ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
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lunedì 15 febbraio 2021

«In compagnia del lupo»: Sky Arte racconta «il cuore nero delle fiabe» anche con illustrazioni animate

«Le conosciamo bene, le fiabe. Ce le hanno raccontate così tante volte, sempre le stesse, da bambini, per farci addormentare, che non hanno più segreti. Conosciamo i meccanismi, i colpi di scena, i personaggi, la morale, sappiamo perfettamente chi è il buono e chi il cattivo: il lupo, naturalmente. Ma è davvero così? O forse c’è qualcosa, sotto, dietro, addirittura prima, che non ci hanno mai detto? Qualcosa di diverso, di strano, o anche di oscuro, più bello o più inquietante, che non conosciamo? Insomma: siamo davvero sicuri che il cattivo sia proprio il lupo?» Sono queste le parole scelte da Sky Arte per presentare il suo nuovo progetto televisivo: «In compagnia del lupo. Il cuore nero delle fiabe», ciclo di otto puntate che vede la conduzione di Carlo Lucarelli e la regia di Antonio Monti.
Da lunedì 15 febbraio, alle ore 21.15, il pubblico andrà alla scoperta di che cosa si svela dietro ai più classici «c'era una volta», alle storie che hanno accompagnato la nostra infanzia, scoprendo – con l’accompagnamento di illustrazioni animate – i risvolti insoliti, avventurosi, talvolta terribili e spaventosi che si celano al loro interno, nella vita dei loro autori, nei fatti di cronaca che le hanno ispirate, nei costumi delle epoche in cui sono nate.
«Da scrittore di noir– racconta il conduttore emiliano, autore di personaggi da romanzo come l’ispettrice Grazia Negro e il commissario De Luca – ho sempre ammirato il lato horror delle fiabe; una concezione un po’ terroristica di una certa pedagogia le riempiva di mostri e fattacci di sangue che hanno sempre fatto fare un salto sulla sedia a tutti i bambini. Dentro però, c’è molto di più. Oltre a personaggi bellissimi e una tecnica narrativa sempre efficace, nelle fiabe c’è la capacità di raccontare il contesto storico in cui sono nate, con le sue problematiche e le sue contraddizioni, attuali adesso come allora. Uno specchio dei tempi e del cuore umano». 
Basti pensare che dietro la storia di «Cappuccetto rosso» - al centro della prima puntata, che avrà come ospite la sociologa Rosa Tiziana Bruno - si nasconde l’ossessione seicentesca per la licantropia. Mentre in «Peter Pan» -di cui si parlerà lunedì 15 marzo, con la scrittrice Simona Vinci - si ritrova il fenomeno delle frequenti morti premature dei bambini nell’Ottocento e il protagonista è un malinconico angelo della morte.
Nella prima puntata, quella del 15 febbraio, a a partire dalle ore 21.45, si andrà anche alla scoperta, in compagnia dell’aviatore e scrittore Alessandro Soldati, di un altro classico amato da grandi e bambini: «Il piccolo principe» di Antoine de Saint-Exupéry. La puntata offrirà l’occasione anche per parlare della misteriosa scomparsa dell’autore del libro, probabilmente morto in un incidente aereo.
Si andrà, quindi, alla scoperta, nella serata del 22 febbraio, con lo psichiatra e scrittore Massimo Picozzi, di un personaggio che è diventato un vero e proprio archetipo: «Barbablù», l’uomo che nella fiaba uccide una dopo l’altra le mogli disobbedienti, figura che si ispira alla vita di Gilles de Rais, il serial killer vissuto in Francia nel 1400, raccontato in tante ballate bretoni.
Il 1° marzo è, quindi, in calendario una puntata dal titolo «La Bella E Pedro La Bestia» , che vedrà la presenza dell’antropologo Duccio Canestrini. Durante l’appuntamento si parlerà della storia di un bimbo dal corpo pieno di peli e dall’intelligenza vivace, donato a Enrico II e fatto sposare, all’età di trentasei anni, con la bellissima figlia di una domestica di Caterina de’ Medici, che alla vista del giovane svenne.
La serie televisiva permetterà, poi, di scoprire che ci sono fiabe che nascondono personaggi molto più forti e valorosi di quanto li abbiamo sempre immaginati, come quelle dei fratelli Grimm, in cui le protagoniste sono bambine coraggiose che combattono per cambiare il loro destino. Se ne parlerà lunedì 8 marzo con la scrittrice Simona Vinci. Tra le protagoniste di questa puntata ci saranno anche Biancaneve, che a soli sette anni chiede al cacciatore di lasciarla viva e si avventura nel bosco, e Cenerentola, che si reca a un ballo al quale non è stata neppure invitata con l’intenzione di cambiare il proprio destino.
Infine, in alcuni casi, è la vita stessa degli autori che entra nelle fiabe, come per Hans Christian Andersen, il cui tormento, gli sbalzi di umore e il bisogno di approvazione lo portano a scrivere storie tristi con risvolti angoscianti, come «La piccola fiammiferaia» e «Il brutto anatroccolo». Se ne parlerà lunedì 22 marzo con Barbara Baraldi.
A chiudere la serie sarà, lunedì 29 marzo, una puntata su «Hansel e Gretel», con Duccio Canestrini, racconto dietro cui si nasconde la storia vera di Hans e Grete Metzler, non due bambini ma due fratelli adulti, pasticceri, che volevano appropriarsi della speciale ricetta del panpepato di Katharina Schraderin e che, per questo, l’avevano prima denunciata per stregoneria e poi uccisa, celando il cadavere nella bocca di un forno. Questa storia, come tante altre, ci fa pensare che mai avremmo immaginato da bambini che nelle fiabe, oltre al lupo, agli orchi e alle streghe, potesse esserci qualcosa di ancora più pauroso e inquietante. E invece c'era, anche se rimaneva nascosto: la realtà.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Carlo Lucarelli; [fig. 2] Illustrazione per la puntata su Cappuccetto rosso; [fig. 3] Illustrazione per la puntata su Peter Pan; [fig. 4] Illustrazione per la puntata sul Piccolo principe; [fig. 5] Illustrazione per la puntata sui fratelli Grimm

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venerdì 22 gennaio 2021

Giornata della memoria 2021, su RaiUno e Rai Play il film «#AnneFrank. Vite parallele»

