È stato da poco restituito agli abitanti e ai turisti di Roma uno dei suoi luoghi simbolo: il Circo Massimo, il più grande edificio per lo spettacolo e lo sport dell’antichità e di tutti i tempi.
Con suoi i seicento metri di lunghezza e centoquaranta di larghezza, questo importante sito archeologico è stato scenografia nel corso di oltre 2800 anni di varie leggende legate alle origini della città, a cominciare dal ratto delle Sabine, avvenuto in occasione dei giochi in onore del dio Conso.
Non si contano facilmente anche le trasformazioni subite dal luogo nel corso dei secoli. La prima sistemazione della Valle Murcia per adibirla a luogo per le corse dei carri risale all'epoca dei Tarquini, con sistemazione di spalti lignei. Ma è solo con Giulio Cesare che sarà realizzato un vero e proprio edificio in muratura, la cui pianta è conservata, almeno parzialmente, nelle costruzioni successive. Nel Circo Massimo si svolgevano le gare di corse dei carri che, insieme ai giochi gladiatori, erano l’attività agonistica più amata dai Romani: i conduttori delle quadrighe diventavano ben presto personaggi idolatrati dal popolo di Roma. Poiché le quadrighe facevano capo a scuderie distinte in base ai colori (verde, azzurro, rosso e bianco) anche gli spettatori si dividevano sulle gradinate del circo in base al colore di appartenenza dei propri beniamini, che venivano incitati con cori e motti composti per l’occasione. L’ampio spazio del fondovalle si prestava anche a manifestazioni di vario tipo legate in ogni caso alla vita politica, sociale e religiosa della città, come manifestazioni trionfali, processioni, giochi gladiatori, cacce, pubbliche esecuzioni.
Devastato più volte dal fuoco, il Circo Massimo fu ricostruito quasi integralmente sotto il principato di Traiano, alla cui fase appartengono per la maggior parte le strutture in laterizio attualmente visibili. Numerosissimi gli interventi degli imperatori successivi tra cui quello, spettacolare, dell'erezione del gigantesco obelisco portato a Roma da Costante II, ora al Laterano. Il circo rimase in attività, forse solo parzialmente, fino ai primi decenni del VI secolo.
In seguito il grande invaso fu utilizzato come area agricola, proprietà privata dei Frangipane (1145), luogo di passaggio dell'acqua Mariana, cimitero degli ebrei, per poi diventare a partire dal XIX secolo sede degli impianti del Gazometro, magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni, fino agli inizi del Novecento, quando si mette mano ai lavori per la passeggiata archeologica.
La monumentalizzazione dell'area fu realizzata negli anni Trenta contemporaneamente a grandi opere di scavo le quali, insieme a quelle attualmente in corso, hanno messo in luce buona parte dell'emiciclo e i resti dell'arco di Tito. L’area intorno alla torre è smantellata, sono scavati gli ambienti dell’emiciclo e parzialmente restaurate le strutture emergenti. In seguito l’area è ceduta al Partito nazionale fascista, che la utilizza, per l’alto valore simbolico, per i suoi eventi. Nello spazio del circo si organizzano le grandi mostre degli anni 1937-40 (del tessile, del minerale e delle colonie estive). Nell’immediato dopoguerra ritorna uno spazio verde, in cui le strutture antiche sono sostanzialmente abbandonate.
A partire dagli anni Ottanta cominciano alcuni interventi di scavo e restauro, ma una nuova sistemazione dell’area archeologica prende avvio solo nel 2009.
Gli interventi hanno restituito una nuova leggibilità al monumento, ridefinendo la zona dell’emiciclo attraverso operazioni di restauro delle strutture, contenimento del terreno e la realizzazione di nuovi percorsi di visita con relativi impianti di illuminazione.
È stata realizzata una terrazza panoramica sul margine meridionale dell’area e per restituire visibilità alle strutture archeologiche e ripristinare il continuum spaziale tra le diverse quote, raccordandole, è stato realizzato un piano inclinato che permette di superare gradualmente il dislivello oggi presente tra il livello dell’area verde, di libera fruizione, e quella del recinto archeologico. Anche gli spazi pubblici adiacenti sono stati sistemati e riqualificati.
