e importanti dell’artista, o ancora vasi, ciotole e altre ceramiche degli anni Cinquanta e Sessanta. Un’occasione preziosa, dunque, quella offerta da Milano per accostarsi al mondo lirico, lieve e delicato di Fausto Melotti, grande interprete dell’Astrattismo italiano.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Fausto Melotti, Disegno, 1978, matita e tempera su carta pesante con impronta feltro, 41x28 cm; [fig. 2] Fausto Melotti, Disegno, 1970, matita e carboncino su carta pesante con impronta feltro, 33,2x25,3 cm; [fig. 3] Fausto Melotti, Vaso, 1961, ceramica policroma smaltata, h 15 cm
Informazioni utili
Fausto Melotti. Sul disegno. Galleria Tonelli, via Aurelio Saffi, 33 (angolo corso Magenta) – Milano. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.45; sabato, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.45. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.4812434; 333.1426971; info@galleriatonelli.it. Fino al 28 febbraio 2018.
Considerato uno dei maggiori scultori del Novecento, Fausto Melotti è noto anche come scrittore e poeta. Suoi sono una serie di aforismi acuti, pungenti, lirici e talvolta amari, raccolti in volume alla vigilia dell’ultima felice stagione artistica.
In questo contesto di rinnovata creatività, la pratica del disegno, come della grafica, diventa fondamentale: non tutti i disegni esposti sono progetti di sculture, ma tutti possiedono quella particolare atmosfera di sottile narratività, e stilisticamente si ricollegano ai lavori dell’anteguerra, molto più di quanto non si possano ricondurre le sculture degli anni Settanta e Ottanta a quelle degli anni Trenta.
«Linee» è un titolo che richiama alla mente «un note-book» o per usare le parole che si trovano nel risvolto di copertina scritto da Giuseppe Zampa, «uno zibaldone d’artista che raccoglie riflessioni, ricordi, moralità, poesie, agudezas, considerazioni tecniche». Si ritrova qui la purezza e la brevità delle forme dell’artista: il timbro aereo delle sculture si fa in queste pagine parola e segno. Le incisioni arricchiscono e completano il volume, conferendole, in ragione della tiratura limitata, un alto pregio bibliografico. A tal proposito Giorgio Manganelli, sulle pagine del quotidiano «Il messaggero», ha parlato per questi aforismi di «frammenti di una storia delicata, inquietante grazia; forse raccontata in una lingua in cui abbiamo accesso nei sogni, nei giochi». In occasione della mostra, di concerto col curatore Marco Meneguzzo, la Galleria Tonelli ha inteso fornire a collezionisti, studiosi e appassionati uno strumento storico-critico, basato sullo studio analitico di questo gruppo di disegni, che si è concretizzato in un ampio volume, per certi aspetti sistematico, sul disegno melottiano, e sui metodi di comparazione tra disegni e sculture, alla ricerca di temi e stilemi sia comuni che peculiari al disegno e alla scultura.
Il risultato è un volume bilingue (italiano-inglese), edito da Silvana Editoriale, di oltre centocinquanta pagine: un lungo saggio introduttivo del curatore sulla pratica del disegno, precede le singole ampie schede, sempre curate da Meneguzzo, che mostrano apparentamenti e temi ricorrenti nella poetica melottiana, attraverso l’accostamento visivo di disegni e sculture concettualmente vicini a quelli esposti; una biografia «raccontata» a cura della storica dell’arte Sarah Boglino e una bibliografia completano il volume.
Il percorso espositivo è arricchito da una ventina di sculture e ceramiche, come il «Vaso Sole» del 1950, i «Bambini» del 1953, il «Cavallino» del 1960, Il grande «Contrappunto Piano», nella versione unica, del 1973, uno dei lavori più famosi e importanti dell’artista, o ancora vasi, ciotole e altre ceramiche degli anni Cinquanta e Sessanta. Un’occasione preziosa, dunque, quella offerta da Milano per accostarsi al mondo lirico, lieve e delicato di Fausto Melotti, grande interprete dell’Astrattismo italiano.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Fausto Melotti, Disegno, 1978, matita e tempera su carta pesante con impronta feltro, 41x28 cm; [fig. 2] Fausto Melotti, Disegno, 1970, matita e carboncino su carta pesante con impronta feltro, 33,2x25,3 cm; [fig. 3] Fausto Melotti, Vaso, 1961, ceramica policroma smaltata, h 15 cm
Informazioni utili
Fausto Melotti. Sul disegno. Galleria Tonelli, via Aurelio Saffi, 33 (angolo corso Magenta) – Milano. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.45; sabato, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.45. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.4812434; 333.1426971; info@galleriatonelli.it. Fino al 28 febbraio 2018.
venerdì 9 febbraio 2018
«Venezia Pop»: Luciano Zarotti e gli anni di Ca’ Pesaro
Ha scritto pagine importanti per la storia della Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro e, di conseguenza, per la storia dell’arte a Venezia. Stiamo parlando della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa, il cui impegno per la destinazione del palazzo di San Stae quale casa delle Avanguardie e dei «giovani artisti ai quali spesso è interdetto l’ingresso nelle grandi mostre» fu determinante.
Alla figura di questa donna generosa e lungimirante sarà dedicata, nei prossimi mesi, una serie di esposizioni, la prima delle quali analizza la figura di Luciano Zarotti e la sua attività tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta.
Dell’artista, nato a Venezia nel 1942, il museo conserva due importanti tele -«La finestra del poeta» e «Paesaggio»- provenienti dalle Esposizioni Bevilacqua La Masa, una sorta di contro-Biennale- che rappresentano l’alto traguardo di un’intera stagione artistica condensata in lavori ricchi di coraggio e ambizione.
La mostra, allestita fino al prossimo 18 febbraio, intende dare conto della prodizione di Luciano Zarotti, considerato uno dei «figli Bevilacqua La Masa», tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta.
Nel 1967 l’artista, all'epoca venticinquenne, avvia la sua attività all'interno dell'istituzione veneziana, in uno degli studi concessi ai giovani artisti a Palazzo Carminati; qui lavorerà fino al 1975.
A Parigi, dove soggiorna a più riprese negli anni precedenti, l'impatto con la pop art europea scuote profondamente la sua cultura visiva basata sulla tradizione figurativa veneziana.
Dall'incontro con i disegni di Graham Sutherland il suo trasporto verso la natura, le isole e l'acqua della laguna s’innesta in una simbologia vegetale che diviene elemento di primo piano nella composizione dei suoi dipinti.
Assieme alla scoperta delle piscine di David Hockney, dei suoi tuffi, dei suoi blu, queste immagini si stendono in una partitura accordata su un nuovo sentimento dello spazio che il premio a Robert Rauschenberg, alla Biennale d'arte del 1964, comincia a far circolare anche a Venezia.
Le grandi tele presenti in mostra, ed esposte al secondo piano, sintetizzano i risultati di vent'anni di ricerche, in cui Zarotti fonde in una personale visione pittorica i molti stimoli provenienti dalle esperienze contemporanee, mantenendo al centro del suo racconto l’indagine sul mistero dell’esperienza umana e affiancando a una nuova sintassi compositiva il tonalismo, la tavolozza, la tecnica e le materie, l’attenzione alla luce appresi dai maestri veneziani del passato.
Completa la mostra, nelle salette al piano terra, una selezione di incisioni con le quali, fin dalla sua prima personale alla Bevilacqua La Masa, nel 1970, l’artista sperimenta composizioni, segni, effetti chiaroscurali, in lastre spesso di grandi dimensioni, cosa non consueta nella tradizione calcografica, in un percorso complementare a quello della sua pittura.
Lo stile pittorico dell’artista, a cui sarà dedicato in mostra anche un video a cura di Pierantonio Tanzola, è ben descritto da Elisabetta Barisoni, responsabile di Ca’ Pesaro, nel catalogo edito dalla casa editrice Antiga (Crocetta del Montello, TV, 2018): «Nei tormentati anni Settanta si leva un urlo umano, in cui si mescolano numerose eco, di Francis Bacon e Lucian Freud, di David Hockney e di Georg Baselitz, di David Salle e di Enzo Cucchi, di Richard Hamilton e di Chaïm Soutine, condensate in una figurazione espressiva e in una coerenza creativa che è soprattutto ed esclusivamente la firma di Luciano Zarotti».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luciano Zarotti, «Il pittore e la modella», (lo studio del Maestro), 1979 - 2017, olio e tempera grassa su tela, cm 290x480; [fig. 2] Luciano Zarotti, «Il tuffatore», 1978, olio su tela, cm 130x185; [fig. 3] Luciano Zarotti, «La stanza», 1974, tempera magra su tela, cm 175x200
Informazioni utili
«Veneziano Pop. Luciano Zarotti e Ca' Pesaro negli anni '70-'80». Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna, Santa Croce, 2076 – Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10.00 - 17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, ridotto scuole € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it | 848082000 (dall’Italia) | +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: http://capesaro.visitmuve.it/. Fino al 18 febbraio 2018.
Alla figura di questa donna generosa e lungimirante sarà dedicata, nei prossimi mesi, una serie di esposizioni, la prima delle quali analizza la figura di Luciano Zarotti e la sua attività tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta.
Dell’artista, nato a Venezia nel 1942, il museo conserva due importanti tele -«La finestra del poeta» e «Paesaggio»- provenienti dalle Esposizioni Bevilacqua La Masa, una sorta di contro-Biennale- che rappresentano l’alto traguardo di un’intera stagione artistica condensata in lavori ricchi di coraggio e ambizione.
La mostra, allestita fino al prossimo 18 febbraio, intende dare conto della prodizione di Luciano Zarotti, considerato uno dei «figli Bevilacqua La Masa», tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta.
Nel 1967 l’artista, all'epoca venticinquenne, avvia la sua attività all'interno dell'istituzione veneziana, in uno degli studi concessi ai giovani artisti a Palazzo Carminati; qui lavorerà fino al 1975.
A Parigi, dove soggiorna a più riprese negli anni precedenti, l'impatto con la pop art europea scuote profondamente la sua cultura visiva basata sulla tradizione figurativa veneziana.
Dall'incontro con i disegni di Graham Sutherland il suo trasporto verso la natura, le isole e l'acqua della laguna s’innesta in una simbologia vegetale che diviene elemento di primo piano nella composizione dei suoi dipinti.
