ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 23 luglio 2020

Cracking Art, la plastica diventa arte a San Benedetto del Tronto

Nel 1996 sospesero in aria, davanti al Palazzo Reale di Milano, mille delfini. Nel 2001, con «Sos World», portarono a Venezia, in occasione della quarantanovesima Biennale d’arte, cinquecento tartarughe dorate giganti. Nel 2005, a Biella, promossero la mostra «Il filo di lana» con un esercito di pinguini blu con una vivace sciarpa rossa al collo. Iniziava così l’avventura artistica, ormai più che ventennale, dei Cracking Art, gruppo biellese attivo dal maggio 1993, il cui nome richiama l’operazione con cui il petrolio grezzo, attraverso il processo del cracking catalitico, si trasforma in virgin nafta per dare forma a un’infinità di prodotti, tra cui la plastica.
Da allora la fauna surreale ideata da questi artisti, che colpisce l’attenzione per il suo gioioso stile in bilico tra post-fauvismo e post-pop, è stata portata in giro per tutto il mondo: da Bangkok a Mosca, da New York a Bruxelles, da Ascona a Roma, da Firenze a Milano.
Le installazioni di animali giganti in plastica rigenerabile, fluorescente e colorata hanno così raccontato ai quattro angoli del pianeta, in luoghi accessibili a tutti come piazze e palazzi delle città, il forte messaggio ecologista del gruppo, ben delineato anche nel «Manifesto del terzo millennio», siglato nel gennaio 2001.
Per i Cracking Art la plastica non è un materiale cattivo ma ambiguo, se da un lato è tra i più inquinanti e meno distruttibili presenti in natura, dall’altro è suscettibile di prestarsi anche a un uso buono, diventando persino veicolo per un invito a rispettare l’ambiente, la nostra casa comune.
Nel 2012 la filosofia del gruppo ha avuto un ulteriore sviluppo con il progetto «L’arte che rigenera l’arte». Le opere utilizzate per le installazioni vengono recuperate, tritate e riciclate per produrne altre. Si dà così il via a un vero e proprio ciclo della vita per affermare che anche in arte come in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Quest'estate i Cracking Art saranno a San Benedetto del Trento con un progetto di arte pubblica, curato da Stefano Papetti, Elisa Mori e Giorgia Berardinelli, che vuole -spiegano gli ideatori- «innescare, attraverso il linguaggio dell’arte, dinamiche e sentimenti come quelli di relazione con l’altro, di fiducia e tutela della collettività».
Per quattro mesi la città marchigiana sarà invasa, pacificamente e silenziosamente, da una trentina di animali colorati, di varie tipologie e dimensioni: suricati, elefanti, cani e gatti, conigli e non ultima la celebre chiocciola.
«Le creazioni dei Cracking Art, al pari degli animali selvatici nel periodo del lockdown, -raccontano i curatori- sembrano riappropriarsi delle aree verdi e non del tessuto urbano ripristinando quel profondo legame tra l’uomo e la fauna».
L’esposizione mapperà simbolicamente la città, diventando anche uno strumento di promozione turistica del territorio. Nel suggestivo Vecchio Incasato, con il suo affascinante torrione, troverà la sua naturale collocazione un elefante gigante. A piazza Matteotti fino al termine del lungomare di Porto d’Ascoli albergheranno due grandi chiocciole, animali attualissimi perché la loro casa è associabile alla comunicazione: è simbolo della posta elettronica, ma ricorda anche l’organo dell’udito. La balconata della Palazzina Azzurra sarà, invece, abbellita da una sequenza di gatti, animali sornioni e indipendenti ma amanti del focolaio domestico, che sono una delle ultime “scoperte” del gruppo e sono nati da un incontro con un noto brand produttore di pet food. Infine due grandi conigli saranno installati nel giardino «Nuttate de Lune».
«Gli animali dei Cracking Art -raccontano ancora i curatori- saranno presenze vivaci e rassicuranti nell’estate sanbenedettese, creando un’atmosfera da fiaba e valorizzando le evidenze architettoniche che andranno ad abitare, coinvolgendo lo spettatore», sia adulto che bambino. Empatia è, infatti, la parola chiave di queste installazioni che -come raccontava, anni fa, Philippe Daverio- portano «la fantasia al potere».

