ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 11 maggio 2011

«La notte dei musei», tutte le mostre del Macro di Roma

A più cinque mesi dall’apertura dei nuovi spazi, il Macro di Roma, la cui riqualificazione è stata curata dall’architetto francese Odile Decq, si conferma sempre più come laboratorio attivo della sperimentazione, della contemporaneità e della creatività. L’ultima mostra in ordine di tempo ad essere stata inaugurata è la prima personale in Italia dell’americana Sarah Braman, «Lay Me Down», a cura di Elena Forin. Tre sculture, di cui una concepita e realizzata appositamente per gli spazi del museo capitolino, indagano e raccontano desideri nascosti e inaspettati del nostro mondo attraverso la luce, il colore e la materia.
Le sculture dell’artista americana sono spesso assemblaggi di oggetti di uso comune, come mobili, ferrovecchio e talvolta parti di carrozzerie, che nella loro imponente concretezza rappresentano –afferma la stessa Braman- «monumenti alle persone che amo, alla gioia e alla confusione che provo per l’essere viva». Questi lavori, in mostra fino al prossimo 12 giugno, concretizzano, dunque, stati d’animo e memorie personali, ma si presentano al contempo come «cose tra le cose»: esse infatti –si legge nella nota stampa- «non esistono in quanto [meri] riferimenti, allusioni, rappresentazioni o metafore … [ma] rimangono nel nostro spazio come cose in sé, reali come un tavolo o un albero».
La rassegna di Sarah Braman offre, inoltre, l’occasione per una passeggiata nel resto dell’imponente museo, in parte sorto nei vecchi stabilimenti della birreria Peroni. Sulle grandi pareti della sala Enel è possibile ammirare, per esempio, l’opera che l’artista rumeno Dan Perjovschi ha progettato appositamente per gli spazi del Macro. Si tratta di un gigantesco affresco, fatto di disegni, epigrammi e fumetti. Segni, questi, che riflettono, in forma ironica e satirica, sulle infinite contraddizioni dell’oggi, sul mondo politico, sociale e culturale della contemporaneità. «Il concept dell’opera, che è stata realizzata lo scorso febbraio, si snoda –spiegano gli organizzatori- sul paradigma della crisi economica globale e sul paradosso in cui la società turbo-consumistica postmoderna tenta di disinnescare i rischi della recessione».
Accanto a questa installazione, viene presentata la mostra «The crisis is (not) over. Drawings and dioramas», a cura di Teresa Macrì e visitabile fino al 12 giugno, con cinque diorami che Dan Perjovschi ha realizzato tra il 2006 e il 2009, durante viaggi in alcune città europee: Venezia, Firenze, Berlino-Bruxelles («Bexperience»), Londra e Stoccolma.
Sempre nella sala Enel sono visibili gli interventi di Arcangelo Sassolino ed Ernesto Neto. Il primo progetto, intitolato «Piccolo animismo», dà voce e suono alla stanza, alle sue tensioni postindustriali e ingegneristiche, nutrendosi allo stesso tempo dello spazio in cui è collocato. L’opera è, infatti, un grande contenitore di lastre in acciaio inox, che tuona inaspettatamente e che modifica continuamente la sua forma per effetto di un processo ciclico di immissione e sottrazione di aria in pressione al suo interno. L’altro lavoro esposto, realizzato dall’artista brasiliano Ernesto Neto nel 2008 per il Macro e oggi rivisitato, si intitola «While Nothing Happens» ed è un’installazione in lycra, fluttuante e profumata. Contenitori simili a calze da donna, sospesi da terra, accolgono cinque spezie colorate: pepe nero, cumino, chiodi di garofano, zenzero e curcuma. Nasce così un ambiente raccolto e meditativo, che coinvolge tutti i sensi dello spettatore, abbattendo le distanze tra arte e vita, creando «un’arte –per stessa ammissione dell’autore- che unisce, che ci aiuta a interagire con gli altri, che ci mostra il limite, inteso non come un muro ma come un luogo di sensazioni, di scambio e di continuità».
Progetti sempre appositamente ideati per gli spazi del Macro sono le opere «Rope» di Arthur Duff e «Orizzonte galleggiante» di Nathalie Junod Ponsard, vincitrici del bando di concorso Macro 2%, nato con l'intento di trasformare zone di passaggio del museo capitolino in luoghi per l’incontro tra pubblico e arte contemporanea. Le due installazioni site-specific, che dovevano avere come soggetto la «luce», sono state collocate al vano ascensori, al primo livello interrato –«zona di passaggio dall’ombra del parcheggio alla luce del foyer»– e sulla scala che collega via Nizza con la grande terrazza del museo –«area che indica riparo dallo spazio, progressione dalla strada all’apertura sulla terrazza».
L’opera di Arthur Duff è costituita da un’installazione neon di colore rosso e si completa con una proiezione laser sul fondo degli ascensori vetrati, visibile solo quando essi sono in movimento. Al centro del lavoro ci sono due frasi tratte dal film «Rope» («Nodo alla gola») di Alfred Hitchcock: «The action of the story is continuous; there are no time lapses of any kind» («L’azione della storia è continua; non ci sono scarti temporali di alcun tipo») e «Cat and rat cat and rat only who is the cat and who is the rat» («Gatto e topo, gatto e topo, ma chi è il gatto e chi è il topo»). Il visitatore quindi, nell’accedere al museo e nel percorrere gli spazi attraverso queste sequenze di racconto, vive, grazie alle luci fisse dei neon, una storia la cui azione è continua e senza interruzioni e di cui il laser lo fa diventare oggetto e soggetto in una sorta di delirante e imprevedibile inseguimento tra gatto e topo.
Nathalie Junod Ponsard ha, invece, ideato un orizzonte luminoso composto da led colorati. L’opera, posta sulla scalinata esterna che porta alla grande terrazza del Macro, colora le pareti bianche in maniera sempre diversa, con tonalità che vanno dal rosso al ciano, dall’arancione al blu indaco e del giallo al blu scuro.
Fino al 12 giugno, il museo capitolino mette in mostra anche due nuove opere della sua collezione: la fotografia «Interno Macro Roma» di Giuseppe Pietroniro e l’installazione «Untitled» (2010) del collettivo bolognese ZimmerFrei. Ma chi entra in questi giorni nelle sale di via Nizza, magari in occasione de «La notte dei musei» (in programma il prossimo week-end), potrà confrontarsi anche con la prima esposizione in Italia dei disegni di Antony Gormley, con una mostra sul «Laboratorio Schifano», con rassegne dedicate a giovani artisti come Nico Vascellari, Beatrice Pediconi e Roberto De Paolis, e con i documentari che il giornalista Franco Simongini realizzò, negli anni Settanta, per la Rai. Preziosi documenti, questi, per conoscere grandi artisti del Novecento quali Alberto Burri, Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Giacomo Manzù e Fausto Melotti, ma non solo.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Ernesto Neto, «While Nothing Happens», 2008-2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 2] Nathalie Junod Ponsard, «Orizzone galleggiante», 2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 3] Arthur Duff, «Rope», 2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 4]
Sarah Braman, «Lay Me Down», 2011.
[Le foto sono state messe a disposizione dall'ufficio stampa del Macro di Roma]

Informazioni utili

Macro, via Nizza, angolo via Cagliari - Roma. Orari: martedì–domenica, 11.00-22.00 (la biglietteria chiude alle 21.00); chiuso il lunedì; La notte dei musei (sabato 14 maggio 2011) apertura fino alle 02.00, con ingresso libero. Ingresso: intero € 11,00, ridotto: € 9,00; per i cittadini residenti nel Comune di Roma: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel +39.06.671070400 o macro@comune.roma.it. Sito internet: www.macro.roma.museum.

