ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 28 gennaio 2018

Clemente XI, un «collezionista illuminato»

Si presenta come un’importante occasione di studio sull’arte del Settecento, proveniente da quell’alveo produttivo che fu Urbino, da sempre crocevia di grandi artisti, la mostra «Clemente XI. Collezionista e mecenate illustre», a cura di Claudio Maggini e Stefano Papetti, allestita fino al 25 febbraio nel Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio Sodalizio dei Piceni in Roma.
Al centro dell’esposizione, che rientra nel progetto «Il Pio Sodalizio dei Piceni per le Marche colpite dal sisma», c’è il Fondo Albani, a lungo dimenticato, se non del tutto negletto o inesplorato dagli studiosi. Questo fondo, risalente al 1818, ha il pregio di registrare e catalogare tutti i beni presenti nelle case della città di Urbino e di quelle poste nell'immediato circondario.
Di questo patrimonio censito dal notaio Parenti in un inventario composto da duecentouno pagine dalla descrizione e cura del particolare, mai apparso in precedenza in testi di letteratura periegetica, ne scaturisce una ricca elencazione di dipinti, dove risulta la presenza di antichi pittori, le cui opere furono verosimilmente raccolte dal nonno e dal padre di Clemente XI.
In queste pagine si trova anche e soprattutto una lunga lista di oli su tela realizzati da autori attivi nella seconda metà del Seicento, non ancora di primo piano o emergenti, le cui commissioni possono essere riconducibili al porporato Albani, e poste in essere prima dell'elezione petrina, avvenuta nel 1700.
A dipinti di Raffaello, Barocci, Giovanni Lanfranco, Guido Cagnacci, Guido Reni e Simone Cantarini, nel fondo sono, infatti, affiancate numerose tele realizzate da pittori protagonisti della politica artistica di Clemente XI, al secolo Giovanni Francesco Albani (Urbino, 23 luglio 1649 - Roma, 19 marzo 1721), come Carlo Maratta, Giuseppe Ghezzi, il paesaggista Alessio De Marchis e il vedutista Gaspar Van Wittel.
A questo secondo contesto pittorico è dedicata la mostra romana, che allinea una quarantina di opere, a partire dal grande stemma in pietra di papa Albani, opera di un autore ignoto proveniente da Palazzo Albani di Urbino.
Come una sorta di privatissima wundekammer, la rassegna illustra con opere pittoriche, disegni e stampe, opere di oreficeria, le arti secondo il mecenatismo di papa Albani. Siamo in pieno barocco, gli artisti dell’entourage di Clemente XI -Carlo Maratta, Alessio De Marchis, Andrea Procaccini e Francesco Mancini- risentono del gusto estetico del periodo, ma non vi aderiscono in pieno.
Tra le opere esposte si segnalano l’olio su tela «Il cardinale Giovanni Francesco Albani» (1692) di Carlo Maratta, proveniente da una collezione privata di Urbino, il bassorilievo in marmo «Ritratto di Clemente XI» (secolo XVIII), appartenente alla collezione di Antonio Maria Antonelli, e un’acquaforte (1709) di Pietro Nelli e Girolamo Rossi, con un papa ormai anziano. Di meravigliosa bellezza sono, poi, il grande olio su tela «Miracolo della beata Mafalda del Portogallo» (1710-1725), il «Cristo in gloria con i santi Clemente e Ignazio d’Antiochia» (1713) di Francesco Mancini e il «San Pietro battezza il centurione Cornelio» (1711 ca.) di Carlo Maratta e Andrea Procaccini.
Clemente XI, illuminato mecenate e collezionista, durante il suo papato persegue una considerevole politica culturale, davvero degna di nota. La passione per l'erudizione determinò la fondazione di un'importante sezione orientale della Biblioteca Vaticana con il reperimento di numerosi e preziosi manoscritti. La sua sensibilità per la salvaguardia del patrimonio artistico-archeologico di Roma favorì l'azione meritevole di Francesco Bianchini e Marcantonio Boldetti.
Il suo fu un mecenatismo costituito da innovazioni, da scavi archeologici e da restauri di chiese e monumenti: famosi restano i restauri delle stanze di Raffaello, del Pantheon, della basilica di San Clemente e la scoperta e l'erezione della colonna Antonina.
Papa Albani fu particolarmente grato alla sua città, Urbino: fu generosissimo nelle opere pubbliche, nella definizione di innumerevoli privilegi all'università locale e alla cancellazione dei debiti. Inoltre, continuando l'opera di Innocenzo XII, favorì l'attività di riordino dell'università di Roma intrapresa dal cardinale Spinola che giunse ad un'effettiva razionalizzazione della didattica e del numero dei professori di cui si curò maggiormente il livello professionale. In questo rilancio della Sapienza furono favorite le discipline giuridiche, prima fra tutte il diritto canonico, in conformità all'esigenza di formare legisti preparati in grado di contrastare validamente le innumerevoli obiezioni giurisdizionaliste.
Infine, nel campo delle lettere intervenne nel 1711 a favore del poeta maceratese Giovanni Mario Crescimbeni per mantenere fortemente gerarchizzata e curiale la struttura dell'Accademia dell’Arcadia.
Già cagionevole di salute sin dal 1710, Clemente XI morì a Roma il 19 marzo 1721, lasciando ai posteri un grande lavoro pastorale e culturale, che rende ancor più evidente l’eccezionale gusto estetico e collezionistico di questo pontefice.

