ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 3 luglio 2017

Trento, la scultura contemporanea dialoga con il legno

Sono quindici gli artisti, tutti viventi e formatisi in Val Gardena, i protagonisti della mostra «Legno | Lën |Holz», con cui la Galleria civica di Trento, da oltre tre anni annessa al Mart di Trento e Rovereto, rende omaggio alla scultura lignea, una tradizione tramandata di generazione in generazione, ma adatta a confrontarsi anche con le istanze del contemporaneo.
Il progetto espositivo, per la curatela di Gabriele Lorenzoni, si avvale della partnership del Museum Ladin Ćiastel de Tor di San Martino in Badia e della Galleria Doris Ghetta, che ha la sua sede a Ortisei, ed è la prima esposizione che un museo italiano votato all’arte contemporanea dedica a questo genere di produzione artistica.
La tradizione secolare della scultura lignea, seppur con discontinuità, ha attraversato la storia dell’arte, raggiungendo il suo apice durante il Medioevo con le celebri madonne lignee romaniche e il Barocco con i fastosi altari policromi.
Nelle valli delle Dolomiti, dove abbonda la materia prima e nelle quali l’attaccamento alla storia locale è tenace, questa pratica artistica sopravvive e si rinnova, recuperando specificità culturali ed economiche. Qui, negli ultimi trent’anni, conosce un’inaspettata evoluzione, percorrendo nuove traiettorie di ricerca estetica, tematica e formale.
Dopo secoli di storia ininterrotta, accanto all’artigianato artistico, ai presepi, ai manufatti folcloristici, la scultura lignea approda a pieno titolo nell’arte contemporanea, divenendone una voce minoritaria ma autorevole, capace di riscuotere crescente interesse e attenzione da parte della critica, dei musei e del collezionismo, sia pubblico sia privato.
Per qualità e quantità della produzione, oggi la scuola gardenese dell’intaglio ligneo non ha eguali in Europa e occupa una posizione indipendente e originale nel panorama artistico internazionale.
Non segnata da confini amministrativi né cartografici, l’area ladina (Ladinia) ha come uniche frontiere quelle naturali: una regione culturale costituita da valli sudtirolesi, trentine e venete, nelle quali l’uso dell’antica lingua retoromanza diventa veicolo di coesione e trasmissione identitaria. Sulla base di queste premesse, nel riconoscimento delle peculiarità socioculturali del territorio di riferimento, il catalogo che rimarrà a documentazione della mostra, aperta fino al prossimo 17 settembre, sarà trilingue.
La scelta curatoriale di «Legno | Lën |Holz», che parte da una rigorosa selezione basata sull’uso della tecnica manuale dell’intaglio ligneo, si sofferma sulla figurazione del corpo umano in scala reale. Tema della mostra è, quindi, la ricerca sul corpo, che alla Civica viene indagato attraverso l’esposizione di circa quaranta tra sculture e installazioni i cui volumi si prestano a una dimensione museale. Un quarto dei lavori è inedito: diverse sono le opere realizzate espressamente per la mostra o mai esposte prima.
La preferenza data alla produzione figurativa sottolinea la vicinanza a una tradizione dalla quale contestualmente ci si allontana: coesistono da un lato una perizia tecnica sublime, dall’altro una straordinaria adesione ai linguaggi e alle sensibilità contemporanee.
In un percorso che esalta le differenze anziché nasconderle e che accosta maestri affermati a interpreti più giovani, gli scultori in mostra (Livio Conta, Giorgio Conta, Fabiano de Martin Topranin, Aron Demetz, Gehard Demetz, Peter Demetz, Arnold Holzknecht, Walter Moroder, Hermann Josef Runggaldier, Andreas Senoner, Peter Senoner, Matthias Sieff, Adolf Vallazza, Willy Verginer e Bruno Walpoth) interpretano in maniera assolutamente personale la tematica proposta.
Accomunati da un’incontestabile abilità, alcuni si avventurano in una profonda analisi psicologica dei personaggi raffigurati, altri osano con chiara ironia o surreale divertimento. Tra rappresentazioni drammatiche o spiritose, ritratti realistici, corpi alieni, totem divini, uomini, donne e bambini, le opere esposte finiscono per presentare una variegata umanità.
I visi e i corpi intagliati nel legno propongono riflessioni sui temi del doppio, dell’alterità e dell’autorappresentazione. Il parallelismo fra i volumi scultorei in scala 1:1 che invadono gli spazi della Galleria e il corpo dello spettatore che si aggirerà fra essi è decisamente suggestivo.
L’allestimento minimalista, firmato dallo studio Weber+Winterle di Trento, sottolinea questo dualismo mediante un gioco di superfici riflettenti che moltiplicano i punti di vista. Come tutto ciò che in qualche modo richiama il processo di mimesis, questo progetto contiene e propone, infatti, quale elemento imprescindibile di indagine, la questione dello sguardo dello spettatore nella sua accezione relazionale.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Aron Demetz, Iniziazione, 2004; [fig. 2] Walter Moroder, De Vita, 2012; [fig. 3]  Bruno Walpoth, Why not?, 2015; [fig. 4] Gehard Demetz, Senza titolo, 2013-16