martedì 10 maggio 2011

«Noi credevamo», il Risorgimento secondo Mario Martone

A fine giugno sarà premiato, nello splendido scenario del Teatro antico di Taormina, con il «Nastro d’argento dell’anno». Nei giorni scorsi si è aggiudicato ben sette delle tredici statuette alle quali era candidato ai «David di Donatello», portando a casa premi per il miglior film e la miglior sceneggiatura, ma anche per la fotografia, la scenografia, i costumi, il trucco e il parrucco. Stiamo parlando di «Noi credevamo», la pellicola diretta dal regista napoletano Mario Martone, presentata in anteprima alla 67° Mostra del cinema di Venezia, dove ha conquistato la critica che non ha esitato a parlarne come di un progetto «poderoso, emozionante, bellissimo» («Il Messaggero), «magnifico» («La Repubblica»), «corale e potente» («Il Giornale»).
Il film, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti e sceneggiato dallo stesso Mario Martone con Giancarlo De Cataldo, sarà in programmazione al cinema teatro Sociale di Busto Arsizio nella giornata di giovedì 12 maggio, alle ore 14.30, a chiusura della rassegna «Per i centocinquanta anni dell’unità d’Italia: il cinema racconta», ideata da Agiscuola e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e in programma anche in un’altra ventina di città italiane.
Dopo le proiezioni delle pellicole «Le cinque giornate» di Dario Argento, «Correva l’anno di grazia 1870» di Alfredo Giannetti e «Uomini contro» di Francesco Rosi, tenutesi tra febbraio e aprile, la sala di piazza Plebiscito continua, dunque, il suo viaggio tra le pieghe della storia del Risorgimento, tra i fatti e le persone che hanno «fatto» l’Italia, focalizzando l’attenzione su alcune pagine poco note del tormentato processo unitario, come i moti savoiardi del 1834 o l’attentato di Felice Orsini a Napoleone III.
«Noi credevamo» è stato definito dalla critica come una sorta di «meglio gioventù» dell’Ottocento. Protagonisti sono tre ragazzi del Cilento, due nobili e un «figlio del popolo», che nel 1928, davanti alle teste mozzate dei leggendari banditi Capozzoli, promotori di una rivolta repressa nel sangue dall’esercito borbonico, giurano di consacrare la propria vita alla causa della libertà e dell’indipendenza dell’Italia. Attraverso i loro occhi, Mario Martone racconta poco più di tre decenni di storia, arrivando fino al 1862, l’anno della sfortunata impresa garibaldina in Aspromonte, e concludendo il suo racconto tra i seggi del primo Parlamento italiano, quello al palazzo Carignano di Torino.
Abbandonato il natio Sud, Domenico, Salvatore e Angelo -questi i nomi dei tre giovani protagonisti- si affilieranno alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, viaggeranno per l’Europa in nome di un sogno che vale la vita, quello di un Paese unito sotto una sola bandiera, pronti ad armarsi per uccidere i tiranni, a ordine congiure, a sventare traditori, a patire il carcere. A Parigi i tre ragazzi incontreranno l’affascinante principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, fervente patriota, ma anche paladina dei diritti delle donne e dell’istruzione del popolo. Una figura, questa, che sembra disegnata da Mario Martone a partire dal ritratto di Francesco Hayez, il pittore de «Il bacio» che, negli anni Trenta dell’Ottocento, immortalò a futura memoria questa donna affascinante e coraggiosa, ingiustamente dimenticata dalla storiografica, dipingendola in tutta la sua aristocratica bellezza, sensuale e insieme algida: abito nero, mani lunghe e affusolate, spalle nude dall’abbagliante candore, sguardo fiero e seducente.
Domenico, Salvatore e Angelo parteciperanno, quindi, ai moti savoiardi del 1834, ma anche al tentativo di assassinare re Carlo Alberto. Il fallimento di entrambe le missioni marcherà una profonda crisi nei tre giovani patrioti, acuendo le differenze di classe. Il popolano Salvatore, accusato di tradimento, sarà ucciso da Angelo, approdato a una visione demoniaca della rivoluzione come teatro di pura violenza (una visione che lo porterà alla morte sul patibolo, con Felice Orsini). Domenico continuerà, invece, la sua attività cospiratoria e, negli anni immediatamente successivi alla caduta della Repubblica romana, finirà in carcere, dove si confronterà con le acute frizioni ideologiche tra monarchici e repubblicani. Nemmeno la conseguita Unità riuscirà a placare il suo animo: ritornato nel Cilento, parteciperà al tentativo di conquistare militarmente Roma, in contrasto con le decisioni del neonato Parlamento italiano, e vedrà morire, per mano dell’esercito piemontese, il figlio dell’amico Salvatore: il giovane Saverio.
«Noi credevamo» è, dunque, un potente affresco in costume sui sentimenti e sugli avvenimenti che portarono alla nascita della nostra nazione. Un affresco frutto di una lunga ricerca storica e del lavoro, accurato, di un cast di ottima qualità: i tre giovani protagonisti sono portati in scena da Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco e Luigi Pisani. Toni Servillo veste i panni di Giuseppe Mazzini; Luca Zingaretti è Francesco Crispi. Luca Barbareschi e Guido Caprino interpretano rispettivamente Antonio Gallenga e Felice Orsini. Cristina Trivulzio di Belgiojoso, la regina dei salotti aristocratici e la musa ispiratrice dei carbonari, ha il doppio volto di Francesca Inaudi, in gioventù, e di Anna Bonaiuto, in età matura.
Interessante è anche la scelta musicale, che propone brani d’opera di Rossini, Verdi e Bellini, eseguiti dall’Orchestra sinfonica della Rai di Torino, diretta da Roberto Abbado.
La proiezione bustese, rivolta al triennio delle scuole secondarie di secondo grado, vedrà la partecipazione di quattro scuole cittadine: l’Itc «Enrico Tosi», che ha firmato una convenzione con Agiscuola nell’ambito del progetto nazionale «Carta Io Studio», e l’Ipc «Pietro Verri», l’Itis «Cipriano Facchinetti» e il liceo scientifico «Arturo Tosi». La presentazione della pellicola è a cura di Delia Cajelli, direttore artistico del teatro Sociale di Busto Arsizio.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine: Guido Caprino (Felice Orsini); [fig. 2]Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Al centro Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane) tra Andrea Bosca (Angelo giovane, a sinistra) ed Edoardo Natoli (Domenico giovane, a destra); [fig. 3] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Lo sbarco garibaldino sulle coste calabre; [fig. 4] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine:Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane).

Informazioni utili
«Noi credevamo» di Mario Martone. Cinema teatro Sociale, piazza Plebiscito, 8 - Busto Arsizio (Varese). Quando: giovedì 12 maggio 2011, ore 14.30. Ingresso libero, previa prenotazione del posto. Informazioni e prenotazioni: tel. 0331.679000.

lunedì 9 maggio 2011

A spasso tra i dieci parchi più belli d’Italia

Qual è il parco più bello d’Italia? Per avere una risposta bisogna aspettare la fine di questa estate, quando verrà designato il vincitore della nona edizione del concorso ideato dall’architetto Leandro Mastria per premiare le eccellenze del nostro patrimonio paesaggistico e architettonico. Non avete tempo di aspettare? Allora non vi resta che mettervi in viaggio, su e giù per il nostro «Bel Paese», alla scoperta dei dieci giardini e oasi naturali scelti da alcuni dei più riconosciuti esperti del settore, tra i quali Marcello Fagiolo (presidente del Comitato nazionale per lo studio e la conservazione dei giardini storici) e la giornalista Rossella Sleiter (collaboratrice per anni di «Linea Verde» e responsabile della rubrica dedicata ai giardini de «Il Venerdì di Repubblica»), quali parchi più belli d’Italia.
La nostra «passeggiata delle meraviglie» ha inizio da Ventimiglia, nella provincia di Imperia e a pochi chilometri dal confine francese, dove troviamo i Giardini botanici Hanbury, gestiti dall’Università degli sudi di Genova e realizzati grazie alla passione del viaggiatore inglese Sir Thomas Hanbury -e del fratello Daniel- che, acquistato il promontorio nel 1862, trasformò un terreno incolto in un bellissimo giardino con piante provenienti da ogni parte del mondo. L’aspetto di questo parco, che occupa una superficie di diciotto ettari tra giardino vero e proprio e vegetazione spontanea, è tipicamente all’inglese: l’esotico è intimamente connesso con la flora mediterranea e con le coltivazioni tradizionali, con vialetti irregolari e romantici rustici, pergolati e patii e una suggestiva vista del mare.
Sempre in Liguria, sul lungomare di Genova-Pegli, troviamo lo splendido Giardino di Villa Durazzo Pallavicini, uno dei più suggestivi parchi romantici ottocenteschi. Il visitatore, qui, si muove fra sentieri con architetture classicheggianti, rustiche, cinesi e fra una vegetazione costituita da palme, piante esotiche, lecci, allori e numerosi esemplari assai rari. Il tutto compone un racconto visivo che si sviluppa con un prologo e tre atti di quattro scene ciascuno, opera del pittore-scenografo Michele Canzio, con una successione di quadri paesaggistici voluti dal marchese Ignazio Pallavicini.
Una certa teatralità si respira anche al Vittoriale degli Italiani, la «cittadella» che fu dimora del poeta Gabriele d’Annunzio: un complesso di edifici, vie, piazze, teatri, giardini e corsi d’acqua eretto a memoria della vita del poeta e delle imprese eroiche degli Italiani durante la Grande guerra. Il parco, affacciato sul lago di Garda, occupa un terreno di nove ettari e si snoda lungo un percorso scandito da cimeli storici, ma ciò che colpisce maggiormente l’attenzione del visitatore sono le vaste aree boschive delle Vallette dell’Acqua Pazza e dell’Acqua Savia, attraversate da due ruscelli che confluiscono in un laghetto a forma di violino.
Lasciata la Lombardia, il viaggio tra i parchi più belli d’Italia prosegue in Toscana con i Giardini della Villa Medicea di Castello, oggi sede dell’Accademia della Crusca. Disposta su tre terrazze digradanti racchiuse entro alte mura perimetrali, questa oasi naturale, fatta costruire da Cosimo I nel 1538, ospita una vasta collezione di agrumi, un boschetto di lecci, due limonaie e la suggestiva «Grotta degli Animali», uno degli ambienti architettonici più rilevanti della cultura manierista, la cui ideazione è del Tribolo e che, forse, venne portato a termine dal Vasari, con l’aiuto del Giambologna.
Sempre a Firenze è possibile visitare il meraviglioso giardino di Villa Gamberaia, adagiato sulle colline di Settignano. Libera circolazione d’aria e di sole, abbondanza d’acqua, facile accesso a zone densamente ombreggiate, passeggiate con differenti visuali e una varietà di effetti prodotti dall’ingegnoso uso dei dislivelli sono gli elementi che rendono questo parco, probabilmente fatto costruire nel Settecento e ridisegnato nel 1895 dalla principessa Ghyka, uno dei migliori esempi di giardino all’Italiana.
Due sono i «parchi più belli» che si possono visitare anche nel vicino Lazio. In provincia di Viterbo, si trova Villa Lante a Bagnaia, una delle maggiori realizzazioni del Cinquecento italiano, il cui giardino fu voluto dal cardinale Gambara e fu realizzato dal Vignola, in nome della supremazia dell’uomo sulla natura. Chiusa in un rigoroso dedalo geometrico, la villa è attraversata longitudinalmente da un asse acquatico che sgorga in alto dalla roccia e segue il pendio del terreno, sfruttandone i dislivelli fino a placarsi nel parterre d’acqua con al centro la fontana dei Mori.
Un complesso gioco d’acque caratterizza anche il Giardino di Ninfa a Latina, tra i più bei parchi al mondo per il fascino particolare e misterioso esercitato dalle rovine presenti sul posto: una città abbandonata per la malaria e i saccheggi e rinata, a partire dal 1921, con Gelasio Caetani che, nel corso delle bonifiche delle paludi, intravide sotto quei ruderi l’anima di un suggestivo paesaggio sepolto da secoli. È universalmente riconosciuta la genialità insita nella creazione del giardino di Ninfa: un sito pervaso dal generale senso dell’abbandono, con i suoi ruderi monumentali ricoperti da una fitta coltre di vegetazione e, come già ricordato, con un complesso sistema delle acque. Il giardino presenta un gusto tipicamente anglosassone, compendio di botanica e di rovinismo, sul quale si cimentarono oltre al fratello di Gelasio, Roffredo, anche alcune figure femminili come la moglie di quest’ultimo, Marguerite Chopin, e la figlia donna Lelia Caetani Howard.
Il nostro itinerario prosegue in Campania con due perle del paesaggio mediterraneo: i giardini di Villa Rufolo, a Ravello, e di Villa San Michele, nell’isola di Capri.
Il primo è conosciuto anche come il «giardino dell’anima». La sua realizzazione si lega, nell’Ottocento romantico, alla scoperta del paesaggio mediterraneo e della costiera amalfitana in particolare. A questo richiamo non poteva sfuggire lo scozzese Nevil Reid, che acquistò la villa nel 1853 e che fece costruire un giardino su due livelli. Le antiche mura, appena nascoste dai cipressi e dai tigli, ci guidano discretamente fino al chiostro moresco e, dopo una breve pausa in cui le nobili architetture si prestano nude allo sguardo, una piccola scala ci introduce al primo livello del giardino. L’atmosfera è avvolgente e non a caso Wagner ne rimase folgorato al punto da esclamare: «Ho trovato il secondo atto del Parsifal!».
Avvolgente è anche la vista che offre il belvedere della Sfinge, punto panoramico di Villa San Michele. Il giardino di questa residenza, affacciata sul Golfo di Napoli, fu fatto costruire dal medico e scrittore svedese Axel Munthe, giunto in Italia per motivi di salute e approdato a Capri nel 1876. Sospeso fra cielo e mare, questo parco, ricco di angoli raccolti, ideali per la meditazione, ospita suggestive fioriture della flora mediterranea nel corso di tutto l’anno.
Tappa conclusiva del nostro percorso tra i giardini e parchi più belli d’Italia è il Giardino della Kolymbetra, nella valle dei Templi di Agrigento. Il parco, tornato all’antico splendore dopo decenni di abbandono grazie all’intervento del Fondo per l’ambiente italiano, si estende su cinque ettari. Nelle zone più scoscese si trovano lembi intatti di macchia mediterranea, nel torrente che solca il fondovalle ci sono pioppi, salici e tamerici, sugli ampi terrazzamenti, compresi tra suggestive e alte pareti di calcarenite, un antico agrumeto ricco di tante specie e varietà ormai rare, coltivato secondo antiche tecniche della tradizione araba.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giardino della Kolymbetra – Agrigento (Agrigento - Sicilia); [fig. 2] Villa San Michele – Anacapri (Napoli – Campania); [fig. 3] Villa Rufolo – Ravello (Salerno – Campania); [fig. 4]
Giardini botanici Hanbury - Ventimiglia (Imperia - Liguria); [fig. 5]

