ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 11 novembre 2016

«Minute visioni», un percorso tra i micro mosaici romani

«Il musaico in piccolo è un industrioso e pazientissimo lavoro che ripete la sua origine dall’aver immaginato di filare que’ medesimi smalti di cui si eseguivano i quadri nella basilica di San Pietro». Così nel 1847 lo storico Gaetano Moroni ricostruiva la nascita del mosaico minuto in smalti filati, avvenuta durante la seconda metà del Settecento a Roma, forse per opera di Giacomo Raffaelli (1753-1836), discendente di una famiglia fornitrice di smalti per la Fabbrica di San Pietro, che operò nella sua vita per importanti committenti italiani e stranieri.
Il micro mosaico, riconosciuta come una tecnica artistica tipicamente romana, raggiunse il suo apice negli anni a venire, quando in città operavano decine di botteghe specializzate, la cui produzione era in massima parte destinata ai viaggiatori stranieri del Grand Tour. In questi studi d’arte e negozi di belle arti, per lo più situati tra piazza del Popolo e Piazza di Spagna, operavano numerosissimi artigiani, spesso sotto la guida di maestri affermati come Antonio Aguatti, Clemente Ciuli, Luigi Moglia, Gioacchino e Michelangelo Barberi, Guglielmo Chibel.
Allo sviluppo dell’arte del micromosaico tra Sette e Ottocento è dedicata la mostra «Minute visioni. Micromosaici romani del XVIII e XIX secolo dalla collezione Ars Antiqua Savelli», per la curatela di Maria Grazia Branchetti, Fabio Benedettucci e Marco Pupillo, allestita fino al 31 dicembre al Museo napoleonico di Roma.
L’esposizione allinea un centinaio di oggetti tra quadri, tavoli, tabacchiere, placchette, gioielli e fermacarte, che mostreranno l’evoluzione del mosaico minuto attraverso le tematiche più diffuse: vedute romane, paesaggi del Grand Tour, nature morte e raffigurazioni di animali.
Nei suoi primi anni di esistenza, il micromosaico trovò un naturale spazio nei campi già sperimentati dalla miniatura. Le opere di piccolo formato erano realizzate entro cassine di rame o di pasta vitrea, placchette da montare in gioielli e bottoni, in oggetti quali scatole, cofanetti e tabacchiere, in suppellettili da scrittoio o di arredo come fermacarte, calamai, orologi, vasi. Tra le opere di dimensioni più rilevanti troviamo quadri, fasce decorative per camini, piani di tavolo.
Grande spazio in mostra hanno le vedute dell’Urbe. Roma sacra e Roma profana, strettamente intrecciate nelle manifestazioni visibili della loro storia, rappresentarono la meta per eccellenza del Grand Tour, il viaggio in Italia che accomunò per generazioni l’aristocrazia europea in un’esperienza di studio e di vita. Le grandi campagne di scavo e gli straordinari risultati conseguiti nel corso del Settecento restituirono opere grandiose, e la cultura neoclassica propose un ideale di bellezza che trovò nell’antico il suo modello. Con l’affermarsi del Romanticismo, il fascino per la rovina e il paesaggio aggiunse nuova linfa all’interesse del viaggiatore per la sublime grandezza di antiche vestigia e della realtà che ne conservava le tracce. Contestualmente si sviluppò una vera e propria industria artistica finalizzata alla riproduzione, nelle più diverse tecniche, delle meraviglie dell’arte, del costume e del paesaggio italiano.
Per la prima volta i mosaici saranno presentati in diretta relazione con opere pittoriche e stampe, per lo più provenienti dalle collezioni del Museo di Roma, in un confronto che consentirà al pubblico di cogliere le affinità iconografiche e le identità formali che caratterizzarono la produzione musiva romana e i contemporanei raggiungimenti nel campo delle arti maggiori. Oltre ad evocare riferimenti o inquadrature, è possibile anche riconoscere il prototipo dal quale il mosaico fu tratto, come nel caso dell’acquaforte di Bartolomeo Pinelli raffigurante una coppia di danzatori di saltarello, alla base di una raffinata, minuscola placchetta. Per altre opere, il riferimento è meno diretto, ma ugualmente significativo: con un piccolo quadro in mosaico è messa in relazione una tempera raffigurante piazza San Pietro, datata 1824. Nel foglio, la scena è inquadrata all’interno di una cornice ovale, caratterizzata da tralci d’edera posti ai quattro angoli: il bordo della cornice, realizzato imitando piccole sfere dorate, suggerisce che l’opera possa essere servita da modello per una decorazione in mosaico minuto destinata al coperchio di una scatola o di una tabacchiera.
Tra le opere in mostra si segnalano in piccolo ma raffinatissimo nucleo di micromosaici appartenenti al Museo napoleonico, tra cui due tabacchiere, una parure con placchette in mosaico minuto montate in oro, opera di Antonio Aguatti, un fermacarte in marmo nero del Belgio e una rara serie di pendenti per monili con emblemi della Prima Repubblica Romana.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Antonio Aguatti, Parure con placchette in mosaico minuto; [fig. 2]  Allegoria di Roma; [fig. 3] Tavolo con veduta del foro romano; [fig. 4] Scena popolare con stemma di papa Leone XIII