Informazioni utili
«Clemente XI. Collezionista e mecenate illustre». Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio Sodalizio dei Piceni, piazza di San Salvatore in Lauro, 15 – Roma. Orari: lunedì – sabato, ore 9:00 – 13:00 e ore 16:00 – 19:00; domenica, ore 9:00 - 12:00; chiuso nei festivi. Ingresso gratuito. Informazioni: Artifex International Srls, tel. 06.68193064, info@artifexarte.it. Fino al 25 febbraio 2018.

venerdì 26 gennaio 2018

Trieste, la Shoah attraverso gli occhi di Anton Zoran Mušič

Le arti figurative hanno spesso il pregio di far continuare a vivere attraverso immagini e sensazioni pagine significative della nostra Storia, ricordando ciò che è stato per far sì che non accada più. È il caso della Shoah: i visi allucinati di Edith Birkin, le scene di grande impatto fotografico di David Olère, i profili tratteggiati di Richard Grune, la disperazione ritratta da Sara Kestelman, i terribili paesaggi di Samuel Bak e le fosse dipinte da Leslie Cole sono soltanto alcune testimonianze del genocidio nazista giunte fino a noi.
Tra gli artisti che hanno impresso nella nostra memoria la brutalità di ciò che è avvenuto nei campi di concentramento c’è anche Anton Zoran Mušič (Boccavizza, 12 febbraio 1909 – Venezia, 25 maggio 2005), a cui la città di Trieste dedica negli spazi del Civico Museo Revoltella, in occasione della Giornata internazionale della memoria 2018, la mostra «Occhi vetrificati».
L’esposizione, per la curatela di Laura Carlini Fanfogna, allinea ventiquattro disegni, tutti inediti, che l’artista realizzò nel 1945, mentre era prigioniero a Dachau, marchiato con il triangolo rosso dei deportati politici, a causa dell’accusa di collaborazione alla Resistenza per la sua amicizia con Ivo Gregorc, membro della Croce Rossa slovena.
Questi lavori erano stati «dimenticati» tra i fascicoli d’archivio conservati in varie istituzioni che si occupano di preservare la memoria storica degli eventi legati alla Seconda guerra mondiale, tra cui l’Istituto regionale per la Storia del movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, e sono ritornati alla luce nel luglio del 2016 nel corso di una ricerca che il professor Franco Cecotti, vicepresidente dell’Aned - Associazione nazionale ex deportati, stava conducendo.
Oggetto del suo interesse era una cartella contenente ciclostilati e materiali intitolata «Gli italiani in Dachau» e risalente al maggio del 1945. La stessa data era riportata anche su una seconda cartella, contrassegnata come «Disegni campo Dachau», dalla quale sono emerse le opere di Mušič al centro dell’esposizione triestina.
I disegni furono realizzati dall’artista appena dopo l’arrivo degli Alleati, quando egli sopravviveva nel campo in una sorta di quarantena, sopraffatto dall’angoscia che ancora lo torturava.
Le ventiquattro opere riunite in mostra facevano parte di un corpus più ampio di pezzi che Mušič donò in parte ai compagni sopravvissuti.
Questi disegni andarono dispersi, fatta eccezione per il nucleo esposto ora al museo Revoltella.
Fissati a matita o inchiostro su supporti disparati come fogli di quaderno, carte di riciclo e persino libri, questi lavori, dove spesso sono raffigurati cadaveri a mucchi e a pile, danno forma all’orrore. Sembrano urla silenziose di dolore, un dolore che l’artista tenne a lungo lontano dalla sua memoria. Ritornato a casa, Mušič si dedicò, infatti, a lungo a raccontare l’amata Venezia e i paesaggi dalmati e solo negli anni Settanta, trascorso un quarto di secolo, riuscì a ritornare sull’argomento con la serie «Noi siamo gli ultimi», raccontando «l’orrido che è insito nell’uomo».
«I ventiquattro disegni di Music, vero tesoro d’arte e di storia, dopo l’esposizione resteranno in deposito nelle nostre collezioni -sottolinea Laura Carlini Fanfogna, curatrice della mostra e direttrice del Servizio civici musei e biblioteche del Comune di Trieste - e saranno affiancati dalla storica video-intervista che vent’anni fa l’artista rilasciò in occasione della sua mostra alla Risiera di San Sabba, rievocando quella deportazione a Dachau».
«Con l'occasione abbiamo voluto anche documentare – racconta ancora la Carlini Fanfogna - la realtà di quel campo e di altri campi di sterminio, attraverso una selezione di immagini che l’Usis-United States Information Service vi realizzò all’arrivo delle truppe alleate. Sono immagini tratte dalla nostra fototeca, ricca di quasi 3 milioni di foto e, tra esse, di un corpus di ben 14 mila concesse proprio dall’Usis».