«…E cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se… non ci fossero altri uomini al mondo». Si chiude così il «Diario» di Anna Frank. È il 1° agosto del 1944. La giovane scrive per l’ultima volta a Kitty, la sua amica immaginaria. Le racconta le sue frustrazioni di ragazzina, il suo sentirsi «un fastello di contraddizioni», le insicurezze che la rende sorella di tanti coetanei adolescenti di tutti i tempi. Tre giorni dopo, il 4 agosto 1944, la Gestapo entra nell’appartamento segreto di Amsterdam, in cui la ragazza si nasconde con la famiglia per sfuggire alla persecuzione nazista. L’unica colpa di Anna Frank è di essere ebrea in un mondo che crede nella superiorità della razza ariana e che considera nemico ciò che è diverso. 
La giovane viene deportata nel campo di concentramento nazista di Bergen Belsen, dove muore di stenti tra il febbraio e il marzo del 1945, insieme alla sorella Margot, a causa di un’epidemia di tifo. Di lei ci rimangono poche foto e un diario, pubblicato per la prima volta nel 1947 in tremila copie, per volontà del padre Otto, con il titolo «Het Achterhuis» («Il retrocasa»).
Sono quelle pagine, la cui fama circola presto in tutta Europa (la prima edizione italiana è del 1954 e vede la prefazione di Natalia Ginzburg per Einaudi), a restituirci il volto di una ragazzina che sogna di diventare scrittrice e che conquista i lettori con il suo strenuo ottimismo e la sua toccante fede nell'umanità a dispetto dei tempi oscuri. «...È un gran miracolo - si legge, infatti, nel «Diario» - che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo che può sempre emergere...»
In occasione della Giornata della memoria 2021, la storia di Anna Frank rivive in un documentario, realizzato da 3D Produzioni e Nexo Digital, in partecipazione con Rai Cinema Channel e in collaborazione con l’Anne Frank Fonds di Basilea e con il Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa. Si tratta di «#AnneFrank. Vite parallele», film scritto e diretto da Sabina Fedeli e Anna Migotto, con la colonna sonora di Lele Marchitelli, nel quale veste i panni di guida d’eccezione Helen Mirren, premio Oscar® come migliore attrice per «The Queen». 
Il documentario andrà in onda sabato 23 gennaio, in seconda serata e in prima visione assoluta, su RaiUno; mentre alcuni spezzoni sono già disponibili in anteprima su Rai Play
Come sarebbe stata la vita di Anna Frank se avesse potuto vivere dopo Auschwitz e Bergen Belsen? Cosa ne sarebbe stato dei suoi desideri, delle speranze di cui scriveva nei suoi diari? Cosa ci avrebbe raccontato della persecuzione, dei campi di concentramento? Come avrebbe interpretato la realtà attuale, il rinascente antisemitismo, i nuovi razzismi? Sono tante le domande che ci vengono in mente ripensando alla giovane donna che più di altre è, nell'immaginario collettivo, simbolo della Shoah, la cui storia verrà raccontata da Helen Mirren attraverso le pagine del «Diario», un testo straordinario che ha fatto conoscere a milioni di lettori in tutto il mondo la tragedia del nazismo, pur non raccontandola in maniera diretta.
A fare da sfondo al documentario è la camera del rifugio segreto di Amsterdam, in cui la ragazzina resta nascosta per oltre due anni. Quella stanza è il cuore della memoria. Per questo motivo è stata nuovamente ricostruita nei minimi dettagli dagli scenografi del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, fondato da Giorgio Strehler, permettendoci così di ritornare in quel 1942, in cui inizia la storia di Anna Frank nel rifugio olandese. Nella stanza ci sono gli oggetti della sua vita, le fotografie con cui aveva tappezzato le pareti, i quaderni su cui scriveva.
La vicenda della ragazza si intreccia con quella di altre sopravvissute all’Olocausto, bambine e adolescenti come lei, con la stessa voglia di vivere e lo stesso coraggio: Arianna Szrenyi, Sarah Lichtsztejn-Montard, Helga Weiss e le sorelle Andra e Tatiana Bucci.
L’attrice Martina Gatti, simbolo delle tante teenager che si sentono ancora vicine ad Anna, ci conduce nei luoghi che hanno fatto da scenario alle storie di queste giovani. Viaggia per l'Europa, dal campo di concentramento di Bergen-Belsen in Germania al Memoriale della Shoah di Parigi. Scatta selfie. Scrive post. Compila una sorta di diario digitale, fatto di hashtag ed sms, capace di parlare ai suoi coetanei: un modo immediato per mettere in relazione le tragedie passate con il presente, per capire quale sia oggi l’antidoto contro ogni forma di razzismo, discriminazione e antisemitismo.
È la curiosità di questa giovane donna, la sua voglia di non restare indifferente, a farci riscoprire l’assoluta contemporaneità delle parole di Anna Frank, ma anche la potenza delle voci di chi ancora può ricordare: Arianna, Sarah, Helga, Andra e Tatiana. Come la giovane tredicenne di Francoforte, queste donne hanno subito, da giovanissime, la persecuzione e la deportazione. A loro è stata negata l’infanzia. Hanno perduto nei lager madri, padri, fratelli, amici, amori. I loro racconti danno così voce al silenzio del «Diario», a quello che avrebbe ancora potuto raccontare Anna Frank se fosse sopravvissuta o se avesse avuto il diario con sé dopo l’arresto del 4 agosto 1944.
I diari si intrecciano: alle emozioni di Katerine nel suo viaggio rispondono le riflessioni forti e inaspettate di Anna che vive il mondo dal chiuso della sua stanza. Così la Storia arriva potente e attuale ai ragazzi di oggi, isolati nel lockdown, consegnando loro un messaggio di resistenza e di fiducia nell'uomo, nonostante e malgrado tutto.
In occasione della prima televisiva e della seconda serata di RaiUno è stato riaperto il Piccolo Teatro di Milano, dove è stata nuovamente ricostruita la stanza di Anna Frank, già utilizzata come set nel docu-film. 
In questo luogo della memoria, si alterneranno molte testimonianze di intellettuali italiani, messi in dialogo con le paure, le speranze e la voglia di vivere dell’autrice del «Diario». 
A tal proposito Duilio Giammaria, direttore di Rai Documentari, ha commentato: «questo documentario ci ha dato l’opportunità di far rivivere l’esperienza e le emozioni che questa stanza porta con sé anche alla società civile italiana, che ha risposto a gran voce. Tanti talenti del mondo dello spettacolo, della cultura, del giornalismo, dell’associazionismo, hanno aderito al nostro invito. Solo per citarne alcuni: Ferruccio De Bortoli, Maurizio Molinari, Carla Fracci, Beppe Sala, Emilio Isgrò, Massimo Recalcati, Linus, Gherardo Colombo, don Gino Rigoldi, Antonio Albanese, Giuliano Pisapia, Gad Lerner, monsignor Gianantonio Borgonovo, Claudio Longhi». Questi interventi saranno proposti come anteprima del documentario «#AnneFrank. Vite parallele», antidoto contro ogni forma di razzismo, ma anche - a sorpresa - invito alla resistenza culturale lanciato da uno dei luoghi simbolo del teatro italiano, il Piccolo di Milano, che come tutto il mondo dello spettacolo sta soffrendo per la crisi causata dal Coronavirus, per l'assenza di pubblico nella sua platea e di attori sul suo palco. (sam)

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giovedì 14 gennaio 2021

«Cinema Nervi», cinque opere di video-arte per raccontare l’architettura di Pier Luigi Nervi

Sono tante le mostre rimaste alla fase di progetto per colpa della pandemia. Tra queste c’è l’esposizione internazionale «Pierluigi Nervi. La struttura e la bellezza», che avrebbe dovuto inaugurare lo scorso novembre a Firenze, negli spazi di Manifattura Tabacchi.
In attesa di capire quali spazi culturali potrebbero riaprire il 16 gennaio, la data fissata dal Governo per la ripartenza dei musei nelle zone gialle, l’esposizione dedicata al grande ingegnere novecentesco, che ci ha lasciato architetture come lo Stadio comunale di Firenze o l’Aula Paolo VI in Vaticano, vive on-line.
A partire dal prossimo 19 gennaio prende, infatti, il via «Cinema Nervi», un progetto di video-arte realizzato con Parasite 2.0, collettivo con base a Milano, Londra e Bruxelles, che, nell’ambito del progetto «NAM - Not A Museum», rilegge l’architettura nerviana in chiave contemporanea e interdisciplinare attraverso il digitale e la contaminazione dei linguaggi espressivi.
Parasite 2.0 prende ispirazione da una delle opere più care al maestro lombardo, il cinema-teatro Augusteo di Napoli, coinvolgendo cinque diversi studi di architetti, designer e artisti internazionali per reinterpretare alcune architetture nerviane: il Palazzo del lavoro a Torino, l’Ambasciata italiana a Brasilia, la sede Unesco a Parigi, lo Stadio G. Berta (oggi Artemio Franchi) a Firenze e, ovviamente, la Manifattura Tabacchi.
Attraverso il video e i linguaggi digitali, strumenti inconsueti per la progettazione nel periodo di Pierluigi Nervi, Lucia Tahan (Berlino), Clube (San Paolo), The Pleasure Paradox (Milano, Amsterdam, Amburgo, Rotterdam), Anabel Garcia-Kurland (Londra) e Alessio Grancini (Los Angeles) ipotizzeranno nuovi possibili scenari di integrazione dell’eredità nerviana nel tessuto sociale e culturale delle città attuali.
Il progetto «Cinema Nervi» sarà fruibile on-line ogni martedì, sulla IGTV di NAM - Not a Museum e sul canale YouTube di Manifattura Tabacchi, a partire dall’opera realizzata da Lucia Tahan, che reinterpreta il Palazzo del lavoro di Torino del 1959.
L’artista ha registrato il suo video in un quartiere periferico di Madrid costruito negli anni ’60, tra architetture moderne e case popolari.
Inserendo l’effetto di realtà aumentata che riproduce la struttura modulare iconica del Palazzo del lavoro, la designer mostra il contrasto tra l’eclettica banalità dell’area e la sua geometria.
«Imponente per scala ed espressività strutturale, - racconta, a tal proposito, Lucia Tahan- l’architettura di Nervi mi ha colpito per il suo carattere deciso che lo separa dall’ambiente in cui è stato costruito. La premessa del palazzo è semplice: una ripetizione di un enorme elemento strutturale a cantilever, alto trenta metri, che crea una tettoia circondata da una delicata copertura di vetro. Con il mio lavoro volevo esprimere la natura energetica e indipendente dell’opera strutturale, dislocandola. Ho creato così un effetto di realtà aumentata che permette alle persone di usare il proprio telefono per posizionare la struttura virtuale ovunque siano. La struttura può essere nel loro giardino, nella loro città, o sulla loro scrivania. La natura del virtuale permette una presenza ubiquitaria, una risposta alla promessa modernista di metà secolo riguardo un linguaggio architettonico universale».
L’operazione include, dunque, due livelli successivi e complementari: la creazione e l’applicazione di un effetto Instagram dedicato all’opera di video-arte e l’invito al pubblico a utilizzare e a condividere il filtro in ulteriori e personali creazioni. «L’idea - ha dichiarato ancora Lucia Tahan - richiama il design del palazzo, una ripetizione modulare che trova una controparte anche nel mondo digitale, dove le infinite repliche sono generate e distrutte continuamente a una velocità impressionante».
Rispetto ai soliti effetti di Instagram, la designer ha creato un’opzione di scala, così che gli utenti possano scegliere di posizionare la struttura 1:1, 1:20, 1:50, 1:100. Infatti, se nella realtà aumentata la topologia domina sulla geometria, l’architetto ha voluto riportare le preoccupazioni architettoniche in scala e geometria nel calcolo spaziale. Per provare l’effetto, l’utente potrà cercare «Cinema Nervi» nella sezione Filtri di Instagram o scannerizzare il codice QR dal pannello informativo esposto in mostra, una volta aperta al pubblico. Se l’utente sceglierà di condividerlo taggando @luciatahan, @parasiteparasite, @nam_notamuseum e e @manifatturatabacchifi sarà parte attiva dell’opera grazie al suo contributo.
«Cinema Nervi» proseguirà il 26 gennaio con «A bruta flor do querer», un video-collage di Clube, creato in collaborazione con Martinica Space, che riprende e rimescola Brasilia e le sue contraddizioni, come l’architettura di Nervi nell’Ambasciata italiana, grazie all’uso di metaforiche grafiche sovrapposte.
Il 2 febbraio sarà la volta dello studio The Pleasure Paradox con «Digital Rationalism», opera che indaga l’influenza accelerata del fenomeno digitale sulle implicazioni socio-economiche collegate alla conservazione dei monumenti moderni del XX secolo, a partire dallo stadio Artemio Franchi (ex Berta) di Firenze. 
A seguire, il 9 febbraio, Alessio Grancini proporrà «Indexing the city», una breve sequenza di video-arte, composta da immagini fotografate in tempo reale nell’«Urban Campus» di Manifattura Tabacchi, a partire da due sequenze di esperienze virtuali. «Attraverso l’intelligenza artificiale come narratore che esamina il concetto di IoT, -si legge nella nota stampa- il lavoro riflette sulla forza e l’importanza dei dati come una nuova valuta, linguaggio ed energia che dà potere alle nostre scelte, ai movimenti e alle percezioni». 
Il progetto si chiuderà il 16 febbraio con la proposta di Anabel Garcia-Kurland, che reinterpreterà con una serie di animazioni 3D l’edificio per l’Unesco a forma di Y, precoce esempio dell’espressione estetica di Nervi.
Così la Manifattura Tabacchi tiene i riflettori accesi sulla sua proposta espositiva, in attesa di vedere plastici, copie dei disegni originali, immagini di cantiere e foto di attualità che racconteranno dodici opere iconiche nel percorso di Nervi, il primo progettista ad adottare la prefabbricazione nelle grandi strutture, un precursore del futuro.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2,3,4,5, 6] Frame del video di Lucia Tahan