Informazioni utili 
«Legno | Lën |Holz». Galleria Civica Trento, via Belenzani, 44 – Trento. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-18.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 2,00, gratuito per Mart Membership e bambini fino a 14 anni. Informazioni: tel. 0461.985511 o tel. 800 397760 o civica@mart.tn.it. Sito internet: www.mart.trento.it. Fino al 17 settembre 2017.

domenica 2 luglio 2017

Da Giotto a Klimt, a luglio l'arte si fa multimediale

Arte, musica, parola, tecnologia e intrattenimento: nell’estate 2017 la cultura si modernizza e diventa multimediale. Venezia celebra, negli ampi spazi della Scuola Grande della Misericordia, i settecentocinquanta anni dalla nascita di Giotto (Colle di Vespignano 1267 – Firenze 1337) con la prima delle tre mostre-spettacolo ideate da Cose Belle d'Italia Media Entertainment nell’ambito del format «Magister» dedicato ai grandi maestri dell’arte italiana, con cui nei prossimi anni verranno omaggiati anche il genio di Canova (estate 2018) e quello di Raffaello (estate 2019).
L’esposizione, aperta dal 13 luglio al 5 novembre, vede la curatela di Alessandro Tomei, professore ordinario di storia dell'arte medievale all’università «Gabriele D'Annunzio» di Chieti e Pescara, e di Giuliano Pisani, filologo classico, storico dell'arte e membro del Comitato dei garanti per la cultura classica del Miur, al quale è stato affidato il compito – si legge nella presentazione- di «rileggere l’indagine teologica che sottende il ciclo della Cappella degli Scrovegni lasciando emergere la “sceneggiatura” scritta da Alberto da Padova, teologo agostiniano che finisce la sua vita di cattedratico alla Sorbona di Parigi».
Personalità di spicco nello studio della storia e della critica d’arte come Cesare Barbieri, professore emerito di astronomia all'Università di Padova, Stefania Paone, professore aggregato di storia dell'arte medievale all'Università della Calabria, o ancora Serena Romano Gosetti di Sturmeck, professore ordinario di storia dell'arte medievale all'Università di Losanna, fanno parte del comitato scientifico della mostra, per la quale verranno pubblicati un catalogo edito da Franco Maria Ricci e un volume a tiratura limitata dalla Utet Grandi Opere.
Il team di esperti al lavoro per la realizzazione di questo progetto, di alto rigore scientifico e di grande impegno scenografico e filmico, vede anche la presenza dell’autore e regista Luca Mazzieri e dell’architetto e progettista Alessandra Costantini; accanto a loro ci sono, inoltre, Luca Zingaretti in qualità di voce narrante e Paolo Fresu quale autore della colonna sonora.
Grazie alla collaborazione di questa prestigiosissima squadra multidisciplinare, il visitatore entrerà in contatto, nel vero senso della parola, con l’arte di Giotto, comprendendone la rivoluzione compiuta dalla sua arte nel tardo Medioevo. Verrà accolto nell'immensa navata d'ingresso dall'imponente Croce del Presepe di Greccio, ricostruita, su ispirazione di quella dell'affresco, come un’installazione tridimensionale. E compirà un viaggio di circa quarantacinque minuti, articolato su 28.000 metri cubi, che lo porterà virtualmente ad Assisi tra le bellezze del Ciclo francescano, a Padova, nella città di Firenze, tra Crocifissi che, per la prima volta, lo guarderanno negli occhi anziché limitarsi ad osservarlo dall’alto, in un percorso dove l'Italia del Trecento viene raccontata attraverso le opere di Giotto e della sua bottega, per sfociare al contemporaneo con la missione del 1986, realizzata dall'Agenzia spaziale europea, che per la prima volta nella storia intercettò la Cometa di Halley, dipinta nell'«Adorazione dei Magi» della Cappella degli Scrovegni.
La mostra veneziana racconterà così la storia di un uomo che si conquistò vastissima fama presso i propri contemporanei com’è testimoniato dalle numerosissime citazioni e trattazioni che lo riguardarono già in vita. Un uomo che con la sua arte è stato snodo importante nella cultura pittorica occidentale, anticipando il futuro.
Multimedialità e arte si incontrano anche a Milano, negli spazi del Mudec, con l’evento espositivo «Klimt Experience», curato da Crossmedia Group, con la consulenza scientifica di Sergio Risaliti. La rassegna, in programma dal 26 luglio al 7 gennaio 2018, si propone come un vero e proprio excursus multisensoriale che racconta attraverso immagini, suoni, musiche ed evocazioni l’universo pittorico, culturale e sociale in cui visse e operò il padre della Secessione viennese.
Gustav Klimt coltivò assieme ad altri artisti secessionisti viennesi il mito dell’opera d’arte totale, un’aspirazione che passava attraverso pittura e architettura fino alle arti applicate e alla moda. Vienna tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento era un crogiolo di spinte innovatrici in un contesto di grande fermento nel campo delle scienze, della filosofia, della psicanalisi, dell’arte, dell’architettura, del proto-design, della musica e della cultura in generale. L’obiettivo di questa esperienza d’arte immersiva, della durata di un’ora circa, è di raccontare la storia dell’artista a partire dal tessuto sociale nel quale visse e operò: accanto ai lavori di Gustav Klimt sarà, infatti, possibile ammirare anche fotografie d’epoca e ricostruzioni 3D della Vienna dei primi del ‘900, con i suoi luoghi simbolo, i costumi e la moda.
Settecento le immagini dell’artista selezionate, riprodotte attraverso il sistema Matrix X-Dimension, che permettono una visione completa della sua opera altrimenti impossibile da ammirare in un unico evento espositivo. Dalle pareti al soffitto fino al pavimento le fotografie dei lavori di Klimt diventano un unico flusso di sogno, di forme fluide e smaterializzate. Strauss, Mozart, Wagner, Lehár, Beethoven, Bach, Orff e Webern accompagneranno il visitatore con una coinvolgente colonna sonora a testimoniare quanto la musica influenzò l’opera di questo grande artista. Infine l’esperienza culturale si completerà con l’apparato informativo e didattico dell’area d’introduzione alla mostra.

