ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 23 dicembre 2017

Un insolito Natale: festa a casa de' Bisognosi

Natale per «Culturando» è sinonimo di favola. Dopo la storia dello scorso anno dedicata a Gioachino Rossini e al suo pantagruelico pranzo del 25 dicembre, gli «Attori in erba» (diciotto ragazzi dagli 11 ai 15 anni) rivolgono la loro attenzione al magico mondo della Commedia dell’arte, soffermandosi sulla figura di Pantalone de’ Bisognosi. Il laboratorio di scrittura creativa della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti» ha presentato venerdì 22 dicembre, nell’ambito della lezione aperta «...E che festa sia» (che ha visto in scena anche «I piccoli attori»), una favola-canovaccio redatta nell’ambito del progetto «Tra maschere, lazzi e canovacci». Firmano l’idea Sara Mascheroni e Anna Giulia Pittarello.

LA FAVOLA: Sarà per tradizione. Sarà per autentico sentimento. Ma a Natale siamo tutti più buoni, generosi, affabili e sereni. Tutti, tranne uno: Pantalone de’ Bisognosi. A casa sua non si fanno l’albero e il presepe. Non si scartano i regali. E, soprattutto, non ci si abbuffa con dolci e leccornie. Ne sanno qualcosa Arlecchino, Brighella, Pulcinella, Colombina, la figlia Isabella e lo storico amico Pantofola da Montepulciano, al quale si deve uno dei soprannomi più conosciuti del ricco mercante veneziano: «braccino corto».

Ormai da anni, la sera della Vigilia nella casa di Pantalone si serve in tavola un menù a dir poco insolito: «zuppa di pane (poco) e cipolle (tante), profumo di carne sniffato dalla cucina del vicino, insalata di erbe amare e invidia (sì, proprio invidia, non indivia come farebbero tutti gli altri), e, per dessert, un biscotto secco, anzi secchissimo». Sarebbe stato così anche quell’anno? Sembrava proprio di sì.

Mancavano ormai pochi giorni a Natale e Pantalone rispondeva sempre con un no deciso a tutte le proposte dei suoi servitori.
 «Vado a prendere in ripostiglio l’albero e le decorazioni per abbellire la casa?», chiedeva civettuola Colombina.
 «Un mio amico di Napoli mi ha regalato un bel presepe del Settecento, fatto dagli artigiani di via San Gregorio Armeno. Lo mettiamo in salotto, vicino alla finestra che si affaccia sul Canal Grande?», domandava con il solito atteggiamento svogliato Pulcinella.

«Sior paròn, g’ho già una fame che no ghe vedo. Mi sogno la cena della Vigilia da giorni: mi immagino sulla nostra tavola natalizia bigoli in salsa, risi e bisi, sardele in saor, baccalà mantecato, moleche col pien, baìcoli, torone e il panettone di Meneghino. Giuro che mangerò tutto e ne vorrò ancor di più. Sior paròn, vado a far la spesa così siamo sicuri di avere tutto in dispensa?», chiedeva con un sorriso astuto Arlecchino.
A tutte le domande Pantalone rispondeva «Nooo. Gh’ho dito no ed è no. A casa nostra non si festeggia il Natale». Ma il ricco mercante di Venezia non aveva fatto i conti con un  «buffo uomo vestito di rosso», dalla lunga barba bianca e con la casa piena di regali per i bambini di tutto il mondo.

 La sera del 23 dicembre di quell’anno, in anticipo di qualche ora (forse un po’ troppe), Babbo Natale planò con la sua slitta sul tetto del palazzo de’ Bisognosi, si calò lentamente nel camino, andò in cucina e…rapì Colombina.