Informazioni utili
«Occhi vetrificati». Museo Revoltella, via Diaz, 27 - Trieste. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica, ore 10.00-19.00; la cassa chiude alle ore 18.15. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00, ridotto scolastico € 3,00. Informazioni: tel. 040.6754350/4158. Sito internet: www.museorevoltella.it. Dal 27 gennaio al 2 aprile 2018. 

mercoledì 24 gennaio 2018

«Storie, Direzioni, Visioni»: la Gam di Torino si racconta attraverso le sue collezioni

Guarda alla sua storia la Gam – Galleria d’arte moderna e contemporanea di Torino per la nuova esposizione permanente delle sue collezioni. Dallo scorso dicembre il museo sabaudo presenta al pubblico un nuovo allestimento, che abbandona l’usuale ordinamento tematico per offrire al pubblico un percorso che ricompone la storia del primo museo civico d’arte moderna italiano, raccontando anche le vicende artistiche degli ultimi due secoli attraverso le acquisizioni e le politiche culturali promosse dai direttori che si sono succeduti alla guida della prestigiosa realtà piemontese: Pio Agodino, Emanuele d’Azeglio, Vittorio Avondo, Enrico Thovez, Lorenzo Rovere, Vittorio Viale e Luigi Mallé.
Il riallestimento delle collezioni, guidato da Carolyn Christov-Bakargiev, è curato per l’Ottocento da Virginia Bertone con Fabio Cafagna e Filippo Bosco, e per il Novecento da Riccardo Passoni con Giorgina Bertolino.
Il nuovo allestimento della Gam è ordinato secondo tre linee di lettura: la storia dell’arte, la storia del museo, e il contesto storico, sociale ed economico di Torino nella cornice degli avvenimenti nazionali e internazionali.
Al secondo piano sono esposti dipinti e sculture che accompagnano il visitatore dalla nascita del museo nel 1863 fino ai primi anni del Novecento; al primo piano sono presentate le opere datate dagli anni dieci del Novecento fino alla Pop art, coeva al boom economico degli anni sessanta del secolo scorso.
La sequenza delle opere e dei capolavori conservati dalla Gam rispecchia i gusti di allestimento dell’epoca: nella seconda metà dell’Ottocento, ad esempio, i dipinti si allestivano a quadreria su pareti colorate, spesso rosso pompeiano o verde oliva, perché si pensava che per contrasto i dipinti risaltassero come finestre sul mondo.
Il museo era uno spazio pubblico: ci si sedeva sulle panchine e si conversava, come in un parco. All’inizio del XX secolo le pareti si schiariscono, si adotta il beige o il grigio quale colore di fondo e nasce il canone dell’allineamento su una sola fila, con le opere una accanto all’altra all’altezza degli occhi.
Gli aspetti innovativi del nuovo ordinamento della collezione comprendono anche la forte presenza di documenti d’archivio e testi di sala che raccontano la storia dell’arte attraverso le opere della Galleria torinese. Il percorso espositivo presenta, inoltre, dei «metamusei»: pareti che, attraverso immagini d’epoca e testi, offrono focus di approfondimento sulle vicende artistiche e storiche del museo e della città, in rapporto agli avvenimenti italiani e del mondo.
Il percorso di visita ha inizio dal secondo piano dove sono ospitate le opere dell’Ottocento, dalle origini delle raccolte civiche (1863) fino alla vigilia della Grande guerra (1914).
Per la colorazione delle pareti si è scelto di adottare un’alternanza di rosso e verde, colori utilizzati nel 1913 da Enrico Thovez, che in quell’anno fu nominato direttore della Galleria civica.
