Ci sono le riproduzioni del «Discobolo» di Mirone e del «Diadumeno» di Policleto tra le sculture che il British Museum di Londra ha prestato alla Fondazione Pierre Gianadda di Martigny, pregevole centro culturale svizzero con una ricca collezione di opere dei più grandi maestri del XIX e del XX secolo, in occasione della mostra «La bellezza del corpo nell’antica Grecia», curata da Ian Jenkins.
Fondato nel 1753 e aperto al pubblico sei anni dopo, il museo britannico è senz’altro uno dei importanti al mondo con le sue raccolte costituite da oltre sette milioni di oggetti, ma deve la propria notorietà soprattutto alle ventiquattro stanze che raccontano Roma e l’antica Grecia, all’interno delle quali si trovano manufatti che vanno dall’inizio della preistoria all'età bizantina.
Su espressa richiesta dello stesso British Museum a Léonard Gianadda, presidente dell’istituzione elvetica, una pregevole selezione di queste opere è in mostra, fino al prossimo 9 giugno, a Martigny, cittadina nella valle del Rodano che vanta origini celtiche e che è ricca di vestigia di epoca gallo-romana, a cominciare dai resti del tempietto su cui sorge proprio la Fondazione Gianadda.
Un felice connubio di pietra, bronzo e marmo unirà, dunque, per i prossimi tre mesi la sezione antica di uno dei musei più visitati al mondo con la capitale del Vallese romano, il Forum Claudii Vallensium, e con le sue testimonianze di un passato glorioso, dalla possente testa bronzea del «Toro tricorne» ai due torsi virili, provenienti dal Mediterraneo orientale e usati probabilmente come ornamento di una sala termale, che sono stati ritrovati nel 2011 in occasione della realizzazione di una nuova strada del quartiere delle Morasses. Entrambi i lavori, raffiguranti un «Ercole con mantello leonino» e un «Apollo Citaredo», sono in mostra nelle sale del museo svizzero, accanto a una piccola replica in marmo bianco dell’«Afrodite di Cnido» di Prassitele, trovata anch’essa a Martigny nel 1939. Il cuore della rassegna è, però, rappresentato dalle opere del British Museum, attraverso le quali si celebra la bellezza seguendo il filo rosso di sette temi: la prestanza del corpo maschile e la grazia di quello femminile, lo sport, la nascita, il matrimonio, la morte, l‘amore e il desiderio. Ecco così apparire davanti al visitatore le forme toniche ed eleganti del «Discobolo» di Mirone, raffigurato in una scultura in marmo del II secolo a.C., copia romana di un originale in bronzo, fuso nel V secolo a.C. e oggi perduto.
Ammalia per il suo portamento statuario anche il «Il Diadumeno», opera in marmo databile intorno al 50 a.C. e ritrovata in Provenza nel 1862, che raffigura un giovane atleta con la testa cinta dalla benda della vittoria ai Giochi olimpici dell'antica Grecia e che riproduce la famosa scultura in bronzo realizzata da Policleto nel V secolo a.C..
Nella sezione dedicata al corpo femminile spiccano, invece, una terracotta del 300-200 a.C. con le fattezze di una nobildonna greca, elegantemente abbigliata con una lunga tunica e un ampio cappello, e una statua bronzea del VI secolo a.C., forse di origine spartana, raffigurante «Una giovane donna che corre» secondo gli usi del tempo, stando a quanto scrive Pausania: «capelli al vento, tunica abbassata fin sotto le ginocchia, spalla destra completamente nuda e spogliata fino al seno».
Lungo il percorso espositivo, di cui è stato pubblicato un catalogo a documentazione, si trovano anche un possente Zeus in bronzo del I-II secolo a.C., un’anfora a figure nere di fattura greca con l’effige del dio Dioniso (520 a.C.) e una copia della piccola scultura «Eros mentre tende il suo arco» di Lisippo, databile alla fine del IV sec. a.C..
Fra divinità del passato e corpi tonici, è esposta anche una statuetta in terracotta del II secolo a.C. raffigurante il «tenutario del bordello», uno dei personaggi ricorrenti del teatro greco, con addosso la maschera da anziano e con la testa incoronata da strisce frammentate. Tanti volti, dunque, scorrono tra le sale della Fondazione Pierre Giannada a raccontare la bellezza, quella virtù che Stendhal definiva «promessa di felicità».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Il Discobolo, Marmo, periodo romano, II sec. d. C . © The Trustees of the British Museum (2014). All rights reserved; [fig. 2] Il Diadumeno, marmo, 50 d.C. © The Trustees of the British Museum (2014). All rights reserved; [Fig. 3] Giovane donna che corre, bronzo, Grecia, VI sec. a. C. © The Trustees of the British Museum (2014). All rights reserved; [fog. 4] Afrodite di Cnido di Prassitele, marmo © Fondation Pierre Gianadda, Martigny
Informazioni utili
«La bellezza del corpo nell’antica Grecia». Fondazione Pierre Giannada, Rue du Forum, 59 - Martigny (Svizzera). Orari: ore 10.00-18.00. Ingresso: adulti ChF 15/€ 12,50; terza età ChF 13/€ 11,00, famiglie ChF 35/€ 28,00; bambini oltre 10 anni e studenti ChF 8/€ 6,00. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel.(+41)27.7223978. Informazioni in Italia: tel. 031.269393. Sito internet: www.gianadda.ch. Fino al 9 giugno 2014.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
mercoledì 12 marzo 2014
martedì 11 marzo 2014
«Rhome», la grande bellezza della Capitale raccontata dai migranti
Trentaquattro migranti, dodici fotografi, sessantotto scatti e una città: sono questi i numeri della mostra «Rhome - Sguardi e memorie migranti», allestita fino a mercoledì 30 marzo a Roma, negli spazi di Palazzo Braschi, per iniziativa dell’Assessorato alla cultura e della Sovrintendenza capitolina, con il plauso dell’Unar – Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali e con la collaborazione di Zetema Progetto Cultura, dell’associazione «éarrivatoGodot», del Cnr – Centro nazionale delle ricerche e di Officine Fotografiche Roma.
L’esposizione, curata da Claudia Pecoraro, nasce come iniziativa di rilievo nell’ambito delle attività cittadine di prevenzione e contrasto delle discriminazioni razziali. Quello dei migranti è, infatti, un vero e proprio popolo a Roma, dove vivono oltre 352mila stranieri, con un’età media di circa 37 anni, single in oltre il 50% dei casi. Trentaquattro di loro, appartenenti a quattordici comunità e di ventisette differenti nazionalità, hanno scelto di raccontare la propria storia e il proprio rapporto con la «Città eterna» davanti all’occhio del fotografo.
«Qual è un luogo di Roma che non dimenticherai mai e che porterai con te anche se dovessi andare a vivere altrove?» è la domanda che fa da filo rosso alla mostra a Palazzo Braschi. Ogni migrante, insieme a un fotografo, è andato nel posto scelto per costruire l’immagine da esporre; le parole dell’uno hanno fatto da regia al lavoro dell’altro. In una specie di intervista a microfono spento, i trentaquattro protagonisti di «Rhome» raccontano così perché hanno lasciato il proprio Paese, in quale luogo e per quale motivo –a Roma– si sono sentiti accolti o rifiutati.
Ne è nata una galleria di volti e luoghi che tratteggia la stretta appartenenza dei migranti interpellati a una città che, talvolta, ha sostituito affettivamente quella di origine, diventando punto di arrivo e di ritorno per le loro nuove vite.
Ci sono immagini che fanno parte dell’iconografia classica di Roma. Il camerunense Jacques Ngomsi ha chiesto, per esempio, a Massimo Bottarelli di ritrarre la magnificenza della Basilica San Pietro. La rumena Cameluşa Strachinaru ha indicato al fotografo Ernesto Notarantonio la Fontana di Trevi. Il peruviano Roberto Montoya ha condotto Marco Santi a immortalare piazza di Spagna. Mentre l’iracheno Nabaz Kamil Nori ha fatto imprimere sulla pellicola fotografica a Nazzareno Falcone le mura antiche del Colosseo.
Lo stesso luogo, considerato da molti stranieri la «carta di identità di Roma» e il «simbolo dell’Italia nel mondo», è stato raccontato da Massimo Bottarelli per la cilena Rosita Castro Dominguez, da Claudio Imperi per l'inglese Laura Sampedro e da Gianclaudio Hashem Moniri per l’indiana Sanjay Kansa Banik. Il camerunense Jean Claude Moniri ha, invece, fatto fotografare ad Elda Occhinero la via dei Fori imperiali; mentre la francese Celine Cougoule ha raccontato di portare nel proprio cuore la vista del Pincio, la californiana Roberta Escamilla Garrison quella del Pantheon e la russa Ekaterina Suleymanova l'Appia antica con il suo silenzio.
Ci sono, poi, in mostra luoghi che rappresentano una personale geografia del cuore. L’albanese Adriano Haska ha fatto, per esempio, imprimere sulla carta fotografica a Emanuele Inversi uno scorcio di via Magnanapoli, la strada in cui lavora. Shammi Perera ha chiesto a Marco Marotto di ritrarre la sua casa in via Molfetta. Mentre l’eritrea Ascalu Tesfai Tzegu ha condotto il fotografo Gaetano Di Filippo alla scuola Fausto Cecconi di Centocelle, dove hanno studiato i suoi figli. José Augusto Alves Dos Santos ha, invece, segnalato come suo posto preferito il Centro di studi brasiliani, dove negli anni Ottanta, appena giunto a Roma, si incontrava con i suoi connazionali e studiava musica. Mentre la statunitense Susan Levenstein ha invitato Alessandro Amoruso a fotografare la pasticceria del ghetto, un luogo nel quale si è sempre sentita ben accolta e che ricorda per «i ‘mattoni’, quei meravigliosi dolci ebraici che, come il vino del contadino, sono sempre uguali ma sempre diversi».
La cinese Wang Fang ha scelto, infine, l’Ospedale Cristo Re: «la porta del Pronto soccorso –ha raccontato- significa, per me, un confine. Qui ho partorito. Questo luogo è la separazione dal mondo di prima al mondo di dopo: ero donna e sono diventata mamma, da ragazza sono diventata moglie. Qui è nato un prodotto misto, frutto di due razze, italiana e cinese. Ha cambiato tutta la mia vita. Prima avevo un po’ di dubbio se andar via dall’Italia o rimanere. Ora c’è una cosa più importante, che è diventata il centro del mio mondo e che mi tiene legata qui».
Storie di integrazione e accoglienza scorrono, dunque, lungo le pareti di Palazzo Braschi raccontando «la grande bellezza» di una città che sa incantare con la sua storia millenaria e i suoi monumenti, che sa emozionare con la sua capacità di aprirsi all’altro.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sanjay Kansa Banik. Foto di Gianclaudio Hashem Moniri. Officine Fotografiche Roma; [fig. 2] La Pasticceria del ghetto ebraico, luogo segnalato da Susan Levenstein. Foto di Alessandro Amoruso. Officine Fotografiche Roma; [fig. 3] Celine Cougoule. Foto di Nazzareno Falcone. Officine Fotografiche Roma; [fig. 4] Cupola di San Pietro, luogo scelto da Jacques Ngomsi. Foto di Massimo Bottarelli. Officine Fotografiche Roma; [fig. 5] Wang Fang. Foto di Elda Occhinero. Officine Fotografiche Roma
Informazioni utili
Rhome. Sguardi e memorie migranti. Museo di Roma – Palazzo Braschi, piazza Navona, 2 – Roma. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00-21.00). Sito web: www.museodiroma.it. Fino al 30 marzo 2014.
L’esposizione, curata da Claudia Pecoraro, nasce come iniziativa di rilievo nell’ambito delle attività cittadine di prevenzione e contrasto delle discriminazioni razziali. Quello dei migranti è, infatti, un vero e proprio popolo a Roma, dove vivono oltre 352mila stranieri, con un’età media di circa 37 anni, single in oltre il 50% dei casi. Trentaquattro di loro, appartenenti a quattordici comunità e di ventisette differenti nazionalità, hanno scelto di raccontare la propria storia e il proprio rapporto con la «Città eterna» davanti all’occhio del fotografo.
«Qual è un luogo di Roma che non dimenticherai mai e che porterai con te anche se dovessi andare a vivere altrove?» è la domanda che fa da filo rosso alla mostra a Palazzo Braschi. Ogni migrante, insieme a un fotografo, è andato nel posto scelto per costruire l’immagine da esporre; le parole dell’uno hanno fatto da regia al lavoro dell’altro. In una specie di intervista a microfono spento, i trentaquattro protagonisti di «Rhome» raccontano così perché hanno lasciato il proprio Paese, in quale luogo e per quale motivo –a Roma– si sono sentiti accolti o rifiutati.
Ne è nata una galleria di volti e luoghi che tratteggia la stretta appartenenza dei migranti interpellati a una città che, talvolta, ha sostituito affettivamente quella di origine, diventando punto di arrivo e di ritorno per le loro nuove vite.
Ci sono immagini che fanno parte dell’iconografia classica di Roma. Il camerunense Jacques Ngomsi ha chiesto, per esempio, a Massimo Bottarelli di ritrarre la magnificenza della Basilica San Pietro. La rumena Cameluşa Strachinaru ha indicato al fotografo Ernesto Notarantonio la Fontana di Trevi. Il peruviano Roberto Montoya ha condotto Marco Santi a immortalare piazza di Spagna. Mentre l’iracheno Nabaz Kamil Nori ha fatto imprimere sulla pellicola fotografica a Nazzareno Falcone le mura antiche del Colosseo.