Assieme alla scoperta delle piscine di David Hockney, dei suoi tuffi, dei suoi blu, queste immagini si stendono in una partitura accordata su un nuovo sentimento dello spazio che il premio a Robert Rauschenberg, alla Biennale d'arte del 1964, comincia a far circolare anche a Venezia.
Le grandi tele presenti in mostra, ed esposte al secondo piano, sintetizzano i risultati di vent'anni di ricerche, in cui Zarotti fonde in una personale visione pittorica i molti stimoli provenienti dalle esperienze contemporanee, mantenendo al centro del suo racconto l’indagine sul mistero dell’esperienza umana e affiancando a una nuova sintassi compositiva il tonalismo, la tavolozza, la tecnica e le materie, l’attenzione alla luce appresi dai maestri veneziani del passato.
Completa la mostra, nelle salette al piano terra, una selezione di incisioni con le quali, fin dalla sua prima personale alla Bevilacqua La Masa, nel 1970, l’artista sperimenta composizioni, segni, effetti chiaroscurali, in lastre spesso di grandi dimensioni, cosa non consueta nella tradizione calcografica, in un percorso complementare a quello della sua pittura.
Lo stile pittorico dell’artista, a cui sarà dedicato in mostra anche un video a cura di Pierantonio Tanzola, è ben descritto da Elisabetta Barisoni, responsabile di Ca’ Pesaro, nel catalogo edito dalla casa editrice Antiga (Crocetta del Montello, TV, 2018): «Nei tormentati anni Settanta si leva un urlo umano, in cui si mescolano numerose eco, di Francis Bacon e Lucian Freud, di David Hockney e di Georg Baselitz, di David Salle e di Enzo Cucchi, di Richard Hamilton e di Chaïm Soutine, condensate in una figurazione espressiva e in una coerenza creativa che è soprattutto ed esclusivamente la firma di Luciano Zarotti».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luciano Zarotti, «Il pittore e la modella», (lo studio del Maestro), 1979 - 2017, olio e tempera grassa su tela, cm 290x480; [fig. 2] Luciano Zarotti, «Il tuffatore», 1978, olio su tela, cm 130x185; [fig. 3] Luciano Zarotti, «La stanza», 1974, tempera magra su tela, cm 175x200
Informazioni utili
«Veneziano Pop. Luciano Zarotti e Ca' Pesaro negli anni '70-'80». Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna, Santa Croce, 2076 – Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10.00 - 17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, ridotto scuole € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it | 848082000 (dall’Italia) | +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: http://capesaro.visitmuve.it/. Fino al 18 febbraio 2018.
mercoledì 7 febbraio 2018
Art for Kids, alla scoperta della Commedia dell'arte
La storia delle maschere di Arlecchino e Pulcinella, che ogni anno a Carnevale escono dal baule dei ricordi per diventare realtà viva sui palcoscenici, inizia in Italia nella seconda metà del Cinquecento, ma varca presto i confini nazionali e attraversa, cambiandolo, il teatro mondiale.
A quel tempo si formano delle compagnie di attori professionisti chiamati «comici dell’arte»: sono autori, interpreti, registi dei loro spettacoli e il loro modo di fare teatro viene chiamato Commedia dell’arte (dove il termine «arte» va inteso nel significato medioevale di «mestiere») o Commedia all’italiana.
La particolarità di questo nuovo genere è la «recita a soggetto»: gli attori non interpretano cioè testi letterari o copioni del teatro classico, ma si servono di «canovacci», ovvero di semplici tracce che delineano situazioni, intrecci e finali. Questi racconti, detti anche «scenari», contengono, inoltre, l’ordine delle scene, le entrate e le uscite.
Su queste trame, gli attori improvvisano, secondo le richieste e i desideri del pubblico, dialoghi, scherzi, frizzi, lazzi e burle, dando sfogo a tutto il loro estro di ballerini, acrobati, mimi e cantanti.
Questo modo di recitare si chiama «teatro all’improvviso». Improvvisare non significa, però, «recitare a caso», ma saper sfruttare al momento giusto certe dosi teatrali e suscitare, quindi, nel pubblico divertimento e partecipazione.
Per rendere i personaggi più riconoscibili, gli attori usano costumi e maschere di cuoio sul volto, e i personaggi stessi sono detti maschere o «tipi fissi», rappresentando i caratteri della società, aspetti eterni e immutabili dell’animo umano.
Ci sono, per esempio, il vecchio avaro (Pantalone), il servo fannullone (Arlecchino o Pulcinella) e quello obbediente e astuto (Brighella), la giovane innamorata (Isabella, Flaminia o Rosalba), il pretendente alla sua mano (Leandro, Lelio o Fabrizio), il militare (capitan Spaventa o capitan Fracassa, Rugantino, Scaramouche), il dottore pedante e un po’ saccente (Balanzone), la servetta civettuola (Colombina, Corallina, Smeraldina).
Ogni maschera, di origine regionale e con un proprio dialetto, ha un proprio repertorio di battute e detti che la caratterizzano; sono, per esempio, tipiche le «tiritere» del dottor Balanzone, interminabili sproloqui senza senso, e le «smargiassate» di Capitan Spaventa, discorsi roboanti da persona vanagloriosa.
La Commedia dell’arte prende vita nelle piazze, nei mercati, nei luoghi frequentati dalla gente semplice, dove si incominciano a rappresentare situazioni che parlano dei temi della vita, come l’amore, la povertà, la tirannia del forte sul debole.
Un’altra grande novità della Commedia dell’arte è la partecipazione delle donne agli spettacoli; prima di allora le parti femminili erano affidate solo a uomini giovani.
Gli attori si riuniscono in piccole compagnie e vanno di villaggio in villaggio, cercando di mettere insieme ogni giorno il pranzo con la cena (spesso il pubblico paga il «biglietto» con uova, verdura e, nel migliore dei casi, con una gallina per il brodo).
Viaggiano su carrozzoni che di sera si trasformano in palcoscenici illuminati da lanterne magiche, usano costumi vistosi e multicolori, e la musica accompagna il loro arrivo e le loro rappresentazioni.
Dopo due secoli, verso la metà del Settecento, la Commedia dell’arte incomincia a decadere; al suo posto si sviluppa un nuovo tipo di teatro. Le commedie sono completamente scritte, per mano di un autore. Il più grande rappresentante di questo genere è Carlo Goldoni (1707-1792), autore della riforma della Commedia dell’arte, che sostituisce i tipi fissi e le maschere con i caratteri, ripresi dalla vita di tutti i giorni, il canovaccio con il testo drammaturgico. L'autore si propone di far divertire il pubblico, ma si sforza sempre di comunicare un messaggio educativo, che tende a premiare gi autentici valori umani, a porre in buona luce le classi sociali medie o basse, denunciando invece la sciocca superficialità della mentalità degli aristocratici o degli arricchiti.
La Commedia dell’arte continua, però, ad affascinare ancora il pubblico di oggi per quella sua storia magica fatta di attori girovaghi, carrozzoni con teatri smontabili, bauli pieni di bellissimi abiti di scena e maschere della tradizione. Una storia, questa, che, dalla metà del Cinquecento alla riforma goldoniana, ha visto i comici dell’arte viaggiare di città in città, di paese in paese, chiamando tutti quanti a vedere i loro spettacoli con musica vivace, sonagli e, come ricorda Francesca Rossi nel libretto «Ti conosco, mascherina», con annunci roboanti: «Tragicommedia e meraviglie, avari, guerrieri e damigelli un soldo e un cosciotto per chi si siede un pane e una pera per chi sta in piedi!».
[Questo approfondimento sulla Commedia dell'arte è stato scritto nell'ambito del laboratorio di scrittura creativa della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», promossa dall'associazione «Culturando» al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Il progetto dedicato alle maschere della tradizione si chiuderà nella serata di venerdì 18 maggio con un saggio-spettacolo che vedrà salire in scena trentasei bambini e ragazzi tra i 6 e i 15 anni, iscritti ai corsi «Piccoli attori» e «Attori in erba»]
Per saperne di più
Casalini, Angelini, Crepaldi, «Maschere – Un libro per leggere, per fare teatro, per divertirsi», Editrice Piccoli, Torino 1997;
Gina Bellot e Viviana Benini, «Storie di maschere», Nuove edizioni romane, Roma 1980;
Gina Bellot, «Comandi, sior paròn. Storie e storielle del Carnevale di Venezia», Nuove edizioni romane, Roma 2007;
Vito Montemagno, «Le maschere. Caratteri, storia e costumi», Capitol, Bologna 1990;
Carla Poesio, «Le maschere italiane», Edizioni Primavera, Firenze 1992;
Francesca Rossi, «Ti conosco, mascherina», edizioni corsare, Spello 2011.
A quel tempo si formano delle compagnie di attori professionisti chiamati «comici dell’arte»: sono autori, interpreti, registi dei loro spettacoli e il loro modo di fare teatro viene chiamato Commedia dell’arte (dove il termine «arte» va inteso nel significato medioevale di «mestiere») o Commedia all’italiana.
La particolarità di questo nuovo genere è la «recita a soggetto»: gli attori non interpretano cioè testi letterari o copioni del teatro classico, ma si servono di «canovacci», ovvero di semplici tracce che delineano situazioni, intrecci e finali. Questi racconti, detti anche «scenari», contengono, inoltre, l’ordine delle scene, le entrate e le uscite.
Su queste trame, gli attori improvvisano, secondo le richieste e i desideri del pubblico, dialoghi, scherzi, frizzi, lazzi e burle, dando sfogo a tutto il loro estro di ballerini, acrobati, mimi e cantanti.
Questo modo di recitare si chiama «teatro all’improvviso». Improvvisare non significa, però, «recitare a caso», ma saper sfruttare al momento giusto certe dosi teatrali e suscitare, quindi, nel pubblico divertimento e partecipazione.
Per rendere i personaggi più riconoscibili, gli attori usano costumi e maschere di cuoio sul volto, e i personaggi stessi sono detti maschere o «tipi fissi», rappresentando i caratteri della società, aspetti eterni e immutabili dell’animo umano.