«Nelle ultime sale dell'Ottocento, -raccontano gli organizzatori- la direzione ha scelto di sperimentare e studiare il rapporto percettivo del pubblico contemporaneo con altre tonalità caratteristiche della nostra vita attuale, evitando di mostrare l'arte ottocentesca negli ambienti bianchi tipici degli spazi museali dalla fine del Novecento a oggi».
Il percorso è suddiviso in diciassette sale che seguono un ordinamento cronologico affrontando temi quali «Il rinnovamento del paesaggio», «L’arte alle grandi esposizioni», «La fortuna del ritratto» e «La pittura divisionista e simbolista».
 Tra le opere dei molti artisti presenti nelle collezioni sono esposte quelle di Antonio Canova (1757-1822), Giovanni Battista De Gubernatis (1774-1837), Andrea Gastaldi (1826-1889), Vincenzo Vela (1820-1891), Giovanni Fattori (1825-1908), Tranquillo Cremona (1837-1878), Vincenzo Gemito (1852-1929), Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907), Angelo Morbelli (1853-1919), Medardo Rosso (1858-1928), Gustave Courbet (1819-1877), Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) e sale dedicate ai nuclei di opere di Massimo d’Azeglio (1798-1866), Antonio Fontanesi (1818-1882) e Leonardo Bistolfi (1859-1933).
Il primo piano raccoglie le opere del Novecento che spaziano dal primo decennio del secolo fino al 1965, con sale intitolate alla «Moderna classicità», ai «Futurismi» e alle «Avanguardie storiche», che propongono opere di Felice Carena (1879-1966), Mario Sironi (1885-1961), Carlo Carrà (1881-1966), Alberto Savinio (1891-1952), Giorgio de Chirico (1888-1978), Giacomo Balla (1871-1958), Gino Severini (1883-1966), Umberto Boccioni (1882-1916), Enrico Prampolini (1894-1956), Otto Dix (1891-1969), Francis Picabia (1879-1953), Max Ernst (1891-1976) e Paul Klee (1879-1940).
Il percorso è intervallato dalle stanze monografiche destinate ai capolavori di Felice Casorati (1883-1963), Arturo Martini (1889-1947), Giorgio Morandi (1890-1964) e Filippo de Pisis (1896-1956). Un’ampia sala, dedicata all’«Arte a Torino tra le due guerre», è introdotta da Amedeo Modigliani (1884-1920), che con la sua «Ragazza rossa» è una delle fonti di ispirazione del gruppo cosiddetto dei «Sei pittori».
L’itinerario all’interno delle collezioni prosegue con la sala degli artisti «Astratti italiani» degli anni Trenta rappresentati dalle sculture di Lucio Fontana (1899-1968), Fausto Melotti (1901-1986) e dai dipinti di Osvaldo Licini (1894-1958). Si snoda tra le opere dei protagonisti della scena internazionale degli anni Quaranta e Cinquanta: Marc Chagall (1887-1985), Pablo Picasso (1881-1973), Hans Hartung (1904-1989), Hans Jean Arp (1887-1966). Approfondisce le ricerche di Lucio Fontana (1899-1968), Alberto Burri (1915-1995), Asger Jorn (1914-1973) e Pinot Gallizio (1902 – 1964). Si inoltra negli anni Sessanta approfondendo la storia del «Museo Sperimentale», allargando, infine, lo sguardo sulla scena Pop italiana con opere, tra gli altri, di Mario Schifano (1934-1998) e Salvatore Scarpitta (1919-2007), ma anche di Andy Warhol (1928-1987), Louise Nevelson (1899-1988) e Beverly Pepper (1924).
Un viaggio, dunque, ben articolato tra le storie, le direzioni e le visioni di chi ha creato e reso grande la Gam di Torino tra il 1863 e il 1965, consegnando alla storia uno dei musei d’arte moderna e contemporanea più importanti d’Italia.