I margini dell’area archeologica sono stati provvisti di idonea recinzione di forma semicircolare in corrispondenza dell’emiciclo, seguendo il perimetro della costruzione romana fino all’ideale inizio della spina, la lunga piattaforma posizionata al centro della pista che era decorata con statue, tempietti, vasche, con due grandi obelischi egizi –che dal Cinquecento sono stati ricollocati in piazza San Giovanni in Laterano ed in Piazza del Popolo– e dotata di metae
I resti della spina sono stati localizzati in profondità (attraverso indagini geofisiche condotte in collaborazione con l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
I visitatori possono accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea (i senatori al piano terra e la plebe al piano superiore). Nelle gallerie, che si possono percorrere per un tratto di circa 100 metri ciascuna, si possono osservare anche i resti delle latrine antiche. Si prosegue sulla strada basolata esterna ritrovata durante gli scavi, in cui spicca una grande vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. Qui è possibile visitare anche alcune stanze che venivano utilizzate come botteghe (tabernae) per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, lavanderie, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.
Nella zona centrale dell’emiciclo sono visibili le basi dell’Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma, a lui dedicato in occasione della vittoria giudaica. Le indagini hanno consentito di rimettere in luce le basi delle colonne frontali e alcuni importanti frammenti architettonici che hanno permesso agli archeologi di stabilire le sue dimensioni originarie (le colonne erano alte almeno 10 metri) grazie anche all’anastilosi virtuale del monumento realizzata in collaborazione con l’Università Roma Tre - Dipartimento di Architettura. Nel corso degli scavi sono state rinvenute anche parti della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all’imperatore.
L’intervento di riqualificazione dell’area ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII secolo), su cui si è intervenuti con il restauro delle murature antiche ed un impegnativo progettodi consolidamento statico. Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull’area archeologica, che permette di apprezzare in pieno le dimensioni del Circo.
I numerosi frammenti lapidei presenti nell’area sono stati in parte anche sistemati ad arredo dello spazio aperto. In particolare ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.
Informazioni utili
Area archeologica del Circo Massimo. Ingresso da piazza di Porta Capena – Roma. Orari: 17 novembre - 11 dicembre - dal martedì alla domenica, ore 10.00-16.00 (ultimo ingresso ore 15.00) | dal 12 dicembre - sabato e domenica, ore 10.00-16.00 (ultimo ingresso ore 15.00) e dal martedì al venerdì su prenotazione allo 060608. Ingresso: intero € 4,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel 060608. Sito internet:
www.sovraintendenzaroma.it.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
venerdì 18 novembre 2016
giovedì 17 novembre 2016
Alessio Deli e il sacro, un’indagine tra Rinascimento e Arte Povera
È un percorso alla scoperta di come l’arte contemporanea si accosti al tema del sacro quello proposto dal progetto «Autunno contemporaneo», articolato in tre mostre che fino alla fine di dicembre animeranno la Sala Santa Rita di Roma, suggestivo spazio polifunzionale costruito all’interno dell’architettura barocca dell’omonima chiesa, ormai sconsacrata, progettata dall’architetto Carlo Fontana nei pressi della scalinata dell'Aracoeli.
Dopo le installazioni site specific «Antropocene» di Mauro Pipani e prima della rassegna dedicata a Fabrizio Cicero, la quinta edizione di «Autunno contemporaneo» si accosta all’arte di Alessio Deli, protagonista fino al 26 novembre della mostra «La bellezza e la ruggine», della quale rimarrà documentazione in un catalogo corredato da un testo critico di Lorenzo Canova e da una poesia di Marco Lodoli.
L’artista romano, classe 1981, ha riflettuto sul concetto di sacro e sacralità intesa come memoria originaria, ma anche come fondamentale istanza antropologica, ideando un incontro misterioso tra epoche e stili differenti, in un’installazione che lavora sul ricordo e sulla nostalgia attraverso un ciclo di sculture recenti che fondono sacralità, classicità e avanguardia.
Alessio Deli interviene così nei suggestivi spazi della ex chiesa di Santa Rita facendone dialogare l’impianto barocco con le presenze plastiche e angeliche di opere che evocano antiche liturgie, memorie rinascimentali ed elementi di forte contemporaneità, nel mistero di un misticismo legato allo splendore delle figure femminili.