venerdì 8 gennaio 2021

«Colors», a Torino si va alla ricerca del colore tra musica e arte

Musica e colore si incontrano nelle sale di quattro prestigiose realtà culturali di Torino: Palazzo Madama, il Mao – Museo d’arte orientale, la Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea e il Conservatorio «Giuseppe Verdi».
Grazie all’accordo tra la Fondazione Torino Musei e l’OFT- Orchestra filarmonica di Torino, la città sabauda propone, per il terzo anno consecutivo, un raffinato cartellone di eventi artistico-musicali, che trae linfa e suggestioni dall’inedito dialogo tra differenti linguaggi del mondo culturale.
A fare da filo rosso tra i nove concerti in programma e il ciclo di visite a essi ispirato, proposto a rotazione da tre musei torinesi, è il tema del colore. Da qui il titolo dell’iniziativa, «Colors», raccontata anche attraverso nove quadri astratti di Elena Giannuzzo realizzati recentemente per OFT.
«Così come per i concerti proposti dalla Filarmonica che, se nei giorni di programmazione le sale e i teatri non fossero aperti al pubblico a causa dalle norme anti Covid-19 saranno trasmessi in streaming, - raccontano dalla Fondazione Torino Musei - allo stesso modo i percorsi guidati saranno offerti in duplice forma: solo in digitale se il museo è chiuso oppure in digitale e presenza se il museo è aperto. In questo modo saranno disponibili tre appuntamenti per ogni concerto».
Ad aprire il programma musicale sarà l’Orchestra filarmonica di Torino con il concerto «Red», in programma martedì 12 gennaio, che prevede l’esecuzione della «Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore D 485» di Franz Schubert e della «Serenata n. 9 in re maggiore K 320 Posthorn» di Wolfgang Amadeus Mozart.
Per l’occasione venerdì 8 (alle ore 21) e sabato 9 gennaio (alle ore 18.30) la Gam proporrà due visite guidate in digitale all’interno della sua collezione dedicata al Novecento.
Il rosso come simbolo di passione, sperimentazione, violenza e sensualità sarà esaminato nelle sue tonalità e gradazioni attraverso esempi importanti tra i quali la «Ragazza rossa» di Amedeo Modigliani, «Le basier» di Francis Picabia,«Apocalisse» di Scipione o l’insolito omaggio di Pino Pascali alla cantante afroamericana Billie Holiday.
Dal 7 al 9 febbraio, sotto la direzione di Sergio Lamberto, i fiati dell’Orchestra filarmonica si esibiranno, quindi, in uno sfaccettato concerto di musiche di Amilcare Ponchielli, Antonio Vivaldi, Antonín Dvořák e del compositore contemporaneo Davide Sanson, del quale verrà proposto in prima esecuzione assoluta il suo nuovo brano «Sarabanda e salterello». L’appuntamento musicale vedrà la presenza di Devid Ceste all’eufonio, strumento appartenente alla famiglia degli ottoni.
A questo arcobaleno musicale la Gam risponderà con la serie di visite guidate dal titolo «Rainbow. Sette colori per sette opere», in programma venerdì 5 (alle ore 21) e sabato 6 febbraio (alle ore 16 e alle ore 18.30).
«Inizialmente -raccontano dalla Fondazione Torino Musei- i colori dell’arcobaleno erano rosso, giallo, verde, blu e violetto a cui, in seguito, furono aggiunti l'arancione e l'indaco, così da arrivare a sette colori, come le note musicali. Queste suggestioni ci accompagneranno in una passeggiata tra sette opere della collezione del Novecento. Il percorso prenderà avvio dal quadro variopinto di Otto Dix, «Il marinaio Fritz Müller», per poi seguire la successione dei colori dell’arcobaleno e incontrare così artisti come Felice Casorati, Lucio Fontana, André Masson».
Dal 28 febbraio al 2 marzo, l’Orchestra filarmonica di Torino si esibirà quindi, sotto la guida di Giampaolo Pretto, in tre dei sei Concerti brandemburghesi di Johann Sebastian Bach e nel «Concerto in mi bemolle Dumbarton Oaks» di Igor Stravinskij. Nei giorni antecedenti all’appuntamento musicale, il 26 e il 27 febbraio, a Palazzo Madama si terrà la visita guidata «Ice Blue. Vetri e ghiacci eterni», un percorso dedicato alla ricerca della trasparenza e al desiderio di ottenere oggetti la cui limpidezza ricordasse la purezza del ghiaccio: dall’uso del cristallo di rocca per oggetti usati nella liturgia o sulla tavola principesca, si arriverà a una selezione di esemplari di vetri del bacino del Mediterraneo e alle manifatture di Murano.
Dal 14 al 16 marzo l’Orchestra filarmonica, sotto la direzione di Giampaolo Pretto, proporrà un concerto di musiche di Gustav Mahler nell’adattamento per ensemble da camera di Klaus Simon. Per l’occasione, il 12 e il 13 marzo, il Mao – Museo d’arte orientale porterà il pubblico alla scoperta della sua collezione di vasellame e di piastrelle invetriate per la decorazione architettonica, che vanno dal IX al XVII secolo, conservata all’interno della galleria dedicata ai Paesi Islamici dell’Asia, con un ciclo di visite guidate dal titolo «Light Blue».
Ad aprile, dall’11 al 13, l’Orchestra filarmonica, o meglio il suo settore Archi, proporrà, sotto la direzione di Sergio Lamberto, un concerto con musiche di Johan Sebastian Bach, Johannes Brahms e Ludwig van Beethoven. L’appuntamento musicale sarà preceduto nelle giornate del 9 e del 10 aprile dalla visita guidata «Gold. La luce dell’oro» all’interno delle sale di Palazzo Madama. Il percorso accompagnerà i partecipanti alla scoperta dei motivi che portarono a privilegiare nel corso del Medioevo l’uso di questo materiale allo scopo di ottenere, a seconda dei casi, effetti naturalistici, simbolici o di pura ostentazione sociale.
Dal 25 al 27 aprile le note del «Concerto in la minore per violoncello e orchestra op. 129» (versione per violoncello e archi)» di Robert Schumann e della «Serenata in mi maggiore per archi op. 22» di Antonín Dvořák allieteranno gli spettatori dell’Orchestra filarmonica; mentre alla Gam, il 23 e il 24 aprile, si terrà il ciclo di visite «Platinum. Valore, rarità e unicità nell’arte», un percorso che racconterà la storia dell’architettura del museo, la valorizzazione delle sue collezioni con importanti acquisizioni come «Dans mon pays» di Marc Chagall o «Orange Crash» di Andy Warhol e opere “preziose” per i particolari materiali impiegati come per esempio «Portrait Relief of Claude Pascal» di Yves Klein.
Palazzo Madama ospiterà quindi, nelle giornate del 7 e 8 maggio, gli appuntamenti «Green. Natura», che indagheranno l’uso del colore verde in pittura e focalizzeranno l’attenzione sulla presenza di motivi decorativi naturali all’interno delle collezioni e del palazzo per concludersi con una visita al Giardino medievale. Il concerto abbinato, in cartellone dal 9 all’11 maggio, prevede l’esecuzione di musiche di Antonio Vivaldi, Carl Philipp Emanuel Bach, Georg Friedrich Händel e del giovane compositore Nicola Campogrande, le cui partiture -ha detto il direttore inglese Paul Daniel- «comunicano un senso di ottimismo pieno di emozioni». Lo si sperimenterà grazie all’ascolto di «Soffio Blu(es)», una brezza di contemporaneità all’interno di un concerto che si aprirà con le suggestioni barocche del «prete rosso».
Sarà, quindi, la volta di «Black and White». Il 14 e il 15 maggio al Mao – Museo d’arte orientale si terrà un percorso visita nella galleria dedicata al Giappone e ci si soffermerà in particolare sui kakemono, rotoli verticali che incorniciano eleganti dipinti e calligrafie su carta o su seta e sulla pittura a inchiostro nero. Il relativo concerto, in programma dal 16 al 18 maggio, vedrà l’esecuzione del «Concerto in re minore per violino e archi» di Felix Mendelssohn, dell’«Amitié» (versione per due violini solisti e orchestra d’archi) di Eugène Ysaÿe e dell’«Ottetto in mi bemolle maggiore op. 20» di Felix Mendelssohn, per la direzione di Marco Rizzi e Sergio Lamberto, violini solisti e concertatori.
A chiudere il cartellone sarà, il 4 e il 5 giugno, il ciclo di visite guidate «Orange. Grandi maestri e molteplici figure divine», un percorso all’interno della galleria dedicata alla regione himalayana che si soffermerà in particolare sulle thanga-ka, dipinti su stoffa che rappresentano maestri e diverse figure del buddhismo tantrico. Il rispettivo concerto, in programma dal 6 all’8 giugno, vedrà esibirsi al pianoforte Gianluca Cascioli nella sua composizione «Secondo Trio per violino, violoncello e pianoforte» e in due brani di Wolfgang Amadeus Mozart: il «Concerto n. 13 in do maggiore per pianoforte e orchestra K 415» (versione per pianoforte e archi) e la «Sinfonia n. 29 in la maggiore K 201».
Ad aprire tutti gli appuntamenti musicali saranno i testi del giornalista e musicista Lorenzo Montanaro; la loro lettura sarà affidata all’associazione liberipensatori «Paul Valéry» e alla Scuola di teatro «Sergio Tofano» di Torino: un’occasione in più, questa, per addentrarsi nel magico mondo dei colori, che danno forma e luce non solo all'arte, ma anche alla musica.