Informazioni utili 
GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino, via Magenta, 31 – Torino. Orari: martedì – domenica, ore 10.00-18.00, chiuso lunedì (la biglietteria chiude un’ora prima). Ingressi: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito ragazzi fino ai 18 anni. Informazioni per il pubblico: tel. 011.4429518. Sito Internet: www.gamtorino.it.

lunedì 22 gennaio 2018

Da David Hockney a Cézanne, Nexo Digital porta la grande arte al cinema

La grande arte ritorna sugli schermi dei cinema italiani. Dopo il successo della scorsa stagione, che ha raccolto oltre quattrocentomila spettatori, Nexo Digital propone un nuovo calendario di eventi cinematografici che, grazie alla tecnologia del cinema digitale, faranno vivere sul grande schermo tutta la ricchezza delle mostre, degli artisti e dei musei più importanti del mondo.
A inaugurare questo nuovo ciclo sarà, nelle giornate del 30 e del 31 gennaio, il docufilm «David Hockney dalla Royal Academy of Arts», che racconta le due grandi esposizioni che la prestigiosa istituzione londinese ha dedicato all’artista, uno dei simboli indiscussi della Pop art inglese.
Il rapporto di David Hockney con la Royal Academy of Arts, di cui è membro dal 1991, è unico, tanto che l’artista ha creato che per gli spazi dell’istituzione britannica ben due eventi espositivi ad hoc: «A Bigger Picture 2012» e «82 Portraits and One Still Life 2016».
Partendo da questi allestimenti, il film ripercorre la carriera del maestro britannico, artefice di opere iconiche come «A Bigger Splash» e «A Closer Grand Canyon».
A partire dall’intervista all’artista a cura di Tim Marlow, direttore artistico della Royal Academy of Arts, Hockney racconterà, nello specifico, il suo primo viaggio all’estero, in Egitto nel 1963, il dolore per la morte dell’amico Jonathan Silver e le tecniche innovative che sta abbracciando in questi anni, con disegni e video realizzati con l’iPad.
Ad arricchire il racconto ci saranno anche i pareri dei critici d’arte Martin Gayford e Jonathan Jones, e quelli di Edith Devaney, senior contemporary curator della Royal Academy of Arts, che posò due volte per l’artista.
Pittore sempre pronto a sperimentare e ad innovare il proprio linguaggio, gioioso nel suo modo di dipingere irrequieto, imprevedibile e vitale, Hockney dà vita a un’arte ricca di immediatezza, capace di regalare un senso di energia e vigore a tutti i soggetti trattati.
Le due mostre al centro del racconto, realizzato da Nexo Digital in collaborazione con Sky Arte HD e MYmovies.it, sono entrambe molto interessanti. «A Bigger Picture 2012» è stata la prima grande rassegna di nuovi dipinti paesaggistici di David Hockney, caratterizzata da imponenti e maestose opere di grandi dimensioni ispirate al paesaggio dello Yorkshire. «82 Portraits and One Still Life 2016» è, invece, la raccolta di straordinaria bellezza e valore artistico incentrata sull'arte del ritratto, rielaborato ed espresso con rinnovato vigore creativo grazie a dipinti che offrono un'istantanea sulla vita privata dell'artista e sul mondo dell'arte attraverso la rappresentazione di amici, colleghi o persone che hanno incrociato il suo percorso tra il 2014 e il 2015.