Lo stesso luogo, considerato da molti stranieri la «carta di identità di Roma» e il «simbolo dell’Italia nel mondo», è stato raccontato da Massimo Bottarelli per la cilena Rosita Castro Dominguez, da Claudio Imperi per l'inglese Laura Sampedro e da Gianclaudio Hashem Moniri per l’indiana Sanjay Kansa Banik. Il camerunense Jean Claude Moniri ha, invece, fatto fotografare ad Elda Occhinero la via dei Fori imperiali; mentre la francese Celine Cougoule ha raccontato di portare nel proprio cuore la vista del Pincio, la californiana Roberta Escamilla Garrison quella del Pantheon e la russa Ekaterina Suleymanova l'Appia antica con il suo silenzio.
Ci sono, poi, in mostra luoghi che rappresentano una personale geografia del cuore. L’albanese Adriano Haska ha fatto, per esempio, imprimere sulla carta fotografica a Emanuele Inversi uno scorcio di via Magnanapoli, la strada in cui lavora. Shammi Perera ha chiesto a Marco Marotto di ritrarre la sua casa in via Molfetta. Mentre l’eritrea Ascalu Tesfai Tzegu ha condotto il fotografo Gaetano Di Filippo alla scuola Fausto Cecconi di Centocelle, dove hanno studiato i suoi figli. José Augusto Alves Dos Santos ha, invece, segnalato come suo posto preferito il Centro di studi brasiliani, dove negli anni Ottanta, appena giunto a Roma, si incontrava con i suoi connazionali e studiava musica. Mentre la statunitense Susan Levenstein ha invitato Alessandro Amoruso a fotografare la pasticceria del ghetto, un luogo nel quale si è sempre sentita ben accolta e che ricorda per «i ‘mattoni’, quei meravigliosi dolci ebraici che, come il vino del contadino, sono sempre uguali ma sempre diversi».
La cinese Wang Fang ha scelto, infine, l’Ospedale Cristo Re: «la porta del Pronto soccorso –ha raccontato- significa, per me, un confine. Qui ho partorito. Questo luogo è la separazione dal mondo di prima al mondo di dopo: ero donna e sono diventata mamma, da ragazza sono diventata moglie. Qui è nato un prodotto misto, frutto di due razze, italiana e cinese. Ha cambiato tutta la mia vita. Prima avevo un po’ di dubbio se andar via dall’Italia o rimanere. Ora c’è una cosa più importante, che è diventata il centro del mio mondo e che mi tiene legata qui».
Storie di integrazione e accoglienza scorrono, dunque, lungo le pareti di Palazzo Braschi raccontando «la grande bellezza» di una città che sa incantare con la sua storia millenaria e i suoi monumenti, che sa emozionare con la sua capacità di aprirsi all’altro.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sanjay Kansa Banik. Foto di Gianclaudio Hashem Moniri. Officine Fotografiche Roma; [fig. 2] La Pasticceria del ghetto ebraico, luogo segnalato da Susan Levenstein. Foto di Alessandro Amoruso. Officine Fotografiche Roma; [fig. 3] Celine Cougoule. Foto di Nazzareno Falcone. Officine Fotografiche Roma; [fig. 4] Cupola di San Pietro, luogo scelto da Jacques Ngomsi. Foto di Massimo Bottarelli. Officine Fotografiche Roma; [fig. 5] Wang Fang. Foto di Elda Occhinero. Officine Fotografiche Roma
Informazioni utili
Rhome. Sguardi e memorie migranti. Museo di Roma – Palazzo Braschi, piazza Navona, 2 – Roma. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00-21.00). Sito web: www.museodiroma.it. Fino al 30 marzo 2014.
lunedì 10 marzo 2014
Venezia, riapre al pubblico Palazzo Cini a San Vio
Giotto, Sandro Botticelli, Filippo Lippi, Piero di Cosimo, Guariento e Dosso Dossi: è un viaggio tra i pittori di area toscana e ferrarese quello che propone la collezione di Palazzo Cini a San Vio, casa-museo veneziana la cui riapertura è programmata per questa primavera, in occasione dei sessant’anni dell’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini.
Main partner dell’iniziativa, che prevede anche un’importante campagna di studio delle opere conservate e la pubblicazione di un catalogo generale per il 2015, è Assicurazioni Generali.
In attesa dell’evento, in agenda dal 24 maggio al 2 novembre, «la Fondazione Cini -spiega Luca Massimo Barbero, direttore dell'Istituto di storia dell'arte- ha iniziato dei lavori di miglioramento dell'illuminazione e conservazione dei dipinti, rendendo più agevole il percorso espositivo pur mantenendo la dimensione domestica, intima ed esclusiva della casa-museo. Inoltre, per promuovere la conoscenza di questi capolavori e per restituire la preziosità filologica delle opere custodite, sono stati coinvolti studiosi di arte antica di nuova generazione per l’analisi dei dipinti e degli oggetti che si trovano all’interno del palazzo». Con la riapertura di queste sale, la città avrà, dunque, l'opportunità di scoprire pregevoli dipinti del periodo tra il XIII e il XVI secolo e significativi esempi di arti applicate, ma anche di accedere, per almeno sei mesi l’anno, alla straordinaria residenza appartenuta a Vittorio Cini, che gli eredi hanno donato alla fondazione veneziana esattamente trent’anni fa e che è ubicata nel cosiddetto Museums mile, tra le Gallerie dell'Accademia, la Collezione Peggy Guggenheim e Punta della Dogana.
Nelle sale del primo piano nobile, arredate con mobili e oggetti d'arte che riflettono il carattere originario dell'abitazione e il gusto personale del suo proprietario, sono esposti una trentina di dipinti di scuola toscana, come «Il giudizio di Paride» di Sandro Botticelli e la «Madonna con il Bambino e due angeli» di Piero di Cosimo, donati da Yana Cini Alliata di Montereale alla fondazione nel 1984. Nelle stesse sale sono visibili anche una serie di dipinti rinascimentali di scuola ferrarese, concessi nel 1989 da Ylda Cini Guglielmi di Vulci, tra i quali si segnala il «San Giorgio» di Cosmè Tura. Non mancano in esposizione, poi, significativi esempi di arti applicate, come un servizio completo di porcellana della manifattura settecentesca veneziana dei Cozzi, placchette e cofanetti d'avorio della bottega degli Embriachi, smalti rinascimentali, oreficerie, sculture in terracotta, credenze, cassapanche di notevole importanza, tra le quali un raro cassone nuziale senese della metà del Trecento e una portantina napoletana del Settecento.
Una collezione, dunque, ricca e preziosa quella di Palazzo Cini della quale viene dato, in questi giorni, un piccolo assaggio nella mostra «Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della Maniera», in programma al Palazzo Strozzi di Firenze. All’interno dell’esposizione, curata da Carlo Falciani e Antonio Natali, si trova, infatti, il «Doppio ritratto di amici» del Pontormo, pregevole esempio di caratterizzazione psicologica dei personaggi, la cui raffinata tessitura materica è tutta giocata sulla trasparenza delle lacche.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Scala ovale di Palazzo Cini a San Vio, in Venezia, progettata da Tomaso Buzzi; [fig. 2] Pontormo (Jacopo Carucci; Pontorme, Empoli 1494-Firenze 1557), «Doppio ritratto di amici», 1523-1524. Olio su tavola e lacche. cm 88,2 x 68. Venezia, Fondazione Giorgio Cini; [fig. 3] Piero di Cosimo, «Madonna con il Bambino e due angeli», 1505-1510 circa. Olio su tavola, 116x85 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini
Informazioni utili
Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 – Venezia. Orari: ore 11.00–19.00, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18.15). Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Catalogo: disponibile in mostra guida breve (€ 4,00). Informazioni: info@cini.it. Sito web: www.cini.it. Dal 24 maggio al 2 novembre 2014.
Main partner dell’iniziativa, che prevede anche un’importante campagna di studio delle opere conservate e la pubblicazione di un catalogo generale per il 2015, è Assicurazioni Generali.
In attesa dell’evento, in agenda dal 24 maggio al 2 novembre, «la Fondazione Cini -spiega Luca Massimo Barbero, direttore dell'Istituto di storia dell'arte- ha iniziato dei lavori di miglioramento dell'illuminazione e conservazione dei dipinti, rendendo più agevole il percorso espositivo pur mantenendo la dimensione domestica, intima ed esclusiva della casa-museo. Inoltre, per promuovere la conoscenza di questi capolavori e per restituire la preziosità filologica delle opere custodite, sono stati coinvolti studiosi di arte antica di nuova generazione per l’analisi dei dipinti e degli oggetti che si trovano all’interno del palazzo». Con la riapertura di queste sale, la città avrà, dunque, l'opportunità di scoprire pregevoli dipinti del periodo tra il XIII e il XVI secolo e significativi esempi di arti applicate, ma anche di accedere, per almeno sei mesi l’anno, alla straordinaria residenza appartenuta a Vittorio Cini, che gli eredi hanno donato alla fondazione veneziana esattamente trent’anni fa e che è ubicata nel cosiddetto Museums mile, tra le Gallerie dell'Accademia, la Collezione Peggy Guggenheim e Punta della Dogana.
Nelle sale del primo piano nobile, arredate con mobili e oggetti d'arte che riflettono il carattere originario dell'abitazione e il gusto personale del suo proprietario, sono esposti una trentina di dipinti di scuola toscana, come «Il giudizio di Paride» di Sandro Botticelli e la «Madonna con il Bambino e due angeli» di Piero di Cosimo, donati da Yana Cini Alliata di Montereale alla fondazione nel 1984. Nelle stesse sale sono visibili anche una serie di dipinti rinascimentali di scuola ferrarese, concessi nel 1989 da Ylda Cini Guglielmi di Vulci, tra i quali si segnala il «San Giorgio» di Cosmè Tura. Non mancano in esposizione, poi, significativi esempi di arti applicate, come un servizio completo di porcellana della manifattura settecentesca veneziana dei Cozzi, placchette e cofanetti d'avorio della bottega degli Embriachi, smalti rinascimentali, oreficerie, sculture in terracotta, credenze, cassapanche di notevole importanza, tra le quali un raro cassone nuziale senese della metà del Trecento e una portantina napoletana del Settecento.
Una collezione, dunque, ricca e preziosa quella di Palazzo Cini della quale viene dato, in questi giorni, un piccolo assaggio nella mostra «Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della Maniera», in programma al Palazzo Strozzi di Firenze. All’interno dell’esposizione, curata da Carlo Falciani e Antonio Natali, si trova, infatti, il «Doppio ritratto di amici» del Pontormo, pregevole esempio di caratterizzazione psicologica dei personaggi, la cui raffinata tessitura materica è tutta giocata sulla trasparenza delle lacche.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Scala ovale di Palazzo Cini a San Vio, in Venezia, progettata da Tomaso Buzzi; [fig. 2] Pontormo (Jacopo Carucci; Pontorme, Empoli 1494-Firenze 1557), «Doppio ritratto di amici», 1523-1524. Olio su tavola e lacche. cm 88,2 x 68. Venezia, Fondazione Giorgio Cini; [fig. 3] Piero di Cosimo, «Madonna con il Bambino e due angeli», 1505-1510 circa. Olio su tavola, 116x85 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini
Informazioni utili
Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 – Venezia. Orari: ore 11.00–19.00, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18.15). Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Catalogo: disponibile in mostra guida breve (€ 4,00). Informazioni: info@cini.it. Sito web: www.cini.it. Dal 24 maggio al 2 novembre 2014.
giovedì 6 marzo 2014
Dai beni Unesco alla Fiera veneziana: tutta la cultura del Baden-Württemberg
Quattro beni per un viaggio in seimila anni di storia: si potrebbe riassumere con questa frase il ricco patrimonio Unesco del Baden-Württemberg, land nel sud-ovest della Germania, confinante con Francia e Svizzera, che offre una grande varietà di panorami e paesaggi, dagli incontaminati boschi della Foresta nera alla vivacissima Stoccarda, senza dimenticare il lago di Costanza. Ed è proprio su questo specchio lacustre, a Unteruhldingen, che è possibile vedere uno dei beni più carichi di storia della Germania: il Museo archeologico delle palafitte, tra i più grandi in Europa nel suo genere, con una ventina di case ricostruite dell’età della pietra e del bronzo (circa 4.000 – 850 a. C.), periodo nel quale un gruppo di agricoltori della regione si stabilì presso i laghi alpini e costruì i propri insediamenti direttamente sull’acqua, proteggendosi dall’umidità del suolo e dalle inondazioni con l’edificazione di abitazioni poggiate su pali.
Un altro patrimonio Unesco tedesco, ubicato sul lago di Costanza, è l’isola di Reichenau, oggi famosa per le sue coltivazioni di frutta e verdura e nell’VIII secolo nota per essere la sede di uno dei monasteri benedettini più importanti della Germania meridionale. La cattedrale di Santa Maria e di San Marco, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo e quella di San Giorgio sono i tre edifici romanici ancora visibili sull’isola, tutti costruiti tra il IX e il XII secolo, i cui preziosi affreschi murari raccontano il passato glorioso del luogo, che vide il primo insediamento abbaziale nel 724 ad opera del vescovo itinerante e abate benedettino San Pirmino.
Un altro monastero tedesco, dal 1993 tra i siti Unesco, è l’abbazia cistercense di Maulbronn, considerata uno tra i complessi monastici meglio conservati a nord delle Alpi. All’interno di questa costruzione, che ha fatto da scenario anche al film «Il nome della rosa», si trovano esempi di tutti gli stili architettonici del Medioevo, dal romanico al tardo-gotico, ma ad affascinare è soprattutto la profonda sensazione di pace e di sacralità che emanano le pietre di questo monastero, ammirato, tra gli altri, da Keplero, Hölderlin ed Herman Hesse.