Ci sono, per esempio, il vecchio avaro (Pantalone), il servo fannullone (Arlecchino o Pulcinella) e quello obbediente e astuto (Brighella), la giovane innamorata (Isabella, Flaminia o Rosalba), il pretendente alla sua mano (Leandro, Lelio o Fabrizio), il militare (capitan Spaventa o capitan Fracassa, Rugantino, Scaramouche), il dottore pedante e un po’ saccente (Balanzone), la servetta civettuola (Colombina, Corallina, Smeraldina).
Ogni maschera, di origine regionale e con un proprio dialetto, ha un proprio repertorio di battute e detti che la caratterizzano; sono, per esempio, tipiche le «tiritere» del dottor Balanzone, interminabili sproloqui senza senso, e le «smargiassate» di Capitan Spaventa, discorsi roboanti da persona vanagloriosa.
La Commedia dell’arte prende vita nelle piazze, nei mercati, nei luoghi frequentati dalla gente semplice, dove si incominciano a rappresentare situazioni che parlano dei temi della vita, come l’amore, la povertà, la tirannia del forte sul debole.
Un’altra grande novità della Commedia dell’arte è la partecipazione delle donne agli spettacoli; prima di allora le parti femminili erano affidate solo a uomini giovani.
Gli attori si riuniscono in piccole compagnie e vanno di villaggio in villaggio, cercando di mettere insieme ogni giorno il pranzo con la cena (spesso il pubblico paga il «biglietto» con uova, verdura e, nel migliore dei casi, con una gallina per il brodo).
Viaggiano su carrozzoni che di sera si trasformano in palcoscenici illuminati da lanterne magiche, usano costumi vistosi e multicolori, e la musica accompagna il loro arrivo e le loro rappresentazioni.
Dopo due secoli, verso la metà del Settecento, la Commedia dell’arte incomincia a decadere; al suo posto si sviluppa un nuovo tipo di teatro. Le commedie sono completamente scritte, per mano di un autore. Il più grande rappresentante di questo genere è Carlo Goldoni (1707-1792), autore della riforma della Commedia dell’arte, che sostituisce i tipi fissi e le maschere con i caratteri, ripresi dalla vita di tutti i giorni, il canovaccio con il testo drammaturgico. L'autore si propone di far divertire il pubblico, ma si sforza sempre di comunicare un messaggio educativo, che tende a premiare gi autentici valori umani, a porre in buona luce le classi sociali medie o basse, denunciando invece la sciocca superficialità della mentalità degli aristocratici o degli arricchiti.
La Commedia dell’arte continua, però, ad affascinare ancora il pubblico di oggi per quella sua storia magica fatta di attori girovaghi, carrozzoni con teatri smontabili, bauli pieni di bellissimi abiti di scena e maschere della tradizione. Una storia, questa, che, dalla metà del Cinquecento alla riforma goldoniana, ha visto i comici dell’arte viaggiare di città in città, di paese in paese, chiamando tutti quanti a vedere i loro spettacoli con musica vivace, sonagli e, come ricorda Francesca Rossi nel libretto «Ti conosco, mascherina», con annunci roboanti: «Tragicommedia e meraviglie, avari, guerrieri e damigelli un soldo e un cosciotto per chi si siede un pane e una pera per chi sta in piedi!».
[Questo approfondimento sulla Commedia dell'arte è stato scritto nell'ambito del laboratorio di scrittura creativa della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», promossa dall'associazione «Culturando» al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Il progetto dedicato alle maschere della tradizione si chiuderà nella serata di venerdì 18 maggio con un saggio-spettacolo che vedrà salire in scena trentasei bambini e ragazzi tra i 6 e i 15 anni, iscritti ai corsi «Piccoli attori» e «Attori in erba»]
Per saperne di più
Casalini, Angelini, Crepaldi, «Maschere – Un libro per leggere, per fare teatro, per divertirsi», Editrice Piccoli, Torino 1997;
Gina Bellot e Viviana Benini, «Storie di maschere», Nuove edizioni romane, Roma 1980;
Gina Bellot, «Comandi, sior paròn. Storie e storielle del Carnevale di Venezia», Nuove edizioni romane, Roma 2007;
Vito Montemagno, «Le maschere. Caratteri, storia e costumi», Capitol, Bologna 1990;
Carla Poesio, «Le maschere italiane», Edizioni Primavera, Firenze 1992;
Francesca Rossi, «Ti conosco, mascherina», edizioni corsare, Spello 2011.
lunedì 5 febbraio 2018
Lotto e Leopardi, due artisti a Recanati
Ci sono artisti che devono attendere secoli per essere compresi e questo dato rappresenta, per certi versi, la capacità della loro arte di non esaurirsi nel tempo in cui è nata, ma di saper parlare anche alle generazioni future. È il caso della produzione artistica di Lorenzo Lotto, pienamente compresa solo nel Novecento, anche grazie all’opera di Bernard Berenson, che, nel 1895, pubblicò un’innovativa monografia sul maestro veneziano.
Fu, questo, l’inizio di una riscoperta dell’artista, al quale nella seconda metà del secolo scorso vennero dedicate mostre significative, a partire da quella di Ancona del 1950, che allineò alcuni dei suoi quadri più belli -e all’epoca quasi sconosciuti-, per giungere alla memorabile monografica del 1953 negli spazi di Palazzo Ducale a Venezia, per la curatela di Pietro Zampetti.
Un ulteriore importante tassello nella rivalutazione di Lorenzo Lotto è stato fatto dal convegno tenutosi nel 1980, in occasione del quinto centenario della nascita dell’artista, sempre per la curatela di Pietro Zampetti, che ha messo in luce i rapporti del maestro con Dürer e con la grafica nordica, la sua presenza a Roma negli anni e nel cantiere Vaticano di Raffaello, gli incroci e le tangenze stilistiche con Pordenone, Correggio e Tiziano.
Ad interessare furono anche il profilo esistenziale, spirituale e psicologico del pittore. Di lui piacevano l’inquietudine e il nomadismo, il girovagare per i paesi e le parrocchie dell'Italia minore, le committenze marginali ed eccentriche, il suo ritiro, negli anni estremi della vita, «solo, senza fidel governo et molto inquieto de la mente» come fratello laico nella Santa Casa di Loreto, città dove morì negli ultimi mesi del 1556.
Proprio a breve distanza dalla città marchigiana, nel centro di Recanati, è in corso una mostra dedicata a Lorenzo Lotto, nella quale la sua opera viene posta in relazione con quella di un’altra anima inquieta che ha dato lustro a questa terra: Giacomo Leopardi, la cui poetica si è articolata soprattutto intorno al racconto dell’infelicità umana. Villa Colloredo Mels è lo scenario di questo inedito dialogo tra due uomini meditativi e contemplativi, che sentirono l’esigenza di rendere visibile -l’uno attraverso la pittura, l’altro per mezzo della scrittura- la realtà e il proprio conflitto interiore.
Lorenzo Lotto fu definito da Bernard Berenson «il primo pittore italiano ad essere sensibile ai mutevoli stati dell’animo umano», un «pittore psicologico in un’epoca che stimava quasi soltanto forza e gerarchia, un pittore personale in un’epoca in cui la personalità stava per diventare meno stimata del conformismo, evangelico di cuore in un paese in cui un cattolicesimo rigido e senza anima ogni giorno più rafforzava la sua presa».
Il pittore veneto ha mostrano nelle sue opere fragilità, debolezze e turbamenti, uomini e donne che ci comunicano la loro solitudine quasi per chiederci la complicità di uno sguardo, di una parola, quasi per chiamarci a un rapporto di amicizia, per essere ascoltati.
La mostra di Recanati prende avvio da alcuni capolavori che l’artista veneto ha lasciato a Recanati, a cominciare dalla splendida e rivoluzionaria «Annunciazione», di proprietà museo civico di Villa Colloredo Mels, tela in cui la Vergine è colta alle spalle e ha quasi il timore di volgere il capo verso l’angelo. Questa tela è esposta a Recanati, nell’allestimento curato dall’ architetto Bruno Mariotti dello studio CH Plus, accanto ad altre significative testimonianze della pittura di Lorenzo Lotto, sempre di proprietà del museo: il polittico di San Domenico, la pala della «Trasfigurazione» e il «San Giacomo Maggiore». Si trovano, inoltre, esposte altre significative testimonianze dell’artista come la travolgente «Caduta dei Titani», di collezione privata, e i ritratti «Giovane gentiluomo» delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il «Gentiluomo con lettera (Fioravante Avogaro)», di raccolta privata, e il «Ritratto di Ludovico Grazioli» della Fondazione Cavallini Sgarbi.
Al percorso lottiano si unirà strettamente quello su Leopardi con l’esposizione straordinaria di documenti, manoscritti e cimeli del poeta, unici e significativi, la cui selezione e cura scientifica è stata affidata alla professoressa Laura Melosi e al dottor Lorenzo Abbate della cattedra leopardiana dell’Università di Macerata. Un’occasione, questa, per scoprire le singolari assonanze tra due artisti, che -per usare le parole di Vittorio Sgarbi- a Recanati «hanno lasciato il loro segreto».
Informazioni utili
Solo, senza fidel governo et molto inquieto de la mente. Lorenzo Lotto dialoga con Giacomo Leopardi. Villa Colloredo Mels – Recanati. Orari: dal martedì alla domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-18.00; chiuso il 25 dicembre e il 1° gennaio. Ingresso: biglietto unico mostra e circuito Recanati Musei intero € 10,00; ridotto € 7,00 (gruppi minimo 15 persone, possessori di tessera FAI, Touring Club, Italia Nostra, Coop, Alleanza 3.0 e precedenti Adriatica, Bordest, Estense, gruppi accompagnati da guida turistica abilitata); ridotto € 5 (Recanati Card, aderenti Campus l’Infinito, gruppi da 15 a 25 studenti); omaggio minori fino a 19 anni (singoli), soci Icom, giornalisti muniti di regolare tesserino, disabili e la persona che li accompagna. Con il biglietto di mostra si accede al circuito museale di Recanati: Musei Civici di Villa Colloredo Mels, Museo dell’Emigrazione Marchigiana, Museo Beniamino Gigli, Torre del Borgo. Informazioni e prenotazioni: Sistema Museo Call center 0744.422848 (dal lunedì al venerdì, ore 9-17, sabato, ore 9-13, escluso i festivi) - callcenter@sistemamuseo.it; Villa Colloredo Mels, tel. 071.7570410 - recanati@sistemamuseo.it. Sito: www.infinitorecanati.it. Fino all’8 aprile 2018.