Didascalie delle immagini
[Fig. 2] Immagine guida del concerto Light Blue; [fig. 3] Immagine guida del concerto Rainbow; [fig. 3] «Apocalisse» di Scipione; [fig. 4] Dans mon pays» di Marc Chagall;  [fig. 5] «Orange Crash» di Andy Warhol; [fig. 6]  «Portrait Relief of Claude Pascal» di Yves Klein
 
Informazioni utili 
COLORS 2021
OFT 
La Filarmonica prevede due ipotesi alternative, che saranno applicate mese per mese in base alla normativa vigente: a) qualora i concerti ricadano in un periodo in cui le sale da concerto sono aperte, OFT propone due turni di concerto in Conservatorio alle ore 21 - uno il lunedì, uno il martedì - in modo da ampliare la possibilità di accesso alla sala, a fronte di tutte le norme e i protocolli imposti dal distanziamento. In questo caso, OFT prevede come di consueto anche le prove aperte a Più SpazioQuattro e gli incontri di Leggere la classica al Circolo dei lettori; b) qualora i concerti ricadano in un periodo in cui le sale sono chiuse al pubblico, OFT intende realizzare comunque i concerti, trasmettendoli gratuitamente in streaming il martedì alle 21 sul canale YouTube di OFT e raggiungibili anche tramite le pagine social di OFT e il sito www.oft.it In questo caso, tutte le proposte con pubblico in presenza sono invece annullate.
CONCERTI IN PRESENZA (in seguito all'eventuale riapertura degli spazi della cultura): c/o Conservatorio Giuseppe Verdi, piazza Bodoni - Torino. I concerti si terranno il lunedì e il martedì, alle ore 21. Biglietto singolo, poltrona numerata, intero 25 euro, ridotto 15 euro, giovani nati dal 1985 e UniTre 8 euro, studenti del Conservatorio Verdi di Torino 3 euro. I biglietti possono essere prenotati, a partire da un mese prima la data prevista per il concerto, per via telefonica (011.533387) o via mail (biglietteria@oft.it).
IN STREAMING Qualora non sia possibile realizzare gli eventi con pubblico in presenza a causa delle norme per il contenimento dell’epidemia Covid-19, i concerti saranno trasmessi in streaming gratuito, il martedì previsto per l’evento alle ore 21, sul canale YouTube di OFT e raggiungibili anche tramite le pagine social di OFT e il sito www.oft.it
Fondazione Torino Musei
Percorso in digitale: 8,00 € intero; ,00 7€ ridotto (abbonati OFT e possessori di Abbonamento Musei). Percorso in presenza: 5,00 € tariffa unica (attivato solo se il museo è aperto) + biglietto di ingresso al museo secondo regolamento (ingresso libero per possessori di Abbonamento Musei e Torino Card). Informazioni e prenotazioni: tel. 011.5211788 o info@arteintorino.com; a seguito della prenotazione saranno inviati dettagli ed estremi bancari per effettuare il pagamento con bonifico, oppure sarà possibile effettuare l’acquisto on-line: www.arteintorino.com/2-visite-guidate-torino/162-connessioni-d-arte.html. Le visite saranno attivate a raggiungimento di un numero minimo di partecipanti

martedì 15 dicembre 2020

SkyArte lancia la «museovisione». In anteprima sui siti di sei musei italiani il documentario «Alighiero e Boetti. Sciamano e Showman»