Potete immaginare che gran trambusto ci fu in quella casa. Arlecchino piangeva disperato pensando di aver perso per sempre l’amore della sua vita e, soprattutto, la sua locandiera personale. Brighella temeva di dover lavorare anche il giorno di Natale ed era quasi certo che Pulcinella, sempre impegnato dalla mattina alla sera nell’arte del «dolce far niente», non lo avrebbe aiutato nemmeno in quella difficile situazione. Pantalone, invece, era contento, anzi contentissimo: in casa ci sarebbe stata una persona in meno a ricordargli che si stava avvicinando il 25 dicembre. Mentre la slitta di Babbo Natale volava in cielo, il ricco mercante veneziano si era messo addirittura a ridere, saltare e gridare: «Addio Colombina. È stato un piacere averti conosciuta, ma era già da qualche tempo che pensavo di sostituirti con la tua amica Smeraldina. Non ti preoccupare, mi hanno detto che se un buffo uomo vestito di rosso ti mette in un sacco e ti rapisce, non devi aver paura: qualcuno ha chiesto un tesoro per Natale. Ah, ah, che ridere! E adesso mi chiudo nella mia stanza e ci rimango fino al 26 dicembre. Ah, ah, che ridere!».

Babbo Natale sorrise serafico e pensò tra sé e sé: «mio caro vecchio barbagianni, chi la fa, l’aspetti». Colombina era, infatti, il prezioso regalo che avrebbe trovato sotto l’albero Isabella, la figlia di Pantalone, per realizzare il suo più grande sogno: una festa di Natale per tutti i veneziani, che avrebbe riunito intorno allo stesso grande tavolo adulti e bambini, ricchi e poveri, simpatici e antipatici, amici e nemici.

In gran segreto tutte le maschere della Commedia dell’arte stavano arrivando a Venezia, su invito del «buffo uomo vestito di rosso», con un piatto tipico della loro terra: Tartaglia avrebbe portato la pizza napoletana e gli strufoli, Peppe Nappa i cannoli e le cassate, Gianduja i gianduiotti e il bollito misto alla piemontese con il bagnet ross e verd, il dottor Balanzone la mortadella di Bologna e i tortellini da fare in brodo, Meo Patacca gli gnocchi alla romana, Meneghino il panettone e Pantofola da Montepulciano del buon vino toscano. Mentre Colombina avrebbe preparato tutti i piatti veneziani che piacevano tanto al suo amato Arlecchino.

 Ci vollero una notte e un giorno per i preparativi: si dovette diramare l’invito a tutti i veneziani, preparare l’albero e il presepe, incartare i regali e portare di nascosto le pietanze nel palazzo di Pantalone, l’inconsapevole ospitante della festa. Il segreto non durò molto. Al primo vociare di bambini, il vecchio mercante si alzò di scatto dal letto. Uscì dalla sua stanza. Si guardò intorno. Capì che cosa stava succedendo e decise di far pagare a tutti il biglietto di ingresso al palazzo. Ci volle l’intervento di Isabella per far capire al padre che in una serata tanto speciale come quella della nascita di Gesù l’unica moneta da far pagare erano le parole di poesie famose e le note di belle canzoni e così fu, ma non prima che Pantalone dicesse a tutti i presenti: «…E che festa sia!».

 Forse è vero: a Natale siamo tutti un po’ più buoni.