A chiudere il percorso tra i beni Unesco del Baden-Württemberg è il Limes, uno dei monumenti archeologici più lunghi e impressionanti in Europa, ai quali è dedicato anche un museo ad Aalen, nella regione del Giura Svevo. Si tratta di un insieme di fortini, torri di guardia, mura e palizzate, estesi per oltre cinquecento chilometri e collocati sul confine dell’Impero romano, tra il Reno e il Danubio.
Ottima occasione per visitare questi quattro luoghi sono i festeggiamenti che, nel 2014, interesseranno il Ludwigsburg, uno dei castelli barocchi più grandi d'Europa, che, a partire dal 1704, il duca Eberhard Ludwig fece trasformare in quella che oggi viene chiamata «Versaille di Svevia». Nella cittadina, a pochi chilometri da Stoccarda, si stanno preparando due grandi eventi: l’annuale «Festival del Castello», la più antica e importante rassegna di musica classica della regione, e la «Fiera veneziana», che ogni due anni porta in Germania un pezzo della città lagunare.
Dal 15 maggio al 30 luglio, solisti, orchestre, strumentisti, cori e ballerini di fama internazionale daranno vita a più di settanta eventi in alcune delle location storiche più suggestive del land; cuore della manifestazione, nata nel 1932, sarà il concerto «Klassik Open Air» negli scenografici spazi del castello sul lago di Monrepos, uno degli altri castelli di Ludwigsburg. Dal 12 al 14 settembre, un mare colorato di maschere e costumi, acrobati, musicanti, danzatori e teatranti trasformeranno, invece, la città in un sogno veneziano. Gruppi di artisti nazionali e internazionali si esibiranno in ogni angolo della piazza, con performance teatrali, musicali e pirotecniche. Una festa per gli occhi sarà anche il suggestivo mercato dell’arte e dell’artigianato con oggettistica tipica della città lagunare: dalle maschere ai tessuti, dal vetro di Murano all’arte orafa. Una tradizione, questa fiera, giunta in Germania nel 1768 grazie al duca Carl Eugen, che, durante un viaggio nella città italiana, scoprì e subito si innamorò delle feste in maschera del tempo e pensò di importarle nella sua città, trasformando così la sua piazza del Mercato in piazza San Marco.
Per saperne di più
www.pfahlbauten.eu
www.reichenau.de
www.kloster-maulbronn.de
www.aalen-tourismus.de
www.schlossfestspiele.de
www.ludwigsburg.de
Didascalie delle immagini
[Fig.1 ] Ludwigsburg. Foto: Tourismus & Events Ludwigsburg; [fig. 2] Museo Palafitte Unteruhldingen. Foto: Tourismus-Marketing GmbH Baden-Württemberg; [fig.3] Abbazia cistercense di Maulbronn. Facciata esterna della chiesa
Informazioni utili
Ufficio turistico del Baden-Württemberg, Esslinger Straße 8 - 70182 Stoccarda (Germania), tel +49(0)7.11/23858-0, fax +49(0)7 11/23858-98, info@tourismus-bw.de. Sito internet: www.tourism-bw.com
Un altro patrimonio Unesco tedesco, ubicato sul lago di Costanza, è l’isola di Reichenau, oggi famosa per le sue coltivazioni di frutta e verdura e nell’VIII secolo nota per essere la sede di uno dei monasteri benedettini più importanti della Germania meridionale. La cattedrale di Santa Maria e di San Marco, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo e quella di San Giorgio sono i tre edifici romanici ancora visibili sull’isola, tutti costruiti tra il IX e il XII secolo, i cui preziosi affreschi murari raccontano il passato glorioso del luogo, che vide il primo insediamento abbaziale nel 724 ad opera del vescovo itinerante e abate benedettino San Pirmino.
Un altro monastero tedesco, dal 1993 tra i siti Unesco, è l’abbazia cistercense di Maulbronn, considerata uno tra i complessi monastici meglio conservati a nord delle Alpi. All’interno di questa costruzione, che ha fatto da scenario anche al film «Il nome della rosa», si trovano esempi di tutti gli stili architettonici del Medioevo, dal romanico al tardo-gotico, ma ad affascinare è soprattutto la profonda sensazione di pace e di sacralità che emanano le pietre di questo monastero, ammirato, tra gli altri, da Keplero, Hölderlin ed Herman Hesse.
A chiudere il percorso tra i beni Unesco del Baden-Württemberg è il Limes, uno dei monumenti archeologici più lunghi e impressionanti in Europa, ai quali è dedicato anche un museo ad Aalen, nella regione del Giura Svevo. Si tratta di un insieme di fortini, torri di guardia, mura e palizzate, estesi per oltre cinquecento chilometri e collocati sul confine dell’Impero romano, tra il Reno e il Danubio.
Ottima occasione per visitare questi quattro luoghi sono i festeggiamenti che, nel 2014, interesseranno il Ludwigsburg, uno dei castelli barocchi più grandi d'Europa, che, a partire dal 1704, il duca Eberhard Ludwig fece trasformare in quella che oggi viene chiamata «Versaille di Svevia». Nella cittadina, a pochi chilometri da Stoccarda, si stanno preparando due grandi eventi: l’annuale «Festival del Castello», la più antica e importante rassegna di musica classica della regione, e la «Fiera veneziana», che ogni due anni porta in Germania un pezzo della città lagunare.
Dal 15 maggio al 30 luglio, solisti, orchestre, strumentisti, cori e ballerini di fama internazionale daranno vita a più di settanta eventi in alcune delle location storiche più suggestive del land; cuore della manifestazione, nata nel 1932, sarà il concerto «Klassik Open Air» negli scenografici spazi del castello sul lago di Monrepos, uno degli altri castelli di Ludwigsburg. Dal 12 al 14 settembre, un mare colorato di maschere e costumi, acrobati, musicanti, danzatori e teatranti trasformeranno, invece, la città in un sogno veneziano. Gruppi di artisti nazionali e internazionali si esibiranno in ogni angolo della piazza, con performance teatrali, musicali e pirotecniche. Una festa per gli occhi sarà anche il suggestivo mercato dell’arte e dell’artigianato con oggettistica tipica della città lagunare: dalle maschere ai tessuti, dal vetro di Murano all’arte orafa. Una tradizione, questa fiera, giunta in Germania nel 1768 grazie al duca Carl Eugen, che, durante un viaggio nella città italiana, scoprì e subito si innamorò delle feste in maschera del tempo e pensò di importarle nella sua città, trasformando così la sua piazza del Mercato in piazza San Marco.
Per saperne di più
www.pfahlbauten.eu
www.reichenau.de
www.kloster-maulbronn.de
www.aalen-tourismus.de
www.schlossfestspiele.de
www.ludwigsburg.de
Didascalie delle immagini
[Fig.1 ] Ludwigsburg. Foto: Tourismus & Events Ludwigsburg; [fig. 2] Museo Palafitte Unteruhldingen. Foto: Tourismus-Marketing GmbH Baden-Württemberg; [fig.3] Abbazia cistercense di Maulbronn. Facciata esterna della chiesa
Informazioni utili
Ufficio turistico del Baden-Württemberg, Esslinger Straße 8 - 70182 Stoccarda (Germania), tel +49(0)7.11/23858-0, fax +49(0)7 11/23858-98, info@tourismus-bw.de. Sito internet: www.tourism-bw.com
mercoledì 5 marzo 2014
Trasferta veneziana per «Lo schermo dell’arte»
Si apre con un omaggio al pittore iraniano Bahman Mohassess, la cui arte provocatoria ed eccentrica è stata paragonata a quella di Francis Bacon, la trasferta veneziana del film festival «Lo schermo dell’arte», progetto nato a Firenze nel 2008 con l’intento di esplorare, analizzare e promuovere le relazioni tra cinema e creatività contemporanea. Giovedì 6 marzo, alle ore 18, il teatrino di Palazzo Grassi ospiterà, infatti, il lungometraggio «Fifi Howls From Happiness», girato nel 2013 dalla pittrice e film-maker Mitra Farahani, nel quale si raccontano gli ultimi due mesi di vita di Bahman Mohassess, artista poco conosciuto nel nostro Paese, scomparso dall’Iran negli anni Sessanta e ritrovato dalla regista a Roma nel 2010, due mesi prima della morte, che, con spirito iconoclasta, ha distrutto la quasi totalità della sua produzione artistica.
Nove in tutto i film in agenda, a ingresso gratuito e in versione originale (con i sottotitoli in italiano), che, fino a domenica 9 marzo, animeranno il teatrino di Palazzo Grassi, mille metri quadrati composti da un auditorium con una capacità di duecentoventicinque posti, completo di due spazi di foyer e di aree tecniche -camerini, sala regia, cabina per la traduzione simultanea-, restituito da François Pinault alla città nella tarda primavera del 2013, dopo un progetto di restauro dai tratti minimalisti firmato dall’architetto giapponese Tadao Ando in stretto dialogo con la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Venezia.
Dopo l’omaggio a Bahman Mohassess, nel pomeriggio di venerdì 7 marzo (alle ore 18), si accenderanno i riflettori su Sol Lewitt con il film scritto e diretto dall’olandese Chris Teerink, vincitore del «Prix du meilleur portrait» al Montreal film festival del 2013 e del «Filaf d’or» al Festival International du livre d’art & du film di Perpignan dello stesso anno. Il lungometraggio -già presentato in Italia nell’ambito dell’«Artecinema» di Napoli e al Centro Pecci, nelle due sedi di Prato e di Milano- indaga la forza comunicativa del linguaggio concettuale che l’artista americano ha espresso con i suoi noti wall drawings, come quelli per la Cupola del Bonnefanten Museum di Maastricht, attraverso interviste ad amici e colleghi come Jan Dibbets, Lawrence Weiner e il falegname Fausto Scaramucci, che ha lavorato con Sol Lewitt alla produzione delle strutture bianche per la serie delle «Complex Forms».
Sul grande schermo del teatrino di Palazzo Grassi sarà, dunque, protagonista il film «Open Field–Gabriel Orozco» (venerdì 7 marzo, ore 19.30) che il regista Juan Carlos Martin ha tratto da dieci anni di registrazioni sul lavoro dell’ artista messicano, consacrato dalle recenti retrospettive allestite, tra il 2009 e il 2011 al MoMA di New York, al Centre Pompidou di Parigi e alla Tate Modern di Londra, come uno dei più importanti della sua generazione. Toccherà, poi, alla proiezione del film «Black Drop» di Simon Starling (venerdì 7 marzo, ore 20.45), in cui l’artista britannico ricostruisce le relazioni fra cinema e ricerche astronomiche attraverso le osservazioni dei transiti di Venere sul Sole, soffermandosi in particolare sulla nascita del revolver fotografico di Pierre Jules César Janssen (1874) e sulla sua influenza sul fucile fotografico di Etienne Jules Marey e sul cinematografo dei fratelli Lumière.
Ad aprire il programma del terzo giorno di proiezioni sarà, invece, il film «Sculpture: Constantin Brancusi» (sabato 8 marzo, ore 18) di Alain Fleischer, fondatore e direttore di Le Fresnoy- Studio national des arts contemporaines. Nel documentario, straordinarie vedute d'insieme dello studio dell'artista, riallestito nel 1997 dall'architetto Renzo Piano in un padiglione adiacente il Centre Pompidou di Parigi, si accompagnano a fotografie e filmati realizzati dallo stesso Constantin Brancusi, tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, con l’intento di documentare il proprio lavoro. Si terrà, quindi, la proiezione del film «Meeting With Olafur Eliasson» (sabato 8 marzo, ore 18.30), girato dal brasiliano Marco Del Fiol durante l’installazione della prima personale in America Latina dell’artista islando-danese. Mentre le sorelle inglesi Jane e Louise Wilson proporranno il loro film «The Toxic Camera» (sabato 8 marzo, ore 19.00), che tratta delle irreversibili conseguenze delle radiazioni causate dal disastro nucleare di Chernobyl. A chiudere la serata di proiezioni sarà il lungometraggio «Restricted Sensation» (sabato 8 marzo, ore 19.30), ambientato nella Lituania sovietica degli anni Settanta, nel quale lo scultore Deimantas Narkevicius, al suo primo film a soggetto, racconta dell’intolleranza del regime contro intellettuali e omosessuali.
Ultima tappa della trasferta veneziana del festival «Lo schermo dell’arte» sarà la proiezione di «Memories of Origin-Hiroshi Sugimoto» (domenica 9 marzo, ore 17.00), film di Yuko Nakamura sul fotografo giapponese che, proprio in occasione dell’edizione 2013 della manifestazione toscana, ha ripreso, dopo quindici anni nei quali non vi aveva più lavorato, la sua celebre serie dei «Theaters», immortalando la sala Liberty del cinema Odeon. Un appuntamento, dunque, da non perdere quello di Palazzo Grassi per conoscere grandi protagonisti della contemporaneità come Gabriel Orozco e Olafur Eliasson attraverso il linguaggio sempre affascinante del documentario e del cinema d’arte.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Un frame del film «Memories of Origin. Hiroshi Sugimoto» di Yuko Nakamura; [fig. 2] Un frame del film «Black Drop» di Simon Starling. Cortesy dell'artista e di Neugerriemschneider, Berlin; [fig. 3] Un frame del film «Fifi Howls From Happiness» di Mitra Farahani; [fig. 4] Un frame del film su Sol Lewitt, scritto e diretto dall’olandese Chris Teerink,
Informazioni utili
«Lo schermo dell’arte». Teatrino di Palazzo Grassi, San Marco 3260 – Venezia. Ingresso libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Informazioni: www.schermodellarte.org o www.palazzograssi.it. Da giovedì 6 a domenica 9 marzo 2014.