Informazioni utili

«Minute Visioni. Micromosaici romani del XVIII e XIX secolo dalla collezione Ars Antiqua Savelli». Museo napoleonico, piazza di Ponte Umberto I – Roma. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-18.00; 24 e 31 dicembre, ore 10.00-14.00 | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso gratuito. Informazioni: 060608 (tutti i giorni, dalle ore 9.00 alle ore 21.00). Sito internet: www.museonapoleonico.it. Fino al 31 dicembre 2016.

giovedì 10 novembre 2016

Jannis Kounnellis e il teatro di Heiner Müller in mostra a Milano

«Mi piace lavorare per il teatro perché mi piace il teatro, e poi perché era necessario portare sul palcoscenico la stessa rivoluzione che io e i pittori della mia generazione, avevamo portato nella pittura». Così Jannis Kounellis racconta il suo rapporto con il teatro, iniziato nel 1968 con la scena dei sacchi di carbone per lo spettacolo «I testimoni» di Flaminio Bulla, per la regia di Carlo Quartucci, andato in scena al teatro Stabile di Torino.
Da allora l’artista greco, esponente di spicco dell’Arte povera, si è più volte accostato al mondo della scena: nel 1991 ha realizzato i «cani che abbaiano» per il «Mauser» di Heiner Müller, nel 1999 tre grandi treni per l'«Opera Beuys» proposta a Duesseldorf, nel 2000 un sipario di coltelli e una croce rovesciata per «Il Cimarron», con la musica di Hanz Werner Heinze.
L’elenco delle collaborazioni di Jannis Kounellis è proseguito con l’ideazione, nel 2010, di un sipario di pietre legate a corde per il teatro greco di «Elefsina» e con il monumentale sipario «gotico» di lamiere con scranni su tre livelli per il «Loengrin» di Richard Wagner, rappresentato ad Amsterdam nel 2014.
L’ultima sua ideazione per il mondo della scena è del 2015, quando ha lavorato a «Die Hamletmaschine» («La macchina di Amleto»), un dramma postmoderno di Heiner Müller liberamente ispirato all’«Amleto» di William Shakespeare, portato in scena nel dicembre 2015 al Piccolo Teatro d’Europa di Milano.
Il video di questa performance teatrale, realizzata in collaborazione con il regista Theodoros Terzopoulos, è ora in mostra nella sede milanese della Galleria Fumagalli, per la curatela di Annamaria Maggi e Alexandra Papadopulos.