Informazioni utili 
Craking art en plein air. San Benedetto del Tronto, sedi varie. Per informazioni:
Comune di San Benedetto del Tronto - Ufficio Cultura, tel. 0735.794229. Sito internet: www.verticaledarte.it. Fino al 2 novembre 2020

mercoledì 22 luglio 2020

«Women», cent’anni di storia al femminile attraverso gli scatti del National Geographic

«Le Marie intorno sembrano infuriate dal dolore - Dolore furiale. Una verso il capo - a sinistra - tende la mano aperta come per non vedere il volto del cadavere e il grido e il pianto e il singulto contraggono il suo viso, corrugano la sua fronte, il suo mento, la sua gola. L’altra con le mani tessute insieme, con i cubiti in fuori, ammantata piange disperatamente. L’altra tiene le mani su le cosce col ventre in dentro e ulula». È il 19 settembre del 1906 quando Gabriele D’Annunzio scrive, quasi di getto, questo pensiero sui suoi «Taccuini».
Quella sera lo scrittore è andato con il padre a Santa Maria della Vita ad assistere un concerto di musica sacra e nell’ombra della chiesa, debolmente illuminata, si è ritrovato a tu per tu con il «Compianto sul Cristo morto» di Niccolò dell’Arca (Bari?, 1435 circa – Bologna, 1494), gruppo scultoreo in terracotta, originariamente policromo, della seconda metà del XV secolo, dal virtuosismo formale unico, che ci parla di una sofferenza non divina, ma drammaticamente umana, quella del Venerdì santo prima della certezza della Resurrezione.
Qualche anno più tardi, nel 1914, nel libro «Le faville del miglio», Gabriele D’Annunzio ricorderà con queste parole l’incontro con le sette figure a grandezza naturale plasmate dall’artista di origini pugliesi, che ha lasciato a Bologna anche l’Arca di San Domenico e la «Madonna di piazza con Bambino» a Palazzo Accursio: «Intravidi nell’ombra non so che agitazione impetuosa di dolore. Piuttosto che intravedere, mi sembrò esser percosso da un vento di dolore, da un nembo di sciagura, da uno schianto di passione selvaggia».
Non sono solo la concitazione e «l’urlo di pietra» delle «Marie sterminatamente piangenti», per usare un’espressione dello scrittore seicentesco Carlo Cesare Malvasia, a farci percepire il «vento di dolore» che permea la scena, ma è anche lo strazio trattenuto di San Giovanni, che piange in modo sommesso, con una mano nell’atto di reggere il volto, davanti al corpo senza vita del Cristo, smunto e segnato dalla sofferenza. L’altro uomo presente nella scena, identificato ora con il committente dell’opera ora con Nicodemo, l’ebreo che tolse Gesù dalla croce insieme a Giuseppe di Atimatea, volge, invece, lo sguardo serio, impenetrabile, in un’altra direzione, verso l’osservatore. Sembra quasi interrogarci sul senso di tanta sofferenza.
In questa scena si finisce così per ritrovare tutta la teatralità e la spinta catechetica di una Sacra rappresentazione medievale, nata per avvicinare con semplicità e in modo emotivo il popolo ai misteri della fede.
Un materiale umile e fragile come la terracotta, plasmato per dare voce alle emozioni, è impiegato anche nell’altra scultura che attrae i turisti a Santa Maria della Vita, sotto la cupola barocca disegnata dal Bibiena: il monumentale «Transito della Vergine» di Alfonso Lombardi, nell’adiacente Oratorio dei Battuti. Si tratta di quindici statue in terracotta, di dimensioni leggermente superiori al vero, disposte a raffigurare un soggetto poco rappresentato nell’arte occidentale, descritto nei Vangeli Apocrifi e nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine: la profanazione della tomba della Madonna da parte di un sacerdote ebreo, prontamente bloccato dall’apparizione di un angelo armato di una spada.
Non ci poteva, dunque, essere location più indicata di questa piccola chiesa che parla di dolore e bellezza, di donne e arte, ubicata a pochi passi da San Petronio, per la mostra fotografica «Women. Un mondo in cambiamento», curata da Marco Catteneo per il National Geographic e realizzata in collaborazione con Genus Bononiae - Musei nella città e Fondazione Carisbo.
Piu di settanta immagini tratte dagli archivi della rivista internazionale raccontano un secolo di storia delle donne in tutti i continenti e a tutte le latitudini, a partire dalla concessione del diritto di voto negli Stati Uniti, di cui ricorre quest’anno il centenario.
«Beauty/Bellezza», «Joy/Gioia», «Love/Amore», «Wisdom/Saggezza», «Strength/Forza», «Hope/Speranza» sono le sei sezioni nelle quali si articola il percorso espositivo: un bel ritratto corale sulla condizione femminile, sui problemi e le sfide di ieri e di oggi che le donne si sono trovate ad affrontare, dando il loro contributo allo sviluppo sociale, politico ed economico dei vari Paesi del mondo.
Ecco così -raccontano a Santa Maria della Vita- che «le immagini festose delle ballerine di samba che si riversano nelle strade durante il carnevale di Salvador da Bahia si alternano a quelle delle raccoglitrici di foglie di the in Sri Lanka. E ancora il ritratto di donna afghana in burqa integrale rosso che trasporta sulla testa una gabbia di cardellini, potente metafora di oppressione, si contrappone all’immagine di libertà e bellezza di una ragazza in pausa sigaretta a Lagos, in Nigeria».
A chiudere il percorso espositivo -accessibile a sessanta persone per volta, in modo da garantire il giusto distanziamento fisico e permettere una visita in totale sicurezza- è la sezione «Portraits/Ritratti», scatti intimi e biografici di un gruppo iconico di attiviste, politiche, scienziate e celebrità intervistate dal «National Geographic» per un numero speciale del novembre 2019, ai tempi di Susan Goldberg, prima donna alla direzione della prestigiosa rivista internazionale.
Nancy Pelosi, Oprah Winfrey, il primo ministro neozelandese Jacinda Ardern e l’italiana Liliana Segre sono alcune delle donne che salutano metaforicamente il visitatore prima di uscire da Santa Maria della Vita, o meglio dal suo Oratorio, portandosi dietro un pensiero che aveva reso bene a parole Oriana Fallaci: «essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida, che non finisce mai».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1-4] Allestimento della mostra «Women. Un mondo in cambiamento» a Santa Maria della Vita, Bologna. Foto: Paolo Righi; [fig. 5] La senatrice a vita Liliana Segre, fotografata da Nicola Marfisi a Milano, il 10 ottobre 2019. (Nicola Marfisi/AGF, 2019) 