Arazzi variopinti con lettere dell’alfabeto, mappe geopolitiche puntellate da bandiere, tavole celesti costellate da piccoli aeroplani, grandi lavori a biro ritmati da virgole nere, cartoline postali e ricalchi di giornali e riviste: a ventisei anni dalla morte, il ricco universo figurativo di Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994), uno dei maggiori esponenti dell’Arte povera, non smette di affascinare il mondo dell’arte contemporanea. Per celebrare l’ottantesimo anniversario dalla nascita dell’artista sei musei italiani si sono messi in rete e lanceranno in anteprima il documentario «Alighiero e Boetti. Sciamano e Showman», una produzione Sky Arte e Tiwi per la regia di Amedeo Perri e Luca Pivetti.
Mercoledì 16 dicembre, dalle 10 alle 18, il film sarà visibile in chiaro, in museovisione, sui siti internet del Castello di Rivoli, del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, della Gamec di Bergamo, del Madre · Museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli, del Mambo di Bologna e del MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma.
Il documentario sarà preceduto da una tavola rotonda virtuale, in cui il direttore di Sky Arte, Roberto Pisoni, converserà con le direttrici e i direttori delle sei istituzioni coinvolte – Carolyn Christov-Bakargiev, Cristiana Perrella, Lorenzo Giusti, Kathryn Weir, Lorenzo Balbi, Bartolomeo Pietromarchi – ricordando gli avvenimenti che legano l’artista ai musei e ai loro territori.
«Alighiero e Boetti. Sciamano e Showman» verrà, quindi, trasmesso nella stessa giornata di mercoledì 16 dicembre, alle 21.15, su Sky Arte e rimarrà, poi, disponibile on-demand su Now Tv.
La museovisione è un’altra importante iniziativa del canale televisivo diretto da Pisoni a sostegno del mondo dell’arte e della cultura in questi mesi difficili, con i musei e i teatri chiusi a causa della pandemia. Nelle ultime settimane Sky Arte ha, infatti, proposto in streaming gratuito, sul sito su video.sky.it/arte e sui suoi profili Facebook e Instagram, altri programmi per venire incontro ai gusti degli amanti dell’arte come «The Square», «Sipario! Storie di Teatro», «Indie Jungle» e «Musei».
Il documentario, della durata di poco più di cinquanta minuti, ripercorre la breve e folgorante parabola artistica di Alighiero Boetti attraverso le testimonianze dei suoi familiari - i figli Agata e Matteo e la vedova Caterina Raganelli Boetti –, ma anche di storici dell’arte e amici come Salman Alì, Stefano Arienti, Stefano Bartezzaghi, Alessandra Bonomo, Giorgio Colombo, Flavio Favelli, Tommaso Pincio, Sissi e Angela Vettese.
Attraverso immagini di repertorio e fotografie di opere coloratissime ed enigmatiche, il film racconta gli inizi dell’artista contrassegnati dall’adesione al movimento dell’Arte povera, il grande fermento creativo degli anni Settanta, il successo arrivato a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, la postuma consacrazione tra i grandi.
Agli inizi degli anni Settanta, l’artista cambia il suo nome in Alighiero e Boetti, dando vita a una ricerca sull’identità e il doppio che lo porta sempre a muoversi per specchiamenti. «Il gioco della congiunzione include -si legge nella nota stampa- uomo e artista, Sud e Nord, ordine e disordine, necessità e caso, spirito e materia».
Acutissimo teorico senza per questo amare le teorie, pensatore zen, cantastorie di piccole verità in forma di enigma, e, soprattutto, titolista nato, Alighiero Boetti ha realizzato i suoi lavori con l’intento di «mettere al mondo il mondo», come recita un’opera degli anni Settanta, e ci è riuscito grazie al fatto di essere al contempo sciamano e showman.
«Il documentario -raccontano da Sky Arte- riprende uno dei procedimenti più iconici di Boetti: la quadratura utilizzata nei suoi famosi arazzi. Grazie alla grafica animata, le sedici lettere del nome Alighiero e Boetti diventano sedici parole chiave – Afghanistan, bellezza, bic, gemelli, Giappone, mani, manifesto, mondo, numeri, Parigi, regole, ricami, ritmo, tempo, tutto, viaggio – che scandiscono i capitoli del film».
A più di venticinque anni dalla morte, il documentario «Alighiero e Boetti. Sciamano e showman» prova, dunque, a rendere la vitalità del pensiero, l’intelligenza velocissima e la grandezza dell’opera di un artista che ha saputo rendere il quotidiano oggetto dell’arte e veicolo di bellezza.
In occasione dell'uscita del documentario, verrà lanciato anche un filtro, scaricabile direttamente dai profili Instagram e Facebook di Sky Arte, e ispirato a uno dei soggetti più conosciuti: gli aeroplanini. Sullo sfondo di un iconico cielo azzurro acquerello, ciascun utente potrà diventare protagonista dell’opera indirizzando il volo degli aerei col suo stesso movimento. Per gli ottant'anni di Boetti si è pensato, dunque, a un omaggio leggero ispirato al suo amore per i viaggi e la geografia. 

martedì 6 ottobre 2020

Milano, al Piccolo Teatro è tempo di jazz

È tempo di musica al Piccolo Teatro di Milano. Puntuale con l’inizio dell’autunno torna il Mit Jazz Festival. Questa quinta edizione prenderà il via nella serata di lunedì 11 ottobre, alle 21, e vedrà salire sul palco la Civica Jazz Band, diretta da Enrico Intra, emanazione dell’eccellenza didattica dei corsi di jazz della Civica scuola di musica «Carlo Abbado di Milano».
«Il Jazz è donna» è il titolo dell’appuntamento, alla sua terza edizione, che vedrà salire sul palco, tra gli altri, Emilio Soana e Marco Mariani alla tromba, Andrea Andreoli al trombone, Giulio Visibelli ai sassofoni e flauto, Marco Vaggi al contrabbasso e Tony Arco alla batteria.
La formula è nota: ogni musicista porterà un brano – di propria composizione o parte del repertorio internazionale del jazz – arrangiato per big band, e lo eseguirà come solista in seno all’orchestra.
L’insieme delle scelte andrà a comporre un panorama musicale estremamente vario, che permetterà di approcciarsi all’«altra metà del suono», ormai diventata una realtà rilevante non solo qualitativamente, ma anche numericamente, nel quadro della scena nazionale.
In questo articolato quadro si passerà dal funky-blues di Caterina Crucitti, bassista elettrica di punta nella scena italiana che vanta importanti collaborazioni nazionali, al mainstream elegante della diciassettenne Camilla Rolando, giovane talento della tromba che guarda con attenzione alla tradizione moderna del jazz. Mentre una proposta articolata e modernissima sarà quella della sassofonista Rosarita Crisafi. Il piano e la voce di Laura Fedele, figura di riferimento nella vocalità jazzistica italiana, ci porteranno, poi, nell’ambito di un originale mainstream contemporaneo intriso di blues feeling, laddove il virtuosismo di stampo boppisitico del giovane astro della chitarra jazz italiana Eleonora Strino e la musica di impronta modale, intensa e ricca di colore, della pianista Aisha Ruggieri completeranno il quadro di un concerto che offre un panorama stilisticamente eterogeneo e di alto profilo artistico.
La rassegna proseguirà nella serata di lunedì 26 ottobre, alle ore 19.30, con l'omaggio di un talentuoso musicista svizzero, il Franco Ambrosetti (considerato da Miles Davis «il più ‘nero’ tra i trombettisti bianchi»), a un altro caposaldo del jazz europeo: il pianista, compositore e direttore d’orchestra George Gruntz, scomparso nel 2013. 
Durante l’appuntamento verrà proposta la musica di un progetto discografico di grande rilievo realizzato per l’etichetta Enja nel 1985: l'album «Tentets», per il quale Gruntz scrisse tutti gli arrangiamenti e una composizione, mentre Ambrosetti fu solista principale e autore di due brani. 
«Il risultato -raccontano gli organizzatori- fu un jazz nella linea del più evoluto contemporary mainstream, in cui la scrittura non soffocava la forza e il peso delle improvvisazioni, lasciando al trombettista svizzero lo spazio per creare le sue fantasiose e coinvolgenti invenzioni, circondato da altri grandi strumentisti quali, tra tutti, Michael Brecker, Steve Coleman, Dave Holland e Tommy Flanagan».
Per l’occasione, la Civica Jazz Band si proporrà in un ensemble del quale fanno parte tutti i suoi solisti stabili oltre al pianista Mario Rusca e al sassofonista Gabriele Comeglio, figure di assoluto rilievo nella scena nazionale e continentale del jazz. Per l’occasione, anche il direttore della band, Enrico Intra, siederà in alcuni brani al pianoforte.
A questi appuntamenti si aggiungerà, nella serata di lunedì 2 novembre, il collaudato e singolare appuntamento di «Piani diversi», un incontro dialettico tra pagine classiche della musica scritta e l'improvvisazione jazzistica, che coinvolgerà il maestro del piano classico Carlo Balzaretti, un grande del jazz come Enrico Intra e il musicologo Maurizio Franco. Il progetto, inaugurato dalla Gioventù musicale di Modena quindici anni fa, è stato proposto in molte sale italiane, dall’estremo sud alle Dolomiti, ottenendo sempre un alto gradimento da parte del pubblico.
La serata è sempre ricca di sorprese e sarà così anche questa volta. Unica indicazione per il programma al Piccolo Teatro è che, in questa occasione, il repertorio verrà scelto tra autori che hanno guardato al mondo del jazz o, in qualche modo, sono stati e sono un riferimento per i jazzisti.

Didascalie delle immagini
[Figg.  1, 2, 3] Enrico Intra. Foto: Attilio Marasca; [fig. 4] Le interpreti di «Jazz è donna»

Informazioni utili
MitJazz Festival - Edizione 2020. Piccolo Teatro Grassi e Teatro Strehler - Milano. Quando: lunedì 19 e 26 ottobre, lunedì 2 novembre 2020; ore 21. Prezzi: posto unico 20 euro; acquisto contestuale tre concerti 45 euro. Informazioni e prenotazioni: tel. 02.42411889. Sito internet: www.piccoloteatro.org.  