Nove in tutto i film in agenda, a ingresso gratuito e in versione originale (con i sottotitoli in italiano), che, fino a domenica 9 marzo, animeranno il teatrino di Palazzo Grassi, mille metri quadrati composti da un auditorium con una capacità di duecentoventicinque posti, completo di due spazi di foyer e di aree tecniche -camerini, sala regia, cabina per la traduzione simultanea-, restituito da François Pinault alla città nella tarda primavera del 2013, dopo un progetto di restauro dai tratti minimalisti firmato dall’architetto giapponese Tadao Ando in stretto dialogo con la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Venezia.
Dopo l’omaggio a Bahman Mohassess, nel pomeriggio di venerdì 7 marzo (alle ore 18), si accenderanno i riflettori su Sol Lewitt con il film scritto e diretto dall’olandese Chris Teerink, vincitore del «Prix du meilleur portrait» al Montreal film festival del 2013 e del «Filaf d’or» al Festival International du livre d’art & du film di Perpignan dello stesso anno. Il lungometraggio -già presentato in Italia nell’ambito dell’«Artecinema» di Napoli e al Centro Pecci, nelle due sedi di Prato e di Milano- indaga la forza comunicativa del linguaggio concettuale che l’artista americano ha espresso con i suoi noti wall drawings, come quelli per la Cupola del Bonnefanten Museum di Maastricht, attraverso interviste ad amici e colleghi come Jan Dibbets, Lawrence Weiner e il falegname Fausto Scaramucci, che ha lavorato con Sol Lewitt alla produzione delle strutture bianche per la serie delle «Complex Forms».
Sul grande schermo del teatrino di Palazzo Grassi sarà, dunque, protagonista il film «Open Field–Gabriel Orozco» (venerdì 7 marzo, ore 19.30) che il regista Juan Carlos Martin ha tratto da dieci anni di registrazioni sul lavoro dell’ artista messicano, consacrato dalle recenti retrospettive allestite, tra il 2009 e il 2011 al MoMA di New York, al Centre Pompidou di Parigi e alla Tate Modern di Londra, come uno dei più importanti della sua generazione. Toccherà, poi, alla proiezione del film «Black Drop» di Simon Starling (venerdì 7 marzo, ore 20.45), in cui l’artista britannico ricostruisce le relazioni fra cinema e ricerche astronomiche attraverso le osservazioni dei transiti di Venere sul Sole, soffermandosi in particolare sulla nascita del revolver fotografico di Pierre Jules César Janssen (1874) e sulla sua influenza sul fucile fotografico di Etienne Jules Marey e sul cinematografo dei fratelli Lumière.
Ad aprire il programma del terzo giorno di proiezioni sarà, invece, il film «Sculpture: Constantin Brancusi» (sabato 8 marzo, ore 18) di Alain Fleischer, fondatore e direttore di Le Fresnoy- Studio national des arts contemporaines. Nel documentario, straordinarie vedute d'insieme dello studio dell'artista, riallestito nel 1997 dall'architetto Renzo Piano in un padiglione adiacente il Centre Pompidou di Parigi, si accompagnano a fotografie e filmati realizzati dallo stesso Constantin Brancusi, tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, con l’intento di documentare il proprio lavoro. Si terrà, quindi, la proiezione del film «Meeting With Olafur Eliasson» (sabato 8 marzo, ore 18.30), girato dal brasiliano Marco Del Fiol durante l’installazione della prima personale in America Latina dell’artista islando-danese. Mentre le sorelle inglesi Jane e Louise Wilson proporranno il loro film «The Toxic Camera» (sabato 8 marzo, ore 19.00), che tratta delle irreversibili conseguenze delle radiazioni causate dal disastro nucleare di Chernobyl. A chiudere la serata di proiezioni sarà il lungometraggio «Restricted Sensation» (sabato 8 marzo, ore 19.30), ambientato nella Lituania sovietica degli anni Settanta, nel quale lo scultore Deimantas Narkevicius, al suo primo film a soggetto, racconta dell’intolleranza del regime contro intellettuali e omosessuali.
Ultima tappa della trasferta veneziana del festival «Lo schermo dell’arte» sarà la proiezione di «Memories of Origin-Hiroshi Sugimoto» (domenica 9 marzo, ore 17.00), film di Yuko Nakamura sul fotografo giapponese che, proprio in occasione dell’edizione 2013 della manifestazione toscana, ha ripreso, dopo quindici anni nei quali non vi aveva più lavorato, la sua celebre serie dei «Theaters», immortalando la sala Liberty del cinema Odeon. Un appuntamento, dunque, da non perdere quello di Palazzo Grassi per conoscere grandi protagonisti della contemporaneità come Gabriel Orozco e Olafur Eliasson attraverso il linguaggio sempre affascinante del documentario e del cinema d’arte.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Un frame del film «Memories of Origin. Hiroshi Sugimoto» di Yuko Nakamura; [fig. 2] Un frame del film «Black Drop» di Simon Starling. Cortesy dell'artista e di Neugerriemschneider, Berlin; [fig. 3] Un frame del film «Fifi Howls From Happiness» di Mitra Farahani; [fig. 4] Un frame del film su Sol Lewitt, scritto e diretto dall’olandese Chris Teerink,
Informazioni utili
«Lo schermo dell’arte». Teatrino di Palazzo Grassi, San Marco 3260 – Venezia. Ingresso libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Informazioni: www.schermodellarte.org o www.palazzograssi.it. Da giovedì 6 a domenica 9 marzo 2014.
martedì 4 marzo 2014
Una fiaba in uno scatto: un concorso per fotografi al premio Andersen
Un click, uno solo e ben riuscito, per dare forma alle parole senza tempo di Hans Christian Andersen: è questo il senso di «Scatti da favola», la prima edizione del concorso fotografico nato in seno al Premio Andersen - Baia delle favole, promosso dal Comune di Sestri Levante e da Artificio 23, con il patrocinio e il sostegno, tra gli altri, del Ministero per il Beni e le Attività culturali.
«La principessa sul pisello», «La sirenetta», «Il brutto anatroccolo», «Le scarpette rosse», «La piccola fiammiferaia» e «I vestiti nuovi dell’imperatore» sono le sei storie che fotografi professionisti e amatori potranno reinterpretare con la propria creatività.
Le iscrizioni al concorso, gratuito e aperto a persone di qualsiasi nazionalità ed età, rimarranno aperte fino al 30 aprile. Per partecipare è necessario pubblicare sul sito www.andersepremio.it una o più fotografie (fino a un massimo di quattro, in formato jpeg o tiff e con dimensioni massime pari a 2500 pixel sul lato maggiore e 1600 sul lato minore). Le immagini dovranno contenere, nella didascalia, titolo, nome dell’autore e titolo della fiaba di ispirazione.
Vanità, amore, bellezza, bruttezza, bontà d’animo, povertà, lusso, affetti e dispetti in famiglia sono solo alcuni dei temi dai quali trarre spunto per comporre il proprio scatto. A fare la differenza tra un’immagine e l’altra sarà non solo l’abilità tecnica, ma anche la capacità di sintesi, l’idea di raccontare una storia con un solo click.
«La vita quotidiana, il lavoro, la famiglia, gli amici, i vicini di casa e ciò che accade in strada – raccontano gli organizzatori del premio- sono fonti inesauribili di scenari coloriti, a saperli cogliere, così come lo è la cronaca sui giornali». Non a caso «Il Secolo XIX» è media partner dell’iniziativa e fra i giurati compare Stefano Rolli, che ogni giorno disegna la vignetta della prima pagina del giornale. In giuria ci sono altre personalità del «racconto per immagini» come Giorgio Bergami, che ha lavorato come fotoreporter per Sandro Pertini a «Il Lavoro» e che per l’Agenzia Publifoto ha immortalato personaggi come Liz Taylor e Maria Callas, Alberto Terrile fotografo creativo attivo nel campo dello spettacolo e della pubblicità, Mario Benvenuto, art director dell’agenzia «Supervisione», e Roberto Montanari, fondatore di «Carpe Diem» e del festival «Una penisola di luce» di Sestri Levante.
Ma che cosa cercheranno i giurati tra le fotografie in concorso? Qual è il quid che farà la differenza tra uno scatto e un altro? La capacità di rappresentare non solo il vissuto narrativo, ma anche quello emozionale delle fiabe. «Oggi l'immagine – raccontano gli organizzatori- appare, infatti, non come un sostituto della parola ma come una sua integrazione, talvolta anche imprescindibile, che carica di ironia, sarcasmo o malinconia e spessore ciò che si legge: può esserne la chiave interpretativa».
Le selezioni avranno inizio il 2 maggio; le trenta migliori fotografie che verranno pubblicate sulle pagine del quotidiano «Il Secolo XIX» e le dieci finaliste saranno messe on-line su sito www.ilsecoloxix.it e sul profilo Facebook del Premio H.C. Andersen. A vincere saranno le tre foto più votate, cioè quelle che riceveranno il maggior numero di like da parte del pubblico. Medici senza frontiere. Saranno, inoltre, possibili menzioni speciali e riconoscimenti indetti dalla giuria.
L’autore dello scatto che otterrà il maggior numero di preferenze sarà ospite del festival, a Sestri Levante; il secondo e terzo classificato saranno premiati da
Detto questo, avete in mente un’immagine di successo per raccontare le vicende del brutto anatroccolo o le disavventure della piccola fiammiferaia? Non vi resta che prendere la vostra macchina fotografica e fare lo scatto che varrà un premio.
Vedi anche
Premio Andersen – Baia delle favole, un concorso per fiabe inedite
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine promozionale dello spettacolo «Le scarpette rosse», per la regia di Leonardo Pischedda; [fig. 2] Ritratto di Stefano Rolli, uno dei giurati del premio; [fig. 3] Ritratto di Alberto Terrile, uno dei giurati del premio
Informazioni utili
Premio Andersen - Scatti da favola. Quota di iscrizione: nessuna. Data di consegna materiali: 30 aprile aprile 2014. Indirizzo per la consegna dei materiali Sito web: www.andersenpremio.it. Informazioni: Segreteria del concorso: informagiovani@comune.sestri-levante.ge.it e andersen@comune.sestri-levante.ge.it; tel. 0185.458490 (lunedì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-17.00; mercoledì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-17.00; venerdì, ore 9.00/13.00).
«La principessa sul pisello», «La sirenetta», «Il brutto anatroccolo», «Le scarpette rosse», «La piccola fiammiferaia» e «I vestiti nuovi dell’imperatore» sono le sei storie che fotografi professionisti e amatori potranno reinterpretare con la propria creatività.
Le iscrizioni al concorso, gratuito e aperto a persone di qualsiasi nazionalità ed età, rimarranno aperte fino al 30 aprile. Per partecipare è necessario pubblicare sul sito www.andersepremio.it una o più fotografie (fino a un massimo di quattro, in formato jpeg o tiff e con dimensioni massime pari a 2500 pixel sul lato maggiore e 1600 sul lato minore). Le immagini dovranno contenere, nella didascalia, titolo, nome dell’autore e titolo della fiaba di ispirazione.
Vanità, amore, bellezza, bruttezza, bontà d’animo, povertà, lusso, affetti e dispetti in famiglia sono solo alcuni dei temi dai quali trarre spunto per comporre il proprio scatto. A fare la differenza tra un’immagine e l’altra sarà non solo l’abilità tecnica, ma anche la capacità di sintesi, l’idea di raccontare una storia con un solo click.
«La vita quotidiana, il lavoro, la famiglia, gli amici, i vicini di casa e ciò che accade in strada – raccontano gli organizzatori del premio- sono fonti inesauribili di scenari coloriti, a saperli cogliere, così come lo è la cronaca sui giornali». Non a caso «Il Secolo XIX» è media partner dell’iniziativa e fra i giurati compare Stefano Rolli, che ogni giorno disegna la vignetta della prima pagina del giornale. In giuria ci sono altre personalità del «racconto per immagini» come Giorgio Bergami, che ha lavorato come fotoreporter per Sandro Pertini a «Il Lavoro» e che per l’Agenzia Publifoto ha immortalato personaggi come Liz Taylor e Maria Callas, Alberto Terrile fotografo creativo attivo nel campo dello spettacolo e della pubblicità, Mario Benvenuto, art director dell’agenzia «Supervisione», e Roberto Montanari, fondatore di «Carpe Diem» e del festival «Una penisola di luce» di Sestri Levante.
Ma che cosa cercheranno i giurati tra le fotografie in concorso? Qual è il quid che farà la differenza tra uno scatto e un altro? La capacità di rappresentare non solo il vissuto narrativo, ma anche quello emozionale delle fiabe. «Oggi l'immagine – raccontano gli organizzatori- appare, infatti, non come un sostituto della parola ma come una sua integrazione, talvolta anche imprescindibile, che carica di ironia, sarcasmo o malinconia e spessore ciò che si legge: può esserne la chiave interpretativa».
Le selezioni avranno inizio il 2 maggio; le trenta migliori fotografie che verranno pubblicate sulle pagine del quotidiano «Il Secolo XIX» e le dieci finaliste saranno messe on-line su sito www.ilsecoloxix.it e sul profilo Facebook del Premio H.C. Andersen. A vincere saranno le tre foto più votate, cioè quelle che riceveranno il maggior numero di like da parte del pubblico. Medici senza frontiere. Saranno, inoltre, possibili menzioni speciali e riconoscimenti indetti dalla giuria.
L’autore dello scatto che otterrà il maggior numero di preferenze sarà ospite del festival, a Sestri Levante; il secondo e terzo classificato saranno premiati da
Detto questo, avete in mente un’immagine di successo per raccontare le vicende del brutto anatroccolo o le disavventure della piccola fiammiferaia? Non vi resta che prendere la vostra macchina fotografica e fare lo scatto che varrà un premio.