Informazioni utili 
«Women. Un mondo in cambiamento».Chiesa Santa Maria della Vita, via Clavature, 8-10 - Bologna. Orari: lunedì-domenica ore 10.00 – 19.00 Ingresso: intero 10,00 euro, ridotto 8,00 euro. Informazioni mostra: tel. 051.19936343 - mail: esposizioni@genusbononiae.it Sito web: www.genusbononiae.it. Fino alo 13 settembre 2020

martedì 21 luglio 2020

«Noi. Non erano solo canzonette», venticinque anni di storia italiana in cento brani

Si potrebbe raccontare la storia del nostro Paese attraverso i tormentoni musicali che, dagli anni Sessanta a oggi, hanno accompagnato le nostre estati. La colonna sonora del 1967, l’anno che precedette le rivoluzioni sessantottine, fu, per esempio, l’effervescente «Stasera mi butto» di Rocky Roberts. Negli anni Ottanta, quelli dei capelli cotonati, delle giacche con le spalline e della spensieratezza esibita, Claudio Cecchetto fece, invece, ballare tutti con il «Gioca Jouer» (1981). Infine, nel 2006, l’anno dei mondiali in Germania, Checco Zalone conquistò l’Italia con «Siamo una squadra fortissimi». Si può, quindi, dire che la musica non solo fa parte della nostra vita, ma racconta anche la nostra storia, permette di esplorare e interpretare le grandi trasformazioni politiche e sociali in atto. Questo ragionamento fa da filo rosso anche alla mostra «Noi. Non erano solo canzonette», a cura di Gianpaolo Brusini, Giovanni De Luna e Lucio Salvini, prodotta da Bibibus Events e realizzata con la consulenza di Fabri Fibra, Marco Tullio Giordana, Vittorio Nocenzi, Giorgio Olmoti e Omar Pedrini. L’allestimento porta, invece, la firma della designer Francesca Seminatore; mentre le installazioni audio-video sono di Daniele Perrone.
Dopo essere stata esposta a Torino e a Bologna, la rassegna, patrocinata dal Mibact e dalla Siae, è arrivata a Pesaro, Città creativa Unesco della musica per essere esposta a Palazzo Mosca – Musei civici, luogo dell’identità culturale del capoluogo marchigiano, e al museo dedicato a Gioachino Rossini, la prima pop star ante litteram della musica.
Racchiusa fra due abbracci, quello di Domenico Modugno sul palco di Sanremo 1958 e quello di Paolo Rossi nella notte di Madrid che nel 1982 laureò l’Italia campione del mondo, la mostra procede cronologicamente raccontando venticinque anni della nostra storia e toccando ogni aspetto della vita sociale, del costume, della cronaca, del lavoro e dei cambiamenti nelle convinzioni etiche e morali di quegli anni.
Cento opere musicali italiane, selezionate nel repertorio di quel periodo, fanno da contrappunto al racconto, il cui repertorio iconografico proviene in parte dagli inestimabili archivi Publifoto IntesaSanpaolo e in parte dall’archivio storico de «Il Resto del Carlino». Le immagini esposte, destinate ai quotidiani, ai rotocalchi e ai settimanali illustrati dell’epoca, restituiscono lo sguardo del fotoreporter di cronaca e la sua grande abilità di rappresentare in modo acuto, profondo e preciso le molteplici realtà italiane. I video arrivano, invece, dagli archivi delle Teche Rai, oltre che dall’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Ivrea, un centro di conservazione, valorizzazione e diffusione del patrimonio audiovisivo prodotto dalle imprese italiane.