L’artista coniuga con maestria la grazia misteriosa e celestiale delle donne rinascimentali scolpite da Francesco Laurana, Verrocchio o Jacopo della Quercia alla ricerca su materiali nuovi o di recupero tipica dell’Arte povera e oltre, che ha avuto il suo apice nell’opera di Alberto Burri , Ettore Colla, Mimmo Rotella e Jannis Kounellis.
La capacità del giovane artista, infatti, non è solo quella di lavorare con il ready-made in senso installativo, ma anche di creare un’armonia tra il polimaterismo e la sua capacità di modellare e comporre le anatomie e i volti, con una qualità formale da scultore antico che nella sua leggerezza si redime da ogni possibile accademismo evidenziando invece una finissima intensità di immaginazione e realizzazione iconica.
Le opere di Deli si trasformano così in una vera e propria sublimazione sacrale della materia brutale del mondo, degli scarti della civiltà postindustriale e delle cose neglette, consumate dal tempo e dall’uso, abbandonate ai margini delle nostre città, in un’azione di redenzione degli oggetti scartati, che vengono riscattati dalla loro condizione di inutilità, per trasformarsi negli abiti sontuosi di figure metaforiche che portano con sé allusioni enigmatiche. Così, così come un fiore nato in luoghi contaminati e in rovina, la grazia spirituale delle donne di Deli sboccia dal metallo arrugginito e dalla materia corrosa, metafora di una bellezza che trova sempre la sua via di rinascita.
Informazioni utili
«La bellezza e la ruggine» - Mostra di Alessio Deli. Sala Santa Rita, via Montanara (adiacenze piazza Campitelli) - Roma. Orari: martedì-sabato, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì e la domenica. Ingresso libero. Informazioni: 060608. Sito internet: www.comune.roma.it/cultura. Fino al 26 novembre 2016.
Dopo le installazioni site specific «Antropocene» di Mauro Pipani e prima della rassegna dedicata a Fabrizio Cicero, la quinta edizione di «Autunno contemporaneo» si accosta all’arte di Alessio Deli, protagonista fino al 26 novembre della mostra «La bellezza e la ruggine», della quale rimarrà documentazione in un catalogo corredato da un testo critico di Lorenzo Canova e da una poesia di Marco Lodoli.
L’artista romano, classe 1981, ha riflettuto sul concetto di sacro e sacralità intesa come memoria originaria, ma anche come fondamentale istanza antropologica, ideando un incontro misterioso tra epoche e stili differenti, in un’installazione che lavora sul ricordo e sulla nostalgia attraverso un ciclo di sculture recenti che fondono sacralità, classicità e avanguardia.
Alessio Deli interviene così nei suggestivi spazi della ex chiesa di Santa Rita facendone dialogare l’impianto barocco con le presenze plastiche e angeliche di opere che evocano antiche liturgie, memorie rinascimentali ed elementi di forte contemporaneità, nel mistero di un misticismo legato allo splendore delle figure femminili.
L’artista coniuga con maestria la grazia misteriosa e celestiale delle donne rinascimentali scolpite da Francesco Laurana, Verrocchio o Jacopo della Quercia alla ricerca su materiali nuovi o di recupero tipica dell’Arte povera e oltre, che ha avuto il suo apice nell’opera di Alberto Burri , Ettore Colla, Mimmo Rotella e Jannis Kounellis.
La capacità del giovane artista, infatti, non è solo quella di lavorare con il ready-made in senso installativo, ma anche di creare un’armonia tra il polimaterismo e la sua capacità di modellare e comporre le anatomie e i volti, con una qualità formale da scultore antico che nella sua leggerezza si redime da ogni possibile accademismo evidenziando invece una finissima intensità di immaginazione e realizzazione iconica.
Le opere di Deli si trasformano così in una vera e propria sublimazione sacrale della materia brutale del mondo, degli scarti della civiltà postindustriale e delle cose neglette, consumate dal tempo e dall’uso, abbandonate ai margini delle nostre città, in un’azione di redenzione degli oggetti scartati, che vengono riscattati dalla loro condizione di inutilità, per trasformarsi negli abiti sontuosi di figure metaforiche che portano con sé allusioni enigmatiche. Così, così come un fiore nato in luoghi contaminati e in rovina, la grazia spirituale delle donne di Deli sboccia dal metallo arrugginito e dalla materia corrosa, metafora di una bellezza che trova sempre la sua via di rinascita.