Informazioni utili
«Il parco più bello» – edizione 2011. I finalisti: Giardini botanici Hanbury (www.giardinihanbury.com), corso Montecarlo 46 - Ventimiglia (Imperia); Villa Durazzo Pallavicini (www.villapallavicini.info), via Pallavicini 11 - Genova Pegli (Genova); Vittorale degli Italiani (www.vittoriale.it), via Vittoriale 12, Gardone Riviera (BS); Villa medicea di castello (www.polomuseale.firenze.it), via di Castello 47 – Firenze; Villa Gamberaia (www.villagamberaia.com), via del Rossellino 72 - Settignano (Firenze); Villa Lante (www.villalante.it), via Jacopo Barozzi 71 - Bagnaia (Viterbo); Giardino di Ninfa (www.fondazionecaetani.org), via Ninfina 68 - Cisterna di Latina (Latina); Villa Rufolo (www.villarufolo.it), piazza Duomo 1 - Ravello (Salerno); Villa San Michele (www.villasanmichele.eu), viale Azel Munthe 34, Anacapri (Napoli); Giardino della Kolymbetra (www.fondoambiente.it), Valle dei Templi - Agrigento. Informazioni: Segreteria organizzativa del concorso «Il parco più bello» - Pitagora Comunicazione, via Monterumici 8/7 – Treviso, tel. 0422.582112, fax 0422.545241. Sito web: www.ilparcopiubello.it.

venerdì 6 maggio 2011

«Non le solite balle», omaggio ironico ad Alessandro Manzoni

Era il terzo decennio dell’Ottocento quando Alessandro Manzoni chiedeva all’amico Francesco Hayez, allora il più grande pittore attivo a Milano, di realizzare le illustrazioni per la seconda edizione della sua opera più celebre: «I Promessi Sposi». Di quell’impresa rimangono, oggi, solo alcuni rapidi schizzi, tutti conservati presso l’Accademia di Brera. Lo scrittore lombardo, probabilmente insoddisfatto dai disegni preparatori, si rivolse, infatti, a Francesco Gonin, pittore storico di buona fama ma soprattutto abilissimo vignettista, al quale si deve la prima edizione illustrata del romanzo, quella pubblicata nel 1840.
Nei decenni successivi, furono numerosi gli artisti di fama mondiale che si vollero cimentare con la travagliata vicenda d’amore di Renzo e Lucia. Da Gaetano Previati a Giorgio De Chirico, da Renato Guttuso ad Aligi Sassu, in molti rimasero affascinati dalla storia di quel matrimonio che «non s’ha da fare», ambientato sulle sponde del «ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi».
Ora, in occasione dei 150 anni dell’Italia unita, il capolavoro manzoniano incontra uno dei linguaggi pittorici più moderni, senz’altro il più amato dai giovani: l’aerosol art. Succede a Lecco, presso il Centro Meridiana, dove, da sabato 7 maggio a mercoledì 8 giugno, va in scena l'evento artistico-culturale «Non le solite balle. I Promessi Sposi come non li avete mai visti», ideato da Mario Casiraghi, Fabrizio Pirovano e Paola Grossi.
Nascosto dietro il titolo ironico e provocatorio si cela un progetto solidale e green, cioè attento all’ambiente. L’iniziativa sarà, infatti, legata a un’asta benefica, i cui proventi verranno donati al Sistema museale urbano lecchese, e ad essere dipinte, con bombolette spray ecologiche, saranno delle grandissime (roto)balle di fieno, coperte di materiale plastico. All’opera sarà possibile vedere, nel week-end di sabato 7 e domenica 8 maggio, i giovanissimi membri della crew di «Dipingimi le balle», movimento nato tra le colline della Brianza con l’obiettivo di estrarre il graffito dal contesto associato al degrado urbano e di trasformarlo in un mezzo di comunicazione capace di parlare soprattutto ai più giovani. Non è un caso, dunque, che la manifestazione «Non le solite balle» si rivolga anche alle scuole della provincia di Lecco ad indirizzo artistico e grafico, affinché i ragazzi non si limitino a leggere passivamente il testo manzoniano, ma partecipino attivamente e “costruiscano” anche loro la storia di Renzo e Lucia. «La mia speranza -dichiara Paola Grossi, una delle creatrice del progetto- è che, chiamando giovani artisti a interagire in maniera innovativa e moderna con il romanzo, cambi anche l’approccio degli studenti e nascano curiosità ed interesse nei confronti di un’opera letteraria dal valore unico».
«Non le solite balle» parte sabato 7 maggio con un evento live, che vedrà in azione alcuni tra i più abili e talentuosi writers in circolazione, chiamati a rappresentare su quindici balle di fieno altrettante scene tratte da «I Promessi Sposi». Le (roto)balle dipinte rimarranno esposte al pubblico per tutto il mese di maggio presso il Centro Meridiana di Lecco, dove i visitatori avranno la possibilità di votare la loro opera preferita, ma anche di presentare un loro bozzetto ispirato al capolavoro manzoniano (l’opera vincitrice verrà realizzato da un writer professionista; i lavori vanno consegnati entro il 25 maggio).
La premiazione delle (roto)balle d’autore si terrà nella giornata di mercoledì 8 giugno; il giorno successivo è, invece, prevista, presso Palazzo Falk, l’asta benefica, i cui proventi verranno donati al Sistema museale urbano lecchese per il restauro dell’opera «La mia famiglia» di Orlando Sora (1933, olio su tela cm 161 x 120) e per l’acquisto della tela «Ritratto di Lucia Stoppani Pecoroni» di Giovanni Battista Todeschini (1889, olio su tela, cm 170 x 65 senza cornice, cm 141 x 100 con cornice).