Fu, questo, l’inizio di una riscoperta dell’artista, al quale nella seconda metà del secolo scorso vennero dedicate mostre significative, a partire da quella di Ancona del 1950, che allineò alcuni dei suoi quadri più belli -e all’epoca quasi sconosciuti-, per giungere alla memorabile monografica del 1953 negli spazi di Palazzo Ducale a Venezia, per la curatela di Pietro Zampetti.
Un ulteriore importante tassello nella rivalutazione di Lorenzo Lotto è stato fatto dal convegno tenutosi nel 1980, in occasione del quinto centenario della nascita dell’artista, sempre per la curatela di Pietro Zampetti, che ha messo in luce i rapporti del maestro con Dürer e con la grafica nordica, la sua presenza a Roma negli anni e nel cantiere Vaticano di Raffaello, gli incroci e le tangenze stilistiche con Pordenone, Correggio e Tiziano.
Ad interessare furono anche il profilo esistenziale, spirituale e psicologico del pittore. Di lui piacevano l’inquietudine e il nomadismo, il girovagare per i paesi e le parrocchie dell'Italia minore, le committenze marginali ed eccentriche, il suo ritiro, negli anni estremi della vita, «solo, senza fidel governo et molto inquieto de la mente» come fratello laico nella Santa Casa di Loreto, città dove morì negli ultimi mesi del 1556.
Proprio a breve distanza dalla città marchigiana, nel centro di Recanati, è in corso una mostra dedicata a Lorenzo Lotto, nella quale la sua opera viene posta in relazione con quella di un’altra anima inquieta che ha dato lustro a questa terra: Giacomo Leopardi, la cui poetica si è articolata soprattutto intorno al racconto dell’infelicità umana. Villa Colloredo Mels è lo scenario di questo inedito dialogo tra due uomini meditativi e contemplativi, che sentirono l’esigenza di rendere visibile -l’uno attraverso la pittura, l’altro per mezzo della scrittura- la realtà e il proprio conflitto interiore.
Lorenzo Lotto fu definito da Bernard Berenson «il primo pittore italiano ad essere sensibile ai mutevoli stati dell’animo umano», un «pittore psicologico in un’epoca che stimava quasi soltanto forza e gerarchia, un pittore personale in un’epoca in cui la personalità stava per diventare meno stimata del conformismo, evangelico di cuore in un paese in cui un cattolicesimo rigido e senza anima ogni giorno più rafforzava la sua presa».
Il pittore veneto ha mostrano nelle sue opere fragilità, debolezze e turbamenti, uomini e donne che ci comunicano la loro solitudine quasi per chiederci la complicità di uno sguardo, di una parola, quasi per chiamarci a un rapporto di amicizia, per essere ascoltati.
La mostra di Recanati prende avvio da alcuni capolavori che l’artista veneto ha lasciato a Recanati, a cominciare dalla splendida e rivoluzionaria «Annunciazione», di proprietà museo civico di Villa Colloredo Mels, tela in cui la Vergine è colta alle spalle e ha quasi il timore di volgere il capo verso l’angelo. Questa tela è esposta a Recanati, nell’allestimento curato dall’ architetto Bruno Mariotti dello studio CH Plus, accanto ad altre significative testimonianze della pittura di Lorenzo Lotto, sempre di proprietà del museo: il polittico di San Domenico, la pala della «Trasfigurazione» e il «San Giacomo Maggiore». Si trovano, inoltre, esposte altre significative testimonianze dell’artista come la travolgente «Caduta dei Titani», di collezione privata, e i ritratti «Giovane gentiluomo» delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il «Gentiluomo con lettera (Fioravante Avogaro)», di raccolta privata, e il «Ritratto di Ludovico Grazioli» della Fondazione Cavallini Sgarbi.
Al percorso lottiano si unirà strettamente quello su Leopardi con l’esposizione straordinaria di documenti, manoscritti e cimeli del poeta, unici e significativi, la cui selezione e cura scientifica è stata affidata alla professoressa Laura Melosi e al dottor Lorenzo Abbate della cattedra leopardiana dell’Università di Macerata. Un’occasione, questa, per scoprire le singolari assonanze tra due artisti, che -per usare le parole di Vittorio Sgarbi- a Recanati «hanno lasciato il loro segreto».
Informazioni utili
Solo, senza fidel governo et molto inquieto de la mente. Lorenzo Lotto dialoga con Giacomo Leopardi. Villa Colloredo Mels – Recanati. Orari: dal martedì alla domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-18.00; chiuso il 25 dicembre e il 1° gennaio. Ingresso: biglietto unico mostra e circuito Recanati Musei intero € 10,00; ridotto € 7,00 (gruppi minimo 15 persone, possessori di tessera FAI, Touring Club, Italia Nostra, Coop, Alleanza 3.0 e precedenti Adriatica, Bordest, Estense, gruppi accompagnati da guida turistica abilitata); ridotto € 5 (Recanati Card, aderenti Campus l’Infinito, gruppi da 15 a 25 studenti); omaggio minori fino a 19 anni (singoli), soci Icom, giornalisti muniti di regolare tesserino, disabili e la persona che li accompagna. Con il biglietto di mostra si accede al circuito museale di Recanati: Musei Civici di Villa Colloredo Mels, Museo dell’Emigrazione Marchigiana, Museo Beniamino Gigli, Torre del Borgo. Informazioni e prenotazioni: Sistema Museo Call center 0744.422848 (dal lunedì al venerdì, ore 9-17, sabato, ore 9-13, escluso i festivi) - callcenter@sistemamuseo.it; Villa Colloredo Mels, tel. 071.7570410 - recanati@sistemamuseo.it. Sito: www.infinitorecanati.it. Fino all’8 aprile 2018.
sabato 3 febbraio 2018
Locarno, la Fondazione Ghisla Art Collection riapre con Mario Nigro
Riapre a marzo con un nuovo allestimento la Fondazione Ghisla Art Collection di Locarno, ente istituito nel 2014 con l’intento di mettere a disposizione della collettività un patrimonio arti-stico di valore internazionale, che allinea capolavori assoluti dell’ultimo secolo, dalla Pop Art all’Informale, dal Concettuale all’Astrattismo e al New Dada. Sede della collezione è un edificio degli anni Quaranta, in pieno centro storico e vicino ai Giardini Rusca, trasformato dallo studio di architettura Moro e Moro di Locarno in una struttura futuristica: le finestre sono state tutte chiuse e le facciate sono state interamente rivestite con un involucro isolante ventilato, dando vita a una sorta di prisma essenziale, la cui unica apertura esterna è costituita dall’ingresso, raggiungibile con il ponte grigliato che dalla panchina lungo il marciapiede attraversa il vicino canale d’acqua per immettersi nell’imbuto nero.
Magritte, Miró, Picasso, Vasarely, Dubuffet, Botero, Kounellis, Boltansky, Basquiat, Wesselmann, Twombly, Lichtenstein, ma anche maestri che hanno segnato l’arte italiana degli ultimi cinquant’anni come Fontana, Bonalumi, da Castellani, a Pistoletto, sono solo alcuni degli artisti che i coniugi Pierino e Martine Ghisla hanno scelto per il loro museo, uno spazio che permette al pubblico di confrontarsi anche con la danza e la musica.
In questo spazio, al terzo piano, la Fondazione Ghisla Art Collection di Locarno organizza ogni anno almeno due mostre temporanee. Protagonista della prima esposizione ideata per il 2018, in agenda dal 18 marzo al 2 settembre, è Mario Nigro (Pistoia 1917 - Livorno 1992), uno dei protagonisti dell’arte italiana della seconda metà del ’900.
Il pittore toscano si situa nell’ambito dell’arte astratta in modo del tutto personale. A partire dalla fine degli anni Quaranta, realizza opere che guardano ai maestri delle avanguardie storiche -Kandinsky, Klee e Mondrian-, sposando le sollecitazioni di matrice più lirica con un uso rigo-roso della geometria. Un decennio dopo, all’inizio degli anni Cinquanta, l’artista giunge alla definizione del suo primo grande ciclo compiuto, quello dello «spazio totale», in cui struttura e colore dialogano in modo continuo, generando intensi dinamismi.
La rassegna, curata da Paolo Bolpagnie Francesca Pola, si intitola «Gli spazi del colore» e allinea trentacinque opere che indagano il rapporto dell’uomo con lo spazio, inteso come luogo del divenire, luogo entro cui, nel tempo, l’azione si compie. Nelle fasce pittoriche vettoriali delle opere di «spazio totale», che lasciano campo alla libertà dei segni grafici che si intrecciano a formare reti e reticoli o a costruire forme vibranti che agiscono a raggiera, si riconosce questo intento dell’artista che volge alla essenzialità.
In questo percorso, l’artista raggiunge prima una liberazione dalla rete di segni creando scansioni di segmenti obliqui tra loro paralleli che, per righe successive, riempiono il piano o la figura geometrica nelle progressioni del suo «tempo totale»; arriva poi alla massima semplificazione nelle opere dedicate alla «analisi della linea», in seguito spezzata a mimare il tracciato di un lampo o la fessurazione del suolo a seguito di un terremoto (da qui la denominazione del ciclo dei «terremoti») per giungere agli «orizzonti» dove un tratto orizzontale è l’unico elemento di narrazione.
Siamo alla fine degli anni Ottanta quando Nigro riprende un uso espressivo del colore, con opere in cui le pennellate per lo più orizzontali prendono densità e diventano fortemente incisive, quasi l’artista intenda partecipare ai drammatici rivolgimenti della storia con un suo canto drammatico (un ciclo è fatto di «dipinti satanici») al colore, che, forzato con la gestualità dei segni, sembra diventare unico protagonista della sua pittura.
Poi tutto si placa con le «meditazioni» fatte di un pacato disporre di rettangoli di colori che si rarefanno nel tempo e con le «strutture» in cui i rettangoli sono costituiti da segni puramente cromatici, che danno nuova sostanza allo spazio.