Informazioni utili
«La bellezza e la ruggine» - Mostra di Alessio Deli. Sala Santa Rita, via Montanara (adiacenze piazza Campitelli) - Roma. Orari: martedì-sabato, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì e la domenica. Ingresso libero. Informazioni: 060608. Sito internet: www.comune.roma.it/cultura. Fino al 26 novembre 2016.
mercoledì 16 novembre 2016
«Invideo», tre giorni all’insegna delle seduzioni
Compie ventisei anni «Invideo», mostra internazionale di cinema e video che da giovedì 17 a domenica 20 novembre animerà, nell’ambito del «Mese della sperimentazione sull’immagine», la città di Milano.
Per tre giorni lo Spazio Oberdan e lo Ied - Istituto europeo di design apriranno le porte a proiezioni e incontri con ospiti italiani e internazionali, eventi ai quali farà da filo conduttore il tema «Seduzioni: attrazioni visive e desiderio, mutazioni, fascino di corpi e di tecnologie, di gesti e di sguardi».
Trentotto le opere presentate nella «Selezione internazionale», metà delle quali realizzate da under 35, e nove gli eventi speciali che compongono il cartellone di questa nuova edizione del festival milanese, organizzato da Aiace Milano e diretto da Romano Fattorossi e Sandra Lischi.
«Invideo» presenterà in anteprima italiana «Final Gathering» (domenica 20 novembre, alle ore 16.00, allo Spazio Oberdan), il nuovo lavoro di Alain Escalle sulla memoria, caratterizzato per la sua forte sperimentazione: «partendo dalle immagini di un gruppo di persone e bambini attivi su una spiaggia, -si legge nella scheda di presentazione- l'artista ne ha completamente alterato il dato reale, donando alle immagini un freddo aspetto pittorico. I corpi evaporano in silhouette fantasmatiche, lasciando allo spettatore una sensazione di attesa, di metamorfosi ineluttabile del tempo e dei corpi».
Alta importante anteprima, ma in questo caso solo milanese, sarà, poi, quella di «Love is All» (domenica 20 novembre, alle 21, allo Spazio Oberdan), toccante ritratto di Piergiorgio Welby firmato da Francesco Andreotti e Livia Giunti, che si configura come un viaggio tra animazione, video-arte e documentario alla scoperta di un uomo diventato -si legge nella scheda di presentazione- «un simbolo della lotta per i diritti civili e per l’autodeterminazione dei cittadini».
La rassegna, di cui rimarrà documentazione in un catalogo cartaceo e digitale, presenterà, inoltre, una personale dedicata ad Alessandro Amaducci, sperimentatore radicale con un profilo che spicca nel panorama italiano per l’esplorazione di effetti e tecniche. Nello specifico, «Invideo» omaggerà l’artista torinese con una masterclass allo Ied (venerdì 18 novembre, alle ore 11.30) e un incontro con l’autore (venerdì 18 novembre, alle ore 22, allo Spazio Oberdan), durante il quale verranno ripercorsi vent’anni di carriera: «fra immagini simboliche e riferimenti poetici, echi filosofici e memorie si dipanerà una riflessione audiovisiva – fra analogico e digitale – densa, ricca di richiami, intrecciata con varie arti eppure radicalmente altra».
Tra gli eventi in programma si segnala anche l’omaggio al cinema indipendente e a una delle sue più importanti protagoniste: Maya Deren. Anche in questo caso si sarà una masterclass allo Ied (giovedì 17 novembre, alle ore 15.30), alla quale seguirà la performance «Homage to Maya» (2015) dei Karmachina, importante studio milanese leader nell’ambito del visual design, che si è ispirato alle immagini e al montaggio dell’autrice, giustapponendo alcuni lavori realizzati negli anni Quaranta come «Meshes of the Afternoon, At Land» e «A study in Choreography for Camera», con un’elaborazione sonora del gruppo Fernweh.
«Invideo» apre, poi, per la prima volta alla videoarte peruviana (venerdì 18 novembre, dalle ore 16, allo Spazio Oberdan), con opere recenti di diverso taglio, tematica e stile, curata da Angie Bonino e José-Carlos Mariátegui, due protagonisti della scena artistica, tecnologica e culturale di questo Paese.