Didascalie utili
[fig. 1, fig. 2 e fig. 3] Interventi del movimento «Dipingimi le balle»
[Le immagini sono state messe a disposizione da Sandra Marchetti di Tramite R.P. & Comunicazione]

Informazioni utili
«Non le solite balle. I Promessi Sposi come non li avete mai visti». Centro Meridiana, largo Caleotto – Lecco. Orari: lunedì-venerdì, 9.30-20.30; sabato 8.30-20.30; domenica 9.00-20.30. Ingresso libero. Fasi del progetto: realizzazione opere - sabato 7 maggio 2011 – domenica 8 maggio 2011; esposizione - domenica 8 maggio 2011 – mercoledì 8 giugno 2011; asta benefica giovedì 9 giugno 2011 (c/o Palazzo Falk, piazza Garibaldi, 4 – Lecco). Informazioni: www.dipingimileballe.com. Fino all’8 giugno 2011.

A Bergamo i segreti del rosso di Fra’ Galgario

Quale era il segreto del rosso vinoso e brillante di Vittore Ghislandi, detto Fra’ Galgario? E’ questa la domanda alla quale si propone di rispondere la prima edizione del progetto «La Camera delle Meraviglie», promosso dalle Assicurazioni Generali di Bergamo e ideato da Barbara Mazzoleni con l’intento di offrire al pubblico un appuntamento fisso, a cadenza annuale, con aspetti del meraviglioso artistico, finora poco o per nulla indagati. La rassegna, che per questo suo debutto si intitola «Fra’ Galgario e il segreto della lacca», è allestita fino a domenica 19 maggio presso lo Spazio Viterbi della Provincia di Bergamo.
Conosciuto come uno dei più grandi e originali ritrattisti del Settecento italiano, Vittore Ghislandi (Bergamo, 1655-1743) ha sempre affascinato artisti, critici e pubblico per le tonalità rosse dei suoi quadri, uniche e inconfondibili nella storia dell’arte. Il pittore bergamasco, infatti, era famoso già nel suo tempo per quelle luminosissime lacche, «forti come sangue raggrumato», da lui personalmente prodotte e stese nei ritratti su rossi opachi come il cinabro, o anche da sole, per velare gli incarnati e far brillare i tessuti sfarzosi indossati da nobili e dame. È così che celebri artisti del suo tempo, come Sebastiano Ricci, erano disposti a fare carte false e a scomodare -come testimoniano i carteggi- le loro illustri amicizie a Bergamo, perché il pittore concedesse loro una libbra di quella lacca finissima e ineguagliabile.
La ricetta di Fra’ Galgario è rimasta fino ad oggi un mistero, ma recenti scoperte nelle fonti e i risultati di indagini scientifiche condotte sui dipinti con le più moderne tecnologie diagnostiche, hanno finalmente consentito di svelarne i segreti. La ricerca incrociata di storici dell’arte e scienziati conferma come l’esperienza del pittore nella preparazione di lacche e di pigmenti fosse in parte debitrice della grande tradizione veneziana e bergamasca dei tintori della seta, dai quali il pittore prendeva in prestito materiali e residui della colorazione delle stoffe, per poi confezionare per i suoi dipinti rossi rimasti unici e inconfondibili in tutta la storia della ritrattistica settecentesca.
La rassegna allo Spazio Viterbi di Bergamo, che fa seguito alla grande retrospettiva che la città lombarda dedicò all’artista nel 2004, permette di ammirare una selezione di queste raffinate opere, accese da lacche rosse e blu e da una strabiliante resa ottica e materica delle stoffe. Ecco così i ritratti di Elisabetta Piavani Ghidotti, del conte Giovan Battista Vailetti, di Claudia Erba Odescalchi Visconti e del conte Giovanni Secco Suardo col servo “dialogare” con preziosi tessuti coevi: damaschi, broccati in filo d’oro e d’argento e tessuti bizarre provenienti principalmente da Gandino, centro della Val Seriana, conosciuto, dal XV al XVIII secolo, per la produzione di pannilana e la raccolta di tessuti di alto pregio provenienti da tutta Europa.
L’esposizione, alla quale fanno da colonna sonora brani sacri e profani diffusi in area veneziana e bergamasca nel Settecento, ha, inoltre, consentito la riscoperta di un «Ritratto di giovane», del tutto sconosciuto in Italia e mai visto dal 1928, e di un affascinante ciclo di tre dipinti, finora poco indagati, raffiguranti l’Allegoria dei Sensi, nei quali la mano di Fra’ Galgario si intreccia a quella dei suoi allievi, con i quali aveva probabilmente condiviso quei “segreti” che noi riusciamo solo oggi, almeno in parte, a dipanare. Due ritratti femminili, di autore ignoto ma coevo a Fra’ Galgario, chiudono il percorso espositivo, documentando il magistero esercitato dal Ghislandi, anche nella resa di tessuti e merletti.
I percorsi nel colore proposti dalla mostra ci riportano, quindi, ad un’epoca precedente all’invenzione dei colori “in tubetto”, quando Fra’ Galgario, pittore-alchimista, sperimentava personalmente la preparazione dei propri colori, a partire da sostanze di origine animale, vegetale e minerale. A conclusione del percorso espositivo i visitatori potranno idealmente entrare nel “laboratorio” del pittore, per conoscere gli ingredienti dei suoi colori, tra polveri preziose di cocciniglia, carminio e lapislazzuli, ma anche un antico manichino, simile a quello che il pittore utilizzava come “modello” da abbigliare di tessuti preziosi.
Arte, moda, musica, scienza e pigmenti misteriosi si intrecciano, dunque, nella mostra di Bergamo, proponendo un’immersione nell’arte di Fra’ Galgario, un’arte capace con i suoi tratti di scandagliare e di restituire sulla tela, in modo sottile ma talvolta tagliente, vizi e virtù della società del suo tempo. Un’arte che è anche un magico gioco di alchimie, con quei rossi inediti, quelle «lacche fini, di una estrema bellezza», che incantarono anche il Longhi e Testori.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Vittore Ghislandi, detto Fra’ Galgario, «Ritratto del conte Giovan Battista Vailetti», 1720 circa. Olio su tela, cm 226 x 137. Venezia, Gallerie dell'Accademia; [fig. 2] Vittore Ghislandi, detto Fra’ Galgario, «Ritratto di Elisabetta Piavani Ghidotti», 1725 circa. Olio su tela, cm 146 x 110. Bergamo, Accademia Carrara, Deposito Ospedali Riuniti di Bergamo; [fig. 3] Vittore Ghislandi, detto Fra’ Galgario, «Autoritratto», 1732. Olio su tela, cm 73 x 58. Bergamo, Accademia Carrara

Vedi anche
«Vincere il tempo», una mostra sui collezionisti della Carrara di Bergamo


Informazioni utili
«Fra’ Galgario e il segreto della lacca». Palazzo della Provincia di Bergamo - Spazio Viterbi, via Torquato Tasso, 8 – Bergamo. Orari: martedì-venerdì 16.00-19.00; sabato, domenica e festivi 10.00-12.00 e 16.00-19.00; chiuso il lunedì. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 035.358411 e info@lacameradellemeraviglie.it. Catalogo: numero speciale de «La rivista di Bergamo» (edizioni Grafica&Arte). Fino al 19 giugno 2011.