AGGIORNAMENTO DEL 21 OTTOBRE 2020:  In ottemperanza all'ordinanza emanata dal Ministero della Salute in accordo con la Regione Lombardia, che prevede la chiusura dalle 23 alle 5, i concerti del 26 ottobre e del 2 novembre sono antipati alle ore 19.30. 

martedì 29 settembre 2020

«The Sky in a Room», a Milano un progetto di Ragnar Kjartansson per rielaborare la quarantena

«Quando sei qui con me / Questa stanza non ha più pareti / Ma alberi, alberi infiniti / Quando sei qui vicino a me / Questo soffitto viola / No, non esiste più / Io vedo il cielo sopra noi». Era il 1960 quando Gino Paoli scriveva «Il cielo in una stanza», una canzone che celebra il potere dell’immaginazione raccontando di come l'amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino a portarci oltre i confini conosciuti, in un luogo inedito e astratto.
A questa canzone ha guardato l’artista e musicista islandese Ragnar Kjartansson (Reykjavík, 1976) con il suo progetto «The Sky in a Room», un intervento dal forte valore simbolico che la Fondazione Nicola Trussardi ha voluto donare alla città di Milano dopo il difficile periodo di quarantena che ha segnato la vita pubblica e privata di milioni di italiani, in particolare dei cittadini della Lombardia.
Scenario del progetto, in cartellone fino al prossimo 25 ottobre (ingresso libero, con prenotazione), è la chiesa di San Carlo al Lazzaretto, edificio ottogonale di costruzione rinascimentale, nel quartiere di Porta Venezia, conosciuto dai milanesi anche come san Carlino e reso celebre da Alessandro Manzoni che qui ambientò una delle scene più struggenti del suo romanzo «l promessi sposi»: l’incontro, dopo mille traversie, tra Renzo e Lucia, entrambi sopravvissuti ai giorni travagliati della peste seicentesca.
Tra queste pareti fatte costruire da san Carlo Borromeo all’architetto Pellegrino Tibaldi, faro e conforto per molti malati durante le epidemie pestilenziali del 1576 e del 1630, ogni giorno, per sei ore consecutive (dalle 14 alle 20), cantanti professionisti si alterneranno, uno alla volta e per venti minuti ciascuno, all’organo proponendo un arrangiamento della canzone di Gino Paoli e dando così vita a «una ninna nanna infinita», a una sorta di mantra o di rosario ininterrotto.
«Dopo mesi trascorsi nello spazio chiuso delle proprie abitazioni, accanto ai propri cari o, più tristemente, lontani dai familiari e dagli affetti» – raccontano dalla Fondazione Trussardi, al suo diciottesimo anno di «attività nomade» nel capoluogo lombardo, con l’intento di riscoprire luoghi dimenticati o insoliti – «la performance di Kjartansson può essere letta come un poetico memoriale contemporaneo: un inusuale monumento e un’orazione civile in ricordo dei dolorosi mesi passati a immaginare il cielo in una stanza e a sognare nuovi modi per stare insieme e per combattere la solitudine e l’isolamento».
Già conosciuto dal pubblico milanese per l’installazione «The Visitors», presentata nel 2013 all’Hangar Bicocca, l’artista islandese si serve di vari media espressivi (video, performance, musica, pittura) per creare opere venate da un senso di profonda malinconia, spesso ispirate alla tradizione del teatro e della letteratura nordica del Novecento, con riferimenti al lavoro di Tove Janson, Halldór Laxness, Edvard Munch e August Strindberg, tra gli altri.
Cresciuto all’interno di un contesto artistico e musicale colto –i genitori sono attori teatrali di successo, la madrina è una cantante folk professionista– Kjartansson si è occupato a lungo di musica suonando con i Kanada, i Kósý, e i Trabant e il mondo delle sette note è cuore pulsante anche nel suo percorso artistico, iniziato nel 2007. «In particolare, -raccontano dalla Fondazione Trussardi- la ripetizione di suoni e gesti è un elemento fondamentale nelle composizioni e coreografie dell'artista, che sono state spesso descritte come forme di meditazione e di riflessione nelle quali ritornelli, frasi e arie musicali sono trasformate in litanie toccanti e mantra ipnotici».
A proposito dell’intervento «The Sky in a Room», commissionato nel 2008 da Artes Mundi e dal National Museum of Wales di Cardiff, con il supporto del Derek Williams Trust e dell'ArtFund, l’artista afferma: «Il cielo in una stanza è l'unica canzone che conosco che rivela una delle caratteristiche fondamentali dell'arte: la sua capacità di trasformare lo spazio. In un certo senso, è un'opera concettuale. Ma è anche una celebrazione del potere dell'immaginazione – infiammata dall'amore – di trasformare il mondo attorno a noi. È una poesia che racconta di come l'amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino ad abbracciare il cielo e gli alberi». Perché, come diceva Oscar Wilde, «l’amore sa leggere ciò che è scritto sulla stella più lontana».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Ragnar Kjartansson The Sky in a Room, 2018 – 2020 Performer, organo e canzone Il Cielo in una Stanza di Gino Paoli (1960)  Originariamente commissionato da Artes Mundi e Amgueddfa Cymru – National Museum Wales e acquisitor con il supporto di Derek Williams Trust e Art Fund A Milano, presentato e prodotto dalla Fondazione Nicola Trussardi alla Chiesa di San Carlo al Lazzaretto Courtesy dell’artista, Luhring Augustine, New York e i8 Gallery, Reykjavik Photo: Marco De Scalzi; [fig. 4] Chiesa di san Carlo al Lazzaretto, Milano

Informazioni utili 
 Ragnar Kjartansson. The Sky in a Room. Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, largo fra’ Paolo Bellintani, 1 - Milano. Orari: tutti i giorni, dalle 14 alle 20. Ingresso gratuito previa prenotazione. Prenotazioni: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-the-sky-in-a-room-120366640863. Informazioni: https://www.fondazionenicolatrussardi.com/mostre/the-sky-in-a-room/. Fino al 25 ottobre 2020. 

giovedì 24 settembre 2020

«Lo schermo dell’arte», a Venezia nove film sulla scena creativa contemporanea

Si rinnova la collaborazione tra la Fondazione Pinault e il festival fiorentino «Lo schermo dell’arte», progetto che vede alla direzione artistica Silvia Lucchesi. Mentre a Firenze si scaldano i motori per la nuova edizione, la numero dodici, in programma dal 10 al 14 novembre al cinema La compagnia, in presenza, e on-demand sul portale MyMovies, a Venezia ritorna puntuale, con l’inizio dell’autunno, la rassegna di Palazzo Grassi che offre al pubblico un’esclusiva selezione di film, documentari e progetti cinematografici firmati da importanti video-artisti e filmmaker internazionali che hanno focalizzato la loro attenzione sul mondo dell’arte contemporanea.
Scenario della manifestazione, in programma dal 28 settembre al 1° ottobre, è ancora una volta il Teatrino di Palazzo Grassi. Tutti i film sono in lingua originale, con i sottotitoli in italiano.
Ad aprire il festival, a ingresso gratuito con accesso prioritario ai possessori della Membership Card, sarà il 28 settembre, alle ore 18.30, a «Ettore Spalletti» (Italia, 2019, 89’), documentario di Alessandra Galletta dedicato al maestro recentemente scomparso. L’opera costituisce una preziosa testimonianza della vita e della pratica di un artista lontano dai clamori dei palcoscenici del sistema, che ha lasciato un contributo fondamentale all’arte contemporanea grazie alla sua indagine sulla luce e il colore, tanto in pittura, quanto in scultura. A seguire, alle ore 20.15, ci sarà la proiezione di «Putin’s Happy» di Jeremy Deller (Regno Unito, 2019, 40’), un film che racconta le istanze xenofobe, l’isolazionismo e il patriottismo che hanno alimentato la scelta della Gran Bretagna di uscire dall’Unione Europea.
Martedì 29 settembre si parte sempre alle ore 18.30 con «The Proposal» di Jill Magid (Stati Uniti, 2018, 82’), che ripercorre la complessa vicenda della realizzazione di un progetto della stessa regista che sarebbe dovuto confluire in una mostra dedicata al visionario architetto messicano Luis Barragàn.
Nel tentativo di consultarne gli archivi divisi tra Città del Messico e Basilea, l’artista va incontro a una lunga serie di difficoltà, scontrandosi in particolar modo con Federica Manco, colei che, per una serie di vicissitudini legate all’eredità dell’architetto messicano, oggi possiede e conserva in Svizzera il suo archivio professionale e i diritti legati alla riproduzione del suo lavoro.
Chiude la sessione, alle ore 20.10, il film che Halina Dyrschka ha dedicato all’artista e mistica svedese Hilma Af Klint (1862–1944): «Beyond the Visible» (Germania, 2019, 93’). Il progetto restituisce così visibilità a un’artista dimenticata, che ha però avuto un ruolo di primissimo piano nell’evoluzione storico-artistica, essendo stata tra i primi ad aver introdotto l’astrazione in pittura al principio del XX secolo.
Mercoledì 30 settembre la rassegna proseguirà al Teatrino, alle ore 18.30, con il film «Olafur Eliasson: Miracles of Rare Device» (Regno Unito, 2019, 61’) di Alan Yentob che indaga la pratica dell’artista danese (1967) a partire dalla preparazione della sua nuova mostra personale, «Real Life», alla Tate Modern, che segue lo straordinario successo ottenuto nel 2003 da «Weather Project, visitato da più di due milioni di spettatori. Il tema centrale di «Real Life», che sta alla base della maggior parte dei lavori di Eliasson, è l’interazione tra elementi naturali come l’acqua e la luce con la percezione fisica che lo spettatore ha dello spazio.
Dalle ore 19.45, protagonista dello schermo sarà, invece, il duo artistico Masbedo, composto da Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, con «Welcome Palermo» (Italia, 2018-2019, 75’). Il film è l’evoluzione formale e narrativa del progetto «Videomobile», l’articolata installazione multi-canale dedicata al rapporto tra Palermo e il cinema e concepita dagli artisti nel 2018 in occasione di Manifesta 12 Palermo.
Giovedì 1° ottobre la rassegna si concluderà con la visione di tre film. Si inizierà alle ore 18.30 con la proiezione di «Triple-Chaser» (Regno Unito, 2019, 11’) del collettivo inglese Forensic Architecture, candidato al Turner Prize 2018. L’obiettivo della ricerca, che prende nome da un tipo di granata contenente gas lacrimogeno, è quello di identificare le granate esaminando, attraverso una speciale tecnologia digitale, milioni di immagini condivise sul web così da conoscerne l’effettivo utilizzo contro la popolazione.
Si continuerà con «Walled Unwalled» dell’artista giordano Lawrence Abu Hamdan (Germania, Libano, 2018, 21’), che ha vinto il Turner Prize nel 2019. La video-performance è stata realizzata a Berlino negli studi di effetti sonori Funkhaus, ubicati nell’ex stazione radiofonica della Germania dell’Est, e si interroga su come il suono sia percepito dall’orecchio umano quando chi ascolta si trova oltre una barriera fisica. Per farlo, l’artista ha analizzato tre celebri casi giudiziari, tra cui quello molto noto dell’atleta Oscar Pistorius L’ultimo film in programma è «Barbara Rubin and the Exploding NY Underground» di Chuck Smith (Stati Uniti, 2018, 78’), che riporta in luce la vicenda umana e professionale dell’artista, filmmaker e performer americana Barbara Rubin (1945 – 1980), attraverso un fondo epistolare conservato dall’amico e cineasta Jonas Mekas.
Quattro giorni di programmazione e nove titoli caratterizzano, dunque, la nuova edizione veneziana del festival «Lo schermo dell’arte», uno dei tanti eventi di questo primo scorcio d’autunno in programma al Teatrino di Palazzo Grassi. Sabato 26 settembre, dalle ore 15 alle ore 18, il fotografo Marco Cappelletti e Roberta Albiero, docente di Composizione architettonica e urbana allo Iauv di Vanezia, condurranno, per esempio, il laboratorio «Fender», che prevede l’utilizzo del mezzo fotografico per riformulare il concetto di «distanziamento» sociale. Mentre giovedì 1° ottobre, a partire dalle ore 10.30, si terrà il seminario «Verso una carta di Venezia per la cultura urbana», realizzato con il patrocinio del Consolato generale di Svizzera a Milano.
Gli appuntamenti al Teatrino sono anche un’ottima occasione per vedere la bella mostra che Palazzo Grassi dedica in questi giorni a Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 22 agosto 1908 – L'Isle-sur-la-Sorgue, 3 agosto 2004) . «Le Grand Jeu», questo il titolo del progetto espositivo, rivisita la Master Collection del fotografo a partire dalle suggestioni di cinque curatori particolari: il regista Wim Wenders, la fotografa Annie Leibovitz, lo scrittore Javier Cercas, la curatrice Sylvie Aubenas e, naturalmente, il padrone di casa, il collezionista Francois Pinault. Un’occasione, questa, per rivedere le più belle immagini del maestro del «momento decisivo», del fotografo che è stato definito l’«occhio del secolo» per averci scatti di momenti storici epocali, ritratti di vita popolare del tempo e raffigurazioni di grandi personaggi dell’epoca.