L’opera, realizzata in occasione del ventennale della scomparsa del drammaturgo e poeta tedesco si compone di un’installazione (scena e platea) realizzata dall’artista greco e di una performance nella quale alcuni brani del dramma «Die Hamletmaschine» prendono forma attraverso la voce femminile dell’attrice Sofia Hill, la musica elettronica live di Panagiotis Velianitis e la voce maschile elaborata da Theodoros Terzopoulos.
Il lavoro di Heiner Müller, autore definito negli anni Novanta «il più grande scrittore di teatro vivente», rilegge liberamente l’«Amleto» di Shakespeare, introducendovi anche riferimenti e allusioni al femminismo, al movimento ecologista e al comunismo.
Caratteristica dell’opera, redatta nel 1977, è la frizione della parola poetica con la storia, strutturata in cinque sequenze di monologhi durante i quali il protagonista abbandona il proprio ruolo teatrale per riflettere sul suo essere attore.
L’interprete di «Amleto» si ritrova morbosamente avvinghiato al suo personaggio, alle prese con le proprie passioni e i propri fantasmi. Il suo è un farneticante soliloquio in cui sono messi a nudo, da una parte, l’accantonamento di ogni slancio utopico e, dall’altra, i paradossi della situazione dell’intellettuale moderno, dibattuto tra l’impossibilità di modificare lo stato delle cose e la volontà di trasformarsi in macchina al servizio di chi amministra l’esistente. Il risultato è un racconto frastagliato, senza armonia, come se il mondo interiore dell’interprete del dramma shalespeariano volesse esplodere nell’irruzione accidentale di brandelli di frasi, di suoni appena udibili.
Per questo lavoro Kounellis ha realizzato un’installazione, allo stesso tempo personale e sociale, contro la corruzione e il potere, nel quale compare un Amleto «con la schiena rivolta verso le rovine dell’Europa».
L’artista greco continua così il suo rapporto con il mondo della scena per il quale usa un linguaggio che non è fatto di pennellate, ma di cose vere: i sacchi di carbone, il fuoco, la terra, la lana, i sacchi di juta, le piante, gli animali, rivendicando alla materia artistica una sua verità e un potere di svelamento non privo di rimandi poetici, letterari e simbolici. Una vera e propria drammaturgia, la sua, da intendersi in termini di scrittura scenica, capace di trasformare lo spazio in una «cavità teatrale e umanistica» perché –come afferma lo stesso artista- «è l'uomo il vero punto di vista del teatro, la sua centralità, che a differenza della pittura ha uno svolgimento e una grande immediatezza».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Jannis Kounellis, Theodoros Terzopoulos, Die Hamletmaschine di Heiner Müller, Il Piccolo Teatro d’Europa, 2015; [fig. 4] Ritratto di Jannis Kounellis

Informazioni utili
Jannis Kounnellis, Theodoros Terzopoulos. Die Hamletmaschine by Heiner Müller. | Presentazione video della performance. Galleria Fumagalli, via Bonaventura Cavalieri, 6 – Milano. Orari: martedì-sabato, ore 11.00-19.00. Ingresso libero. Informazioni: galleriafumagalli.com o tel. 02.36799285. Sito internet: www.galleriafumagalli.com. Fino al 20 dicembre 2016. 