Torino, quattro nuovi percorsi tra le collezioni della Gam

Era l'autunno del 2009 quando la Gam di Torino rivoluzionava completamente la disposizione delle sue collezioni, abbandonando l’ordine cronologico a favore di un criterio tematico. «Genere, Veduta, Infanzia e Specularità» furono gli argomenti scelti per quel primo allestimento, che suscitò consensi e discussioni tra il pubblico e la critica.
Nel marzo 2011, lo spazio espositivo torinese si è modificato nuovamente, esponendo nelle sale del primo e del secondo piano più di 160 opere, alcune delle quali frutto di recenti acquisizioni. A fare da fil rouge tra questi lavori sono quattro nuovi temi, scelti da altrettanti docenti universitari: «Anima, Informazione, Malinconia e Linguaggio».
Vito Mancuso, professore ordinario di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, ha inteso soffermarsi -si legge nella nota stampa- «sulle difficoltà contemporanee nel riconoscere l’anima come entità persino all’interno degli organi ecclesiastici, e sulla necessità, quindi, di rielaborarne il senso sulla scorta del nuovo contesto scientifico e filosofico». Nel suo percorso al primo piano, si passa così dalla religiosità cristiana delle opere ottocentesche di Andrea Gastaldi e Innocenzo Spinazzi ai paesaggi d'anima di Antonio Fontanesi, fino alla concezione di anima come spiritualità assoluta, partecipazione al mondo, che si fa letteraria in Gino De Dominicis, rituale in Hermann Nitsch o poetica in Anselm Kiefer, di cui si presenta il capolavoro «Einschüsse», grande opera recentemente acquisita dalla Gam.
Di tutt’altro tenore il tema dell’informazione, sempre al primo piano, scelto da Mario Rasetti, professore ordinario di fisica teorica, modelli e metodi matematici al Politecnico di Torino.
«L’informazione, nel campo della fisica, è intesa -precisano gli organizzatori- come una grandezza paragonabile a massa, energia, velocità. Si riferisce alla capacità delle molecole di essere portatrici di simboli, codici e segnali, di operare cioè come un messaggio necessario alla propagazione della vita». La concezione dell’uomo e della natura è per questo motivo analizzata confrontando diverse interpretazioni: la ciclicità delle stagioni nella serie di Luigi Baldassarre Reviglio, i segni biomorfi di Carla Accardi, la visione analitica dello spazio di Dadamaino e l’elemento naturale che trova una ridefinizione nelle ricerche dell’Arte povera, con le energie cosmiche di Giovanni Anselmo, l’aspetto alchemico di Gilberto Zorio e la crescita naturale di Giuseppe Penone.
Al secondo piano del museo incontriamo la «Malinconia», tema scelto da Eugenio Borgna, primario emerito di psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara e libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Milano. La malinconia è intesa qui come condizione umana e mentale, come ben raccontano il tragico «Asfissia!» di Angelo Morbelli, le nature morte di Giorgio de Chirico e Filippo De Pisis, i paesaggi sospesi di Carlo Carrà.
Sempre al secondo piano della Gam è possibile confrontarsi con le scelte di Sebastiano Maffettone, professore ordinario di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze politiche della Luiss «Guido Carli». A fare da filo conduttore è il tema del linguaggio. Dopo un prologo che evidenzia il rapporto dell’arte con la letteratura nelle opere ottocentesche di Antonio Canova, Massimo D’Azeglio, Carlo Arienti, il percorso si sofferma sulla nascita ed evoluzione dei linguaggi artistici, dalle diverse avanguardie di Giacomo Balla e Lucio Fontana, al neorealismo pop italiano di Tano Festa e Mario Schifano in dialogo con quello internazionale di Andy Warhol e Mark Dion, per chiudersi con il ritorno alla letteratura nell’utilizzo del carattere tipografico di Nanni Balestrini.
Alcune novità differenziano questo allestimento dal precedente. In alcuni casi si è trattato di scelte curatoriali, come la decisione di identificare ogni artista con un solo percorso, ponendone in evidenza l’intera poetica invece che ogni singola opera, in altre una normale evoluzione di avvicinamento al pubblico, per cui si è deciso di fornire ad ogni visitatore una brevissima guida che spieghi le motivazioni che hanno condotto alla definizione dei percorsi.
La Gam di Torino, in questi giorni, si è, inoltre, arricchita di una nuova opera: «In limine» di Giuseppe Penone, una scultura monumentale, composta di marmo di Carrara, bronzo, tiglio ed edera, posta all'ingresso dell'edificio per iniziativa Fondazione De Fornaris in occasione dei 150 anni dell'Italia unita.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Anselm Kiefer, «Einschüsse», 2010. Olio, emulsioni, acrilico e tecnica mista su tela, cm 380(h) x 380(b). Acquisto da White Cube, Londra, 2010 [fig. 2] Atanasio Soldati, «Composizione», 1940. Olio su tela, 55(h) x 55(b). Acquisto presso la IV Mostra pittori d'oggi Francia-Italia, 1955, Torino; [fig. 3] Angelo Morbelli, «Asfissia»,1884. Olio su tela, cm199 x 159.; [fig. 4] Lucio Fontana, «Attese», 1968. Smalto opaco su tela con cornice laccata, 73 x 89 x 6.5 cm. Dono del prof. Eugenio Battisti, Genova, 1966; [fig. 5] Giuseppe Penone, «In limine, matita, inchiostro, pittura acrilica, vernice dorata su carta giapponese, 33 x 48 cm. Disegni preparatori all’opera In Limine alla Gam di Torino. Foto © Archivio Penone

Informazioni utili
«Anima, Informazione, Malinconia e Linguaggio». Gam – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, via Magenta, 31 - Torino. Orari: martedì-domenica, 10.00-18.00, chiuso lunedì. La biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 7,50, ridotto € 6,00. Informazioni per il pubblico: tel. 011.4429518. Sito Internet: www.gamtorino.it.

Venezia, una nuova stagione artistica per Palazzo Zenobio

Si apre nel segno dell'artista americana Marion Greenstone la nuova stagione espositiva di Palazzo Zenobio a Venezia. Fino al prossimo 18 maggio, le sale dell'imponente edificio barocco, disegnato da Antonio Gaspari (allievo e collaboratore di Baldassare Longhena), aprono, infatti, le porte alla prima mostra voluta dal nuovo direttore artistico dell'elegante spazio culturale, posto accanto alla chiesa di santa Maria dei Carmini e conosciuto ai più come sede del Collegio Armeno: l'eclettico Marco Agostinelli.
La retrospettiva, curata da Archie Rand, allinea oltre cinquanta quadri, completa «ricostituzione -affermano gli organizzatori- di un brano della storia dell’arte del secolo scorso che sembrava fosse andato irrimediabilmente perduto».
Tutti e tre i grandi periodi della produzione pittorica della newyorkese, scomparsa nel 2005, vengono, infatti, omaggiati nella rassegna veneziana: l’informale e astratto degli anni Quaranta e Cinquanta, la pop art degli anni Sessanta e la produzione di collage e dipinti di ampie dimensioni con fiori, piante, conchiglie, che, dai primi anni Settanta fino al Duemila, hanno caratterizzato i lavori dell’artista. Del primo periodo sono esposte opere realizzate sotto la guida di Vaclav Vytlacil, maestro anche di Twombly, Rauschenberg e di Louise Bourgeois. Mentre della fase decisamente pop vengono proposte venti tele di varie dimensioni, composizioni che spesso escono dal formato tipico del quadro per diventare quasi scultura. Dell’ultimo periodo sono, invece, allineate opere di intesa liricità e delicatezza, che possono ricordare in parte certi dipinti della O’Keefe.
Chiude il percorso espositivo un documentario di Marco Agostinelli, «Alla ricerca di Marion Greenstone», una specie di road movie sulle tracce delle opere dell’artista (fatto insieme alla sorella Cora), sparse tra musei, biblioteche e case private d’America.
La stagione espositiva di Palazzo Zenobio proseguirà, in giugno, con l'ospitalità dei padiglioni nazionali di Libano, Armenia e Islanda per la 54° Esposizione internazionale d'arte di Venezia, e con la rassegna «The New Forest Pavilion», l’usale padiglione che la galleria inglese Artsway, della New Forest, presenta in occasione della vernice “biennalesca”.
Per il prossimo 8 settembre, invece, si annuncia un vero e proprio open day con l’apertura in contemporanea di otto mostre, tre installazioni in giardino, la presentazione di un libro, l’assegnazione del primo «Premio Ca' Zenobio» e un concerto a fine serata.
Per i prossimi mesi i visitatori dello spazio di Fondamenta del Soccorso incontreranno, dunque, «un’offerta d’arte e cultura -affermano gli organizzatori- che spazierà dalla sperimentazione dei nuovi linguaggi contemporanei ai grandi maestri del Novecento, dalla performance alla fotografia, dalla letteratura alla musica». Un’occasione in più, questa, per visitare l’elegante edificio barocco, con la Sala da ballo affrescata magistralmente dal pittore francese Louis Dorigny (sembra con l'aiuto di un giovane Giambattista Tiepolo), i dipinti del celebre vedutista Luca Carlevarijs nella preziosa Sala degli specchi, dalla foggia tiepolesca, e l'ampio giardino all'italiana, solitamente chiuso al pubblico e di solito visibile solo nei giorni della Biennale.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Affresco di Louis Dorigny nella sala da ballo di in Palazzo Zenobio a Venezia; [fig. 2] Veduta della Sala degli specchi in Palazzo Zenobio a Venezia; [fig. 3] Marion Greenstone, «Omaggio a Magritte», collage, [s.d]; [fig. 4] Marion Greenstone, «Landscape», olio su tela, 1960.

Per saperne di più
www.collegioarmeno.com
www.mariongreenstone.com

Informazioni utili
Marion Greenstone. Retrospettiva. Palazzo Zenobio - Collegio Armeno, Fondamenta del Soccorso, Dorsoduro 2596 - Venezia. Orari: martedì-domenica 10.00-18.00; chiusura lunedì. Ingresso libero. Informazioni: tel. 041.5228770. Fino al 18 maggio 2011.

giovedì 5 maggio 2011

Dai «Viva Maria» ai Palii di fine ‘800: in mostra tutti i volti del Risorgimento senese