Per comprendere meglio l’artista non possiamo dimenticare che il variare della sua poetica era conseguenza diretta dell’attenzione che poneva al mondo reale, alle situazioni sociali, agli eventi, ai cambiamenti, alle persone, a se stesso. Una pittura quindi non avulsa dal tempo, come potrebbe essere ritenuta l’arte astratta, ma ben immersa dentro la storia.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Veduta dell’esterno della Fondazione Ghisla, a Locarno; [fig. 2] Mario Nigro, Spazio totale, 1953. Tempera verniciata su tela, 100 x 73. Fondazione Ghisla Art collection. ©Archivio Mario Nigro; [fig. 3]Mario Nigro, [Senza titolo], 1956. Tempera murale su tela, 148 x 135 cm. Stomor Arte, Milano. ©Archivio Mario Nigro / Courtesy A arte Invernizzi, Milano; [fig. 4] Mario Nigro, Da i dipinti satanici: lotta, 1989. Olio su tela, 218 x 207 cm. Collezione privata, Milano. ©Archivio Mario Nigro / Courtesy A arte Invernizzi, Milano
Informazioni utili
Mario Nigro. Gli spazi del colore. Fondazione Ghisla Art Collection, via Ciseri, 3 – Locarno. Ora-ri: da mercoledì a domenica, ore 13.30 -18.00. Ingresso alla Fondazione, comprensivo di mostra e audio guida: Fr. 15.- adulti, Fr. 13.- AVS, Fr. 12.- ragazzi dai 12 ai 18 anni e studenti, bambini fino a 12 anni gratuito. Informazioni: tel (+41).91.7510152 o info@ghisla-art.ch. Sito web: www.ghisla-art.ch. Dal 18 marzo al 2 settembre 2018
Magritte, Miró, Picasso, Vasarely, Dubuffet, Botero, Kounellis, Boltansky, Basquiat, Wesselmann, Twombly, Lichtenstein, ma anche maestri che hanno segnato l’arte italiana degli ultimi cinquant’anni come Fontana, Bonalumi, da Castellani, a Pistoletto, sono solo alcuni degli artisti che i coniugi Pierino e Martine Ghisla hanno scelto per il loro museo, uno spazio che permette al pubblico di confrontarsi anche con la danza e la musica.
In questo spazio, al terzo piano, la Fondazione Ghisla Art Collection di Locarno organizza ogni anno almeno due mostre temporanee. Protagonista della prima esposizione ideata per il 2018, in agenda dal 18 marzo al 2 settembre, è Mario Nigro (Pistoia 1917 - Livorno 1992), uno dei protagonisti dell’arte italiana della seconda metà del ’900.
Il pittore toscano si situa nell’ambito dell’arte astratta in modo del tutto personale. A partire dalla fine degli anni Quaranta, realizza opere che guardano ai maestri delle avanguardie storiche -Kandinsky, Klee e Mondrian-, sposando le sollecitazioni di matrice più lirica con un uso rigo-roso della geometria. Un decennio dopo, all’inizio degli anni Cinquanta, l’artista giunge alla definizione del suo primo grande ciclo compiuto, quello dello «spazio totale», in cui struttura e colore dialogano in modo continuo, generando intensi dinamismi.
La rassegna, curata da Paolo Bolpagnie Francesca Pola, si intitola «Gli spazi del colore» e allinea trentacinque opere che indagano il rapporto dell’uomo con lo spazio, inteso come luogo del divenire, luogo entro cui, nel tempo, l’azione si compie. Nelle fasce pittoriche vettoriali delle opere di «spazio totale», che lasciano campo alla libertà dei segni grafici che si intrecciano a formare reti e reticoli o a costruire forme vibranti che agiscono a raggiera, si riconosce questo intento dell’artista che volge alla essenzialità.
In questo percorso, l’artista raggiunge prima una liberazione dalla rete di segni creando scansioni di segmenti obliqui tra loro paralleli che, per righe successive, riempiono il piano o la figura geometrica nelle progressioni del suo «tempo totale»; arriva poi alla massima semplificazione nelle opere dedicate alla «analisi della linea», in seguito spezzata a mimare il tracciato di un lampo o la fessurazione del suolo a seguito di un terremoto (da qui la denominazione del ciclo dei «terremoti») per giungere agli «orizzonti» dove un tratto orizzontale è l’unico elemento di narrazione.
Siamo alla fine degli anni Ottanta quando Nigro riprende un uso espressivo del colore, con opere in cui le pennellate per lo più orizzontali prendono densità e diventano fortemente incisive, quasi l’artista intenda partecipare ai drammatici rivolgimenti della storia con un suo canto drammatico (un ciclo è fatto di «dipinti satanici») al colore, che, forzato con la gestualità dei segni, sembra diventare unico protagonista della sua pittura.
Poi tutto si placa con le «meditazioni» fatte di un pacato disporre di rettangoli di colori che si rarefanno nel tempo e con le «strutture» in cui i rettangoli sono costituiti da segni puramente cromatici, che danno nuova sostanza allo spazio.
Per comprendere meglio l’artista non possiamo dimenticare che il variare della sua poetica era conseguenza diretta dell’attenzione che poneva al mondo reale, alle situazioni sociali, agli eventi, ai cambiamenti, alle persone, a se stesso. Una pittura quindi non avulsa dal tempo, come potrebbe essere ritenuta l’arte astratta, ma ben immersa dentro la storia.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Veduta dell’esterno della Fondazione Ghisla, a Locarno; [fig. 2] Mario Nigro, Spazio totale, 1953. Tempera verniciata su tela, 100 x 73. Fondazione Ghisla Art collection. ©Archivio Mario Nigro; [fig. 3]Mario Nigro, [Senza titolo], 1956. Tempera murale su tela, 148 x 135 cm. Stomor Arte, Milano. ©Archivio Mario Nigro / Courtesy A arte Invernizzi, Milano; [fig. 4] Mario Nigro, Da i dipinti satanici: lotta, 1989. Olio su tela, 218 x 207 cm. Collezione privata, Milano. ©Archivio Mario Nigro / Courtesy A arte Invernizzi, Milano
Informazioni utili
Mario Nigro. Gli spazi del colore. Fondazione Ghisla Art Collection, via Ciseri, 3 – Locarno. Ora-ri: da mercoledì a domenica, ore 13.30 -18.00. Ingresso alla Fondazione, comprensivo di mostra e audio guida: Fr. 15.- adulti, Fr. 13.- AVS, Fr. 12.- ragazzi dai 12 ai 18 anni e studenti, bambini fino a 12 anni gratuito. Informazioni: tel (+41).91.7510152 o info@ghisla-art.ch. Sito web: www.ghisla-art.ch. Dal 18 marzo al 2 settembre 2018
giovedì 1 febbraio 2018
«Art City Bologna»: dalla Fiera al centro storico, tre giorni di eventi
Compie sei anni e si rinnova «Art City Bologna», il programma istituzionale di eventi e iniziative speciali promosso dall’Amministrazione comunale, in collaborazione con BolognaFiere, per i giorni della grande kermesse fieristica d’arte moderna e contemporanea che, ormai da quarantadue anni, caratterizza l’inverno bolognese.
In questa edizione, che vede la direzione artistica di Lorenzo Balbi, la città felsinea sarà scenario, nelle giornate da venerdì 2 a domenica 4 febbraio (ArteFiera rimarrà aperta anche lunedì 5), di un progetto speciale dell’artista Vadim Zakharov, protagonista della performance «Tunguska Event, History Marches on a Table», ideata per il centenario della Rivoluzione russa.
La rassegna, che si presenta con un nuovo format, prevede anche una decina di eventi che esplorano le contaminazioni tra i vari linguaggi del contemporaneo.
Protagonisti di questi appuntamenti, ideati appositamente per la città di Bologna, sono alcuni dei nomi più interessanti della scena nazionale e internazionale: Katarina Djzelar, Yuri Ancarani, Jacopo Mazzonelli, Erin Shirreff, Luca Pozzi, Home Movies + Giuseppe De Mattia, Hana Lee Erdman, CT (Matteo Ceretto Castigliano), Roberto Pugliese e Alessandra Messali.
La performance «Tunguska Event, History Marches on a Table», presentata recentemente alla Whitechapel Gallery di Londra e in anteprima assoluta per l’Italia, prevede tre rappresentazioni per centocinquanta spettatori a replica (venerdì 2 e sabato 3 febbraio, alle ore 19; domenica 4 febbraio, alle ore 17) negli spazi dell’ex Gam – Galleria d’arte moderna, a pochi passi dalla sede di ArteFiera. «Invitati a sedersi intorno a un insolito palcoscenico -un tavolo rettangolare lungo diversi metri, sopra il quale agisce un cast di attori e ballerini- gli spettatori -raccontano gli organizzatori- assisteranno alla rievocazione di alcuni eventi capitali avvenuti nella prima metà del Novecento, in un viaggio umoristico attraverso il tempo e la storia».
Nell'ottica di avvicinare sempre di più il polo fieristico al contesto cittadino, «Art City Bologna» coinvolgerà anche un altro spazio iconico che si affaccia su piazza Costituzione: il Padiglione de l’Esprit Nouveau, oggetto di un recente restauro conservativo sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Bologna, che ne ha restituito la fruizione pubblica.
In questo spazio l’artista serba Katarina Zdjelar, con la curatela di Lorenzo Balbi, presenterà il progetto espositivo «Ungrammatical», che ripercorre la sua produzione degli ultimi anni, incentrata sull’esplorazione dei limiti e delle potenzialità del linguaggio, mettendo in dialogo diretto le opere con lo spazio architettonico in cui si inseriscono. Tra i video visibili in mostra ci saranno «My Lifetime (Malaika)» (5’37”, 2012), nel quale si racconta la capacità della musica di superare le barriere etniche e linguistiche attraverso le riprese di alcuni musicisti dell’Orchestra sinfonica nazionale del Ghana, e «The Perfect Sound» (14’30”, 2009), che affronta il fenomeno dell'integrazione culturale attraverso la cancellazione della differenze di pronuncia, osservando un logopedista impegnato nell'esecuzione di esercizi fonetici per rimuovere l'accento straniero di un suo cliente a Birmingham.