mercoledì 9 novembre 2016

Le foto di Ai Weiwei in mostra a Torino

È una delle figure più discusse e controverse del mondo dell’arte. Stiamo parlando di Ai Weiwei (Pechino, 28 agosto 1957), artista, designer e attivista politico cinese, diventato una vera e propria icona del mondo asiatico per la sua lotta a favore della libertà d’espressione. Mentre Firenze ne celebra l’arte con una mostra monografica a Palazzo Strozzi, che sta facendo discutere per la serie di gommoni posizionati sulla facciata del museo a ricordare il dramma dei profughi, Torino ne ripercorre la poetica artistica e il ruolo nel dibattito culturale internazionale con la rassegna «Around Ai Weiwei: Photographs 1983-2016».
L’esposizione, allestita fino al 12 febbraio a Camera – Centro italiano per la fotografia, include materiali fotografici e video, tra cui alcuni documenti inediti, a partire dall’autoritratto «The Forbidden City during the SARS Epidemic», una sorta di selfie ante litteram, datato 2003, nel quale l’artista è solo all’interno della «città proibita» di Pechino, svuotata dall’epidemia che isolò la Cina dal resto del mondo per sei mesi, riducendo a città fantasma moltissimi tra villaggi e cittadine.
All’ingresso della mostra, a cura di Davide Quadrio, il visitatore è posto di fronte all’opera monumentale «Soft Ground», un tappeto lungo quarantacinque metri con una riproduzione fotografica in scala 1:1 delle tracce lasciate da carri armati su una carreggiata a sud-ovest di Pechino. Il lavoro vuole ricordare la crisi di Piazza Tienanmen del 1989, momento chiave nella storia contemporanea della Cina e del mondo intero che ha influenzato e ancora influenza la produzione artistica cinese.
A partire da qui il percorso si sviluppa in modo cronologico e per capitoli tematici. Accanto ai segni dei cingolati di piazza Tienanmen, scorre la vita di Ai Weiwei nel contesto newyorkese con una serie di fotografie intitolate «New York Photographs 1983-1993»: ottanta scatti, come fermi immagine di un film in bianco e nero, restituiscono una sequenza di momenti privati e incontri che l'artista fece quando visse negli Stati Uniti.
Nel 1994 l’artista torna in Cina e realizzata una rara video-intervista con Daria Menozzi, «Before Ai Weiwei» («Prima di Ai Weiwei»), montata nel 2009, che lo mostra coinvolto in un dialogo intimo teso a ricostruire uno scorcio dei primi anni del suo ritorno in patria dopo il soggiorno americano.
Pressoché inedita è anche la serie «Beijing Photographs 1993-2003» («Fotografie di Pechino, 1993-2003») che ritrae la vita, le azioni e l’entourage di Ai Weiwei appena prima del rapido processo di trasformazione che avrebbe reso Pechino la città globale di oggi. Attraverso i progetti editoriali dell'artista, tra i quali spicca la serie «Black Cover Book, White Cover Book e Grey Cover Book», viene offerta -si legge nella nota stampa- una visione progressista su un’ampia gamma di questioni culturali.
Le due opere video «Chang’an Boulevard» («Viale Chang’an») e «Beijing: The Second Ring» («Pechino: il secondo anello») descrivono, invece, lo scenario della capitale cinese nei primi anni Duemila. Attraverso riprese di paesaggi urbani e frammenti di vita, vengono documentate le radicali trasformazioni che investono Pechino, dissezionando e indagando una città in continua metamorfosi.
L’ultima sezione della mostra offre un’anteprima di uno degli ultimi progetti di Ai Weiwei: «Refugee Wallpaper», un collage di oltre 17.000 immagini scattate dall'artista durante il suo continuo contatto con l’emergenza rifugiati che si sta dispiegando in Europa, in Medio Oriente e altrove. Questa serie sembra voler far interrogare il pubblico sulle implicazioni dell’attivismo dell’artista: all’interno dei confini divenuti fragili sotto il peso degli eventi globali e della politica internazionale, il dramma della migrazione diviene spettacolo come tutto il resto.
«Qui, la voce dell’artista riempie il vuoto creato dal silenzio di migliaia di persone –spiega Davide Quadrio- tuttavia, al tempo stesso siamo testimoni di una conseguente ossessiva azione di voyeurismo che provoca un senso di disagio. Questa enorme produzione di immagini ci porta a vedere e a capire di più o di meno? Tanti anni dopo la sua serie di autoritratti, che cosa rimane e che cosa è cambiato nell’approccio dell’artista nei confronti dell’autorappresentazione?». L’omaggio che la città di Torino fa all’artista termina al Castello di Rivoli, dove è visibile la monumentale installazione di «Ai Weiwei Fragments» (2005), potente metafora della realtà odierna e della fragilità che si cela dietro alle manifestazioni di potere.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Ai Weiwei, Beijing Photographs 1993-2003, The Forbidden City during the SARS Epidemic, 2003. Courtesy of Ai Weiwei Studio; [fig. 2] Ai Weiwei, Beijing Photographs 1993-2003, Last dinner in East Village, 1994. Courtesy of Ai Weiwei Studio; [fig. 3] Ai Weiwei, Lesvos, 27 January 2016. Courtesy of Ai Weiwei Studio 

Informazioni utili 
Around Ai Weiwei Photographs 1983-2016. CAMERA – Centro italiano per la fotografia, via delle Rosine 18 - Torino. Orari: lunedì, mercoledì e da venerdì a domenica, ore 11.00-19.00; giovedì, ore 11.00-21.00; chiuso il martedì | Ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 6,00, gratuito per i bambini fino ai 12 anni e per i possessori della Torino+Piemonte Card.Informazioni: camera@camera.to. Sito internet: www.camera.to. Fino al 12 febbraio 2017.