Sono quattro le mostre con le quali i Musei civici senesi, nell'ambito del progetto «150 Storie d'unita, il Risorgimento nelle terre di Siena», intendono approfondire il ruolo assunto dalla patria di Simone Martini e Duccio di Boninsegna nella creazione dell’Italia unita.
Il percorso, che si può compiere fino a domenica 3 luglio, parte da Asciano, dove è allestita la mostra «Amos Cassioli e il Risorgimento» cura di Francesca Petrucci e Milena Pagni. Attraverso documenti inediti, fotografie, disegni e gio
Sono varie le esposizioni che compongono l’interessante rassegna «Risorgimento nelle Terre di Siena», promossa dalla Fondazione rnali è possibile approfondire il ruolo che l’artista toscano ebbe nella realizzazione di una delle imprese decorative più importanti realizzate in Italia per celebrare i fatti del Risorgimento, la sala Vittorio Emanuele II nel Palazzo pubblico di Siena, sala nella quale lavorarono anche Luigi Mussini, Cesare Maccari e Pietro Aldi.
Amos Cassioli venne incaricato di realizzare gli unici due affreschi con scene di battaglia presenti nella stanza, quelli dedicati a Palestro (combattuta il 31 maggio 1859) e a San Martino (combattuta il 24 giugno 1859). Opere, queste, conosciute ed apprezzate insieme con altre due tele al centro della mostra di Asciano: «Il Giuramento di Pontida», del quale è esposto un bozzetto, e «La Battaglia di Legnano», della quale vengono presentati rari documenti.
A Buonconvento, negli spazi del Museo della Mezzadria, va, invece, in scena la mostra «L’anti-Risorgimento nelle campagne senesi. Dal «Viva Maria» al plebiscito», a cura di Gianfranco Molteni. Il percorso espositivo, frutto di un’attenta ricerca d’archivio, racconta le reazioni del «popolo delle campagne» di fronte al processo di unificazione nazionale, focalizzando l’attenzione sul fenomeno del «Viva Maria», così chiamato per lo stendardo che ne era il simbolo, sul quale campeggiava l’immagine della Madonna del Conforto. Un fenomeno, questo, in difesa delle tradizioni religiose e dello Stato pontificio, che per lungo tempo, fino al plebiscito del 1860, oppose contadini e mezzadri senesi alle truppe di Napoleone, ma anche alle armate “italiche”.
Infine, Siena propone, negli spazi del Complesso museale Santa Maria della Scala, la mostra «Insieme sotto il tricolore. Studenti e professori in battaglia. L’Università di Siena nel Risorgimento», con documenti inediti, volumi, dipinti, timbri, bandiere, uniformi, manifesti e giornali, selezionati da Alessandro Leoncini e presentati in un raffinato allestimento a cura di Andrea Milani.
Otto le sezioni espositive, che trovano il loro cuore pulsante nella parte dedicata alla partecipazione degli studenti senesi alla celebre battaglia di Curtatone e Montanara, nella Prima guerra d’indipendenza. Tra i cimeli esposti si segnalano la divisa indossata da Carlo Corradino Chigi, una litografia appartenuta a Cesare De Laugier de Bellecur, la medaglia col ritratto del granduca Leopoldo II di Lorena, assegnata ai reduci dell’impresa bellica e donata all’Ateneo da Augusto Barazzuoli, ma anche la bandiera della Guardia universitaria (unico tricolore conservato a Siena con lo stemma granducale inserito nel campo bianco) e il celebre stendardo dei «Croda Frates». Non poteva mancare, inoltre, un omaggio al Palio, del quale, grazie alla particolare disponibilità degli Onorandi Priori, saranno esposti alcuni dei drappelloni vinti in quegli anni, dai quali emerge chiaramente l’effetto di una nuova iconografia pre-unitaria, i bozzetti e le monture “alla piemontese”, realizzate tra il 1851 e il 1856 secondo la moda dell’epoca.
In contemporanea, il Complesso museale Santa Maria della Scala apre le porte, fino al 19 giugno, alla mostra «L’anima e la musica», a cura di Sergio Carrubba, Orietta Rossi Pinelli e Roberto Venuti: un percorso multisensoriale, tra arte e nuove tecnologie, che propone opere di Ingres, Blechen, Friedrich, Constable, Vernet e Caffi, ma che racconta anche la rivoluzione dei gusti e della cultura di un periodo, quello del Romanticismo, attraverso il prisma dei generi musicali propri dell’epoca (notturni, mazurche, ballate, polacche, valzer, preludi, concerti) e del loro intreccio con temi quali il contrasto tra ingenuo e sentimentale, la scoperta dei miti e delle leggende, il ruolo del sogno, il grottesco, il sublime, il senso della patria.
«Il viaggio nel mondo romantico e risorgimentale avverrà –si legge nella nota stampa- attraverso una grande esperienza virtuale il cui sfondo e contesto saranno le sale di una casa ottocentesca che permetterà di rivivere i personaggi, i quadri, le musiche, le parole legate insieme attorno ai temi del viaggio, del popolo, della nazione, dei notturni, dell’amore. Il visitatore si troverà immerso nella biblioteca, nel salotto, in un giardino d'inverno e nell’«alcova dell'amore» di questa suggestiva casa ottocentesca, mentre schizzi e appunti di viaggio, lo accompagneranno come in un viaggio, di cui la musica sarà il filo conduttore. E proprio la musica avrà un ruolo centrale nel percorso espositivo perché diffusa in ogni sala e in alcune sale, le campane sonore riprodurranno voci narranti di viaggi e brani tratti da opere di poeti e viaggiatori del tempo».

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Bandiera della Guardia universitaria. Opera esposta nella mostra «Insieme sotto il tricolore. Studenti e professori in battaglia. L’Università di Siena nel Risorgimento»; [fig. 2] Pietro Senno, «I Toscani a Curtatone», 1861, olio su tela, Collezione Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Opera esposta nella mostra «Insieme sotto il tricolore. Studenti e professori in battaglia. L’Università di Siena nel Risorgimento»; [fig. 3] Amos Cassioli, «La battaglia di Palestro», 1864. Affresco per la sala Vittorio Emanuele II nel Palazzo pubblico di Siena; [fig. 4] Luca Abete, «L'esercito del «Viva Maria» marcia verso Siena». Opera esposta nella mostra «L’anti-Risorgimento nelle campagne senesi. Dal «Viva Maria» al plebiscito»; [fig. 5] John Henry Füssli,
«Amleto e il fantasma del padre», 1793, olio su tela, Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo (Parma). Opera esposta nella mostra «L'anima e la musica. L'esperienza romantica e l'età del Risorgimento».

Informazioni utili

«Amos Cassioli e il Risorgimento». Museo Cassoli, via Goffredo Mameli -Asciano (Siena). Orari: giovedì-domenica ore 10.30-13.00 e 15.00-18.00. Ingresso: intero € 4,50, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 0577.718745 o museocassioli@gmail.com. Fino al 3 luglio 2011.

«L’anti-Risorgimento nelle campagne senesi. Dal «Viva Maria» al plebiscito». Museo della mezzadria senese, piazzale Garibaldi, 1 - Buonconvento (Siena). Orari: martedì-venerdì, ore 10.00-13.00; sabato e domenica, ore 10.00-13.00 e 15.00 -18.00. Informazioni: tel. 0577.809075 e tel. 0577.530164. Sito web: www.museisenesi.org. Fino al 3 luglio 2011.

«Insieme sotto il tricolore. Studenti e professori in battaglia. L’Università di Siena nel Risorgimento». Complesso museale Santa Maria della Scala - Siena. Orari: 10.00-18.30. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,50. Informazioni: tel. 0577.534571. Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo (Milano). Sito web: www.santamariadellascala.com. Fino al 3 luglio 2011.

«L'anima e la musica. L'esperienza romantica e l'età del Risorgimento». Complesso museale Santa Maria della Scala - Siena. Orari: 10.30-19.30. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00 (gruppi minimo 15 massimo 25 persone, minori di 18 anni e maggiori di 65), convenzioni € 4,00 (detentori di appositi coupon e possessori di tessera Aci, Tci, Coop, Unpli), studenti € 2,00, Informazioni: tel. 0577.534571. Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo (Milano). Sito web: www.santamariadellascala.com. Fino al 19 giugno 2011.

«Alexander Museum Palace Hotel», soggiorni d'arte a Pesaro

Dormire fra opere d’arte, avvolti dal bello, senza spendere una fortuna. Fare una vacanza low cost, senza rinunciare all’unicità dell’esperienza del viaggio e a un’«esperienza estetica» capace di appagare la mente. Ecco quanto offrono i dieci migliori design hotel d’Europa a prezzi accessibili, segnalati lo scorso novembre dal portale «Trivago».
Tra di loro c’è anche una struttura italiana: l’«Alexander Museum Palace Hotel», il museo-albergo di Pesaro nato per iniziativa dell’eclettico conte Alessandro Ferruccio Marcucci Pinoli di Valfesina, artista, scrittore e collezionista d’arte, già proprietario dei «Vip Hotels» nelle Marche, che si è avvalso per questo suo curioso progetto della consulenza di noti critici quali Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio, Achille Bonito Oliva, Marisa Vescovo e Armando Ginesi.
L’albergo, la cui costruzione è iniziata nel 2004 ed è durata quattro anni, ha coinvolto nel progetto due architetti, tre ingegneri e un centinaio di artisti emergenti e famosi, tra i quali Arnaldo Pomodoro, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino e Sandro Chia. E’ nato così un hotel-installazione, che propone un’originale contaminazione tra soggiorno turistico ed evento culturale, che si configura -per usare le parole del suo stesso proprietario- come una «performance di 365 giorni all’anno, per 24 ore al giorno», godibile anche grazie a un volume per immagini della milanese Electa Mondadori.
Nove i piani sui quali è articolato questo elegante albergo, affacciato sul lungomare di Pesaro, introdotto da una stele in bronzo, alta 16 metri, di Enzo Cucchi. L’opera, la più grande mai realizzata dal maestro della Transavanguardia, racconta la storia della città dalla sua origine a oggi: si scorgono, per esempio, riferimenti alla distruzione da parte dei goti di Vitige, ma anche la suggestiva immagine del «sol che rugla ’in tel mont», ossia del sole che – come dicono i pesaresi-, tramontando, sembra quasi rotolare lungo il crinale del monte san Bartolo per poi sparire dentro il mare.
All’interno dell’edificio, tutto bianco e dallo stile minimal, si trovano sessantatre camere d’autore, ognuna diversa dall’altra. Sono state create da un gruppo di settantacinque artisti contemporanei, che è intervenuto in piena libertà ovunque (dalle pareti, ai mobili, al bagno) e ne ha decorato, a mo’ di firma, la porta. In ogni stanza sono stati utilizzati materiali differenti, dal plexiglass alla resina, e tecniche svariate, dal dripping al découpage, ma soprattutto si vivono esperienze sensoriali diversissime tra loro. Il progetto «Vento» della torinese Luisa Valentini fa dormire l’ospite in un rassicurante letto bianco, la cui struttura sembra ispirarsi all’intreccio dei rami di un albero; mentre «Squiddiva» del trentino Bruno Pegoretti immerge il visitatore in una stanza totalmente blu, dominata dalla figura di uno “spaventoso” polipo gigante.
Al mondo marino guardano anche Jacqueline Crapanzano con le sue sculture pop di pesci e granchi per l’intervento decorativo «La sirena», e Terry May con le sue «Conchiglie»; Marisa Mola propone, invece, disegni di una danza tribale dalle calde tonalità ocra e marrone. Ci sono, poi, un omaggio al cinema con «Element» di Roberto Pagliani e uno alla musica con la stanza che Silvia Forlani ha dedicato a Rossini.
Naturalmente anche le parti comuni dell’albergo (diciotto corridoi, tre sale da pranzo e una piscina esterna) sono state concepite su modello di un museo (non a caso l’«Alexander Museum Palace Hotel» fa parte di Amaci) ed hanno visto all’opera altri venticinque artisti contemporanei, tra i quali Primo Fomenti e Gino Marotta che, con Mimmo Paladino ed Enzo Cucchi, hanno disegnato gli spazi del ristorante «ilManico-mio».