Spostandosi nel centro storico, Yuri Ancarani stabilirà un rapporto emozionale con lo spazio contemplativo della Cappella di Santa Maria dei Carcerati in Palazzo Re Enzo, arricchita dal wall drawing permanente di David Tremlett, presentando la video-installazione «La malattia del ferro», a cura di Eva Brioschicollage di immagini girate da camere fisse documenta, con sguardo asettico e nitido, la vita di questo gigantesco ammasso di ferro in cui la presenza umana è quasi completamente assente, in un intreccio di paesaggio naturale e paesaggio antropico che ricorre spesso nella poetica dell’artista.
Il Museo internazionale e biblioteca della musica accoglierà l’intervento «Sonografia» di Jacopo Mazzonelli, a cura di Chiara Ianeselli, che si concentra sul segno musicale inteso come alfabeto sonoro. Le opere, disposte nelle due sale dedicate agli eventi temporanei e all’interno del percorso espositivo al piano superiore del museo, riflettono sull’origine delle composizioni musicali, portando in primo piano la natura degli strumenti.
Centrale nell’esposizione, che nella sera del 3 febbraio sarà arricchita da una performance del compositore Matteo Franceschini, è il lavoro «ABCDEFG» (2016-2017), costituito da sette pianoforti verticali dei primi del Novecento modificati dall’artista in modo da ridurre la loro capacità sonora solo a una delle sette note della scala musicale.
Nel Salone Banca di Bologna di Palazzo De’ Toschi continua l’esplorazione di alcuni degli artisti più interessanti della scena internazionale con la prima personale in Italia, a cura di Simone Menegoi, di Erin Shirreff, artista di origini canadesi.
La mostra si compone di due parti: un video, proiettato in dimensioni cinematografiche, e una serie di sculture. Il video, che alterna sequenze filmate e di animazione, si incardina su una forma circolare che muta lentamente nel corso di quasi un’ora; la sua origine emotiva e concettuale è la visione, da parte dell’artista, dell’eclisse totale di Sole del 21 agosto 2017. Le sculture, che combinano materiali duraturi ed effimeri, sono presentate in un allestimento che suggerisce modelli in scala ridotta e paesaggi.
Anche in questa edizione «Art City Bologna» interesserà l’area vicino a via Zamboni, la zona universitaria, con una serie di iniziative culturali. A Palazzo Magnani, nella Sala dei Carracci, si terrà, per esempio, il progetto site-specific «The Grandfather Platform» di Luca Pozzi, a cura di Maura Pozzati, promosso da Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna con UniCredit. La piattaforma ideata dall’artista permette, da una parte, di ammirare a distanza ravvicinata gli alti affreschi carracceschi, dall’altra di iniziare un viaggio dimensionale quantistico tra tempi diversi non linearmente interconnessi: dalle prospettive futuristiche della cosmologia e della fisica teorica del nuovo millennio al 753 a.C., anno della fondazione della città di Roma ed epicentro temporale non solo del nostro Paese ma probabilmente dell'Europa intera.
Via Zamboni, con gli elementi architettonici che la caratterizzano, diventerà, invece, un originale dispositivo di visione, a passo e velocità variabile, per l’intervento di arte pubblica «Street/Frames», ideato e curato da Home Movies + Giuseppe De Mattia. L’installazione, concepita per una fruizione differente, in differita ed espansa, si compone di sequenze di pellicole 8mm e 16mm, selezionate dall’Archivio di Home Movies, tra migliaia girate a Bologna da tanti cine-occhi amatoriali, collettori di momenti e dettagli da restituire alla città e agli occhi dei suoi abitanti.
A breve distanza, presso la Fondazione Collegio Artistico Venturoli, l’artista e coreografa Hana Lee Erdman presenta «Animal Companion and Telepathic Elegance», una performance che invita i partecipanti a espandere il proprio repertorio relazionale, apprendendo e applicando i principi che informano i rapporti tra animali appartenenti a specie diverse per esplorare forme non discorsive della relazione quali prossimità, tatto e telepatia.
Al Velostazione Dynamo – Bologna va, invece, in scena «B-wall», il format che prevede di invitare un artista, con cadenza annuale, a realizzare un’opera murale nella sala all’ingresso della struttura, un hub di servizi dedicati alla mobilità in bicicletta. Quest’anno tocca a CT (Matteo Ceretto Castigliano), la cui ricerca, nata nell'ambito del graffiti writing, si è evoluta verso forme astratte di stampo minimalista.
Roberto Pugliese si confronterà, invece, con il seicentesco Teatro Anatomico dell’Archiginnasio con «Transanatomy», un progetto espositivo, a cura di Felice Moramarco, incentrato sui processi di ibridazione tra uomo e macchina, animato e inanimato, naturale e artificiale. Sul tavolo in marmo posto al centro dello spazio, la scultura sonora «Equilibrium Variant» si anima grazie a due bracci meccanici che interagiscono mediante un sistema di feedback sonori, riproducendo una delle modalità con cui gli esseri viventi si costituiscono come soggetti, ovvero, tramite un processo di continua negoziazione con l’ambiente esterno.
Il programma di «Art City Bologna» si conclude con l’incursione museografica «Lo Slancio», ideata da Alessandra Messali per il Museo della Specola, a cura di Giulia Morucchio e Irene Rossini. L’intervento, che si ispira alle molteplici possibilità di lettura di un contesto museografico, mette al centro la figura dell’astrofilo, la cui pratica è raccontata nel corso di una visita guidata -condotta dalle guide del museo a partire da un testo composto dall’artista- che ha come tema il rapporto tra osservazione, conoscenza e rappresentazione, tra attività amatoriale e professionismo.
A consolidare questa narrazione, all’interno della collezione permanente della Specola sono inseriti alcuni materiali e produzioni amatoriali, raccolti in collaborazione con realtà astrofile del territorio italiano.
«ArtCity Bologna» prevede, inoltre, una serie di iniziative per avvicinare un pubblico eterogeneo al linguaggio dell’arte: in numerosi luoghi del circuito sarà presente una mediazione culturale a cura degli operatori didattici adibiti ai servizi di prima accoglienza, si terranno delle passeggiate «Walk on Art» per i più piccoli, e, in tutte le sedi espositive coinvolte, gli gli orari di apertura saranno estesi e sarà previsto l’ingresso gratuito, e in alcuni casi ridotto, per i possessori del biglietto di ArteFiera. Lo stesso biglietto, nel week-end dal 2 al 4 febbraio, consentirà l’ingresso gratuito in tutte le sedi dell'Istituzione Bologna Musei.
Non mancherà la tradizionale Notte Bianca dell’arte che, sabato 3 febbraio, prevede l’apertura fino all 24 di numerosi sedi espositive cittadine: una grande festa che fa da cornice alla kermesse fieristica più importante d’Italia, ArteFiera, che quest’anno, sotto la direzione di Angela Vettese, vedrà la partecipazione di centocinquantadue gallerie e trenta espositori legati all’editoria e alla grafica.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Vadim Zakharov, Tunguska Event, History Marches on a Table; [fig. 4] Katarina Dzjelar, My lifetime, 2012- Hd video, 5 minuti e 37 secondi. Courtesy l'artista e SpazioA di Pistoia; [fig. 5] Teatro anatomico dell'Archiginnasio. Foto di Alessandro Gaffuri; [figg. 6 e 7] Luca Pozzi, Wilson Tour, 2017. Lanci reali di palline da tennis davanti alle storie della fondazione di Roma. Coutersy Galleria Luger e Galleria Astuni; [fig. 8] Jacopo Mazzonelli, ABCDEFG, 2015/2016. Pianoforti verticali - dimensioni variabili. Foto di Nadia Baldo.
Informazioni utili
Il programma completo degli appuntamenti è disponibile su: www.artcity.bologna.it | www.artefiera.it. L'hashtag ufficiale della manifestazione è #ArtCityBologna.
In questa edizione, che vede la direzione artistica di Lorenzo Balbi, la città felsinea sarà scenario, nelle giornate da venerdì 2 a domenica 4 febbraio (ArteFiera rimarrà aperta anche lunedì 5), di un progetto speciale dell’artista Vadim Zakharov, protagonista della performance «Tunguska Event, History Marches on a Table», ideata per il centenario della Rivoluzione russa.
La rassegna, che si presenta con un nuovo format, prevede anche una decina di eventi che esplorano le contaminazioni tra i vari linguaggi del contemporaneo.
Protagonisti di questi appuntamenti, ideati appositamente per la città di Bologna, sono alcuni dei nomi più interessanti della scena nazionale e internazionale: Katarina Djzelar, Yuri Ancarani, Jacopo Mazzonelli, Erin Shirreff, Luca Pozzi, Home Movies + Giuseppe De Mattia, Hana Lee Erdman, CT (Matteo Ceretto Castigliano), Roberto Pugliese e Alessandra Messali.
La performance «Tunguska Event, History Marches on a Table», presentata recentemente alla Whitechapel Gallery di Londra e in anteprima assoluta per l’Italia, prevede tre rappresentazioni per centocinquanta spettatori a replica (venerdì 2 e sabato 3 febbraio, alle ore 19; domenica 4 febbraio, alle ore 17) negli spazi dell’ex Gam – Galleria d’arte moderna, a pochi passi dalla sede di ArteFiera. «Invitati a sedersi intorno a un insolito palcoscenico -un tavolo rettangolare lungo diversi metri, sopra il quale agisce un cast di attori e ballerini- gli spettatori -raccontano gli organizzatori- assisteranno alla rievocazione di alcuni eventi capitali avvenuti nella prima metà del Novecento, in un viaggio umoristico attraverso il tempo e la storia».
Nell'ottica di avvicinare sempre di più il polo fieristico al contesto cittadino, «Art City Bologna» coinvolgerà anche un altro spazio iconico che si affaccia su piazza Costituzione: il Padiglione de l’Esprit Nouveau, oggetto di un recente restauro conservativo sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Bologna, che ne ha restituito la fruizione pubblica.