Vedi anche
Premio Andersen – Baia delle favole, un concorso per fiabe inedite
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine promozionale dello spettacolo «Le scarpette rosse», per la regia di Leonardo Pischedda; [fig. 2] Ritratto di Stefano Rolli, uno dei giurati del premio; [fig. 3] Ritratto di Alberto Terrile, uno dei giurati del premio
Informazioni utili
Premio Andersen - Scatti da favola. Quota di iscrizione: nessuna. Data di consegna materiali: 30 aprile aprile 2014. Indirizzo per la consegna dei materiali Sito web: www.andersenpremio.it. Informazioni: Segreteria del concorso: informagiovani@comune.sestri-levante.ge.it e andersen@comune.sestri-levante.ge.it; tel. 0185.458490 (lunedì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-17.00; mercoledì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-17.00; venerdì, ore 9.00/13.00).
venerdì 21 febbraio 2014
Verona, grandi novità a Palazzo della Ragione
È partito a Verona il conto alla rovescia per la riapertura al pubblico internazionale di uno dei luoghi simbolo della città: Palazzo della Ragione. Dalla prossima primavera lo storico complesso, ubicato sopra i resti del foro romano e frutto di una stratificazione pluricentenaria, sarà, infatti, di nuovo fruibile dai veronesi e dai turisti stranieri che giungono in città attratti dalla lirica nella sua veste di edificio storico, ma anche come nuova sede della Galleria d’arte moderna «Achille Forti». Questa riapertura al pubblico, che avviene sotto la supervisione di Luca Massimo Barbero, neo-direttore dell’Istituto di Storia dell’arte della Fondazione Cini di Venezia, è frutto di un’importante sinergia tra il Comune di Verona, la Fondazione Cariverona, e la sua altra realtà legata alla cultura e alle arti, la Fondazione Domus.
Palazzo della Ragione fu uno dei primi edifici in Italia a essere adibito a funzioni pubbliche e a essere utilizzato come sede del principale organo giudiziario della città. Nella seconda metà dell’Ottocento, l’edificio divenne anche sede della prestigiosa Accademia di belle arti «Giambettino Cignaroli», come documenta l’affresco di Giovanni Bevilacqua presente nella lunetta che sovrasta il portale alla sommità della scala, e che ritrae «Verona e le arti».
Dalla primavera 2014 la celebre costruzione veneta inizia una nuova vita e diventa un luogo d’architettura completamente visitabile con un solo biglietto di ingresso.
Pur mantenendo l’accesso da via della Costa, Palazzo della Ragione si arricchisce di una nuova entrata attraverso la suggestiva e monumentale Scala della Ragione, un gioiello tardogotico in marmo rosso veronese, vero e proprio perno del cortile del Mercato vecchio. A questo nuovo accesso farà seguito un passaggio attraverso una bussola coperta che condurrà il pubblico direttamente nella prima sala al piano nobile dell'edificio, caratterizzata dal visibile innesto della base della Torre dei Lamberti, cardine di tutto il complesso architettonico e punto di riferimento visivo del centro cittadino.
Le importanti opere della galleria «Achille Forti», unitamente a quelle delle fondazioni Cariverona e Domus, verranno esposte in una selezione che rappresenta le raccolte cittadine dal 1840 al 1940.
«Sarà interessante -racconta Luca Massimo Barbero, che sta creando il percorso espositivo- scoprire il grande ed enigmatico Risorgimento veronese attraverso la «Meditazione» di Francesco Hayez o ritrovare emblemi della città come il bronzo del «Dante» di Ugo Zannoni che rimanda direttamente alla storia di Verona. Altrettanto straordinario sarà, quindi, salutare la nascita del ventesimo secolo attraverso «Le bagnanti» di Giorgio Morandi o l’arrivo di Felice Casorati a Verona con l’entusiasmo della città per le secessioni veneziane. Stupirà il grande pubblico la sorprendente qualità degli autori cittadini degli anni Venti e Trenta del Novecento che dialogano con le esperienze d’avanguardia o, in chiusura di questo percorso, uno dei capolavori di Arturo Martini come la «Donna che nuota sott’acqua», e lo straordinario «Cavaliere» di Marino Marini che rimanda idealmente alla seconda parte del Ventesimo secolo».
Gino Rossi, Arturo Martini, Umberto Boccioni e Giorgio Morandi sono altri autori in mostra nelle monumentali sale dell'edificio veronese, struttura che, con questa riapertura, diventa -si legge nella presentazione- «non solo un palazzo dell’arte e della storia di Verona, ma anche del collezionismo, dei suoi mecenati, e degli artisti che con questa città hanno avuto una storia, un racconto e un rapporto».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Scala della Ragione in Palazzo della Ragione a Verona. Foto: Lorenzo Ceretta; [figg. 2 e 3] Torre dei Lamberti in Palazzo della Ragione a Verona. Foto: Lorenzo Ceretta
Informazioni utili
Palazzo della Ragione – Galleria d’arte moderna Achille Forti, Corte Mercato Vecchio - Verona, tel. 045.8001903 o info@palazzodellaragioneverona.it. Sito internet: www.palazzodellaragioneverona.it.
Palazzo della Ragione fu uno dei primi edifici in Italia a essere adibito a funzioni pubbliche e a essere utilizzato come sede del principale organo giudiziario della città. Nella seconda metà dell’Ottocento, l’edificio divenne anche sede della prestigiosa Accademia di belle arti «Giambettino Cignaroli», come documenta l’affresco di Giovanni Bevilacqua presente nella lunetta che sovrasta il portale alla sommità della scala, e che ritrae «Verona e le arti».
Dalla primavera 2014 la celebre costruzione veneta inizia una nuova vita e diventa un luogo d’architettura completamente visitabile con un solo biglietto di ingresso.
Pur mantenendo l’accesso da via della Costa, Palazzo della Ragione si arricchisce di una nuova entrata attraverso la suggestiva e monumentale Scala della Ragione, un gioiello tardogotico in marmo rosso veronese, vero e proprio perno del cortile del Mercato vecchio. A questo nuovo accesso farà seguito un passaggio attraverso una bussola coperta che condurrà il pubblico direttamente nella prima sala al piano nobile dell'edificio, caratterizzata dal visibile innesto della base della Torre dei Lamberti, cardine di tutto il complesso architettonico e punto di riferimento visivo del centro cittadino.
Le importanti opere della galleria «Achille Forti», unitamente a quelle delle fondazioni Cariverona e Domus, verranno esposte in una selezione che rappresenta le raccolte cittadine dal 1840 al 1940.
«Sarà interessante -racconta Luca Massimo Barbero, che sta creando il percorso espositivo- scoprire il grande ed enigmatico Risorgimento veronese attraverso la «Meditazione» di Francesco Hayez o ritrovare emblemi della città come il bronzo del «Dante» di Ugo Zannoni che rimanda direttamente alla storia di Verona. Altrettanto straordinario sarà, quindi, salutare la nascita del ventesimo secolo attraverso «Le bagnanti» di Giorgio Morandi o l’arrivo di Felice Casorati a Verona con l’entusiasmo della città per le secessioni veneziane. Stupirà il grande pubblico la sorprendente qualità degli autori cittadini degli anni Venti e Trenta del Novecento che dialogano con le esperienze d’avanguardia o, in chiusura di questo percorso, uno dei capolavori di Arturo Martini come la «Donna che nuota sott’acqua», e lo straordinario «Cavaliere» di Marino Marini che rimanda idealmente alla seconda parte del Ventesimo secolo».
Gino Rossi, Arturo Martini, Umberto Boccioni e Giorgio Morandi sono altri autori in mostra nelle monumentali sale dell'edificio veronese, struttura che, con questa riapertura, diventa -si legge nella presentazione- «non solo un palazzo dell’arte e della storia di Verona, ma anche del collezionismo, dei suoi mecenati, e degli artisti che con questa città hanno avuto una storia, un racconto e un rapporto».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Scala della Ragione in Palazzo della Ragione a Verona. Foto: Lorenzo Ceretta; [figg. 2 e 3] Torre dei Lamberti in Palazzo della Ragione a Verona. Foto: Lorenzo Ceretta
Informazioni utili
Palazzo della Ragione – Galleria d’arte moderna Achille Forti, Corte Mercato Vecchio - Verona, tel. 045.8001903 o info@palazzodellaragioneverona.it. Sito internet: www.palazzodellaragioneverona.it.
giovedì 20 febbraio 2014
Primal Energy e Corto biellese: due concorsi per under 35
«Tracce - Viaggio fra le connessioni della storia, alla ricerca di materiali, tecniche e simboli del passato nei nuovi linguaggi delle arti contemporanee» è il tema scelto come filo conduttore del concorso, le cui iscrizioni rimarranno aperte fino al 28 febbraio.
È possibile partecipare al premio come artisti e curatori singoli, ma anche (ed è la prima volta in Italia) in coppia, proponendo un progetto culturale già completo.
A selezionare le idee espositive pervenute alla segreteria della Gad Art Factory di Grosseto sarà una giuria di alto livello, composta da Anna Maria Petrioli Tofani, Carlo Sisi, Enrico Colle, Daniele Cariani, Ilaria Magi, Flavio Renzetti, Franco Repetto e Alessandra Barberini.
La mostra dedicata ai finalisti -venti artisti, accompagnati da altrettanti curatori- sarà ospitata alla Polveriera Guzman di Orbetello nella primavera 2014. Al termine della rassegna, saranno decretati i vincitori del primo premio assoluto (artista e curatore in coppia), ai quali andrà, tra l’altro, un premio pecuniario di mille euro (quale contributo per la realizzazione di un progetto inedito da presentare nel luglio 2014) e una residenza artistica di cinque giorni in Maremma.In questa occasione, verranno, inoltre, scelti altri quattro progetti ai quali sarà dedicata una mostra-evento, in programma sempre alla Guzman nell’estate 2014.
Agli artisti under 35 è dedicato anche il concorso «Bi global vision», inserito nell’edizione 2013 del «Corto biellese» e nell’ambito del progetto «St.of.fa. Stories of fashion». A promuovere il premio, le cui iscrizioni sono aperte fino al 7 marzo, sono varie realtà della città di Biella: il Centro di documentazione della Camera del lavoro, l'Unione industriale, la Camera di Commercio, la Camera del lavoro e la Fondazione Cassa di risparmio, con il patrocinio della Regione Piemonte e con il sostegno, tra gli altri, della Fondazione Pistoletto.
Il concorso, che prevede vari premi in denaro dai 5000 ai 500 euro, ricerca opere audiovisive (di massimo 3 minuti) e reportage fotografici (di non più di trenta immagini) tesi a raccontare, promuovere e valorizzare i caratteri peculiari socio-economici e storico-culturali del distretto biellese tessile e moda.
L'archeologia industriale, la cultura del manufattiero e la storia di brand che hanno fatto successo in Italia e all'estero sono alcune delle tematiche al centro di «Corto biellese». Il concorso si propone, infatti, di raccontare le profonde trasformazioni che, in questi anni di crisi strutturale e globale, stanno interessando e investendo tutti i gangli della società e del paesaggio fisico e culturale. Accanto a segni di declino di un modello produttivo che ha permeato per decenni l'intero territorio, si affacciano fenomeni ed esperienze che esprimono in forme innovative e creative visioni, progetti, strategie, nuovi lavori, imprese che non solo reggono all'avversa congiuntura ma stanno gettando le basi di un nuova armatura territoriale produttiva e culturale sostenibile. Da sempre il Biellese è conosciuto nel mondo come sinonimo di eccellenza, testimoniata sia dai grandi marchi sia dai piccoli produttori che hanno esportato le loro conoscenze e la loro creatività. Ed è questa sfaccettata realtà quella che devono raccontare gli iscritti al premio, puntando sulla sensibilità dello loro sguardo e sulla freschezza di linguaggi espressivi come la fotografia e il video.
Informazioni utili
Premio Primal Energy. Ente banditore: Gad Art Factory. Data ultima di consegna: 28 febbraio 2014. Quota di iscrizione: € 60,00 per gli artisti, € 50,00 per i curatori ((Associazione culturale GAD - IBAN IT 02 V 02008 14302 000101306006 - Causale: Iscrizione premio 2013 + nome e cognome partecipante). Bando scaricabile al link www.gadartfactory.it/PREMIO_2014.pdf. Informazioni e consegna materiali: Gad Art Factory, via Giordania, 227 - 58100 Grosseto, tel. +39.348.6550527 o +39.349.7583539, info@primalenergy.it. Sito Web: www.gadartfactory.it.
Corto biellese. Ente banditore: Centro di documentazione della Camera del lavoro di Biella, Unione industriale di Biella, Camera di Commercio di Biella, Camera del lavoro di Biella e Fondazione Cassa di risparmio di Biella. Data ultima consegna: 7 marzo 2014. Quota di iscrizione: nessuna. Informazioni e consegna materiali: www.cortobiellese.it.
mercoledì 19 febbraio 2014
«Un merletto per Venezia», un concorso per raccontare la pace
Inseparabilmente legata al costume e alla storia della laguna veneta e in particolare dell’isola di Burano, l’antica arte del merletto -espressione di una tradizione plurisecolare dall’alta valenza artigianale– è oggi più che mai un’attività che rischia di scomparire.
Risultano, perciò, fondamentali le diverse azioni di tutela, conservazione e valorizzazione nei confronti di questa particolare forma artistica, da tempo intraprese dalle istituzioni museali operanti nel territorio, in sinergia con le appassionate maestre merlettaie presenti nell'isola.
In linea con questa forte volontà di mantenere viva una delle più antiche e importanti realtà della storia del tessuto e del costume veneziano, la Fondazione Musei civici di Venezia promuove il primo concorso nazionale di merletto ad ago e di merletto a fuselli.
La competizione, dedicata al tema della pace, è aperta a opere inedite ed eseguite a mano con fibre come la seta, il cotone o il lino senza peraltro escludere il supporto di altri materiali, esclusi il vetro e il cristallo.