Gli ATTORI IN ERBA di CULTURANDO


venerdì 22 dicembre 2017

Strenne di Natale, Electa Mondadori riedita il «Pinocchio» di Alberto Longoni

«C'era una volta... -Un re!- diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno […]». Era il luglio 1881 e il «Giornale dei bambini», inserto settimanale del quotidiano «Il Fanfulla», pubblicava la prima puntata di «Storia di un burattino», romanzo di Collodi (pseudonimo dello scrittore Carlo Lorenzini) destinato a diventare, con il titolo «Le avventure di Pinocchio», il libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia e di certo uno dei capolavori della letteratura per ragazzi italiana, anche grazie al parere favorevole di Benedetto Croce.
Esuberante fino allo sfinimento, intollerante a qualsiasi regola, bugiardo di fronte all’evidenza, ma anche fiducioso nel prossimo, disposto a fare ammenda dei propri errori e ingenuo come solo i sognatori sanno essere, il «burattino più discolo di tutti i discoli» ha conquistato generazioni di piccoli lettori. Agli albori del Novecento, «Le avventure di Pinocchio» contavano, infatti, ben trecentomila copie stampate; oggi il libro può essere letto in oltre duecentocinquanta lingue (latino ed esperanto compresi) e dialetti, stando agli studi della Fondazione Collodi basati sui dati Unesco.
Tantissimi anche gli illustratori che si sono fatti suggestionare dal burattino più amato dai ragazzi, come, per esempio, Carlo Chiostri (Benporad, Firenze 1912) Emanuele Luzzati (Nuages, Milano 2002), Alvaro Mairani (Lito editrice, Milano 1990) e Cecco Mariniello (Piemme, Casale Monferrato 2002).
Passano, dunque, gli anni; cambiano mode e generazioni, ma la storia del burattino «condannato» dal suo naso ad essere sincero in un mondo di ipocrisia continua a solleticare la fantasia di grandi e piccini, senza mai conoscere eclissi ed oblio, forse perché, per dirla con le parole di Benedetto Croce, attraverso le pagine di questo libro si «trova facilmente la via del cuore».
In occasione del Natale, Electa Mondadori punta proprio su «Le avventure di Pinocchio» per una delle sue più preziose Strenne, ripubblicando l’opera illustrata da Alberto Longoni e pubblicata da Vallardi nel 1963, ormai introvabile sul mercato.
Si tratta di una preziosa edizione numerata a tiratura limitata e numerata (millecinquecento le copie complessivamente stampate), con un formato da cofeee table volto a valorizzare le magnifiche tavole dell’artista, arricchito da una preziosa introduzione di Dino Buzzati.
Alberto Longoni, noto anche per aver vinto nel 1953 il premio Trieste per la caricatura, ci ha lasciato una raffinata e al tempo stesso ironica e pungente interpretazione grafica dei personaggi di questo classico intramontabile della letteratura infantile.
I suoi disegni al tratto, in bianco e nero, sono riprodotti nel volume a piena e a doppia pagina.
Il libro include, inoltre, un folder a quattro ante con la splendida scena del pesce che inghiotte il burattino. Un Pinocchio, dunque, elegante quello di Longoni, apprezzato anche da Dino Buzzati che ebbe a scrivere «ogni generazione ha il Pinocchio che si merita».

Informazioni utili 
Carlo Colldi, Storia di Pinocchio. Le avventure di un burattino, Mondadori Electa, Milano novembre 2017. Illustrazioni di Alberto Longoni, prefazione di Dino Buzzati. Dati tecnici: edizione a tiratura limitata e numerata – 1500 copie | 29 x 43 cm | 74 pp. | costo: € 90,00