In questo spazio l’artista serba Katarina Zdjelar, con la curatela di Lorenzo Balbi, presenterà il progetto espositivo «Ungrammatical», che ripercorre la sua produzione degli ultimi anni, incentrata sull’esplorazione dei limiti e delle potenzialità del linguaggio, mettendo in dialogo diretto le opere con lo spazio architettonico in cui si inseriscono. Tra i video visibili in mostra ci saranno «My Lifetime (Malaika)» (5’37”, 2012), nel quale si racconta la capacità della musica di superare le barriere etniche e linguistiche attraverso le riprese di alcuni musicisti dell’Orchestra sinfonica nazionale del Ghana, e «The Perfect Sound» (14’30”, 2009), che affronta il fenomeno dell'integrazione culturale attraverso la cancellazione della differenze di pronuncia, osservando un logopedista impegnato nell'esecuzione di esercizi fonetici per rimuovere l'accento straniero di un suo cliente a Birmingham.
Spostandosi nel centro storico, Yuri Ancarani stabilirà un rapporto emozionale con lo spazio contemplativo della Cappella di Santa Maria dei Carcerati in Palazzo Re Enzo, arricchita dal wall drawing permanente di David Tremlett, presentando la video-installazione «La malattia del ferro», a cura di Eva Brioschicollage di immagini girate da camere fisse documenta, con sguardo asettico e nitido, la vita di questo gigantesco ammasso di ferro in cui la presenza umana è quasi completamente assente, in un intreccio di paesaggio naturale e paesaggio antropico che ricorre spesso nella poetica dell’artista.
Il Museo internazionale e biblioteca della musica accoglierà l’intervento «Sonografia» di Jacopo Mazzonelli, a cura di Chiara Ianeselli, che si concentra sul segno musicale inteso come alfabeto sonoro. Le opere, disposte nelle due sale dedicate agli eventi temporanei e all’interno del percorso espositivo al piano superiore del museo, riflettono sull’origine delle composizioni musicali, portando in primo piano la natura degli strumenti.
Centrale nell’esposizione, che nella sera del 3 febbraio sarà arricchita da una performance del compositore Matteo Franceschini, è il lavoro «ABCDEFG» (2016-2017), costituito da sette pianoforti verticali dei primi del Novecento modificati dall’artista in modo da ridurre la loro capacità sonora solo a una delle sette note della scala musicale.
Nel Salone Banca di Bologna di Palazzo De’ Toschi continua l’esplorazione di alcuni degli artisti più interessanti della scena internazionale con la prima personale in Italia, a cura di Simone Menegoi, di Erin Shirreff, artista di origini canadesi.
La mostra si compone di due parti: un video, proiettato in dimensioni cinematografiche, e una serie di sculture. Il video, che alterna sequenze filmate e di animazione, si incardina su una forma circolare che muta lentamente nel corso di quasi un’ora; la sua origine emotiva e concettuale è la visione, da parte dell’artista, dell’eclisse totale di Sole del 21 agosto 2017. Le sculture, che combinano materiali duraturi ed effimeri, sono presentate in un allestimento che suggerisce modelli in scala ridotta e paesaggi.
Anche in questa edizione «Art City Bologna» interesserà l’area vicino a via Zamboni, la zona universitaria, con una serie di iniziative culturali. A Palazzo Magnani, nella Sala dei Carracci, si terrà, per esempio, il progetto site-specific «The Grandfather Platform» di Luca Pozzi, a cura di Maura Pozzati, promosso da Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna con UniCredit. La piattaforma ideata dall’artista permette, da una parte, di ammirare a distanza ravvicinata gli alti affreschi carracceschi, dall’altra di iniziare un viaggio dimensionale quantistico tra tempi diversi non linearmente interconnessi: dalle prospettive futuristiche della cosmologia e della fisica teorica del nuovo millennio al 753 a.C., anno della fondazione della città di Roma ed epicentro temporale non solo del nostro Paese ma probabilmente dell'Europa intera.
Via Zamboni, con gli elementi architettonici che la caratterizzano, diventerà, invece, un originale dispositivo di visione, a passo e velocità variabile, per l’intervento di arte pubblica «Street/Frames», ideato e curato da Home Movies + Giuseppe De Mattia. L’installazione, concepita per una fruizione differente, in differita ed espansa, si compone di sequenze di pellicole 8mm e 16mm, selezionate dall’Archivio di Home Movies, tra migliaia girate a Bologna da tanti cine-occhi amatoriali, collettori di momenti e dettagli da restituire alla città e agli occhi dei suoi abitanti.
A breve distanza, presso la Fondazione Collegio Artistico Venturoli, l’artista e coreografa Hana Lee Erdman presenta «Animal Companion and Telepathic Elegance», una performance che invita i partecipanti a espandere il proprio repertorio relazionale, apprendendo e applicando i principi che informano i rapporti tra animali appartenenti a specie diverse per esplorare forme non discorsive della relazione quali prossimità, tatto e telepatia.
Al Velostazione Dynamo – Bologna va, invece, in scena «B-wall», il format che prevede di invitare un artista, con cadenza annuale, a realizzare un’opera murale nella sala all’ingresso della struttura, un hub di servizi dedicati alla mobilità in bicicletta. Quest’anno tocca a CT (Matteo Ceretto Castigliano), la cui ricerca, nata nell'ambito del graffiti writing, si è evoluta verso forme astratte di stampo minimalista.
Roberto Pugliese si confronterà, invece, con il seicentesco Teatro Anatomico dell’Archiginnasio con «Transanatomy», un progetto espositivo, a cura di Felice Moramarco, incentrato sui processi di ibridazione tra uomo e macchina, animato e inanimato, naturale e artificiale. Sul tavolo in marmo posto al centro dello spazio, la scultura sonora «Equilibrium Variant» si anima grazie a due bracci meccanici che interagiscono mediante un sistema di feedback sonori, riproducendo una delle modalità con cui gli esseri viventi si costituiscono come soggetti, ovvero, tramite un processo di continua negoziazione con l’ambiente esterno.
Il programma di «Art City Bologna» si conclude con l’incursione museografica «Lo Slancio», ideata da Alessandra Messali per il Museo della Specola, a cura di Giulia Morucchio e Irene Rossini. L’intervento, che si ispira alle molteplici possibilità di lettura di un contesto museografico, mette al centro la figura dell’astrofilo, la cui pratica è raccontata nel corso di una visita guidata -condotta dalle guide del museo a partire da un testo composto dall’artista- che ha come tema il rapporto tra osservazione, conoscenza e rappresentazione, tra attività amatoriale e professionismo.
A consolidare questa narrazione, all’interno della collezione permanente della Specola sono inseriti alcuni materiali e produzioni amatoriali, raccolti in collaborazione con realtà astrofile del territorio italiano.
«ArtCity Bologna» prevede, inoltre, una serie di iniziative per avvicinare un pubblico eterogeneo al linguaggio dell’arte: in numerosi luoghi del circuito sarà presente una mediazione culturale a cura degli operatori didattici adibiti ai servizi di prima accoglienza, si terranno delle passeggiate «Walk on Art» per i più piccoli, e, in tutte le sedi espositive coinvolte, gli gli orari di apertura saranno estesi e sarà previsto l’ingresso gratuito, e in alcuni casi ridotto, per i possessori del biglietto di ArteFiera. Lo stesso biglietto, nel week-end dal 2 al 4 febbraio, consentirà l’ingresso gratuito in tutte le sedi dell'Istituzione Bologna Musei.
Non mancherà la tradizionale Notte Bianca dell’arte che, sabato 3 febbraio, prevede l’apertura fino all 24 di numerosi sedi espositive cittadine: una grande festa che fa da cornice alla kermesse fieristica più importante d’Italia, ArteFiera, che quest’anno, sotto la direzione di Angela Vettese, vedrà la partecipazione di centocinquantadue gallerie e trenta espositori legati all’editoria e alla grafica.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Vadim Zakharov, Tunguska Event, History Marches on a Table; [fig. 4] Katarina Dzjelar, My lifetime, 2012- Hd video, 5 minuti e 37 secondi. Courtesy l'artista e SpazioA di Pistoia; [fig. 5] Teatro anatomico dell'Archiginnasio. Foto di Alessandro Gaffuri; [figg. 6 e 7] Luca Pozzi, Wilson Tour, 2017. Lanci reali di palline da tennis davanti alle storie della fondazione di Roma. Coutersy Galleria Luger e Galleria Astuni; [fig. 8] Jacopo Mazzonelli, ABCDEFG, 2015/2016. Pianoforti verticali - dimensioni variabili. Foto di Nadia Baldo.
Informazioni utili
Il programma completo degli appuntamenti è disponibile su: www.artcity.bologna.it | www.artefiera.it. L'hashtag ufficiale della manifestazione è #ArtCityBologna.
martedì 30 gennaio 2018
La moda etnica estone in mostra a Bologna
Si apre con una mostra dedicata alla moda estone l’attività espositiva del Museo del tessuto e della tappezzeria «Vittorio Zironi» di Bologna. Quindici stiliste, selezionate da Anu Hint, propongono le loro creazioni nell’ambito di un progetto espositivo, giunto alla sua trentesima tappa, che, dal 2009, sta toccando diversi Paesi del mondo, dalla Cina alla Russia, dalla Germania al Kazakhistan, dal Giappone al Canada.
Durante il processo di ristrutturazione geopolitica che ha accompagnato il suo ingresso nell’Unione Europea nel 2004, l’Estonia si è affermata come Paese protagonista di una rapida ascesa socio-economica in continua evoluzione, in grado di dare vita a una rinnovata identità culturale che mantiene un forte legame con il passato.
L’equilibrio tra il recupero delle radici di una tradizione millenaria e la modernità di un avanzato Paese europeo si riflette anche nel dinamico e vivace campo della moda, ricco di giovani talenti che hanno raggiunto un buon livello di internazionalizzazione.
I ventuno abiti esposti a Bologna, in occasione dei cento anni dalla nascita della Repubblica indipendente e democratica dell’Estonia, sono creazioni di quindici stiliste affermate ed emergenti, alla costante ricerca di una combinazione tra elementi tradizionali e uno stile più attuale, che invitano lo spettatore a percepire l'essenza dell'arte etnica estone, in cui il presente si interseca con il passato. Questi abiti ci restituiscono un linguaggio variegato costituito da materiali, forme, colori e motivi fon-dato sulla tradizione per l’altissima artigianalità di ricami e tessiture, che testimonia quanto lo stile etnico formatosi nel corso dei secoli sia ancora oggi fonte di ispirazione vitale.