Le adesioni al premio devono pervenire entro il 10 marzo, mentre le opere, complete delle schede di adesione scaricabili al link www.museomerletto.visitmuve.it e di una relazione con le spiegazioni, le motivazioni e l’interpretazione artistica del progetto inviato, devono essere spedite a Burano entro il 10 settembre.
Due le sezioni nelle quali si articola il concorso: merletto ad ago e merletto a fuselli, a loro volta suddivise in due sottosezioni: stile antico, che rispecchia la tradizione per scelta di tecnica, colore e disegno, e stile moderno, che si avvale di filati colorati e l’impiego di materiali vari.
I lavori saranno esaminati da una commissione composta da Gabriella Belli (direttore della Fondazione Musei civici di Venezia), Chiara Squarcina (responsabile del Museo del Merletto) e Doretta Davanzo Poli (rappresentante della Fondazione Andriana Marcello), insieme con sei esperti e specialisti del merletto ad ago e a fuselli.
I criteri utilizzati per la valutazione delle opere riguarderanno: l’originalità del progetto, la difficoltà di realizzazione, la tecnica impiegata, il materiale utilizzato, la precisione nell’esecuzione, l’effetto estetico complessivo, la coerenza con il tema del concorso. Oltre all’opera vincitrice la giuria individuerà, per ogni sottosezione, i lavori più pregevoli (da un minimo di tre a un massimo di cinque); questi manufatti andranno a far parte della collezione permanente del Museo del Merletto di Burano. L’esito della competizione sarà ufficializzato da una conferenza stampa programmata per il 2 dicembre 2014, mentre la mostra conclusiva del progetto si terrà nell’aprile 2015.
Didascalie delle immagini
[Fig.1 ] Particolare di un merletto del XVII sec. - Burano, Museo del Merletto; [fig. 2] Vista della Sala 4 al primo piano del Museo del Merletto di Burano; [fig. 3] Vista della Sala 2 al primo piano del Museo del Merletto di Burano;
Informazioni utili
«Un merletto per Venezia», primo concorso nazionale di merletto ad ago e di merletto a fuselli. Ente banditore: Musei civici di Venezia. Quota di partecipazione: nessuna. Data ultima di presentazione del progetto: 10 marzo 2014. Informazioni e consegna materiali: Merletto di Burano, piazza Galuppi - Burano (Venezia), tel. 041.730034 (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 15.00) e-mail museo.merletto@fmcvenezia.it .
Risultano, perciò, fondamentali le diverse azioni di tutela, conservazione e valorizzazione nei confronti di questa particolare forma artistica, da tempo intraprese dalle istituzioni museali operanti nel territorio, in sinergia con le appassionate maestre merlettaie presenti nell'isola.
In linea con questa forte volontà di mantenere viva una delle più antiche e importanti realtà della storia del tessuto e del costume veneziano, la Fondazione Musei civici di Venezia promuove il primo concorso nazionale di merletto ad ago e di merletto a fuselli.
La competizione, dedicata al tema della pace, è aperta a opere inedite ed eseguite a mano con fibre come la seta, il cotone o il lino senza peraltro escludere il supporto di altri materiali, esclusi il vetro e il cristallo.
Le adesioni al premio devono pervenire entro il 10 marzo, mentre le opere, complete delle schede di adesione scaricabili al link www.museomerletto.visitmuve.it e di una relazione con le spiegazioni, le motivazioni e l’interpretazione artistica del progetto inviato, devono essere spedite a Burano entro il 10 settembre.
Due le sezioni nelle quali si articola il concorso: merletto ad ago e merletto a fuselli, a loro volta suddivise in due sottosezioni: stile antico, che rispecchia la tradizione per scelta di tecnica, colore e disegno, e stile moderno, che si avvale di filati colorati e l’impiego di materiali vari.
I lavori saranno esaminati da una commissione composta da Gabriella Belli (direttore della Fondazione Musei civici di Venezia), Chiara Squarcina (responsabile del Museo del Merletto) e Doretta Davanzo Poli (rappresentante della Fondazione Andriana Marcello), insieme con sei esperti e specialisti del merletto ad ago e a fuselli.
I criteri utilizzati per la valutazione delle opere riguarderanno: l’originalità del progetto, la difficoltà di realizzazione, la tecnica impiegata, il materiale utilizzato, la precisione nell’esecuzione, l’effetto estetico complessivo, la coerenza con il tema del concorso. Oltre all’opera vincitrice la giuria individuerà, per ogni sottosezione, i lavori più pregevoli (da un minimo di tre a un massimo di cinque); questi manufatti andranno a far parte della collezione permanente del Museo del Merletto di Burano. L’esito della competizione sarà ufficializzato da una conferenza stampa programmata per il 2 dicembre 2014, mentre la mostra conclusiva del progetto si terrà nell’aprile 2015.
Didascalie delle immagini
[Fig.1 ] Particolare di un merletto del XVII sec. - Burano, Museo del Merletto; [fig. 2] Vista della Sala 4 al primo piano del Museo del Merletto di Burano; [fig. 3] Vista della Sala 2 al primo piano del Museo del Merletto di Burano;
Informazioni utili
«Un merletto per Venezia», primo concorso nazionale di merletto ad ago e di merletto a fuselli. Ente banditore: Musei civici di Venezia. Quota di partecipazione: nessuna. Data ultima di presentazione del progetto: 10 marzo 2014. Informazioni e consegna materiali: Merletto di Burano, piazza Galuppi - Burano (Venezia), tel. 041.730034 (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 15.00) e-mail museo.merletto@fmcvenezia.it .
martedì 18 febbraio 2014
Roma, torna a splendere il Salottino Don Chisciotte al Quirinale
Torna al suo antico splendore il Salottino Don Chisciotte del Quirinale, gioiello di origine seicentesca restaurato dal Rotary Italia per i centonove anni dalla fondazione del primo club mondiale.
L’intervento conservativo, costato cinquantamila euro, è stato realizzato in stretta sinergia con la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etno-antropologico e per il Polo museale della Città di Roma e con il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica.
Nato come camera da letto del primo appartamento di Paolo V Borghese, questo ambiente, di dimensioni ridotte, si formò nella fase dei lavori intrapresi, a partire dal 1609, da Flaminio Ponzio per collegare la Palazzina gregoriana con la nuova ala che il papa aveva deciso di edificare «dalla parte del giardino».
Il Salottino Don Chisciotte conserva ancora il soffitto ligneo seicentesco, sul quale sono visibili le decorazioni di Annibale Corradini che, nel 1611, impreziosì il locale con novanta teste di cherubini di cartapesta su fondi azzurri e rossi nei cassettoni, con testine, ornati geometrici e vegetali sulle travi minori, e le aquile e i draghi Borghese, anch’essi in cartapesta dorata, tra nastri ed elementi floreali, sulle travi maggiori. Sulle pareti il pittore dipinse, inoltre, un grazioso fregio ad affresco con stemmi papali, angioletti e animali araldici tra girali dorati.
Solo nel periodo sabaudo, dopo essere stato utilizzato anche come guardaroba, l’ambiente fu adibito a «Gabinetto arazzi», ospitando sulle pareti opere tessili con le «Storie di Don Chisciotte», dalle quali ha assunto il nome odierno.
I quattro panni che si conservano nel locale, insieme a tre quinte decorative, fanno parte della serie tessuta a Napoli tra il 1757 e il 1779 e recano i monogrammi di Ferdinando IV di Borbone. Il primo arazzo, collocato sulla parete a destra del passaggio dalla Sala delle Api, è intitolato «Don Chisciotte scambia il bacile di un barbiere per l’elmo di Mambrino» (1761-1762) e fu eseguito su un cartone, perduto, di Giuseppe Bonito. Sulla parete adiacente è sistemata l'opera «Don Chisciotte fa chiedere a Sancio il permesso di vedere la Duchessa» (1771), tratta da un modello di Antonio Guastaferro. Gli altri arazzi sono, in sequenza, «Don Chisciotte chiede informazioni a un pastore» (1778) e «Don Chisciotte e Sancio trovano una valigia sulla Sierra Morena» (1762), entrambi eseguiti su cartoni di Giovan Battista Rossi e Giuseppe Bonito.
«Sostenere la ristrutturazione di una sala del Palazzo del Quirinale, definito dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano «la casa di tutti gli italiani», significa per i tredici distretti del Rotary contribuire alla riscoperta dell’identità nazionale scegliendo come via preferenziale la cultura e il suo patrimonio artistico», fa sapere Pier Giorgio Poddighe, governatore del Distretto 2080, che territorialmente rappresenta il Lazio con la Città di Roma, e la Sardegna.
Il 23 febbraio, in occasione del Rotary Day, un’importante rappresentanza di rotariani provenienti da tutta Italia visiterà il Palazzo del Quirinale per esprimere la propria sensibilità nei confronti degli interventi di restauro attuati, testimoniando così il valore riconosciuto alla tutela del patrimonio culturale italiano. Il progetto è stato coordinato da Claudia Minicuci, delegato distrettuale per i Beni artistici e culturali del Distretto 2080, che così ha commentato i lavori al Salottino Don Chisciotte: «Con questo restauro il Rotary intende far riscoprire ciò che di più grande abbiamo: l’identità culturale, consentendo al linguaggio artistico di arrivare alle generazioni future nella sua forma migliore. Il linguaggio artistico da sempre è espressione di comunicazione diretta, anche tra popoli di diverse culture, rappresentando uno strumento di pace».
Informazioni utili
Palazzo del Quirinale, piazza del Quirinale - Roma, tel. 06.46991, fax 06.46993125. Sito internet: www.quirinale.it.
L’intervento conservativo, costato cinquantamila euro, è stato realizzato in stretta sinergia con la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etno-antropologico e per il Polo museale della Città di Roma e con il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica.
Nato come camera da letto del primo appartamento di Paolo V Borghese, questo ambiente, di dimensioni ridotte, si formò nella fase dei lavori intrapresi, a partire dal 1609, da Flaminio Ponzio per collegare la Palazzina gregoriana con la nuova ala che il papa aveva deciso di edificare «dalla parte del giardino».
Il Salottino Don Chisciotte conserva ancora il soffitto ligneo seicentesco, sul quale sono visibili le decorazioni di Annibale Corradini che, nel 1611, impreziosì il locale con novanta teste di cherubini di cartapesta su fondi azzurri e rossi nei cassettoni, con testine, ornati geometrici e vegetali sulle travi minori, e le aquile e i draghi Borghese, anch’essi in cartapesta dorata, tra nastri ed elementi floreali, sulle travi maggiori. Sulle pareti il pittore dipinse, inoltre, un grazioso fregio ad affresco con stemmi papali, angioletti e animali araldici tra girali dorati.
Solo nel periodo sabaudo, dopo essere stato utilizzato anche come guardaroba, l’ambiente fu adibito a «Gabinetto arazzi», ospitando sulle pareti opere tessili con le «Storie di Don Chisciotte», dalle quali ha assunto il nome odierno.
I quattro panni che si conservano nel locale, insieme a tre quinte decorative, fanno parte della serie tessuta a Napoli tra il 1757 e il 1779 e recano i monogrammi di Ferdinando IV di Borbone. Il primo arazzo, collocato sulla parete a destra del passaggio dalla Sala delle Api, è intitolato «Don Chisciotte scambia il bacile di un barbiere per l’elmo di Mambrino» (1761-1762) e fu eseguito su un cartone, perduto, di Giuseppe Bonito. Sulla parete adiacente è sistemata l'opera «Don Chisciotte fa chiedere a Sancio il permesso di vedere la Duchessa» (1771), tratta da un modello di Antonio Guastaferro. Gli altri arazzi sono, in sequenza, «Don Chisciotte chiede informazioni a un pastore» (1778) e «Don Chisciotte e Sancio trovano una valigia sulla Sierra Morena» (1762), entrambi eseguiti su cartoni di Giovan Battista Rossi e Giuseppe Bonito.
«Sostenere la ristrutturazione di una sala del Palazzo del Quirinale, definito dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano «la casa di tutti gli italiani», significa per i tredici distretti del Rotary contribuire alla riscoperta dell’identità nazionale scegliendo come via preferenziale la cultura e il suo patrimonio artistico», fa sapere Pier Giorgio Poddighe, governatore del Distretto 2080, che territorialmente rappresenta il Lazio con la Città di Roma, e la Sardegna.
Il 23 febbraio, in occasione del Rotary Day, un’importante rappresentanza di rotariani provenienti da tutta Italia visiterà il Palazzo del Quirinale per esprimere la propria sensibilità nei confronti degli interventi di restauro attuati, testimoniando così il valore riconosciuto alla tutela del patrimonio culturale italiano. Il progetto è stato coordinato da Claudia Minicuci, delegato distrettuale per i Beni artistici e culturali del Distretto 2080, che così ha commentato i lavori al Salottino Don Chisciotte: «Con questo restauro il Rotary intende far riscoprire ciò che di più grande abbiamo: l’identità culturale, consentendo al linguaggio artistico di arrivare alle generazioni future nella sua forma migliore. Il linguaggio artistico da sempre è espressione di comunicazione diretta, anche tra popoli di diverse culture, rappresentando uno strumento di pace».
Informazioni utili
Palazzo del Quirinale, piazza del Quirinale - Roma, tel. 06.46991, fax 06.46993125. Sito internet: www.quirinale.it.
lunedì 17 febbraio 2014
«...Ragazzo mio, un giorno ti diranno...», Gianni Pettenati canta Luigi Tenco
Da «Mi sono innamorato di te» a «Vedrai vedrai», da «Cara maestra» e «Lontano Lontano»: il mito di Luigi Tenco rivivrà, per una sera, sul palco del teatro Sociale di Busto Arsizio. Giovedì 20 febbraio, alle ore 21, la sala di piazza Plebiscito proseguirà la sua stagione serale, inserita nel cartellone della rassegna cittadina «BA Teatro», con lo spettacolo-concerto «...Ragazzo mio, un giorno ti diranno...».