Informazioni utili
«Magister Giotto». Scuola Grande della Misericordia, Sestiere Cannaregio 3599 – Venezia. Orari: domenica – venerdì, dalle ore 10.30 alle ore 18.30; sabato, dalle ore 10.30 alle ore 20.30. Ingresso: intero € 18,00, ridotto € 16,00, ridotto gruppi € 15,00, residenti di Venezia € 13,00, ridotto scuole € 9,00, altre riduzioni sono visibili sul sito ufficiale della mostra. Informazioni: Call Center Ticketone, 892101; Call Center Hellovenezia, 041.2424. Sito internet: www.magister.art o www.ticketone.it. Dal 13 luglio al 5 novembre 2017

«Klimt Experience». Mudec – Museo delle Culture di Milano, via Tortona, 56 - Milano. Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; marted, mercoledì, venerdì e domenica, ore 9.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Ingresso: intero € 12,00, ridotto € 10,00. Informazioni: tel. 0254917. Sito internet: www.ticket24ore.it. Dal 26 luglio 2017 al 7 gennaio 2018.

sabato 1 luglio 2017

La Belle Époque di Toulouse-Lautrec

Mentre Claude Monet, Camille Pissarro, Alfred Sisley e molti altri collocavano il loro cavalletto sulle sponde della Senna o in mezzo a campi assolati, studiando appassionatamente la pittura en plein air, vera e propria cifra stilistica del movimento impressionista, c’era un artista che si divertiva a ritrarre la vita notturna di Parigi, cogliendo le atmosfere delle sale da ballo, dei caffè-concerto e dei palcoscenici più in voga nella capitale francese sul finire dell’Ottocento. Quell’artista era Henri de Toulouse-Lautrec (Albi, 24 novembre 1864 – Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901), emblema indiscutibile di un’epoca, la leggendaria e scintillante Belle Époque, di cui contribuì a fissarne per sempre nella memoria del tempo, con il suo sguardo disincantato e il suo stile anticonformista, protagonisti, umori, colori e illusioni.
Montmartre e i suoi locali, il Moulin Rouge e le sue ballerine di can-can, l’Opéra e i suoi concerti, il bistrot alle Folies-Bergère e i suoi bevitori d’assenzio, le «maisons closes» parigine e le loro prostitute, le stelle effimere del cabaret e le vedette del tempo, dal cantante Aristide Bruant alla bella Yvette Guilbert: questo era l’universo vissuto e rappresentato dall’artista francese, di cui rimane sulla tela o sui fogli di carta il lato più malinconico e amaro, come ben documenta la mostra curata da Stefano Zuffi per il gruppo Arthemisia, che porta, fino al prossimo 3 settembre, circa centosettanta opere provenienti dall’Herakleidon Museum di Atene negli spazi di Palazzo Forti a Verona.
Litografie a colori (da «Jane Avril» del 1893 a «Troupe de Mlle Églantine» del 1896, passando per l’album «Elles» del 1896), manifesti pubblicitari (come «Aristide Bruant nel suo cabaret» del 1893 e «La passeggera della cabina 54» del 1895), grafiche promozionali, illustrazioni per giornali (tra cui «La revue blanche» del 1895), vignette satiriche, disegni a matita e a penna, acquerelli, insieme a video, fotografie e arredi dell’epoca riscostruiscono uno spaccato della Parigi bohémienne. Riportano i visitatori indietro nel tempo, in un’epoca frivola e peccaminosa, piena di joie de vivre, svaghi serali, luci artificiali, risate artefatte e applausi per cabarettisti, ballerine e chansonniers, artisti abili nel nascondere le nubi che correvano sulla loro anima e le ombre fuggevoli che passavano sul loro viso sotto il trucco pesante e gli abiti vistosi, dietro le luci della ribalta, ma non all’occhio di Toulouse-Lautrec.