martedì 8 novembre 2016

24 Ore Cultura, Frida Kahlo in una graphic novel di Vanna Vinci

Donna dalla personalità molto forte, indipendente e passionale, riluttante nei confronti delle convenzioni sociali, Frida Kahlo è una di quelle figure femminili che ha lasciato un contributo significato nella storia dell’arte del secolo scorso, ma che è nota al grande pubblico soprattutto per le tante sfumature della sua vita, dall’amore tormentato con il pittore muralista Diego Rivera alla sofferenza fisica causata da un terribile incidente occorsole all’età di 17 anni.
L’artista messicana, al centro in questi giorni di una bella mostra retrospettiva al Palazzo Albergati di Bologna, è protagonista anche di una graphic novel, in uscita il prossimo 10 novembre per i tipi di 24 Ore Cultura, disegnata da Vanna Vinci, la “mamma” della sulfurea e ribelle «bambina filosofica» a cui nel 2015 è stato dedicato un affresco di dodici metri a Bruxelles, di fronte all’ambasciata italiana.
Dopo il lavoro su Tamara de Lempicka, la poliedrica fumettista cagliaritana, vincitrice nel 2015 del premio Boscarato e quest’anno del premio Forte dei Marmi per la satira politica, si, dunque, è confrontata, attraverso la sua matita e il suo inconfondibile segno, con un’altra artista misteriosa e trasgressiva. Ne è nato il volume «Frida. Operetta amorale a fumetti»: una sorta di autobiografia, che racconta la vita di Frida Kahlo in «una sorta dialogo a due voci con la morte, -si legge nella scheda di presentazione- compagna vicinissima di un’esistenza trascorsa tra amori brucianti e sconvolgenti dolori, aborti spontanei e prolifico talento, gioia di vivere e tentativi di suicidio».
Per realizzare questa graphic novel, Vanna Vinci si è ispirata alle «Operette morali» di Leopardi e ai «Dialoghi di Eupalinos o l’architetto, L’anima e la danza e Dialogo dell’albero» di Paul Valéry.
Il risultato è un diario a fumetti che ricompone i fatti e i sentimenti vissuti dall'artista latina, dall’infanzia messicana ai soggiorni negli Stati Uniti, dal leggendario matrimonio con Diego Rivera alla scoperta della passione per la pittura, trasformata in specchio dell’interiorità. «Il libro –si legge ancora nella scheda di presentazione- alterna le sequenze a fumetti alle tavole disegnate con un ritmo libero, ispirate al mondo concreto di Frida Kahlo, così come al suo immaginario, popolato di ricordi e animali: scimmiette, pappagalli, simboli comunisti, foto di famiglia, protesi e busti, abiti tradizionali e personaggi folkloristici».
Il volume «Frida. Operetta amorale a fumetti» si inserisce in un più ampio progetto sull'artista messicana che, nella primavera del 2018, vedrà 24 Ore Cultura portare al Mudec di Milano una grande mostra monografica, nella quale saranno unite per la prima volta in Italia le due più grandi collezioni sull'arte di Frida Kahlo, quella di Dolores Olmedo e quella di Jacques e Natasha Gelman.

Informazioni utili 
Vanni Vinci, «Frida. Operetta amorale a fumetti», 24 Ore Cultura, Milano 2016. Dati tecnici: 20 x 26 cm | 160 pagine illustrate | Cartonato. Prezzo: € 22,90. In uscita il 10 novembre 2016. Informazioni: www.24orecultura.com