Il percorso espositivo, di cui rimarrà documentazione in un catalogo Eli– La Spiga, è suddiviso in quattordici aree tematiche in grado di coinvolgere tanto chi quegli anni li ha vissuti in prima persona, quanto le generazioni più giovani, in un comune percorso di immersione nella memoria collettiva italiana: dalla grande immigrazione verso le città del Nord della fine degli anni Cinquanta, sino al disimpegno che ha configurato gli anni Ottanta.
«Si parte -raccontano gli organizzatori- da Palazzo Mosca – Musei civici con le sezioni: «Volare» (penso che un sogno così non ritorni mai più), «Il treno del sole» (come è bella la città come è viva la città), «Il boom» (il mutare del profilo delle città e delle campagne), «Carosello» (l’avvento del consumismo), «Abbronzatissimi» (la conquista del tempo libero e delle vacanze di massa), «L’esercito del surf» (i giovani quale nuovo soggetto sociale) e «Pensiero Stupendo» con il lungo cammino dell’emancipazione femminile. Il percorso prosegue al Museo nazionale Rossini con le sezioni: «C’era un ragazzo che come me» (le rivendicazioni sociali e i movimenti studenteschi), «Contessa» (lotte operaie), «La locomotiva» (il terrorismo), «Musica ribelle» (le radio libere), «La febbre del sabato sera» (le discoteche), «Splendido Splendente» (il riflusso che darà inizio agli edonistici anni ’80) e, infine, «il Mundial» (la notte che ci cambiò per sempre)».
La fruizione musicale in mostra è a più livelli: dall’audio diffuso nelle varie sale, alle opere ascoltabili singolarmente grazie alle più recenti tecnologie, agli speaker direzionali per i filmati d’epoca. I cento brani scelti, utilizzando un criterio di massima inclusività, da Peppino di Capri a Francesco Guccini, da Patty Pravo a Fabrizio De André, sono in grado di trasmettere, anche a chi non c’era, il senso profondo di quella musica e di quegli anni.
Una canzone, non meno di un libro o di un dipinto, sa, infatti, riflettere il momento storico in cui è stata immaginata, scritta e cantata. Non esistono canzonette, dunque, ma solo canzoni, e sono state trattate per quello che sono: contributi culturali di importanza critica per il passato, il presente e il futuro della nostra società. Nei grandi avvenimenti come in quelli di minor rilievo, la musica narra, descrive, talvolta preconizza e, infine, fissa nella memoria.

Informazioni utili
«Noi. Non erano solo canzonette». Palazzo Mosca – Musei Civici, piazzetta Mosca, 29 / Museo Nazionale Rossini, ia G. Passeri 72 - Pesaro. Orari: Palazzo Mosca - Luglio – settembre > da martedì a giovedì ore 10-13 / 16.30-19.30; da venerdì a domenica e festivi ore 10-13 / 16.30-19.30; Ottobre > da martedì a giovedì ore 10-13,  da venerdì a domenica e festivi ore 10-13 / 15.30-18.30 | Museo Nazionale Rossini, da martedì a domenica e festivi ore 10-13 / 15-18. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, ingresso libero minori di 19 anni, soci ICOM, disabili e persona che li accompagna. Informazioni: 0721.387541 biglietteria Musei Civici | 0721.1922156 biglietteria Museo Nazionale Rossini | pesaro@sistemamuseo.it. Sito internet: www.pesaromusei.it | www.mostranoi.it. Fino all'10 gennaio 2021.