Vedi anche


Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Masbedo, «Welcome Palermo». 2018-2019 Still da film- Commissioned by Manifesta 12. Produced by In Between Art Film; [fig. 2] «Beyond the Visible. Hilma af Klint» di Halina Dyrschka”, Germania, 2019, 93’. still; [fig. 3] «Ettore Spalletti» di Alessandra Galletta, Italia, 2019, 89’; [fig. 4]  «Beyond the Visible. Hilma af Klint» di Halina Dyrschka, Germania, 2019, 93’. still;[fig. 5] «Walled Unwalled» dell’artista giordano Lawrence Abu Hamdan (Germania, Libano, 2018, 21’)

Informazioni utili 
Lo schermo dell’arte – VII Edizione. Teatrino di Palazzo Grassi, San Marco 3260 - Venezia. Dal 28 settembre al 1 ottobre 2020, dalle 18.30. Sito internet: www.palazzograssi.it

 


martedì 21 luglio 2020

«Noi. Non erano solo canzonette», venticinque anni di storia italiana in cento brani

Si potrebbe raccontare la storia del nostro Paese attraverso i tormentoni musicali che, dagli anni Sessanta a oggi, hanno accompagnato le nostre estati. La colonna sonora del 1967, l’anno che precedette le rivoluzioni sessantottine, fu, per esempio, l’effervescente «Stasera mi butto» di Rocky Roberts. Negli anni Ottanta, quelli dei capelli cotonati, delle giacche con le spalline e della spensieratezza esibita, Claudio Cecchetto fece, invece, ballare tutti con il «Gioca Jouer» (1981). Infine, nel 2006, l’anno dei mondiali in Germania, Checco Zalone conquistò l’Italia con «Siamo una squadra fortissimi». Si può, quindi, dire che la musica non solo fa parte della nostra vita, ma racconta anche la nostra storia, permette di esplorare e interpretare le grandi trasformazioni politiche e sociali in atto. Questo ragionamento fa da filo rosso anche alla mostra «Noi. Non erano solo canzonette», a cura di Gianpaolo Brusini, Giovanni De Luna e Lucio Salvini, prodotta da Bibibus Events e realizzata con la consulenza di Fabri Fibra, Marco Tullio Giordana, Vittorio Nocenzi, Giorgio Olmoti e Omar Pedrini. L’allestimento porta, invece, la firma della designer Francesca Seminatore; mentre le installazioni audio-video sono di Daniele Perrone.
Dopo essere stata esposta a Torino e a Bologna, la rassegna, patrocinata dal Mibact e dalla Siae, è arrivata a Pesaro, Città creativa Unesco della musica per essere esposta a Palazzo Mosca – Musei civici, luogo dell’identità culturale del capoluogo marchigiano, e al museo dedicato a Gioachino Rossini, la prima pop star ante litteram della musica.
Racchiusa fra due abbracci, quello di Domenico Modugno sul palco di Sanremo 1958 e quello di Paolo Rossi nella notte di Madrid che nel 1982 laureò l’Italia campione del mondo, la mostra procede cronologicamente raccontando venticinque anni della nostra storia e toccando ogni aspetto della vita sociale, del costume, della cronaca, del lavoro e dei cambiamenti nelle convinzioni etiche e morali di quegli anni.
Cento opere musicali italiane, selezionate nel repertorio di quel periodo, fanno da contrappunto al racconto, il cui repertorio iconografico proviene in parte dagli inestimabili archivi Publifoto IntesaSanpaolo e in parte dall’archivio storico de «Il Resto del Carlino». Le immagini esposte, destinate ai quotidiani, ai rotocalchi e ai settimanali illustrati dell’epoca, restituiscono lo sguardo del fotoreporter di cronaca e la sua grande abilità di rappresentare in modo acuto, profondo e preciso le molteplici realtà italiane. I video arrivano, invece, dagli archivi delle Teche Rai, oltre che dall’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Ivrea, un centro di conservazione, valorizzazione e diffusione del patrimonio audiovisivo prodotto dalle imprese italiane.
Il percorso espositivo, di cui rimarrà documentazione in un catalogo Eli– La Spiga, è suddiviso in quattordici aree tematiche in grado di coinvolgere tanto chi quegli anni li ha vissuti in prima persona, quanto le generazioni più giovani, in un comune percorso di immersione nella memoria collettiva italiana: dalla grande immigrazione verso le città del Nord della fine degli anni Cinquanta, sino al disimpegno che ha configurato gli anni Ottanta.
«Si parte -raccontano gli organizzatori- da Palazzo Mosca – Musei civici con le sezioni: «Volare» (penso che un sogno così non ritorni mai più), «Il treno del sole» (come è bella la città come è viva la città), «Il boom» (il mutare del profilo delle città e delle campagne), «Carosello» (l’avvento del consumismo), «Abbronzatissimi» (la conquista del tempo libero e delle vacanze di massa), «L’esercito del surf» (i giovani quale nuovo soggetto sociale) e «Pensiero Stupendo» con il lungo cammino dell’emancipazione femminile. Il percorso prosegue al Museo nazionale Rossini con le sezioni: «C’era un ragazzo che come me» (le rivendicazioni sociali e i movimenti studenteschi), «Contessa» (lotte operaie), «La locomotiva» (il terrorismo), «Musica ribelle» (le radio libere), «La febbre del sabato sera» (le discoteche), «Splendido Splendente» (il riflusso che darà inizio agli edonistici anni ’80) e, infine, «il Mundial» (la notte che ci cambiò per sempre)».
La fruizione musicale in mostra è a più livelli: dall’audio diffuso nelle varie sale, alle opere ascoltabili singolarmente grazie alle più recenti tecnologie, agli speaker direzionali per i filmati d’epoca. I cento brani scelti, utilizzando un criterio di massima inclusività, da Peppino di Capri a Francesco Guccini, da Patty Pravo a Fabrizio De André, sono in grado di trasmettere, anche a chi non c’era, il senso profondo di quella musica e di quegli anni.
Una canzone, non meno di un libro o di un dipinto, sa, infatti, riflettere il momento storico in cui è stata immaginata, scritta e cantata. Non esistono canzonette, dunque, ma solo canzoni, e sono state trattate per quello che sono: contributi culturali di importanza critica per il passato, il presente e il futuro della nostra società. Nei grandi avvenimenti come in quelli di minor rilievo, la musica narra, descrive, talvolta preconizza e, infine, fissa nella memoria.