Sul palco per questo suggestivo omaggio a uno dei più grandi poeti della canzone italiana salirà Gianni Pettanati, autore e interprete della mitica «Bandiera gialla», motivo ancora oggi tra i brani musicali italiani più venduti e graditi dal grande pubblico. Compagni di viaggio dell’artista piacentino quattro ottimi musicisti: il bustocco Cesare Bonfiglio alla chitarra, Massimo Caroldi al flauto, Maurizio Dosi alla fisarmonica ed Elena Zoia quale voce solista.
Di Luigi Tenco si conosce soprattutto la sua fine: è la notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967 quando l’artista, non ancora ventinovenne, viene trovato morto nella stanza 219 dell’Hotel «Savoy» di Sanremo. In quei giorni è in pieno svolgimento la diciassettesima edizione del Festival della canzone italiana, alla quale il cantautore piemontese partecipa, in coppia con l’amante Dalida, presentando «Ciao amore ciao». Ad uccidere Luigi Tenco è un colpo di pistola alla tempia destra. Si parla subito di suicidio, anche perché, accanto al cadavere, viene trovato un biglietto con scritto: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda ‘Io tu e le rose’ in finale e ad una commissione che seleziona ‘La rivoluzione’. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno […]». Tutte le circostanze portano, dunque, a pensare che il cantautore si sia tolto la vita preso dallo sconforto per l’eliminazione dalla gara canora, ma diversi misteri aleggiano ancora oggi attorno alla sua morte, dal ritrovamento della porta della stanza aperta all'incertezza sull'ora del decesso.
Si chiude, quindi, in modo tragico e oscuro l’umbratile e controversa parabola di uno dei cantautori più fraintesi ed emblematici degli anni Sessanta, di quel decennio che va dai primi vagiti della contestazione studentesca ai moti di piazza, dalle occupazioni universitarie che annunciarono il Sessantotto al fermento culturale che vide il jazz suonato nelle cantine e il rock’n’roll riempire i cartelloni dei più scombinati festival giovanili.
La morte dell’artista di Cassine e le chiacchiere debordanti ad essa associata hanno finito per oscurarne la storia artistica: Luigi Tenco è la perfetta incarnazione delle contraddizioni più profonde e laceranti di quel periodo storico, ma anche dei suoi fermenti più vivi e fecondi. Nelle sue canzoni il cantautore parla di vita concreta. Ritrae impietosamente la società italiana che lo circonda e il mondo asfittico della nostra canzone popolare, passando da una malinconica, sconsolata rassegnazione a una sferzante, quasi nevrotica ansia di rinnovamento.
Lo spettacolo «...Ragazzo mio, un giorno ti diranno...», ideato da Gianni Pettenati e con gli arrangiamenti musicali di Cesare Bonfiglio, si muove attorno alla figura di Luigi Tenco, forse il più grande interprete della mitica scuola genovese, proponendo le sue creazioni musicali, ma accende i riflettori anche su altri grandi interpreti come Gino Paoli, Bruno Lauzi, Umberto Bindi, Sergio Endrigo e Paolo Conte. Ai brani musicali si alterneranno monologhi, scritti dallo stesso interprete piacentino, tesi a raccontare la parabola di un genio inascoltato e purtroppo, in parte, dimenticato della nostra musica.
«L’idea di questo concerto –ha spiegato Cesare Bonfiglio in conferenza stampa- risale a più di due anni fa, quando avevo arrangiato con Gianni Pettenati il suo spettacolo live sugli anni Sessanta, con canzoni come ‘Bandiera gialla’, ‘La rivoluzione’ e ‘Caldo caldo’. Il tributo a Luigi nasce da una richiesta della nipote dell’artista piemontese, Serenella Tenco. Abbiamo studiato una situazione molto acustica, adatta soprattutto per il teatro, nella quale Gianni è voce leggente e cantante. Lo spettacolo fluisce con una naturalezza simile a quella della scrittura di getto».
All'incontro di presentazione del concerto, tenutosi al ridotto «Luigi Pirandello» nella mattinata di venerdì 14 febbraio, ha preso parte anche Renzo Zannardi, uno dei soci storici del «Club Tenco» di Venezia, fondato da Ornella Benedetti pochi mesi dopo la morte dell’artista.
«Sono un grande ammiratore di Tenco. La sua musica ha portato una ventata di aria nuova. Luigi fu l’inventore del teatro-canzone, genere che è diventato, poi, famoso con Giorgio Gaber. Fu il primo cantante beat italiano. Voleva essere popolare e, suo malgrado, è diventato un cantante di nicchia. Aveva una grande capacità di analisi sociale e sognava un mondo migliore. Come il vino buono, la sua musica viene fuori a distanza», ha dichiarato Renzo Zannardi.
Un appuntamento, dunque, da non perdere quello del teatro Sociale di Busto Arsizio per scoprire o riscoprire uno dei grandi interpreti della musica italiana e della scuola genovese, un poeta delle sette note, che compì -scrisse Enrico De Angelis nel libro «Io sono uno»- «il piccolo miracolo di fotografare la realtà delle cose e delle emozioni stampandola poi su carta indelebile, ritagliata col gusto dell'artigiano nelle dimensioni ridotte di una semplice canzone».
Informazioni utili
«Gianni Pettenati canta Luigi Tenco: 'Ragazzo mio, un giorno ti diranno'». Teatro Sociale, piazza Plebiscito, 8 - Busto Arsizio (Varese). Giovedì 20 febbraio 2014, ore 21. Ingresso: intero € 16,00, ridotto € 12,00, riservato a giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con minimo dieci persone. Apertura botteghino: mercoledì e venerdì, dalle 16.00 alle 18.00, e il sabato, dalle 10.00 alle 12.00. Informazioni: tel. 0331.679000 o info@teatrosociale.it. Sito internet: www.teatrosociale.it.
Sul palco per questo suggestivo omaggio a uno dei più grandi poeti della canzone italiana salirà Gianni Pettanati, autore e interprete della mitica «Bandiera gialla», motivo ancora oggi tra i brani musicali italiani più venduti e graditi dal grande pubblico. Compagni di viaggio dell’artista piacentino quattro ottimi musicisti: il bustocco Cesare Bonfiglio alla chitarra, Massimo Caroldi al flauto, Maurizio Dosi alla fisarmonica ed Elena Zoia quale voce solista.
Di Luigi Tenco si conosce soprattutto la sua fine: è la notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967 quando l’artista, non ancora ventinovenne, viene trovato morto nella stanza 219 dell’Hotel «Savoy» di Sanremo. In quei giorni è in pieno svolgimento la diciassettesima edizione del Festival della canzone italiana, alla quale il cantautore piemontese partecipa, in coppia con l’amante Dalida, presentando «Ciao amore ciao». Ad uccidere Luigi Tenco è un colpo di pistola alla tempia destra. Si parla subito di suicidio, anche perché, accanto al cadavere, viene trovato un biglietto con scritto: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda ‘Io tu e le rose’ in finale e ad una commissione che seleziona ‘La rivoluzione’. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno […]». Tutte le circostanze portano, dunque, a pensare che il cantautore si sia tolto la vita preso dallo sconforto per l’eliminazione dalla gara canora, ma diversi misteri aleggiano ancora oggi attorno alla sua morte, dal ritrovamento della porta della stanza aperta all'incertezza sull'ora del decesso.
Si chiude, quindi, in modo tragico e oscuro l’umbratile e controversa parabola di uno dei cantautori più fraintesi ed emblematici degli anni Sessanta, di quel decennio che va dai primi vagiti della contestazione studentesca ai moti di piazza, dalle occupazioni universitarie che annunciarono il Sessantotto al fermento culturale che vide il jazz suonato nelle cantine e il rock’n’roll riempire i cartelloni dei più scombinati festival giovanili.
La morte dell’artista di Cassine e le chiacchiere debordanti ad essa associata hanno finito per oscurarne la storia artistica: Luigi Tenco è la perfetta incarnazione delle contraddizioni più profonde e laceranti di quel periodo storico, ma anche dei suoi fermenti più vivi e fecondi. Nelle sue canzoni il cantautore parla di vita concreta. Ritrae impietosamente la società italiana che lo circonda e il mondo asfittico della nostra canzone popolare, passando da una malinconica, sconsolata rassegnazione a una sferzante, quasi nevrotica ansia di rinnovamento.
Lo spettacolo «...Ragazzo mio, un giorno ti diranno...», ideato da Gianni Pettenati e con gli arrangiamenti musicali di Cesare Bonfiglio, si muove attorno alla figura di Luigi Tenco, forse il più grande interprete della mitica scuola genovese, proponendo le sue creazioni musicali, ma accende i riflettori anche su altri grandi interpreti come Gino Paoli, Bruno Lauzi, Umberto Bindi, Sergio Endrigo e Paolo Conte. Ai brani musicali si alterneranno monologhi, scritti dallo stesso interprete piacentino, tesi a raccontare la parabola di un genio inascoltato e purtroppo, in parte, dimenticato della nostra musica.
«L’idea di questo concerto –ha spiegato Cesare Bonfiglio in conferenza stampa- risale a più di due anni fa, quando avevo arrangiato con Gianni Pettenati il suo spettacolo live sugli anni Sessanta, con canzoni come ‘Bandiera gialla’, ‘La rivoluzione’ e ‘Caldo caldo’. Il tributo a Luigi nasce da una richiesta della nipote dell’artista piemontese, Serenella Tenco. Abbiamo studiato una situazione molto acustica, adatta soprattutto per il teatro, nella quale Gianni è voce leggente e cantante. Lo spettacolo fluisce con una naturalezza simile a quella della scrittura di getto».
All'incontro di presentazione del concerto, tenutosi al ridotto «Luigi Pirandello» nella mattinata di venerdì 14 febbraio, ha preso parte anche Renzo Zannardi, uno dei soci storici del «Club Tenco» di Venezia, fondato da Ornella Benedetti pochi mesi dopo la morte dell’artista.
«Sono un grande ammiratore di Tenco. La sua musica ha portato una ventata di aria nuova. Luigi fu l’inventore del teatro-canzone, genere che è diventato, poi, famoso con Giorgio Gaber. Fu il primo cantante beat italiano. Voleva essere popolare e, suo malgrado, è diventato un cantante di nicchia. Aveva una grande capacità di analisi sociale e sognava un mondo migliore. Come il vino buono, la sua musica viene fuori a distanza», ha dichiarato Renzo Zannardi.
Un appuntamento, dunque, da non perdere quello del teatro Sociale di Busto Arsizio per scoprire o riscoprire uno dei grandi interpreti della musica italiana e della scuola genovese, un poeta delle sette note, che compì -scrisse Enrico De Angelis nel libro «Io sono uno»- «il piccolo miracolo di fotografare la realtà delle cose e delle emozioni stampandola poi su carta indelebile, ritagliata col gusto dell'artigiano nelle dimensioni ridotte di una semplice canzone».
Informazioni utili
«Gianni Pettenati canta Luigi Tenco: 'Ragazzo mio, un giorno ti diranno'». Teatro Sociale, piazza Plebiscito, 8 - Busto Arsizio (Varese). Giovedì 20 febbraio 2014, ore 21. Ingresso: intero € 16,00, ridotto € 12,00, riservato a giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con minimo dieci persone. Apertura botteghino: mercoledì e venerdì, dalle 16.00 alle 18.00, e il sabato, dalle 10.00 alle 12.00. Informazioni: tel. 0331.679000 o info@teatrosociale.it. Sito internet: www.teatrosociale.it.
venerdì 14 febbraio 2014
Dalla Festa della Riva dei musei all’omaggio artistico a Dante: un anno di grandi eventi a Francoforte
Grandi mostre, feste tradizionali e manifestazioni sportive: è ricco e variegato il programma di eventi che animerà il 2014 di Francoforte. Ad inaugurare la stagione turistica sarà un omaggio alla «Divina Commedia» di Dante Alighieri: in primavera il Museum für Moderne Kunst ospiterà la mostra «Paradiso, Inferno, Purgatorio», con dipinti, fotografie, sculture e istallazioni video di sessanta artisti contemporanei provenienti da ventidue Paesi africani. Seguirà, quindi, la settima edizione della «Luminale», la Biennale della cultura della luce. Per quattro giorno, dal 30 marzo al 4 aprile, case, palazzi, chiese, monumenti, strade, ponti, piazze, ma anche gli angoli più remoti dell’affascinante località sul Meno ospiteranno istallazioni luminose e parteciperanno a uno spettacolo straordinario dedicato al tema della luce e ai suoi innumerevoli utilizzi.
Altra manifestazione immancabile nel calendario di Francoforte è la Festa delle rose e delle luci, che aprirà la stagione estiva del giardino botanico Palmengarten Frankfurt, meraviglioso roseto cittadino con oltre 12mila esemplari. L’iniziativa, in programma da giovedì 6 a domenica 9 giugno, arriverà al suo apice nella giornata di sabato 7 con installazioni luminose composte da migliaia di piccole candele e uno spettacolo di fuochi d'artificio; a completare il programma si segnalano visite guidate, incontri, iniziative per i più piccoli e concerti.
Sempre sabato 7 giugno Francoforte vivrà la sua Notte dei musei: oltre quaranta spazi espositivi cittadini faranno le ore piccole e inviteranno a una visita unica nel suo genere, offrendo anche letture, workshop, concerti, performance teatrali e danza.