La rassegna proseguirà con «Caravaggio – L’amore e il sangue», documentario il cui debutto nei cinema italiani è previsto per le giornate dal 19 al 21 febbraio.
Il film è un excursus narrativo e visivo attraverso i luoghi in cui l’artista, uno dei geni più controversi della storia dell’arte, ha vissuto e quelli che ancora oggi custodiscono alcune tra le sue opere più note: Milano, Firenze, Roma, Napoli e Malta.
La consulenza scientifica è stata affidata al professor Claudio Strinati, storico dell’arte che nel film racconta la figura di Michelangelo Merisi in stretta correlazione con le sue opere.
Il documentario è ulteriormente arricchito dagli interventi della professoressa Mina Gregori, presidente della Fondazione di studi di storia dell’arte Roberto Longhi, che fornisce alcune letture personali delle opere dell’artista e di Rossella Vodret, anche curatrice della mostra «Dentro Caravaggio», allestita fino al 28 gennaio a Milano, che illustra i risultati dei più recenti studi sulla tecnica pittorica dell’artista.
Un’approfondita ricerca documentale negli archivi che custodiscono traccia del passaggio dell’artista, che nel film “rivive” grazie alla voce di Manuel Agnelli, condurrà il pubblico alla scoperta di una quarantina di opere dell’artista, che, grazie all’impiego di evolute elaborazioni grafiche, di macro estremizzate e di lavorazioni di luce ed ombra, prenderanno quasi vita e corpo, si confondono con la realtà dando una percezione quasi tattile.
Seguirà, nelle giornate del 13 e del 14 marzo, il film «Hitler contro Picasso egli altri. L’ossessione nazista per l’arte», che raccoglie testimonianze dirette legate a storie presentate nell’ambito delle grandi mostre che nel 2017, a distanza di ottanta anni, hanno fatto il punto sull’arte trafugata in quel periodo e sulle ultime restituzioni. Il documentario riporta così gli spettatori al 1937, periodo in cui incomincio la razzia, nei musei dei territori occupati e nelle case dei collezionisti e ebrei, di capolavori destinati a occupare gli spazi di quello che Hitler immaginava come il Louvre di Linz.
Sarà, dunque, la volta di «Van Gogh tra il grano e il cielo», in cartellone dal 9 all’11 aprile. Il documentario è stato realizzato in occasione della grande mostra, a cura di Marco Goldin, allestita fino all’8 aprile alla Basilica palladiana di Vicenza, nella quale sono allineati quaranta dipinti e ottantacinque disegni proventi dal Kröller-Müller Museum di Otterlo in Olanda. Il film, che vede alla regia Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii, permette anche di capire l'importanza del disegno e dei lunghi studi preparatori nella pratica artistica di Van Gogh.
Attraverso le lettere dell’artista, interpretate da Carlo Valli, accostate a cento immagini di quadri, foto d’epoca e documenti originali, il racconto viene scandito dalle tappe fondamentali della vita del maestro de «I girasoli»: il Borinage, Etten, l’Aia, la Drenthe, Nuenen, Parigi, Arles, Saint-Rémy e Auvers-sur-Oise. Di grande impatto emotivo anche le musiche originali composte da Anna Campagnaro, Sandro Di Paolo, Mauro Martello, Renzo Ruggieri e Paolo Troncon.
A chiudere il programma sarà, nelle giornate dell’8 e 9 maggio, il film «Cézanne. Ritratti di una vita», nato dalla mostra «Cézanne’s portraits», che ha raccolto per la prima volta oltre cinquanta ritratti eseguiti dall’artista, in viaggio tra la National Portrait Gallery di Londra, il Musée d’Orsay di Parigi e la National Gallery of Art di Washington DC. Il documentario sul padre dell’arte moderna, colui che influenzò Fauves, cubisti e tutti gli artisti delle Avanguardie , conduce lo spettatore nella vita dell’artista attraverso le sue lettere personali e l’esplorazione degli spazi privati, includendo anche filmati girati nel sud della Francia, dove Cézanne nacque e si spense.