giovedì 21 dicembre 2017

Antonietta Raphaël Mafai: in mostra a Roma le opere su carta

«Ho perduto parecchio tempo a disegnare, ma in fondo disegnare non è mai tempo perduto. È piuttosto una chiarificazione di ciò che un artista pensa di realizzare nella pittura e nella scultura». Così, nel 1968, Antonietta Raphaël Mafai parlava del disegno, strumento per lei indispensabile e funzionale nel fissare un’immagine, un’idea, una sensazione sulla quale lavorare senza sosta.
A questo aspetto della ricca produzione della pittrice e scultrice lituana, naturalizzata italiana, è dedicata la mostra allestita fino al 21 gennaio negli spazi del Museo Carlo Bilotti di Roma, nell’Aranciera di Villa Borghese, per la curatela di Giorgia Calò.
L’esposizione, che sarà accompagnata dalla pubblicazione del libro «103 Drawings by Antonietta Raphaël», edito dalla DFRG Press LTD, allinea una cinquantina di carte dell’artista, la maggior parte delle quali inedite e provenienti da collezioni private, che ripercorrono la sua lunga attività, dagli anni Venti fino al 1975, anno della sua scomparsa.
Per la Raphaël Mafai il disegno era -racconta la figlia Giulia, nel suo testo introduttivo per la mostra- «una pausa, un diario continuo, un esercizio, […] un dialogo continuo con se stessa, i suoi pensieri, le immagini sognate, i desideri. Alle volte era una lotta, altre un riposo che con gioia si concedeva come un regalo, quando tornava dallo studio la sera».
Le carte esposte a Roma permettono così di ripercorrere le varie fasi creative dell’artista il suo cambiamento stilistico col passare dei decenni: alle pose bloccate degli anni Trenta, influenzate dal modello egizio e dalla statuaria greca arcaica, si sostituisce, per esempio, una gestualità sintetica e più dinamica.
L’opera grafica si palesa, dunque, come strumento espressivo ricco, complesso e indipendente alla pari della pittura e della scultura stessa, poggiando sul confronto tra diverse tematiche e sull’utilizzo di materiali diversi come la carta e il bronzo.
Tra i temi prediletti ci sono il nudo (prevalentemente femminile), il volto, la maternità e la fertilità. Sono tematiche queste che rispondono a un’ispirazione fatta di richiami alla vita familiare e alla realtà quotidiana, ma anche alla radice ebraica dell’artista. Non a caso Roberto Loghi parlò della Raphaël Mafai come di una «compagna di latte di Chagall» per quel suo far abitare l’opera d’arte da colori infiammati e da storie dal «sapore prettamente russo», tendenti all’arabesco di gusto arcaico e popolaresco.
Centrale è, dunque, nella produzione grafica della pittrice e scultrice lituana la figura femminile, con la cui rappresentazione del corpo «instaura -per usare le parole della figlia Giulia- un rapporto molto forte e diretto, non volgare, finalmente liberato dai falsi pudori e moralismi ottocenteschi e dalle violenze dei nuovi artisti».
Il corpo femminile, nella grafica della Raphaël Mafai, sembra voler uscire, liberarsi, diventare protagonista assoluto alla ricerca di un intimo eros appagante. «La donna viene raccontata come forza primaria e creatrice o, sempre per usare le parole della figlia Giulia, come araba fenice che pugnalata, annientata, distrutta, rinasce sempre».
Alcuni dei disegni in esposizione sono stati realizzati da Raphaël come bozzetti per i suoi lavori scultorei, tecnica a cui l’artista giunge in un secondo momento della sua carriera fino a diventare la sua principale scelta espressiva, con una determinazione che ne farà «l’unica autentica scultrice italiana», come dirà di lei Cesare Brandi.I
l percorso espositivo si apre nella project room per poi proseguire in altre tre salette, una delle quali dedicata alla documentazione con filmati, pubblicazioni e materiali che spiegano il percorso e la carriera di Antonietta Raphaël Mafai, fondatrice, insieme a Mario Mafai e Scipione, della Scuola Romana.
In mostra sono esposte anche alcune sculture, allestite a fianco dello studio preparatorio. Il lavoro di Antonietta Raphaël va, infatti, visto nel suo insieme. Non si può capire fino in fondo la sua ricerca scultorea (e pittorica, di cui vi sono in mostra due splendidi esempi) senza tenere conto dei disegni preparatori, a volte decine che spesso esulano dalla semplice prova tecnica, per diventare opere a sé, indipendenti dal passaggio successivo che li trasformerà in oggetti plastici.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Antonietta Raphaël Mafai, Autoritratto, inchiostro acquerellato, cm 28x22, 1948; [fig. 2] Antonietta Raphaël Mafai, Il sonno, inchiostro ed acquerello, cm 22x28,1966; [fig. 3] Antonietta Raphaël Mafai, Amanti, inchiostro, cm 24x34, 1970

Informazioni utili 
Antonietta Raphaël Mafai - Carte. Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese, viale Fiorello La Guardia - Roma. Orari: da martedì a venerdì e festivi, ore 10.00 - 16.00 (ingresso consentito fino alle 15.30); sabato e domenica, ore 10.00 - 19.00 (ingresso consentito fino alle 18.30); 24 e 31 dicembre, ore 10.00-14.00 (ingresso consentito fino alle 13.30) | giorni di chiusura: lunedì, 1 gennaio, 25 dicembre. Ingresso gratuito. Informazioni: 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00). Sito internet: www.museocarlobilotti.it o www.museiincomune.it. Fino al 21 gennaio 2018 