Osservatore implacabile e attento dell’animo umano, il pittore filtrava il mondo attraverso le frustrazioni della sua vita e capiva empaticamente il dolore e l’insoddisfazione degli altri, il sorriso forzato e lo sguardo perso di chi avrebbe voluto essere altrove. Afflitto da una malattia genetica alle ossa, assimilabile al nanismo, l’artista si condannò, infatti, a una vita infelice fatta di piaceri facili ed estemporanei, alcol e sesso a pagamento in primis, morendo a causa della sifilide a soli trentasei anni, ma lasciando dietro di sé un corpus di opere dai numeri considerevoli per essere stato realizzato in soli vent’anni: 737 tele, 275 acquerelli, 363 stampe e manifesti, 5.084 disegni.
Più che mai fedele al suo principio che «solo la figura esiste» e che il paesaggio non è che un accessorio», Toulouse-Lautrec regala al nostro sguardo ritratti di donne sole, silenziose, osservate senza la minima intenzione caricaturale o di vignetta cronachistica, ma anche un album di litografie dedicato a Yvette Guilbert, soprannominata la «Diseuse» (la fine dicitrice) e rimasta nell’immaginario collettivo per i suoi lunghi guanti neri fino al gomito, e lavori con Jane Avril, celebre stella del cabaret parigino, effigiata, per esempio, nel can-can insieme ad altre ballerine nell’opera «La compagnia di Mademoiselle Eglantine» (1896).
Lungo il percorso espositivo si trovano anche una sezione dedicata all’amore di Toulouse-Lautrec per i cavalli, con opere come «Il fantino» (1899) e «The pony Philibert» (1898), e un’altra incentrata sulle commissioni per le riviste «Le Rire» ed «Escarmouche», per le quali l’artista disegnava vignette di satira politica e di costume.
Al centro della mostra vi è, poi, una sezione preziosa con una serie di disegni a matita e a penna: schizzi di volti, atteggiamenti, silhouette e caricature, di travolgente freschezza e mordente incisività. Il lapis è stato il compagno fedele nella lunga e obbligata immobilità durante le convalescenze dalla malattia, il modo per vincere la noia delle stazioni termali, la piccola condanna negli esercizi obbligati durante la fase di formazione accademica, lo strumento più immediato per vedere e interpretare il mondo, quella Parigi di fine secolo, vitale e contraddittoria, di cui Toulouse-Lautrec ha consegnato alla storia luci e ombre.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Henri de Toulouse-Lautrec, Au Concert (Before Letters), 1896. Litografia a colori, 32x25,2 cm. © Herakleidon Museum, Atene; [fig. 2] Henri de Toulouse-Lautrec, Jane Avril (Before Letters), 1893. Litografia a colori, 124x91,5 cm. © Herakleidon Museum, Athens Greece Greece; [fig. 3] Henri de Toulouse-Lautrec, La Troupe de Mademoiselle Églantine, 1896. Litografia a colori, 61,7x80,4 cm. © Herakleidon Museum, Athens Greece Greece