Informazioni utili
Tutti i titoli possono essere richiesti anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole. Per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633. 

sabato 20 gennaio 2018

Michelangelo e i migranti per il debutto milanese della galleria Poggiali

Guarda a Michelangelo Buonarotti l’opera scelta dalla Galleria Poggiali per inaugurare la sua nuova sede a Milano. Fabio Viale, l’artista selezionato per il debutto dello spazio espositivo di Foro Bonaparte, porta, infatti, in mostra una replica della «Pietà», conservata in Vaticano.
L’opera, realizzata con l’aiuto del Cas – Centro accoglienza straordinaria di Torino, presenta, però, un elemento di novità: la figura del Cristo è stata sostituita da quella di un ragazzo di colore e un audio spiega il motivo di questa scelta. Quel giovane effigiato è un ragazzo nigeriano di fede cristiana costretto all’età di diciassette anni a lasciare il suo Paese per le persecuzioni religiose Il tutto va a comporre, insieme con un manifesto di grandi dimensioni che ritrae il giovane africano, la mostra «Lucky Hei», a cura di Sergio Risaliti. Il visitatore si trova così davanti a un unico racconto, ben coordinato, «in cui -si legge nella nota stampa- pratica artistica e storia dell’arte, teologia e poesia, media diversi, si scontrano e misurano con la cronaca, tra fatti quotidiani e geopolitica, per fondersi con l’umano destino, con le sofferenze e ingiustizie nel mondo».
Con questo progetto Fabio Viale affronta una sfida con se stesso: la sua sorprendente abilità tecnica, ai limiti del virtuosismo, lo porta a confrontarsi con uno dei modelli più alti e più studiati della scultura religiosa (e non solo) di tutti i tempi, la «Pietà» michelangiolesca, e a fare un passo oltre, riportando il divino alla dimensione umana attraverso il gesto semplice e toccante di “strappare” il Cristo dal grembo di Maria. Nella versione di Viale le braccia della Madonna sono aperte e vuote, pronte ad accogliere simbolicamente un nuovo corpo, in attesa di ricongiungersi con il frutto del suo sangue. E sta proprio qui l’atto più coraggioso dell’artista, che non ha timore di aggiungere nuovi contenuti a quelli già notevolmente complessi della «Pietà», suggerendo come novello Cristo contemporaneo un giovane di colore -Lucky Ehi, appunto- migrante nigeriano con una grande croce cristiana tatuata su una spalla, fuggito da un inferno di violenza, e dopo dure e lunghe traversie arrivato in Italia. Lucky è uno dei tanti ultimi della nostra società, che l’artista ha voluto ritrarre in una dimensione di amore materno che travalica oggi più che mai ogni confine – geografico, politico, sociale e religioso.
«È la storia individuale di Lucky Ehi che diventa centrale -sottolinea Sergio Risaliti, curatore della mostra e studioso di Michelangelo (autore con Francesco Vossilla del saggio «Michelangelo. La Pietà vaticana», edito da Bompiani)-: la sua è una storia esemplare, paradigmatica, eppure simile a quella di migliaia di uomini e di donne che fuggono dal proprio Paese di origine in cerca di pace e di benessere, di libertà e fratellanza. La storia di Lucky Ehi si sovrappone così a quella di Gesù. Il giovane è l’esausto che trova pace sulla Pietà al posto del Messia. Il messaggio cristiano in cui Lucky ha riposto speranza, così come ci testimonia il tatuaggio, trova un compimento simbolico. E in questa storia dei nostri tempi, Maria, che è anche chiesa e comunità nell’iconografia religiosa – è la madre, la comunità laica che accoglie e abbraccia consolando».
Un appuntamento, dunque, che farà sicuramente parlare di sé quello scelto dalla Galleria Poggiali per inaugurare i suoi spazi milanesi, che vanno ad aggiungersi a quelli storici di Firenze e Pietrasanta. La nuova sede di Foro Bonaparte è concepita come un ampio contenitore cubico nella tradizione del piece unique: un luogo di ricerca, a metà tra una project-room e una vetrina su larga scala, destinata a ospitare soltanto mostre site-specific, per le quali gli artisti coinvolti saranno chiamati a realizzare un unico progetto appositamente concepito come nel caso di questo primo appuntamento.

Informazioni utili 
Fabio Viale. Lucky Ehi. Galleria Poggiali, Foro Buonaparte 52 – 20121 Milano. Ingresso libero.  Orari: dal martedi al sabato, ore 10.30-13.30 e ore 15-19 | domenica e lunedì chiuso. Informazioni: tel. 02.72095815 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino al 30 marzo 2018.