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Enzo Cucchi, Stele Marcucci Pinoli all’«Alexander Museum Palace Hotel» di Pesaro, © Alessandro-Ferruccio Marcucci Pinoli di Valfesina [fig. 2] Bruno Pegoretti, Squiddiva. Stanza all’«Alexander Museum Palace Hotel» di Pesaro, © Alessandro-Ferruccio Marcucci Pinoli di Valfesina [fig. 3] Silvia Forlani, Omaggio a Rossini, Stanza all’«Alexander Museum Palace Hotel» di Pesaro, © Alessandro-Ferruccio Marcucci Pinoli di Valfesina; [fig. 4] Luisa Valentini, Vento, Stanza all’«Alexander Museum Palace Hotel» di Pesaro, © Alessandro-Ferruccio Marcucci Pinoli di Valfesina

Informazioni
Alexander Museum Palace Hotel, viale Trieste 20 – Pesaro. Informazioni: tel. 0721.34441 ed e-mail alexandermuseum@viphotels.it. Sito web: www.alexandermuseum.it.

mercoledì 4 maggio 2011

«Venezia che spera», l'omaggio del museo Correr all'Italia unita

E' ispirato a un celebre quadro di Andrea Appiani jr. (Milano, 1814-1865), proveniente dal Museo del Risorgimento di Milano, il titolo della mostra «Venezia che spera. L'unione all'Italia (1859-1866)», allestita presso gli spazi del museo Correr, per iniziativa della Fondazione Musei civici veneziani e con la curatela di Giandomenico Romanelli e Camillo Tonini.
In occasione delle celebrazioni per i centocinquant'anni dell'unità d'Italia, il prestigioso spazio espositivo lagunare apre, dunque, le porte a un'esposizione che documenta gli avvenimenti più significativi del periodo compreso tra il 1859 e il 1866, ovvero tra la seconda Guerra d’Indipendenza e l'annessione del Veneto al Regno d'Italia, attraverso la presentazione di un ricco apparato iconografico e di una cospicua selezione di documenti storici provenienti per lo più da importanti collezioni civiche risorgimentali, oltre che dal Castello di Miramare di Trieste e dai Musei civici di Udine e di Pordenone.
A partire dal Salone da ballo della Reggia che, con l'annessione all'Italia, divenne la dimora ufficiale di casa Savoia a Venezia, sfilano oltre duecento lavori tra dipinti, ritratti istituzionali, esempi di cartografia pre-unitaria, monete, medaglie e distintivi, ma anche una ricca serie di suggestive foto d’epoca, disegni, manifesti, bozzetti per i monumenti commemorativi degli eroi risorgimentali e tanti altri cimeli e rarità, tra cui molti inediti.
Non fu il solo Andrea Appiani jr., con la sua tela «Venezia che spera», a rappresentare in forma allegorica la città lagunare irredenta e desiderosa di riscatto. A partire dal biennio rivoluzionario del 1848-49, sono, infatti, numerose le immagini che mettono in evidenza la passione per il tricolore durante alcuni riti civici, ma anche nei tragici momenti in cui la città subì l’assedio e la capitolazione nell’estate del 1849.
Dagli straordinari reporter d’epoca Ippolito Caffi (Belluno,1809- Lissa, 1866) e Luigi Querena (Venezia, 1824-1887), che documentarono con lavori vivacizzati dai colori bianco, rosso e verde, luoghi e avvenimenti emblematici della Venezia del '48-'49, si giunge ad artisti che raffigurarono l’immagine personificata della città, esprimendo con grande forza evocativa le spente speranze di annessione, dopo il trattato di Villafranca (1859), con il quale solo la Lombardia passava al nuovo Regno sabaudo. È il caso, per esempio, di Giacomo Casa (Conegliano Veneto, Treviso,1823- Roma, 1887), che, con il grande telero dell’«Unione di Venezia all'Italia», celebra l'avvenuta annessione al Regno sabaudo attraverso una “veronesiana” personificazione della città inginocchiata dinanzi al Re d'Italia, mentre, tra la folla che assiste all'evento, sono riconoscibili i protagonisti del Risorgimento italiano.
Le sale espositive al secondo piano accolgono la seconda sezione, «L’Austria a Venezia», dedicata al periodo della terza dominazione austriaca (1849-1866), evocato da alcuni ritratti istituzionali e dalla cartografia d'epoca, che illustrano la situazione dell'Italia pre-unitaria, in particolare quella dei possedimenti della monarchia asburgica all'apice della sua potenza.
Un argomento di particolare interesse riguarda la costruzione del ponte ferroviario translagunare, che così profondamente avrebbe inciso sul tessuto urbano della città strappandola dalla sua insularità, incrementando il polo commerciale e industriale anche attraverso gli imponenti lavori per lo sviluppo portuale dell'alto Adriatico.
Inoltre, dalle ricche raccolte numismatiche civiche, vengono presentate alcune monete di grande interesse, come quelle di Francesco Giuseppe (che furono le ultime coniate nella Zecca di Venezia, dimessa dopo l'annessione), oltre a medaglie che immortalano eventi riguardanti la corte imperiale a Venezia e ad alcuni interessanti distintivi che offrono una vasta panoramica del ricco apparato burocratico veneziano dell'epoca.
A catalogo sono allegati stralci di un puntuale, quanto riservato testimone, Emmanuele Antonio Cicogna (Venezia, 1789-1868), che nei suoi «Diari», conservati presso la Biblioteca del Museo Correr, annotava i quotidiani episodi di censura austriaca e di fermento patriottico che in quegli anni erano diffusi in città.
La terza sezione, «Venezia nei documenti fotografici dell’epoca», presenta alcuni straordinari documenti fotografici provenienti dagli archivi della Fondazione Musei civici di Venezia. Si tratta di vedute della città durante l'occupazione austriaca, ma anche di numerosi ritratti di protagonisti, testimoni dell'epoca (Napoleone III, Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, Nino Bixio, Giuseppe Mazzini, Nicolò Tommaseo, Anna Maria Marsich Bandiera…) ed alcune eccezionali riprese di avvenimenti.
Del pittore e fotografo Domenico Bresolin sono esposte le stampe fotografiche su carta salata di edifici e architetture (del 1857 ca); ma importanti sono anche gli scatti di Carlo Ponti e Carlo Naya, il più noto fotografo del periodo, autore di uno sterminato catalogo fotografico di monumenti, opere d'arte, scorci e vedute, oltre alla rarissima foto di Beniamino Giuseppe Coen, che ritrae nel 1853 ca. alcuni soldati austriaci in piazzetta San Marco in servizio durante la festa del Corpus Domini.
Il ciclo di quattro dipinti di Vincenzo Giacomelli (Grizzo, Pordenone,1814- Venezia,1890), pittore-soldato durante l'eroica resistenza di Venezia (1848-1849), apre la quarta sezione, dedicata a «L’Attesa». Questi raffigurano alcuni episodi delle tre guerre di indipendenza ma soprattutto documentano la presenza sabauda nell’epopea risorgimentale. Qui si trova anche un ritratto del garibaldino Pietro Cortes (Venezia, 1831 – 1908), uno dei tanti patrioti-esuli che dedicarono tutta la vita all'indipendenza italiana, prima lottando per la liberazione di Venezia dagli austriaci, poi cospirando lontano dal Veneto, i cui cimeli risorgimentali furono donati alla Municipalità di Venezia. Tra questi, ricco di valenza simbolica è anche il «Ritratto femminile di una sconsolata giovane con in mano il Trattato di Villafranca», che, concluso tra Napoleone III re di Francia e Francesco Giuseppe d'Austria, sanciva la cessione della Lombardia al re di Sardegna Vittorio Emanuele II, mentre il Veneto restava agli Asburgo.
Di Ippolito Caffì, patriota esule e pittore di storia, oltre all’«Autoritratto», proveniente dalla Cassa di Risparmio di Venezia, viene presentata una serie di appunti grafici tratti dai suoi taccuini. In questi sono annotati alcuni momenti salienti, come l'incontro di Vittorio Emanuele con Garibaldi a Napoli, usato come studio preparatorio per un grande quadro oggi alla Galleria Sabauda di Torino, gli schizzi che lo vedono recluso nelle carceri veneziane di San Severo, fino al piccolo disegno della «Re d'Italia», la nave ammiraglia italiana sulla quale l’artista trovò la morte nella battaglia di Lissa (1866).
Dopo gli esiti favorevoli della terza Guerra di Indipendenza e con il plebiscito del 20-21 ottobre 1866, il Veneto arriva il momento di entrare nel Regno d'Italia. L'entusiasmo popolare per la nuova situazione politica viene evocato nella quinta e ultima sezione della mostra, «Venezia all’Italia», attraverso l'iconografia dell’epoca e documenti conservati nelle raccolte civiche.
La celebrazione dell'epopea risorgimentale attraverso alcuni monumenti cittadini che ricordano i protagonisti del Risorgimento sono oggetto di una parte di questa sezione, dove vengono documentati attraverso bozzetti preparatori, dipinti e suggestive foto d'epoca, i monumenti eretti per celebrare Daniele Manin, Vittorio Emanuele II, Niccolò Tommaseo e Giuseppe Garibaldi.
Completa l’offerta espositiva un ricco apparato didascalico con pannelli esplicativi, tavole sinottiche e didascalie che rendono più agevoli e comprensibili al pubblico i temi trattati in mostra, oltre a un ampio e articolato programma di attività didattiche, curato dai Servizi educativi, rivolto a differenti fasce scolastiche.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Andrea Appiani jr. (Milano, 1814 - 1865), «Venezia che spera», 1861. Olio su tela. Milano, Museo del Risorgimento; [fig. 2] Luigi Querena (Venezia, 1824 -1887), «Il primo giorno della rivoluzione 22 marzo 1848». Tempera su tela, 105x163 cm. Venezia, Museo Correr