Informazioni utili 
«Toulouse Lautrec. La Belle Époque». AMO – Palazzo Forti, via Achille Forti, 1 - Verona. Orari: lunedì, dalle ore 14.30 alle ore 19.30; da martedì a domenica, dalle ore 9.30 alle ore 19.30. Ingresso: intero € 14,00, ridotto € 12,00, ridotto gruppi € 10,00, ridotto universitari € 9,00, ridotto scuole da € 5,00 a € 3,00, per altre tariffe si consiglia di vedere la pagina http://www.mostratoulouselautrec.it/informazioni-visite-orari-biglietti-prenotazioni.html. Informazioni: tel. 045.853771. Sito internet: www.mostratoulouselautrec.it. Fino al 3 settembre 2017.

giovedì 29 giugno 2017

Robert Wilson rilegge Italo Calvino a Varese. E celebra Illy a Venezia

«I racconti popolari e le favole mi hanno sempre affascinato»: così Robert Wilson presenta l’installazione «A Winter Fable», un lavoro inedito nato per le rimesse delle carrozze di Villa Panza a Varese ispirato a una delle «Fiabe italiane» di Italo Calvino, raccolta edita nel 1956 per i tipi di Einaudi. L’opera che ha dato vita al terzo e ultimo capitolo del progetto «Robert Wilson for Villa Panza. Tales», ideato per il Fai – Fondo per l’ambiente italiano, è una favola della tradizione napoletana: «Comare Volpe e Compare Lupo», trascritta per la prima volta in italiano da un giovanissimo Benedetto Croce, nella quale si racconta di di due animali, legati da un patto indissolubile, che si promisero reciproco aiuto, ma che l’ingordigia di uno divise per sempre. Il lupo rifiutò, infatti, di condividere con la volpe un agnello appena catturato segnando così il suo destino.
Robert Wilson si è concentrato sui tre personaggi principali della fiaba: il lupo, la volpe e l’agnello, protagonisti di una storia di violazione, manipolazione e vendetta. «Spesso le persone mi chiedono quali siano le idee che stanno dietro alle mie immagini -ha spiegato Robert Wilson-. Rispondo che non interpreto il mio lavoro. L’interpretazione è per gli altri. Le favole sono una fonte di ispirazione, dare un significato a questo lavoro limita la sua poesia e la possibilità di far nascere altre idee».
Nelle mani dell’artista la favola si è tradotta in un trittico di video interconnessi: tre ritratti dei singoli animali legati a un unico paesaggio, onirico e surreale, come elemento ancora una volta caratteristico e caratterizzante della sua poetica. A completare la sua visione, la colonna sonora del duo musicale statunitense CocoRosie (le sorelle Bianca Leilani e Sierra Rose Casady) che aveva già composto nel 2013 la musica per lo spettacolo «Peter Pan» di Wilson a Berlino.
In «A House for Giuseppe Panza» il maestro americano aveva messo in luce aspetti che lo accomunano allo spirito del collezionista italiano come l’amore per lo studio, la contemplazione e la ricerca del silenzio. Nella nuova opera «A Winter Fable» l’artista esprime ancora con la sua complessa poetica stringenti parallelismi con l’essenza della collezione permanente di Villa Panza, come il continuo confronto tra classico e contemporaneo, che scaturisce in una forte tensione per far dialogare epoche differenti, le contaminazioni di diversi linguaggi e discipline, la specifica sensibilità per il tema della luce. Anche la tensione verso il concetto di tempo interiore, rallentato, testimonia la capacità dell’arte di rapportarsi alla sfera spirituale insieme al carattere meditativo che accomuna entrambe le esperienze.