mercoledì 20 dicembre 2017

Dal teatro ai cartoon: l’universo creativo di Ugo Nespolo in mostra ad Aosta

Dall’arte al cinema, dai cartoon televisivi alla logica matematica, senza dimenticare il teatro: è un viaggio nel poliedrico universo di Ugo Nespolo, uno dei più originali e trasgressivi artisti della scena contemporanea, quello che propone la mostra «A modo mio», allestita ad Aosta, negli spazi del Centro Saint-Bénin, per la curatela di Alberto Fiz e del filosofo Maurizio Ferraris.
Sono oltre ottanta le opere esposte tra dipinti, disegni, maquettes per il teatro, sculture, tappeti, fotografie e manifesti, realizzati dal 1967 sino a oggi in un percorso spettacolare e coinvolgente. Tra le tante curiosità, sono esposte la «BMW K1» del 1993 e uno «Skiff Olimpico Black Fin» lungo otto metri (una barca da canottaggio), mai esposto prima d’ora, che si modifica attraverso il segno nomadico dell’artista.
Nespolo fa il suo ritorno ad Aosta più di vent’anni dopo la sua prima personale organizzata nel 1994 alla Tour Fromage: «Effetto pittura» era il titolo di quella mostra dove il curatore Gianni Rondolino, storico del cinema recentemente scomparso, sottolineava come l’universo cinematografico inteso come la moltiplicazione delle immagini sul terreno della fantasia e dell’immaginazione fosse per l’artista il campo d’azione privilegiato. Anche in questa circostanza il cinema ha un ruolo significativo sia nella sua dimensione specifica (viene proposta, tra l’altro, la prima macchina da presa dell’artista) sia nella sua reinterpretazione pittorica dove i frame dei suoi film diventano grandi dipinti che conservano la memoria della pellicola e ne fissano per sempre la componente iconica.
Nell’ambito della mostra, poi, uno spazio specifico è dedicato alle differenti forme d’indagine audiovisiva partendo dal cinema sperimentale e dai cortometraggi degli anni Sessanta, dove compaiono tra i protagonisti Lucio Fontana, Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz ed Enrico Baj, per giungere sino a «Yo Yo», la serie di cartoni animati in cinquantadue episodi realizzata nel 2016 per Rai Yo Yo che ha vinto il primo premio nella sezione «Series Preschool» a «Cartoons on the Bay», in occasione della 21° edizione del Festival internazionale dell’animazione 2017.
Non mancano lungo il percorso espositivo i ricorrenti camouflages linguistici e metalinguistici: è il caso del bozzetto di «Lavorare, lavorare, lavorare, preferisco il rumore del mare», scultura di sette metri ispirata a un verso del poeta Dino Campana. Ampio è, poi, lo spazio dedicato al «Museo», un ciclo iniziato alla metà degli anni Settanta che prosegue tuttora con l’intenzione di rivisitare la fruizione dello spazio pubblico e denunciare l’atteggiamento acritico e conformista nei confronti dell’arte contemporanea cosiddetta ufficiale celebrata dal sistema economico e fonte di continue speculazioni.
Accanto ad una serie di grandi dipinti, viene presentata «Avanguardia educata», un’installazione polimaterica abitabile di quattro metri, datata 1995, che ripropone una sintesi postmoderna dei segni novecenteschi, tra futurismo, Bauhaus e Pop art.
Sempre nel campo delle installazioni merita una citazione «Condizionale», opera poverista del 1967 con il nastro in gomma che esce da due elementi in legno e formica simulando l’andamento della pellicola cinematografica.
Il lavoro è esposto insieme alle tavole di «Pastore», un omaggio al filosofo torinese Valentino Annibale Pastore, dove Nespolo propone la combinazione tra duecentocinquantasei tipi di sillogismi segnici che si sviluppano parallelamente alle indagini dell’amico Boetti.
La rassegna presenta anche una serie di tappeti disposti attraverso il gioco combinatorio dei puzzle di Ugo Nespolo con immagini spezzate che s’incrociano creando narrazioni eccentriche ed imprevedibili oltre all’esposizione di ex libris, ovvero libri-scultura tridimensionali di forte impatto cromatico che s’impongono alla visione senza la necessità di essere sfogliati.
Un’attenzione specifica è, poi, dedicata ai numeri che prendono spunto dagli studi sulla sezione aurea (nel 2010 Ugo Nespoli ha pubblicato un libro d’artista sul «Numero d’Oro» per la Utet). Da qui le infinite relazioni indagate dall’artista in uno spazio che contempla sculture tattili e dipinti storici di grande impatto visivo come «Grande conto» del 1981 di tre metri di lunghezza.
Al Centro Saint-Bénin, infine, non poteva mancare un focus sul teatro che dagli anni Ottanta affianca l’attività artistica di Nespolo. Si trovano esposte maquettes degli spettacoli più importanti, disegni e costumi di opere, che spaziano dall’«Elisir d’amore» di Gaetano Donizetti alla «Madama Butterfly» di Giacomo Puccini sino alla «Veremonda, l’Amazzone di Aragona» di Francesco Cavalli. Un viaggio, dunque, completo nell’universo creativo dell’artista quello che propone Aosta permettendo al pubblico di confrontarsi con un linguaggio espressivo dal forte accento trasgressivo, giocato sul senso del divertimento.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ugo Nespolo, «Condizionale», 1967; [fig. 2] Ugo Nespolo, «Avanguardia educata», 1995, opera polimaterica abitabile, 250 x 400 x 160 cm; [fig. 3] Ugo Nespolo, «My Numbers», 2017, tecnica mista su carta, 152 x 102 cm; [fig. 4] Ugo Nespolo, «Testa di Pantalone», Bozzetti per costumi di scena, «Turandot» di Ferruccio Busoni, 1986, tecnica mista su carta, 62 x 48 cm