Spazio anche ai video reportage degli allievi del Centro sperimentale di cinematografia de L’Aquila (venerdì 18 novembre, alle ore 18, allo Spazio Oberdan), diretto da Daniele Segre, protagonista anche di una masterclass allo Ied (venerdì 18 novembre, alle ore 9.00), e all’incontro con Georges Bollon (sabato 19 novembre, alle ore 18.30, allo Spazio Oberdan), fondatore del Festival internazionale del cortometraggio di Clermont – Ferrand, la più importante vetrina internazionale dedicata ai corti che nell’edizione 2016, la trentottesima, ha registrato 162.000 spettatori.
Stanley Kubrick è, invece, fonte d’ispirazione e contaminazione dell’happening video-musicale «Nekrotzar – Inseguendo l’arcobaleno» di Matias Guerra (giovedì 17 novembre, alle ore 22.30, allo Spazio Oberdan). L’opera, che fa parte della serie Compendium, si configura come una partitura intessuta di riferimenti alle opere del regista, in cui il materiale video si intreccia con un intervento sonoro dal vivo, creando risonanze, evocazioni ed enigmi.
«Invideo» presenterà, inoltre, la rassegna «Identità negate», composta da due opere che proporranno un focus sul bullismo e sul tema dell’identità sessuale: «Bullied to Death» di Giovanni Coda e «Deseos» di Carlos Motta (sabato 19 novembre, dalle ore 16.00). Mentre nell’incontro «VideoARTgames» (domenica 20 novembre, alle ore 17.30) Roberto Cappai farà il punto della situazione sull’universo dei videogame artistici, un mondo ricco di ibridazioni e di aspetti non ancora conosciuti.
Informazioni utili
«Invideo 2016». Sedi varie – Milano. Ingresso: con Tessera Aiace (€ 5,00). Informazioni: tel. 02.76115394 o info@mostrainvideo.com. Sito internet: www.mostrainvideo.com. Dal 17 al 20 novembre 2016.
Per tre giorni lo Spazio Oberdan e lo Ied - Istituto europeo di design apriranno le porte a proiezioni e incontri con ospiti italiani e internazionali, eventi ai quali farà da filo conduttore il tema «Seduzioni: attrazioni visive e desiderio, mutazioni, fascino di corpi e di tecnologie, di gesti e di sguardi».
Trentotto le opere presentate nella «Selezione internazionale», metà delle quali realizzate da under 35, e nove gli eventi speciali che compongono il cartellone di questa nuova edizione del festival milanese, organizzato da Aiace Milano e diretto da Romano Fattorossi e Sandra Lischi.
«Invideo» presenterà in anteprima italiana «Final Gathering» (domenica 20 novembre, alle ore 16.00, allo Spazio Oberdan), il nuovo lavoro di Alain Escalle sulla memoria, caratterizzato per la sua forte sperimentazione: «partendo dalle immagini di un gruppo di persone e bambini attivi su una spiaggia, -si legge nella scheda di presentazione- l'artista ne ha completamente alterato il dato reale, donando alle immagini un freddo aspetto pittorico. I corpi evaporano in silhouette fantasmatiche, lasciando allo spettatore una sensazione di attesa, di metamorfosi ineluttabile del tempo e dei corpi».
Alta importante anteprima, ma in questo caso solo milanese, sarà, poi, quella di «Love is All» (domenica 20 novembre, alle 21, allo Spazio Oberdan), toccante ritratto di Piergiorgio Welby firmato da Francesco Andreotti e Livia Giunti, che si configura come un viaggio tra animazione, video-arte e documentario alla scoperta di un uomo diventato -si legge nella scheda di presentazione- «un simbolo della lotta per i diritti civili e per l’autodeterminazione dei cittadini».
La rassegna, di cui rimarrà documentazione in un catalogo cartaceo e digitale, presenterà, inoltre, una personale dedicata ad Alessandro Amaducci, sperimentatore radicale con un profilo che spicca nel panorama italiano per l’esplorazione di effetti e tecniche. Nello specifico, «Invideo» omaggerà l’artista torinese con una masterclass allo Ied (venerdì 18 novembre, alle ore 11.30) e un incontro con l’autore (venerdì 18 novembre, alle ore 22, allo Spazio Oberdan), durante il quale verranno ripercorsi vent’anni di carriera: «fra immagini simboliche e riferimenti poetici, echi filosofici e memorie si dipanerà una riflessione audiovisiva – fra analogico e digitale – densa, ricca di richiami, intrecciata con varie arti eppure radicalmente altra».