Il progetto di Robert Wilson rientra in una serie di iniziative promosse in questi anni dal Fai – Fondo per l’ambiente italiano con la finalità di valorizzare la figura del collezionista milanese che ha dato vita e forte identità a Villa Panza e al spirito. Ciò è avvenuto proponendo anche mostre di artisti come Bill Viola e Wim Wenders, che non fanno parte della collezione, ma che sono in grado di suggerire una lettura trasversale, nuova e non autoreferenziale, rispettandone comunque le peculiarità e le naturali caratteristiche genetiche.
La ricerca del Fai ha permesso così di implementare la collezione permanente di Villa Panza con l’ingresso di nuove acquisizioni: «Tre cubi» e «Forma d'archi e piccola elevazione» (2010) di Christiane Löhr, «Varese Scrim 2013» di Robert Irwin (2013), «Ganzfeld» di James Turrell (2013), «Ground Zero, 2001» di Wim Wenders (2015), «Cone of Water» di Meg Webster (2016), «A House for Giuseppe Panza» (2016) e «A Winter Fable» (2017), entrambe di Wilson. Ognuna di queste, con grande equilibrio, dialoga con lo spirito e l’identità del luogo e la cifra stilistica degli spazi e contribuisce ad accrescerne il suo valore e la sua conoscenza.
In contemporanea Robert Wilson è in mostra anche a Venezia, negli spazi dei Magazzini del Sale, con il progetto «The Dish Ran Away With The Spoon. Everything You Can Think Of Is True», ideato per celebrare il venticinquesimo anniversario delle illy Art Collection, le serie di tazze che dal 1992 la illycaffè di Trieste crea con alcuni tra i più famosi artisti internazionali, tra i quali Marina Abramović, Robert Rauschenberg, Jeff Koons, Julian Schnabel, Anish Kapoor e Daniel Buren.
Una tigre siberiana all’interno di un bosco uscito dai dipinti di Hieronymus Bosch, conigli meccanici in un interno vintage, lupi e vulcani accesi, gru e scimmie in un candido giardino, un’elegante pantera: tutto questo compone la Wunderkammer con cui il poliedrico regista americano celebra uno dei più conosciuti simboli iconici del nostro tempo, la porcellana bianca simile a una tela disegnata nel 1991 da Matteo Thun e trasformata, di volta in volta, da grandi nomi della creatività contemporanea dando vita a «oggetti divertenti e giocosi -come afferma lo stesso Wilson- che esprimono la diversità di estetica degli artisti coinvolti».

Informazioni utili
Robert Wilson for Villa Panza. Tales. Villa e Collezione Panza, piazza Litta, 1 - Varese Orari: tutti i giorni, tranne i lunedì non festivi, dalle ore 10.00 alle ore 18.00. Ingresso: Ingresso gratuito per chi si iscrive al Fai (o rinnova l’iscrizione) al momento della visita; adulti € 13,00 (martedì e mercoledì ridotto € 10,00); iscritti Fai e bambini (4-14 anni) € 6,00; studenti (fino a 26 anni) € 8,00 nei giorni feriali ed € 10,00 il sabato, la domenica e i festivi; famiglia (2 adulti + 2 bambini) € 30,00. Sito web: www.villapanza.it. Fino al 15 ottobre 2017. La chiusura della mostra è stata prorogata al 4 marzo 2018. 