Informazioni utili 
«A modo mio. Nespolo tra arte cinema e teatro». Centro Saint-Bénin, via B. Festaz, 27 - Aosta. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00; € 4,00 per i soci del Touring Club Italiano ed € 3,00 per i soci Alpitur; entrata gratuita per i minori di 18 anni e per le scuole. Informazioni: tel. 0165.272687 o mostre@regione.vda.it. Sito internet: www.regione.vda.it. Fino all'8 aprile 2018. 



martedì 19 dicembre 2017

Da Bonnard a Dufy: al Castello di Longiano un percorso tra i libri d’artista

Quattro capitoli di un unico viaggio alla scoperta del libro d’artista: si presenta così la mostra che la Fondazione Tito Balestra Onlus presenta negli spazi del Castello Malatestiano di Longiano. Pierre Bonnard, Raoul Dufy, Louis Marcouissis e Ossip Zadkine sono gli incisori selezionati per questo percorso, a cura di Giuseppe Appella, che vuole raccontare come la stagione creativa che ha aperto il XX secolo o lo ha attraversato si è approcciata a quella particolare forma d’arte nella quale segni e figure appaiono distribuiti a fianco delle parole.
Pierre Bonnard è presente in mostra con il romanzo di Octave Mirbeau (Trévières,1848 – Parigi, 1917), «Dingo», illustrato con cinquantacinque incisioni originali stampate dalla Ambroise Vollard Éditeur. Il grande mercante francese, che aveva saputo scegliersi gli artisti adatti al suo temperamento sensibile, raffinato e aperto a tutte le avventure estetiche, anche questa volta ha colto nel segno.
Il libro di Mirbeau, che seppellisce l’idea del vecchio romanzo legato a situazioni realistiche, si affida alla fantasia e mette in campo lo stesso autore, la sua attività di scrittore, la sua automobile Charron, il suo cane Dingo.
Bonnard affronta il libro di Mirbeau all’età di 58 anni, avendo alle spalle una lunga militanza nell’arte popolare e artigianale, fatta di mobili, ventagli, paraventi, ceramiche, scenari teatrali, e una accalorata frequentazione degli amici autodefinitisi Nabis, le cui prime prove furono viste al Salon des Indìpendants: parliamo di Denis, Sàrusier, Ibels, Ranson, Vuillard, Roussel, Vallotton e Maillol.
Bonnard si distingue subito, non solo per l’altezza, la magrezza e la poca espansività. Ranson gli dà un soprannome: Nabi japonarda, quasi a voler sottolineare l’audacia e la modestia ma anche la sottile tenerezza della sua pittura, lo stupore nell’esplorazione e nella trasfigurazione di vicinanze sconosciute: un semplice canestro di frutta, un cane, un bambino, la donna, un giardino, il bagno, la sala da pranzo. Tutto ciò che esprime disagio, avvilimento, emarginazione, lo attrae ed esalta il senso dell’incertezza, la passione per una animalità quasi primitiva, proprio quella che individua in Dingo e cerca di trasmettere attraverso un segno che scava nella verità del suo amico animale mentre supera ogni difficoltà tecnica che l’incisione gli mette davanti.
Raoul Dufy è, invece, presente in mostra con il libro «Aphorismes et Variétés» di Brillat-Savarin, autore considerato una sorta di «apostolo della gastronomia», che fu stampato in duecento copie su carta «Vélin de Rives».
L’esemplare esposto è il numero trentadue, destinato a monsieur Lionel de Taste.