Una giornata di intense emozioni, dunque, quella del primo sabato di giugno per Francoforte, ma l’evento clou del 2014 sarà senz’altro la Festa della riva dei musei, uno dei festival artistico-culturali più grandi d’Europa, in calendario dal 29 al 31 agosto, che prevede la tradizionale combinazione di arte, cultura, musica e specialità gastronomiche che attira, ogni anno, sulle rive del Meno fino a tre milioni di visitatori.
La città tedesca sa, poi, conquistare i turisti anche con la sua gastronomia, con i suoi ristoranti stellati e con le sue specialità locali, prima fra tutte il vino di mele (Apfelwein), una vera e propria istituzione in città e regione, tanto da essersi meritato un festival. Dall’8 al 17 agosto nel centro storico si festeggerà la bevanda nazionale per eccellenza con un ricco programma di intrattenimento; il vino si potrà gustare sia nei tradizionali bicchieri «Gerippte» che miscelato con altre bevande e presentato come originale cocktail.
Non mancano, poi, eventi per gli appassionati di sport come l'IronMan European Championship: un tratto a nuoto, un centinaio di chilometri in bicicletta e, infine, una maratona con finish spettacolare davanti al Römer, il municipio della città, sono gli ingredienti di questa grande sfida sportiva in programma il prossimo 6 luglio. Mentre il 26 ottobre si terrà la più antica maratona metropolitana della Germania, la BMW Frankfurt Marathon, con quarantadue chilometri lungo le attrazioni turistiche di Francoforte, con un ricco programma musicale di contorno e numerose feste all'aperto.
L'anno si concluderà in bellezza con il tradizionale mercatino di Natale di Francoforte, che avvolgerà i visitatori in una particolare atmosfera dell’Avvento. Il mercatino, che si annovera tra i più antichi della Germania, si svolgerà nel centro storico dal 26 novembre al 22 dicembre tra casette addobbate, dove acquistare regali e gustare specialità gastronomiche.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Un momento della «Luminale», la Biennale della cultura della luce; [fig. 2] Un momento della Festa della riva dei musei; [fig. 3] Uno scatto dal Festival del vino di mele
Informazioni utili
Ufficio turistico di Francoforte, tel. +49(0)69.21238800 o info@infofrankfurt.de. Sito internet: www.frankfurt-tourismus.de.
Altra manifestazione immancabile nel calendario di Francoforte è la Festa delle rose e delle luci, che aprirà la stagione estiva del giardino botanico Palmengarten Frankfurt, meraviglioso roseto cittadino con oltre 12mila esemplari. L’iniziativa, in programma da giovedì 6 a domenica 9 giugno, arriverà al suo apice nella giornata di sabato 7 con installazioni luminose composte da migliaia di piccole candele e uno spettacolo di fuochi d'artificio; a completare il programma si segnalano visite guidate, incontri, iniziative per i più piccoli e concerti.
Sempre sabato 7 giugno Francoforte vivrà la sua Notte dei musei: oltre quaranta spazi espositivi cittadini faranno le ore piccole e inviteranno a una visita unica nel suo genere, offrendo anche letture, workshop, concerti, performance teatrali e danza.
Una giornata di intense emozioni, dunque, quella del primo sabato di giugno per Francoforte, ma l’evento clou del 2014 sarà senz’altro la Festa della riva dei musei, uno dei festival artistico-culturali più grandi d’Europa, in calendario dal 29 al 31 agosto, che prevede la tradizionale combinazione di arte, cultura, musica e specialità gastronomiche che attira, ogni anno, sulle rive del Meno fino a tre milioni di visitatori.
La città tedesca sa, poi, conquistare i turisti anche con la sua gastronomia, con i suoi ristoranti stellati e con le sue specialità locali, prima fra tutte il vino di mele (Apfelwein), una vera e propria istituzione in città e regione, tanto da essersi meritato un festival. Dall’8 al 17 agosto nel centro storico si festeggerà la bevanda nazionale per eccellenza con un ricco programma di intrattenimento; il vino si potrà gustare sia nei tradizionali bicchieri «Gerippte» che miscelato con altre bevande e presentato come originale cocktail.
Non mancano, poi, eventi per gli appassionati di sport come l'IronMan European Championship: un tratto a nuoto, un centinaio di chilometri in bicicletta e, infine, una maratona con finish spettacolare davanti al Römer, il municipio della città, sono gli ingredienti di questa grande sfida sportiva in programma il prossimo 6 luglio. Mentre il 26 ottobre si terrà la più antica maratona metropolitana della Germania, la BMW Frankfurt Marathon, con quarantadue chilometri lungo le attrazioni turistiche di Francoforte, con un ricco programma musicale di contorno e numerose feste all'aperto.
L'anno si concluderà in bellezza con il tradizionale mercatino di Natale di Francoforte, che avvolgerà i visitatori in una particolare atmosfera dell’Avvento. Il mercatino, che si annovera tra i più antichi della Germania, si svolgerà nel centro storico dal 26 novembre al 22 dicembre tra casette addobbate, dove acquistare regali e gustare specialità gastronomiche.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Un momento della «Luminale», la Biennale della cultura della luce; [fig. 2] Un momento della Festa della riva dei musei; [fig. 3] Uno scatto dal Festival del vino di mele
Informazioni utili
Ufficio turistico di Francoforte, tel. +49(0)69.21238800 o info@infofrankfurt.de. Sito internet: www.frankfurt-tourismus.de.
giovedì 13 febbraio 2014
A Venezia un convegno sull’architetto e designer Tomaso Buzzi
Si apre con un convegno internazionale di studi dedicato alla figura del grande architetto e designer Tomaso Buzzi (Sondrio, 1900 - Rapallo, 1981) il 2014 del Centro studi del vetro, nuova realtà della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, nata nel 2012 all’interno dell’Istituto di storia dell’arte, ente che proprio quest'anno taglia il traguardo dei sessant’anni anni di attività.
L'incontro, in programma per la giornata di venerdì 21 febbraio, richiamerà sull’isola di San Giorgio Maggiore studiosi ed esperti per approfondire la complessa e articolata personalità di questo protagonista dell’architettura moderna, a cui «Le Stanze del vetro» dedicheranno la loro mostra autunnale: «Tomaso Buzzi alla Venini» (13 settembre 2014 – 11 gennaio 2015), a cura di Marino Barovier, che analizzerà l’attività del designer lombardo per la celebre vetreria muranese, con la quale collaborò tra il 1932 e il 1933.
Insieme a Gio Ponti, di cui fu amico e collaboratore, Tomaso Buzzi è stato uno dei più importanti creatori del gusto italiano degli anni ’30 e ‘40 del secolo scorso, dando inizio a un vero e proprio standard imitato da molti negli anni seguenti. Architetto, designer, arredatore d’interni, ma anche collaboratore della rivista «Domus», l’artista lavorò per le figure più importanti della grande aristocrazia del nostro Paese: Volpi, Cini, Visconti, solo per citarne alcuni. Suoi sono, ad esempio, gli interventi a villa Necchi Campiglio a Milano, alla palladiana villa Maser a Treviso, e a Venezia, nelle sale di palazzo Papadopoli, di palazzo Labia e di palazzo Cini a San Vio, dove eseguì due piccoli ma significativi interventi tra il ‘56 e il ‘58: la creazione della graziosa stanza ovale in stile rococò e l’aggiunta della scala a chiocciola.
La sessione mattutina del convegno, presieduta da Valerio Terraroli, inizierà con la relazione di Marco Solari, nipote dell’artista, che traccerà il percorso onirico fatto di musica e colori che portò Tomaso Buzzi ad acquistare nel 1956 e poi a modificare, come una sorta di città ideale, «la Scarzuola», un convento con annessa chiesa del Duecento a Montegabbione, in provincia di Terni.
Toccherà, quindi, a Lucia Borromeo del Fai – Fondo per l’ambiente italiano spiegare gli interventi condotti dall’architetto a villa Necchi Campigli nel 1938, solo tre anni dopo la progettazione della dimora a firma di Piero Portaluppi; mentre Roberto Dulio e Cecilia Rostagni ricorderanno il gusto di Buzzi e Ponti nella celebre rivista «Domus». Elena Pontiggia approfondirà, poi, la Milano delle grandi mostre degli anni Trenta alle quali l’artista fu presente. Alberto Anselmi focalizzerà, invece, la sua indagine sulla città di Roma ed Elena Portinari, concludendo la mattinata, porrà l’attenzione su Buzzi e Venezia.
Il pomeriggio, presieduto da Elena Pontiggia, si aprirà con un altro intervento a due voci: Irene de Guttry e Maria Paola Maino indagheranno l’attività di arredatore e il mondo della ceramica del designer lombardo. Silvia Chiesa porterà, invece, nel dibattito scientifico nuovi elementi legati al prezioso archivio del grande architetto, mentre Giovanna D’Amia ragionerà sulla Valtellina, terra natale dell’artista. Paola Tognon si soffermerà, quindi, sull’«Ideario» di Buzzi, tra vetro e pietra, ceramica e legno, antico e moderno. Alberto Giorgio Cassani approfondirà, poi, la vocazione teatrale dell’architetto. Chiuderà la giornata di studi l’intervento di Valerio Terraroli relativo al delicato rapporto tra Buzzi e Ponti che, in un primo momento amichevole e proficuo, giungerà, in seguito, a una rottura insanabile.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ritratto di Tomaso Buzzi; [fig. 2] Coppa delle mani, paste vitree policrome e foglia d'oro. Disegno Buzzi per Venini (1932-1934)
Informazioni utili
«Tomaso Buzzi, protagonista di un gusto italiano moderno». Convegno di studi. Isola di San Giorgio, Fondazione Giorgio Cini - Venezia. Quando: 21 febbraio 2014, dalle ore 9.30 alle ore 19.00. Per informazioni: Centro studi del vetro, tel. 041.2710306 o centrostudivetro@cini.it. Sito internet: www.cini.it.
L'incontro, in programma per la giornata di venerdì 21 febbraio, richiamerà sull’isola di San Giorgio Maggiore studiosi ed esperti per approfondire la complessa e articolata personalità di questo protagonista dell’architettura moderna, a cui «Le Stanze del vetro» dedicheranno la loro mostra autunnale: «Tomaso Buzzi alla Venini» (13 settembre 2014 – 11 gennaio 2015), a cura di Marino Barovier, che analizzerà l’attività del designer lombardo per la celebre vetreria muranese, con la quale collaborò tra il 1932 e il 1933.
Insieme a Gio Ponti, di cui fu amico e collaboratore, Tomaso Buzzi è stato uno dei più importanti creatori del gusto italiano degli anni ’30 e ‘40 del secolo scorso, dando inizio a un vero e proprio standard imitato da molti negli anni seguenti. Architetto, designer, arredatore d’interni, ma anche collaboratore della rivista «Domus», l’artista lavorò per le figure più importanti della grande aristocrazia del nostro Paese: Volpi, Cini, Visconti, solo per citarne alcuni. Suoi sono, ad esempio, gli interventi a villa Necchi Campiglio a Milano, alla palladiana villa Maser a Treviso, e a Venezia, nelle sale di palazzo Papadopoli, di palazzo Labia e di palazzo Cini a San Vio, dove eseguì due piccoli ma significativi interventi tra il ‘56 e il ‘58: la creazione della graziosa stanza ovale in stile rococò e l’aggiunta della scala a chiocciola.
La sessione mattutina del convegno, presieduta da Valerio Terraroli, inizierà con la relazione di Marco Solari, nipote dell’artista, che traccerà il percorso onirico fatto di musica e colori che portò Tomaso Buzzi ad acquistare nel 1956 e poi a modificare, come una sorta di città ideale, «la Scarzuola», un convento con annessa chiesa del Duecento a Montegabbione, in provincia di Terni.
Toccherà, quindi, a Lucia Borromeo del Fai – Fondo per l’ambiente italiano spiegare gli interventi condotti dall’architetto a villa Necchi Campigli nel 1938, solo tre anni dopo la progettazione della dimora a firma di Piero Portaluppi; mentre Roberto Dulio e Cecilia Rostagni ricorderanno il gusto di Buzzi e Ponti nella celebre rivista «Domus». Elena Pontiggia approfondirà, poi, la Milano delle grandi mostre degli anni Trenta alle quali l’artista fu presente. Alberto Anselmi focalizzerà, invece, la sua indagine sulla città di Roma ed Elena Portinari, concludendo la mattinata, porrà l’attenzione su Buzzi e Venezia.
Il pomeriggio, presieduto da Elena Pontiggia, si aprirà con un altro intervento a due voci: Irene de Guttry e Maria Paola Maino indagheranno l’attività di arredatore e il mondo della ceramica del designer lombardo. Silvia Chiesa porterà, invece, nel dibattito scientifico nuovi elementi legati al prezioso archivio del grande architetto, mentre Giovanna D’Amia ragionerà sulla Valtellina, terra natale dell’artista. Paola Tognon si soffermerà, quindi, sull’«Ideario» di Buzzi, tra vetro e pietra, ceramica e legno, antico e moderno. Alberto Giorgio Cassani approfondirà, poi, la vocazione teatrale dell’architetto. Chiuderà la giornata di studi l’intervento di Valerio Terraroli relativo al delicato rapporto tra Buzzi e Ponti che, in un primo momento amichevole e proficuo, giungerà, in seguito, a una rottura insanabile.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ritratto di Tomaso Buzzi; [fig. 2] Coppa delle mani, paste vitree policrome e foglia d'oro. Disegno Buzzi per Venini (1932-1934)
Informazioni utili
«Tomaso Buzzi, protagonista di un gusto italiano moderno». Convegno di studi. Isola di San Giorgio, Fondazione Giorgio Cini - Venezia. Quando: 21 febbraio 2014, dalle ore 9.30 alle ore 19.00. Per informazioni: Centro studi del vetro, tel. 041.2710306 o centrostudivetro@cini.it. Sito internet: www.cini.it.
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