«The Dish Ran Away With The Spoon. Everything You Can Think Of Is True». Magazzini del Sale, Zattere Dorsoduro 262 – Venezia. Orari da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; chiuso il lunedì. Ingresso libero. Fino al 10 settembre 2017

martedì 27 giugno 2017

Robert Indiana e il suo «Love» in mostra a Locarno e Milano

«Robert Indiana è conosciuto in tutto il mondo per la sua opera tridimensionale che recita la parola Love in lettere maiuscole, disposte in un riquadro con la lettera O-inclinata. Nata nella metà degli anni Sessanta come cartolina natalizia del Moma di New York e in breve assurta a inno della pace per poi affermarsi come marchio universale della Hippie Generation, questa scritta, incisa a caratteri cubitali nell’immaginario collettivo è diventata, forse ancor più della Marilyn di Andy Warhol, una delle icone più forti e suggestive dell’arte contemporanea facendo il giro del mondo e arrivando ad offuscare, con la sua notorietà, persino il nome del suo stesso creatore». Così Rudy Chiappini parla di Robert Indiana e della sua opera più celebre, la scultura «Love», vera e propria icona dell’arte contemporanea che si può ammirare in importanti luoghi pubblici di tutto il mondo, dalla Sixth Avenue a New York ai giardini del Museum of Art a New Orleans, fino alla piazza principale di Taipei.
Considerato una delle voci leader della Pop Art con Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann e James Rosenquist, l’artista americano è in questi giorni, e fino al prossimo 13 agosto, al centro di una mostra allestita nelle sale della Pinacoteca comunale Casa Rusca di Locarno, che si configura come la sua prima esposizione in un museo svizzero.
Circa una sessantina le opere esposte, che ripercorrono la sua intera carriera dagli anni Cinquanta, quando si trasferisce nella Grande Mela, in un loft nella zona portuale di Coenties Slip, ed entra in contatto con esponenti del movimento minimalista come Ellsworth Kelly, Agnes Martin e Jack Youngerman. Nascono così opere che hanno tutto il fascino di una pittura dalla vena geometrica, pulita, hard-edge.
Accanto a questi primi dipinti, il percorso espositivo presenta le opere su legno dai motivi geometrici degli anni Cinquanta, gli assemblaggi denominati herms realizzati con materiale usurato come assi di legno, metallo e ruote arrugginite, i lavori dei decenni successivi in cui le parole e i segni sono i protagonisti assoluti, per arrivare alla serie dedicata a Marilyn Monroe e alle recenti creazioni in cui i temi della ricerca sono tradotti in ideogrammi cinesi.
Audace, iconica, colorata, celebrativa e apparentemente immediata, quella di Robert Indiana si configura così come un’opera dalla grande efficacia e potenza visiva, che colpisce istantaneamente l’occhio e la mente dello spettatore. Questo anche grazie alla presenza nelle opere di immagini-testo alla portata di tutti, ma che in realtà racchiudono un profondo significato esistenziale o di denuncia sociale. Il «sogno americano» è, per esempio, uno dei temi più ricorrenti e noti della produzione dell’artista. La retorica e l’utopia collettiva di una nazione-modello secondo cui attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere libertà, felicità e benessere materiale ha sempre influenzato il suo immaginario. Ma le opere di Robert Indiana, da «The American Dream, I» del 1961 al dipinto «The Rebecca» (raffigurante una nave statunitense che trasportava schiavi), sono critiche e ciniche nei confronti di quel «sogno»: la promessa dell’uguaglianza, della libertà e della ricerca della felicità contenuta nella Dichiarazione d’Indipendenza appare incompleta, afferma l’artista, nella misura in cui si indirizza solo a una parte della popolazione.
Robert Indiana è, comunque, come tutti gli altri Pop Artist figlio di quella storia. La sua arte «verbale-visuale» nasce in un momento in cui l'America cosmopolita della presidenza Kennedy (1961-1963) reclama se stessa, le proprie immagini, i propri oggetti, i propri vezzi, la propria unicità. Nasce così un sistema comunicativo inedito nel quale i prodotti industriali, le immagini del cinema, i fumetti, i cartelloni pubblicitari e anche i segnali stradali diventano il «contenuto» dell’opera d'arte. «Ci sono più segni che alberi in America. Ci sono più segni che foglie. Per questo penso a me stesso come a un pittore del paesaggio americano», dichiarava a tal proposito Robert Indiana in un’intervista al «New York Times».