Pur apparso in un periodo di ristrettezze e privazioni, come fu quello della guerra, il testo mira a glorificare le virtù della cucina francese attraverso testi come «L’omelette du Curé», «Les oeufs au jus», «Le plat d’anguille», «L’asperge», «Le poularde de Bresse» e «De la fondue», abbinati a commenti grafici di Dufy, intitolati «La Salle à manger du Curé», «La Boucherie», «Pêche en mer», «Le magasin de comestibles», «Le Paradis Terrestre».
Dufy non si preoccupa della ricostruzione storica e neppure dell’esattezza documentaria o della fedeltà ai testi. Per il piacere degli occhi e dello spirito, la sua evocazione libera e poetica esalta il godimento dei sensi, la gioia del palato, che la fisiologia del gusto elargisce a piene mani.
L’esposizione propone, poi, un confronto con il volume «Planches de Salut» di Louis Marcoussis, stampato da Roger Lacouriere in sessanta esemplari, che contiene incisioni all'acquaforte e al bulino realizzate da Louis Marcoussis per illustrare le poesie di Apollinaire, Baudelaire, Rimbaud, Holderlin, Shakespeare, Dostoyewski, Tzara, De Nerval e Jouhandeau.
A chiudere la mostra è, invece, l’omaggio a Ossip Zadkine che illustrò con dieci acqueforti il libro «Sept Calligrammes» di Guillaume Apollinaire. Qui segno e parola uniscono le forze per rendere la tenerezza dei ripetuti sguardi distesi sul corpo umano, contraddicendo le abitudini cubiste portate a distruggerne o a negarne la bellezza. Eleganza di gesti e di profili muove le figure femminili che definiscono, ancora una volta, i fattori che compongono la forma: la curva sostituisce la linea retta, la cavità le sporgenze, la luce l'ombra, fino a scavare ampie aperture nella massa compatta, a sovrapporre piani che alimentano molteplici punti di vista.
Scriveva Apollinaire, e Zadkine lo conferma con le sue immagini: «Per me un calligramma è un insieme di segno, disegno e pensiero. Esso rappresenta la via più corta per esprimere un concetto in termini materiali e per costringere l'occhio ad accettare una visione globale della parola scritta». Una bella riflessione, questa, che potrebbe fare da filo conduttore a tutta la mostra, nata dalla collaborazione con il Museo internazionale della grafica di Castronuovo di Sant'Andrea (Potenza) e che vede il patrocinio, tra gli altri, dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna.

Informazioni utili 
«Il libro d'artista, ovvero l'arte del libro. Quattro capolavori con incisioni di Pierre Bonnard, Raoul Dufy, Louis Marcouissis, Ossip Zadkine». Galleria d'arte moderna e contemporanea - Castello Malatestiano, piazza Malatestiana, 1 - 47020 Longiano (FC).Orari: dal martedì alla domenica e festivi, ore 10.00-12.00 e ore 15.00-19.00. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00 (over 65 anni, docenti, gruppi 10 persone min., convenzioni), ridotto speciale € 3,00, gratuito per under 13 anni accompagnati, disabili e accompagnatori, giornalisti, residenti nel Comune di Longiano; FTB card € 15,00 (ingresso per un anno alle mostre e alle collezioni). Informazioni: tel. 0547.665850|665420. Sito internet: www.fondazionetitobalestra.org. Fino al 31 gennaio 2018