Informazioni utili
«Noi. Non erano solo canzonette». Palazzo Mosca – Musei Civici, piazzetta Mosca, 29 / Museo Nazionale Rossini, ia G. Passeri 72 - Pesaro. Orari: Palazzo Mosca - Luglio – settembre > da martedì a giovedì ore 10-13 / 16.30-19.30; da venerdì a domenica e festivi ore 10-13 / 16.30-19.30; Ottobre > da martedì a giovedì ore 10-13,  da venerdì a domenica e festivi ore 10-13 / 15.30-18.30 | Museo Nazionale Rossini, da martedì a domenica e festivi ore 10-13 / 15-18. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, ingresso libero minori di 19 anni, soci ICOM, disabili e persona che li accompagna. Informazioni: 0721.387541 biglietteria Musei Civici | 0721.1922156 biglietteria Museo Nazionale Rossini | pesaro@sistemamuseo.it. Sito internet: www.pesaromusei.it | www.mostranoi.it. Fino all'10 gennaio 2021.

lunedì 20 luglio 2020

Bologna, a San Colombano tra le note del passato con gli strumenti della collezione Vázquez

Li chiamava «monumenti sonori viventi» e li collezionava con passione intenzionato a trasmettere un pezzo di storia della musica antica al futuro. Aveva acquisito il suo primo pezzo, una spinetta del Cinquecento, nel 1969. Poi, poco dopo, era riuscito ad accaparrarsi un esemplare di grande valore e rara bellezza: un grande cembalo a tre registri costruito nel 1679 dal lucchese Giovanni Battista Giusti. Era l’inizio di una febbre collezionistica che, in quasi cinquant’anni, ha portato l’organista, clavicembalista e compositore bolognese Luigi Ferdinando Tagliavini (1929-2017), per trent’anni direttore dell’Istituto di musicologia di Friburgo, nonché curatore di prestigiose edizioni critiche dei lavori di Girolamo Frescobaldi e Domenico Zipoli, a raccogliere una settantina di strumenti a tastiera. Si tratta di virginali, clavicordi, arpicordi, clavicembali, pianoforti e organi, tutti restaurati e funzionanti, ai quali va ad affiancarsi una raccolta di strumenti a fiato e popolari risalenti ai secoli tra il XVI e il XIX.
Questo patrimonio prezioso -tra cui si trova anche un raro strumento combinatore, metà clavicembalo e metà pianoforte, costruito nel 1746 da Giovanni Ferrini, unico allievo certo di Bartolomeo Cristofori (l’inventore del fortepiano)- è stato donato nel 2006 alla Fondazione Carisbo e al suo circuito Genus Bononiae – Musei nella città.
Quattro anni dopo, nel 2010, la collezione trovava casa in uno dei gioielli architettonici di Bologna: il millenario complesso monastico di San Colombano, sorprendente stratificazione di ambienti.
La cripta è di epoca medioevale e presenta lacerti di pitture murali, tra cui un «Cristo in croce» attribuito a Giunta Pisano, uno dei massimi innovatori dell’arte del tempo prima di Cimabue.
La Cappella della Madonna dell’Orazione fu fatta costruire sul finire del Cinquecento dall’omonima confraternita e venne abbellita da affreschi carracceschi a cornice della venerata «Vergine» del bolognese Lippo di Dalmasio (1399), che si trovava allora all’aperto, sul muro di una casa, soggetta alle intemperie.
Infine, l’Oratorio della Passione, vero e proprio gioiello della scuola pittorica bolognese, fu edificato per il Giubileo del 1600 e fu teatro di quella che lo storico dell’arte Carlo Cesare Malvasia, «il Giorgio Vasari dell’Emilia», definì la «gloriosa gara» tra i massimi talenti dell’Accademia dei Carracci: Francesco Albani, Domenichino, Guido Reni, Lucio Massari, Francesco Brizio, Lorenzo Garbieri e Galanino.
In questo contesto di grande bellezza si può, dunque, percorrere un viaggio tra strumenti che legarono la propria storia a quella di importanti protagonisti di tutti i tempi. È possibile vedere, per esempio, il piccolo pianoforte in «tavolo da cucito» di Francesca Ciani Camperio, ardente patriota risorgimentale, sul quale le impartì lezioni di canto Gioacchino Rossini. Si può ammirare una spinetta a pianta rettangolare che fu probabilmente della sfortunata nobildonna romana Beatrice Cenci, decapitata per aver ucciso il padre-orco e assurta, poi, al ruolo di eroina popolare tanto da essere raffigurata da Guido Reni e da Elisabetta Siranni e da essere raccontata, tra gli altri, da Stendhal e Alberto Moravia.
Ci si può, poi, far incantare dal clavicembalo di Nicolò Albana, suonato a Sorrento da Cornelia Tasso Spasiano, sorella di Torquato Tasso, e da uno dei quattro esemplari esistenti di cembalo pieghevole settecentesco, di cui si servirono Federico il Grande di Prussia e il celebre castrato Farinelli durante i loro viaggi.
Non mancano, infine, lungo il percorso strumenti dal raffinato decoro, impreziositi da pitture di paesaggio o da scene mitologiche, come la spinetta all’ottava di Silvestro Albana adornata dal Domenichino e il clavicembalo di Mattia di Gand con un dipinto del fiammingo Jan Frans van Bloemen.
In occasione dei dieci anni dall’inaugurazione del museo a San Colombano, Genus Bononiae ha voluto arricchire il percorso di un’altra perla: la mostra di strumenti antichi ad arco della collezione Vázquez, la più grande al mondo di questo genere, che dal 1993 viene gestita dalla Orpheon Foundation di Vienna.
«Still Alive» -questo il titolo della rassegna- raccoglie, nello specifico, oltre duecento tra strumenti ad arco ed archetti: viole da gamba e d’amore, violini, violoncelli, violoni e baryton ritrovati nelle residenze aristocratiche dell’antico passato, databili dal 1550 al 1780, tutti restaurati e riportati alle loro condizioni originali, così da essere ancora «vivi» nella loro funzionalità e fruizione, ovvero regolarmente utilizzati in occasione di concerti, registrazioni, masterclass e concorsi.
Anche in questo caso ogni strumento racconta una storia. Ci sono, tra gli esemplari in mostra, una viola da gamba di William Bowelesse (Londra, c. 1590), probabilmente appartenuta alla regina Elisabetta I d’Inghilterra, e un violoncello costruito da Simone Cimapane (1692), che si dice essere stato suonato nell’orchestra di Arcangelo Corelli a Roma. Si possono, poi, vedere anche due archi gemelli appartenuti al grande compositore e virtuoso di violino Giuseppe Tartini, e due archi veneziani, anch’essi gemelli, dell’epoca di Antonio Vivaldi, oltre a strumenti di scuola bolognese come un violino realizzato da Gian Antonio Marchi (c. 1770) e una viola da gamba di Giovanni Fiorino Guidantus (XVIII secolo).
Completano il percorso espositivo strumenti di Gasparo da Salò (Brescia, c. 1570), Jakob Stainer (1671), Joachim Tielke (1683, 1697) e Pietro Guarneri (Mantova, c. 1700), ma anche esemplari realizzati dal liutaio milanese Giovanni Grancino (c. 1700) o dalle dinastie asburgiche dei Thir, Leidolff, Stadlmann e Posch.
Non mancano, infine, pezzi di provenienza inglese, risalenti all’epoca di William Shakespeare ed Henry Purcell. Tutti strumenti, questi, dei quali si può dire -per usare le parole del musicista e musicologo José Vázquez, classe 1951- che sono «still alive», ancora vivi, pronti a riempire di note San Colombano per regalare emozioni senza tempo.

Informazioni utili 
«Still Alive». Museo di San Colombano – Collezione Tagliavini, via Parigi 5 – Bologna. Orari: da martedì a domenica, ore 11.00 - 13.00 e ore 15.00 - 19.00. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 051.19936366 o sancolombano@genusbononiae.it. Sito internet: https://genusbononiae.it/palazzi/san-colombano/. Fino al 10 gennaio 2021.