Nasce così nel 1965 «Love», una delle immagini più sfruttate e replicate al mondo, stereotipo visivo di un’epoca e di una società riprodotto ancora oggi nelle pubblicità, sulle copertine di libri e dischi, in riviste, poster, sui capi d’abbigliamento e di arredamento. Un’opera dalla forte valenza iconica che apre anche la mostra milanese, al Museo della Permanente, che Danilo Eccher ha voluto dedicare al tema dell’amore. Trentanove le opere esposte fino al prossimo 23 luglio, tra cui si segnalano altri lavori fortemente iconici come la stereotipata e commerciale «Smoker #3» (3-D) di Tom Wesselmann, l’intramontabile «One Multicoloured Marilyn (Reversal Series)» di Andy Warhol e il pulsante «Coração Independente Vermelho #3 (PA)» di Joana Vasconcelos, il gigantesco cuore fatto di posate di plastica rossa che canta, con la voce di Amalia Rodriguez, l’incanto del fado con la sua melodia struggente e nostalgica.
Tra le opere da vedere a Milano, delle quali rimarrà documentazione in un catalogo edito da Skira, si segnalano anche i sei grandi dipinti della serie «Love Forever», mai esposti nel nostro Paese, che presentano elementi caratteristici dell'iconografia che ha reso nota Yayoi Kusama, artista giapponese nominata dal «Time» nel 2016 come una delle cento personalità più influenti del mondo: occhi, volti di profilo e altre forme più indeterminate che richiamano le strutture cellulari, spesso in combinazioni pulsanti, dalle suggestioni surrealiste e psichedeliche.
Completano il percorso espositivo i grandi e sensuali fiori di Marc Quinn e quelli colorati di Nathalie Djurberg & Hans Berg, gli eterni baci in marmo di Marc Queen e Francesco Vezzoli, le video-installazioni di Ragnar Kjartansson, Tracey Moffatt, Nathalie Djurberg e Hans Berg, ma anche opere di Vanessa Beecroft e Gilbert & George. Il tutto concorre a raccontare le diverse sfaccettature dell'amore: felice, atteso, incompreso, odiato, ambiguo, trasgressivo, infantile. Perché, come disse Francis Bacon e come scrive Danilo Eccher a chiusura del suo saggio in catalogo: «dopo tutto, a cosa si interessa la maggior parte dei pittori? Alla vita. Tutti gli artisti sono amanti, amanti della vita, vogliono vedere come riescono a piazzare la trappola in modo che la vita ne venga fuori più vivida e più violenta».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Robert Indiana, «Love», 1967. Acquaforte e acquatinta, 66 x 66 cm. © Robert Indiana - ProLitteris Zurigo; [fig. 2]  Robert Indiana, Marilyn, Marilyn», 2007. Serigrafia, 100 x 100 cm. © Robert Indiana - ProLitteris Zurigo; [fig. 3]  Robert Indiana, «The Rebecca», 1962. Olio su tela, 152,4 x 121,9 cm. © Robert Indiana - ProLitteris Zurigo; [fig. 4] Robert Indiana, «Love», 1966-1999. Scultura, alluminio policromo (red and gold), 91,5x91,5x45,75 cm. AP 3/4. Courtesy: Galleria d'Arte Maggiore, G.A.M., Bologna, Italia. © Robert Indiana; [fig. 5] Robert Indiana, «Amor», 1998. Scultura, alluminio policromo (blue and red), 104x96,5x50,8 cm. Ed. 3/6 Courtesy: Galleria d'Arte Bologna, Italia. © Robert Indiana

Informazioni utili
«Robert Indiana». Pinacoteca comunale Casa Rusca, piazza Sant’Antonio - Locarno (Svizzera). Orari: martedì - domenica, ore 10.00-12.00 e ore 14.00-17.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero CHF 12.-, ridotto  CHF 10.-, studenti dai 16 anni e  gruppi AVS/AI (minimo 10 persone) CHF 6.-, ingresso gratuito per le scuole  e per gli studenti fino ai 16 anni. Prenotazioni e informazioni: +41(0)917563185 o servizi.culturali@locarno.ch. Sito internet: www.museocasarusca.ch. Fino al 13 agosto 2017. 

«Love. L’arte contemporanea incontra l'amore». Museo della Permanente, via Filippo  Turati, 34 - Milano. Orari: tutti i giorni, ore 9.30-19.30 (la biglietteria chiude un'ora prima). Ingresso (con audioguida): intero € 13,00, ridotto da € 11,00 a € 3,00. Informazioni: tel. 02.8929711. Sito internet: www.mostralove.it o www.lapermanente.it. Fino al 23 luglio 2017.