Informazioni utili
Venezia che spera. L'unione all'Italia (1859-1866). Museo Correr, Piazza San Marco - Venezia. Ingresso (biglietto I musei di piazza san Marco): intero 14,00 euro, ridotto 8,00 euro (bambini dai 6 ai 14 anni; studenti * dai 15 ai 25 anni; accompagnatori (max. 2) di gruppi di ragazzi o studenti, i cittadini over 65; * personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; titolari di Carta Rolling Venice; FAI iscritti); ingresso libero veneziani residenti, bambini 0-5 anni, disabili con accompagnatore; guide autorizzate; interpreti che accompagnano i gruppi, 1 biglietto gratuito ogni 15 biglietti previa prenotazione, membri ICOM. Informazioni: info@fmcvenezia.it; call center 848082000 (dall’Italia); +3904142730892 (dall’estero). Sito web: www.museiciviciveneziani.it. Fino a domenica 29 maggio 2011. Prorogata fino a sabato 31 dicembre 2011.

martedì 3 maggio 2011

«Vincere il tempo», una mostra sui collezionisti della Carrara di Bergamo

«La Madonna con bambino» di Giovanni Bellini, il «Rio dei Mendicanti» di Francesco Guardi, Il «Ritratto di gentiluomo ventinovenne» di Giovan Battista Moroni e le «Tre crocifissioni» di Vincenzo Foppa: sono questi quattro dei tanti quadri in mostra per tutto il 2011 a Bergamo, nelle sale del Palazzo della Ragione. In occasione del restauro della monumentale sede neoclassica dell’Accademia Carrara, la Sala delle Capriate accoglie, infatti, la mostra «Vincere il tempo. I collezionisti: la passione per l’arte e il dono alla città»: una selezione di opere della prestigiosa pinacoteca lombarda, selezionate da Maria Cristina Rodeschini ed esposte nel progetto di allestimento di Mario e Tommaso Botta.
La rassegna, realizzata con il sostegno della Camera di Commercio e della Fondazione Credito Bergamasco, ripercorre l’affascinante e ininterrotta storia collezionistica della Carrara, fondata nel 1785 dal conte Giacomo Carrara e arricchita in oltre duecento anni di storia dai lasciti di grandi conoscitori come Guglielmo Lochis (pervenuto nel 1866), Giovanni Morelli (1891), e in tempi più recenti Federico Zeri (1998).
Ad accogliere il visitatore è la sezione «Di collezione in collezione», con una quindicina di dipinti, databili tra il ‘500 e l’800 ed entrati nella raccolta lombarda per legato di Francesco Baglioni, Maria Ricotti Caleppio, Cesare Pisoni e Carlo Ceresa.
Si entra, quindi, nel vivo della mostra con un assaggio della collezione di Giacomo Carrara: una selezione dei più di 1200 quadri raccolti dal mecenate bergamasco tra il 1755 ed il 1796, che offre uno spaccato sulla pittura del Rinascimento (Foppa), rivela la qualità degli artisti di origine bergamasca (Moroni, Salmeggia, Ceresa, Fra’ Galgario), ma si interessa anche all’arte contemporanea (Capella).
E’, poi, la volta della raccolta di Guglielmo Lochis, uomo della Restaurazione, che acquistò oltre 250 quadri per arricchire la propria straordinaria collezione, per la quale fece edificare una sede ad hoc sul modello del Pantheon, la Pinacoteca alle Crocette di Mozzo, aperta a chiunque volesse visitarla, ma destinata soprattutto a riscuotere l’ammirazione di connoisseur, turisti, nobili e reali d’Europa, che la consideravano una tappa obbligatoria nei loro tour. Maestri del Quattro e Cinquecento (Tura, Bellini) e protagonisti della pittura veneta del settecento (Tiepolo, Longhi, Guardi) rendono unico questo lascito, per il quale si fece avanti addirittura l’allora direttore della National Gallery, sir Charles Eastlake.
L’itinerario espositivo procede con un omaggio alla raccolta di Giovanni Morelli, patriota d’ispirazione liberale e senatore del Regno d’Italia, che raccoglie un centinaio di dipinti e sculture, opere tese a documentare in particolare la pittura toscana (Botticelli) e la fiammingo-olandese, ma tra le quali non mancano di accogliere capolavori di Pisanello e di Bellini.
La mostra conduce, infine, all’incontro “a tu per tu” con la sezione «I protagonisti». Dalle personalità molto diverse, e non solo per le differenti epoche in cui sono vissuti, i “primi attori” di questa storia collezionistica si presentano nella loro apparenza fisica, attraverso una sequenza di ritratti eseguiti da Fra’ Galgario, Piccio e Franz von Lenbach.
Una sezione speciale del nuovo allestimento dell’Accademia Carrara è riservata, inoltre, ad un work in progress di presentazione di restauri, donazioni, approfondimenti, scoperte scientifiche, collezioni meno note. ll primo «Focus» è dedicato a Federico Zeri (1921-1998), il grande storico dell’arte che, lasciando in dono la sua collezione di sculture alla Carrara, ha voluto legare il suo nome a quelli dei grandi conoscitori dei secoli passati che hanno formato il patrimonio del museo. Anch’egli, resistendo fino all’ultimo alle lusinghe francesi, consegnò la sua eredità artistica -46 opere, datate tra il '400 e l’800, da Pietro Bernini a Domenico Guidi, da Alessandro Vittoria a Nicolas Cordier, con una predilezione per il barocco romano– all’Accademia Carrara, tramandando al futuro la sua immagine di collezionista.
In occasione della mostra, fino al prossimo novembre, Palazzo della Ragione ospiterà, con cadenza quindicinale e sotto lo slogan «I martedì della Carrara», una serie di incontri di approfondimento sulla raccolta bergamasca. Le iniziative nella sede espositiva di Bergamo Alta non terminano, però, qui. Fino al 5 giugno, è, infatti, possibile visitare anche una mostra dedicata al restauro e allo studio della «Madonna con il Bambino e Santi» (nota come «Madonna Baglioni»), raffinata opera su tavola (cm 86,5 x 118,5) eseguita nel 1511-1513 circa da Andrea Previtali, uno dei principali protagonisti, insieme a Lotto, Cariani e Palma il Vecchio, di quella peculiare “corrente” con cui il territorio bergamasco si inserì e si distinse all’interno della grande scuola pittorica veneziana. La rassegna, sempre curata da Maria Cristina Rodeschini, fa dialogare questa preziosa opera, del cui intervento conservativo si è occupata Roberta Grazioli, con la «Madonna con il Bambino leggente tra San Domenico e Santa Marta di Betania» (cm 83 x 83), recentemente acquisita alle proprie collezioni da Banca Popolare di Bergamo e a sua volta sottoposta a un intervento di restauro e a un’iniziativa di studio, da parte di Delfina Fagnani Sesti e Enrico De Pascale.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giovan Battista Moroni, «Ritratto di bambina di casa Redetti», olio su tela, Raccolta Guglielmo Lochis (1886); [fig. 2] Fra Galgario, «Ritratto di Giacomo Carrara», olio su tela, Raccolta Giacomo Carrara (1796); [fig. 3] Andrea Previtali, «Madonna Baglioni», 1511-1513 circa, cm 86,5 x 118,5, olio su tavola di pioppo, dopo il restauro. Accademia Carrara, Bergamo; [fig. 4] Andrea Previtali, «Madonna con il Bambino leggente tra San Domenico e Santa Marta di Betania», 1515-20 circa, olio su tela,cm 83 x 83,dopo il restauro. Collezione Banca Popolare di Bergamo

Informazioni utili Vincere il tempo. I collezionisti: la passione per l’arte il dono alla città. Palazzo della Ragione, Sala delle Capriate Piazza Vecchia - Bergamo Alta. Orari: da giugno a settembre, martedì-domenica 10.00-21.00 e sabato 10.00- 23.00; da ottobre a maggio: martedì - venerdì 9,30-17,30 e sabato e domenica 10.00-18.00. Ingresso: intero € 5,00; ridotto e gruppi € 3,00; scuole, giovani card e family card € 1,50. Prenotazioni e visite guidate: tel. +39.035.218041. Informazioni: tel. +39.035.399677. Sito web: www.accademiacarrara.bergamo.it. Fino al 31 dicembre 2011.