Tra gli eventi in programma si segnala anche l’omaggio al cinema indipendente e a una delle sue più importanti protagoniste: Maya Deren. Anche in questo caso si sarà una masterclass allo Ied (giovedì 17 novembre, alle ore 15.30), alla quale seguirà la performance «Homage to Maya» (2015) dei Karmachina, importante studio milanese leader nell’ambito del visual design, che si è ispirato alle immagini e al montaggio dell’autrice, giustapponendo alcuni lavori realizzati negli anni Quaranta come «Meshes of the Afternoon, At Land» e «A study in Choreography for Camera», con un’elaborazione sonora del gruppo Fernweh.
«Invideo» apre, poi, per la prima volta alla videoarte peruviana (venerdì 18 novembre, dalle ore 16, allo Spazio Oberdan), con opere recenti di diverso taglio, tematica e stile, curata da Angie Bonino e José-Carlos Mariátegui, due protagonisti della scena artistica, tecnologica e culturale di questo Paese.
Spazio anche ai video reportage degli allievi del Centro sperimentale di cinematografia de L’Aquila (venerdì 18 novembre, alle ore 18, allo Spazio Oberdan), diretto da Daniele Segre, protagonista anche di una masterclass allo Ied (venerdì 18 novembre, alle ore 9.00), e all’incontro con Georges Bollon (sabato 19 novembre, alle ore 18.30, allo Spazio Oberdan), fondatore del Festival internazionale del cortometraggio di Clermont – Ferrand, la più importante vetrina internazionale dedicata ai corti che nell’edizione 2016, la trentottesima, ha registrato 162.000 spettatori.
Stanley Kubrick è, invece, fonte d’ispirazione e contaminazione dell’happening video-musicale «Nekrotzar – Inseguendo l’arcobaleno» di Matias Guerra (giovedì 17 novembre, alle ore 22.30, allo Spazio Oberdan). L’opera, che fa parte della serie Compendium, si configura come una partitura intessuta di riferimenti alle opere del regista, in cui il materiale video si intreccia con un intervento sonoro dal vivo, creando risonanze, evocazioni ed enigmi.
«Invideo» presenterà, inoltre, la rassegna «Identità negate», composta da due opere che proporranno un focus sul bullismo e sul tema dell’identità sessuale: «Bullied to Death» di Giovanni Coda e «Deseos» di Carlos Motta (sabato 19 novembre, dalle ore 16.00). Mentre nell’incontro «VideoARTgames» (domenica 20 novembre, alle ore 17.30) Roberto Cappai farà il punto della situazione sull’universo dei videogame artistici, un mondo ricco di ibridazioni e di aspetti non ancora conosciuti.
Informazioni utili
«Invideo 2016». Sedi varie – Milano. Ingresso: con Tessera Aiace (€ 5,00). Informazioni: tel. 02.76115394 o info@mostrainvideo.com. Sito internet: www.mostrainvideo.com. Dal 17 al 20 novembre 2016.
martedì 15 novembre 2016
«Artisti rivali», Sebastian Smee racconta le amicizie e i tradimenti dell’arte contemporanea
Lucian Freud e Francis Bacon, Édouard Manet ed Edgar Degas, Henri Matisse e Pablo Picasso, Jackson Pollock e Willem De Kooning: sono queste le quattro coppie di autori al centro del volume «Artisti rivali» scritto da Sebastian Smee, firma del «Boston Globe» e premio Pulitzer per la critica nel 2011, la cui uscita nelle librerie italiane è prevista per il prossimo 15 novembre.
Edito per i tipi della Utet, il volume combina perfettamente «gusto artistico, comprensione della natura umana e prosa cristallina», raccontando -scrive Peter Schjeldahl nel periodico statunitense «The New Yorker»- «il dramma, talvolta farsesco, di artisti che sono stati fonte vicendevole di ispirazione e tormenti, spingendosi a raggiungere vette altrimenti inspiegabili».