lunedì 7 novembre 2016

In arrivo al Palladio Museum di Vicenza un disegno rinascimentale del Peruzzi

L’Italia riconquista uno dei capolavori del proprio Rinascimento. Sta per ritornare in Italia un prezioso disegno dell’architetto e pittore Baldassarre Peruzzi (1481-1536), facente parte della collezione privata del celebre critico d’arte inglese Brian Sewell. Il foglio, battuto all’asta lo scorso 27 settembre dalla londinese Christie’s, è stato acquisito da un privato, che ha voluto restare anonimo, per essere destinato al Palladium Museum di Vicenza, dove, al suo arrivo, verrà omaggiato con una piccola mostra monografica.
Non si ha memoria di altri disegni di Peruzzi di questa importanza posti sul mercato nelle aste internazionali, tanto che l’aggiudicazione è avvenuta dopo un’accanita battaglia con molti rilanci che hanno spinto il prezzo dagli iniziali centomila dollari a mezzo milione (tasse escluse). Da tempo una istituzione culturale italiana non riusciva a far tornare a casa un pezzo tanto pregiato del patrimonio artistico del nostro Paese.
A detta di Michelangelo, Cellini e Giorgio Vasari, Baldassarre Peruzzi fu fra i migliori architetti, disegnatori di architettura e teorici della prospettiva del suo tempo. I suoi scritti, oggi perduti, formarono la base per i trattati di Sebastiano Serlio, vale a dire i manuali che diffusero la nuova architettura rinascimentale in Italia e in tutta Europa. Ancora oggi possiamo ammirare diversi edifici costruiti di Peruzzi: da villa Farnesina sul Lungotevere a Roma (di cui realizzò anche gli affreschi) a interventi a Siena e Carpi sino al suo capolavoro, Palazzo Massimo alle Colonne a Roma, celebre per la geniale invenzione della facciata ricurva.
Il disegno acquisito fu tracciato da Baldassare Peruzzi al suo ritorno in patria, a Siena, dopo il Sacco di Roma del 1527. Si tratta di un progetto per un banco monumentale dal quale alti funzionari del governo della Repubblica di Siena potessero esercitare le proprie funzioni, un elemento da collocare nel piccolo ambiente chiamato «La Cancelleria», all’interno del Palazzo pubblico senese (un progetto planimetrico di Peruzzi per questa sala è conservato agli Uffizi). Le figure inserite nell’imponente schienale rappresentano uomini famosi (da Ercole ad Attilio Regolo), richiamando il mito dell’antico passato di Siena. Il disegno è, quindi, anche un ricordo del filone repubblicano della grande storia politica d’Italia.

Il foglio è di grande formato, maggiore della media dei disegni dell’artista oggi conservati soprattutto agli Uffizi, ma anche al Louvre, al British Museum e all’Ashmolean Museum di Oxford.
«È uno dei più bei disegni di Peruzzi –dichiara lo studioso tedesco Christoph L. Frommel, accademico dei Lincei e autore delle principali monografie sull’artista– e non ho memoria che un’opera del genere sia mai apparsa sul mercato da decenni. E’ un foglio particolarmente prezioso perché dimostra la straordinaria abilità di Peruzzi sia come disegnatore di figure che come disegnatore di architettura».

ll disegno è anche prova del suo modo geniale di servirsi della prospettiva (forse imparato da Leonardo da Vinci, incontrato a Roma) per creare l’equivalente di un moderno modello 3D virtuale. «Sono molto soddisfatto dell’acquisizione alle nostre collezioni – dichiara Howard Burns, presidente del consiglio scientifico del Cisa Andrea Palladio, di cui il Palladio Museum è emanazione – perché fra i nostri scopi abbiamo sempre avuto non solo lo studio e la valorizzazione di disegni di architettura, ma anche acquisizioni e depositi presso di noi. Una scelta premiata in questi giorni anche dalla donazione della storica raccolta di disegni di architettura della famiglia Papafava, vera antologia dei disegni dei migliori architetti italiani attorno all’anno 1800».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Baldassare Peruzzi nelle «Vite» del Vasari; [fig. 2] Baldassare Peruzzi, «Progetto per un banco con nicchie contenenti figure di personaggi antichi (da sinistra a destra: un giovane non identificato, Marco Attilio Regolo, Ercole, Lucio Giunio Bruto e forse Giulio Cesare) ». Pietra rossa e nera, penna e inchiostro marrone, pennello e acquarello marrone e grigio. Mm19.7 x 48.3 cm; [fig. 3] Ingresso del Palladio Museum di Vicenza 

Informazioni utili 
www.palladiummuseum.org