Le designer che operano nell'ambito di questa tendenza creativa non creano solo abiti, ma esprimono un senso di orgoglio per la ricchezza delle collezioni dei vestiti tradizionali e una consapevole abilità nel preservarla. Infatti, nonostante l'Estonia conti una popolazione limitata a circa un milione di abitanti, la mostra introduce la grande varietà dei costumi tradizionali, di cui si contano complessivamente quasi novanta tipologie differenti.
L'estetica e l'abilità artistica del popolo estone si riflette nelle combinazioni dei colori degli indumenti tradizionali, negli ornamenti e nella gioielleria, mentre le componenti etniche raccontano la storia attraverso cui si è formata l’identità nazionale e l’influsso esercitato da altri popoli, filtrato dal gusto e dalla sensibilità locali: una combinazione interessante tra l’influenza occidentale dei paesi scandinavi – fatta di elementi grafici, semplicità, modernismo e funzionalità – e quella orientale, ornamentale e ricca.
L’allestimento è arricchito da ulteriori materiali che approfondiscono lo sguardo etnografico sui vestiti tradizionali estoni, tra cui i disegni realizzati dalla celebre costumista, designer e restauratrice di abiti popolari tradizionali Melanie Kaarma che illustrano i completi in uso tra il Settecento e gli inizi del Novecento, pubblicati nel 1981, con Aino Voolmaa, nel volume «Costumi popola-ri estoni».
I vestiti tradizionali raffigurati si possono suddividere in quattro gruppi principali, distinti per zona di uso -settentrionali, orientali, meridionali e delle isole-, e in tre tipologie: gli indumenti per le feste (tra cui quello donato in occasione della cresima, che celebrava l’ingresso nell’età adulta), quelli indossati ogni giorno e gli abiti da lavoro.
Gli svedesi che secoli fa si stabilirono sulle isole e nella parte occidentale dell’Estonia lasciarono un’impronta molto significativa nell’abbigliamento popolare: la camicia lunga indossata sotto la cami-cia più corta con le maniche, l'abito lungo con cucitura verticale sulla schiena (pikk-kuub). Un chiaro esempio delle influenze svedesi è, inoltre, il costume tradizionale da donna di Mustjala,un piccolo pae-se sull'isola di Saaremaa situata nella parte ovest dell'Estonia, di cui in mostra è visibile un esemplare realizzato negli anni Ottanta.
Nei costumi tradizionali troviamo altresì numerose somiglianze anche con gli altri popoli baltici, in particolare con i lettoni e i lituani: camicia tipo tunica, plaid rettangolare (sõba) e gonna rettangolare (vaipseelik), mentre le gonne, a righe verticali, e i cardigan più recenti, erano già in uso in tutti e tre i popoli.
Le influenze delle popolazioni slave si sono manifestate nell’Estonia orientale: l’usanza di portare la camicia sopra i pantaloni stretti da una cintura, le maniche lunghe della camicia, gli ornamenti intessuti nella stoffa. Poche influenze finlandesi, come le caratteristiche pantofole, si trovano invece nell’Estonia settentrionale.
Sono, inoltre, esposti alcuni campioni di tessuto per gonne tradizionali: da pezzi originali risalenti ai primi dei Novecento a quelli in filo di lana e ordito di lino realizzati appositamente per questa mostra dall’artigiana tessile Marika Samlik. Accanto ad essi, trovano spazio le creazioni progettate da Elna Kaasik, nota designer e artista tessile che presenta tessuti di tipologia differente: per produzioni industriali, realizzati su telaio a mano, textures con decorazioni filigranata a mano, stoffe per abbigliamento, tessuti per interni e accessori, oltre alle spille tradizionali della designer di gioielli Anna Helena Saarso.
La mostra è infine accompagnata da una selezione di fotografie di coloratissimi tappeti tradizionali fatti a mano, provenienti dalla collezione del Museo etnografico estone (Eesti Vabaõhumuuseum).
Didascalie delle immagini
[Figg.1,2 e 3] Vedute di allestimento della mostra, 2017. Courtesy Istituzione Bologna Musei; [fig. 4] Abito di Triinu Pungits, 2007; [fig. 5] Abito di Ainikki Eiskop, 2014
Informazioni utili
La moda etnica estone dal passato al futuro. Museo del Tessuto e della Tappezzeria Vittorio Zironi, via di Casaglia, 3 - Bologna. Orari: giovedì, ore 9.00-14.00; sabato e domenica, ore 10.00-18.30; chiuso festivi infrasettimanali. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 051.2194528 / 2193916 (biglietteria Museo Civico Medievale), museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 24 febbraio 2018.
Durante il processo di ristrutturazione geopolitica che ha accompagnato il suo ingresso nell’Unione Europea nel 2004, l’Estonia si è affermata come Paese protagonista di una rapida ascesa socio-economica in continua evoluzione, in grado di dare vita a una rinnovata identità culturale che mantiene un forte legame con il passato.
L’equilibrio tra il recupero delle radici di una tradizione millenaria e la modernità di un avanzato Paese europeo si riflette anche nel dinamico e vivace campo della moda, ricco di giovani talenti che hanno raggiunto un buon livello di internazionalizzazione.
I ventuno abiti esposti a Bologna, in occasione dei cento anni dalla nascita della Repubblica indipendente e democratica dell’Estonia, sono creazioni di quindici stiliste affermate ed emergenti, alla costante ricerca di una combinazione tra elementi tradizionali e uno stile più attuale, che invitano lo spettatore a percepire l'essenza dell'arte etnica estone, in cui il presente si interseca con il passato. Questi abiti ci restituiscono un linguaggio variegato costituito da materiali, forme, colori e motivi fon-dato sulla tradizione per l’altissima artigianalità di ricami e tessiture, che testimonia quanto lo stile etnico formatosi nel corso dei secoli sia ancora oggi fonte di ispirazione vitale.
Le designer che operano nell'ambito di questa tendenza creativa non creano solo abiti, ma esprimono un senso di orgoglio per la ricchezza delle collezioni dei vestiti tradizionali e una consapevole abilità nel preservarla. Infatti, nonostante l'Estonia conti una popolazione limitata a circa un milione di abitanti, la mostra introduce la grande varietà dei costumi tradizionali, di cui si contano complessivamente quasi novanta tipologie differenti.
L'estetica e l'abilità artistica del popolo estone si riflette nelle combinazioni dei colori degli indumenti tradizionali, negli ornamenti e nella gioielleria, mentre le componenti etniche raccontano la storia attraverso cui si è formata l’identità nazionale e l’influsso esercitato da altri popoli, filtrato dal gusto e dalla sensibilità locali: una combinazione interessante tra l’influenza occidentale dei paesi scandinavi – fatta di elementi grafici, semplicità, modernismo e funzionalità – e quella orientale, ornamentale e ricca.
L’allestimento è arricchito da ulteriori materiali che approfondiscono lo sguardo etnografico sui vestiti tradizionali estoni, tra cui i disegni realizzati dalla celebre costumista, designer e restauratrice di abiti popolari tradizionali Melanie Kaarma che illustrano i completi in uso tra il Settecento e gli inizi del Novecento, pubblicati nel 1981, con Aino Voolmaa, nel volume «Costumi popola-ri estoni».
I vestiti tradizionali raffigurati si possono suddividere in quattro gruppi principali, distinti per zona di uso -settentrionali, orientali, meridionali e delle isole-, e in tre tipologie: gli indumenti per le feste (tra cui quello donato in occasione della cresima, che celebrava l’ingresso nell’età adulta), quelli indossati ogni giorno e gli abiti da lavoro.
Gli svedesi che secoli fa si stabilirono sulle isole e nella parte occidentale dell’Estonia lasciarono un’impronta molto significativa nell’abbigliamento popolare: la camicia lunga indossata sotto la cami-cia più corta con le maniche, l'abito lungo con cucitura verticale sulla schiena (pikk-kuub). Un chiaro esempio delle influenze svedesi è, inoltre, il costume tradizionale da donna di Mustjala,un piccolo pae-se sull'isola di Saaremaa situata nella parte ovest dell'Estonia, di cui in mostra è visibile un esemplare realizzato negli anni Ottanta.
Nei costumi tradizionali troviamo altresì numerose somiglianze anche con gli altri popoli baltici, in particolare con i lettoni e i lituani: camicia tipo tunica, plaid rettangolare (sõba) e gonna rettangolare (vaipseelik), mentre le gonne, a righe verticali, e i cardigan più recenti, erano già in uso in tutti e tre i popoli.
Le influenze delle popolazioni slave si sono manifestate nell’Estonia orientale: l’usanza di portare la camicia sopra i pantaloni stretti da una cintura, le maniche lunghe della camicia, gli ornamenti intessuti nella stoffa. Poche influenze finlandesi, come le caratteristiche pantofole, si trovano invece nell’Estonia settentrionale.
Sono, inoltre, esposti alcuni campioni di tessuto per gonne tradizionali: da pezzi originali risalenti ai primi dei Novecento a quelli in filo di lana e ordito di lino realizzati appositamente per questa mostra dall’artigiana tessile Marika Samlik. Accanto ad essi, trovano spazio le creazioni progettate da Elna Kaasik, nota designer e artista tessile che presenta tessuti di tipologia differente: per produzioni industriali, realizzati su telaio a mano, textures con decorazioni filigranata a mano, stoffe per abbigliamento, tessuti per interni e accessori, oltre alle spille tradizionali della designer di gioielli Anna Helena Saarso.
La mostra è infine accompagnata da una selezione di fotografie di coloratissimi tappeti tradizionali fatti a mano, provenienti dalla collezione del Museo etnografico estone (Eesti Vabaõhumuuseum).
Didascalie delle immagini
[Figg.1,2 e 3] Vedute di allestimento della mostra, 2017. Courtesy Istituzione Bologna Musei; [fig. 4] Abito di Triinu Pungits, 2007; [fig. 5] Abito di Ainikki Eiskop, 2014
Informazioni utili
La moda etnica estone dal passato al futuro. Museo del Tessuto e della Tappezzeria Vittorio Zironi, via di Casaglia, 3 - Bologna. Orari: giovedì, ore 9.00-14.00; sabato e domenica, ore 10.00-18.30; chiuso festivi infrasettimanali. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 051.2194528 / 2193916 (biglietteria Museo Civico Medievale), museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 24 febbraio 2018.
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