«Ricco di dettagli e vivido come un romanzo», per usare le parole di Michael Upchurch del «Boston Globe», «Artisti rivali» attinge a biografie, memorie, testimonianze e lettere per raccontare come la misteriosa dinamica tra riconoscimento e repulsione che ha caratterizzato la vita di alcuni artisti, portandoli a lottare con ferocia per conquistare gli stessi collezionisti e i medesimi riconoscimenti, abbia scandito le tappe principali della storia dell’arte recente.
Ma nel libro di Sebastian Smee siamo lontani dai luoghi comuni sulla violenta inimicizia tra il Bernini e il Borromini o dalla mitologia fiorita sul, pur autenticamente storico, «sdegnio grandissimo tra Michelangelo Buonarroti e Leonardo», di cui parlò il Vasari.
Il critico australiano scrive, infatti, che il suo saggio «non ha nulla a che fare con il cliché macho dei nemici giurati, degli acerrimi competitori, o dei rancorosi testardi che si contendono senza quartiere la supremazia artistica, o anzi la supremazia tout court. Al contrario, è un libro sulla duttilità, sull'intimità, sull'apertura all'influenza altrui».
La storia dell’arte moderna è piena di storie simili: «a meno di un anno dalla morte di Jackson Pollock in un incidente d’auto, -si legge nella presentazione del libro- il suo sodale Willem de Kooning iniziò una relazione con la sua ragazza, Ruth Kligman, l’unica sopravvissuta a quell’incidente. Pablo Picasso ha tenuto in bella vista in casa sua per tutta la vita il ritratto che Matisse fece alla propria figlia Marguerite, lo stesso ritratto che un tempo veniva usato da lui e dai suoi amici come bersaglio per il tiro a freccette. Dieci anni dopo la morte di Francis Bacon, Lucian Freud ancora non voleva sentirlo neppure nominare, ma conservava gelosamente un suo grande dipinto, rifiutandosi di prestarlo per le mostre».
Tra queste storie Sebastian Smee ricorda anche quella, clamorosa, del doppio ritratto che Edgar Degas dipinse a Édouard Manet e a sua moglie Suzanne: un quadro, conservato nel museo di Kitakyūshū, che oggi termina a metà del profilo della donna, perché il marito lo vandalizzò a coltellate in un momento di rabbia. Che cosa era successo? L'incontrollabile iconoclastia di Manet era causata dall’irritazione per la crudeltà con cui l'amico Degas aveva ritratto il decadimento fisico di sua moglie? O forse le radici del gesto affondano in qualcosa di più profondo e torbido, in un’inconfessabile gelosia?
Questa e molte altre curiosità vengono raccontate nel libro «Artisti rivali», teso a ricostruire gli incontri e gli scontri, i traumi, le invidie e le gelosie che hanno forgiato l’amicizia e l’influenza reciproca tra otto grandi personalità dell’arte contemporanea, di cui ancora oggi resta traccia, con la stessa intensità e la stessa fiamma, nelle loro opere.
Informazioni utili
Sebastian Smee, «Artisti rivali - Amicizie, tradimenti e rivoluzioni nell'arte moderna», Novara-Milano, Utet, 2016. Dati tecnici: pagg. 352, con inserto a colori. ISBN-10: 885112681X. Prezzo: € 20,00 (ebook compreso nel prezzo). In libreria dal 15 novembre 2016. Informazioni: Utet, info@utetlibri.it.
Edito per i tipi della Utet, il volume combina perfettamente «gusto artistico, comprensione della natura umana e prosa cristallina», raccontando -scrive Peter Schjeldahl nel periodico statunitense «The New Yorker»- «il dramma, talvolta farsesco, di artisti che sono stati fonte vicendevole di ispirazione e tormenti, spingendosi a raggiungere vette altrimenti inspiegabili».
«Ricco di dettagli e vivido come un romanzo», per usare le parole di Michael Upchurch del «Boston Globe», «Artisti rivali» attinge a biografie, memorie, testimonianze e lettere per raccontare come la misteriosa dinamica tra riconoscimento e repulsione che ha caratterizzato la vita di alcuni artisti, portandoli a lottare con ferocia per conquistare gli stessi collezionisti e i medesimi riconoscimenti, abbia scandito le tappe principali della storia dell’arte recente.
Ma nel libro di Sebastian Smee siamo lontani dai luoghi comuni sulla violenta inimicizia tra il Bernini e il Borromini o dalla mitologia fiorita sul, pur autenticamente storico, «sdegnio grandissimo tra Michelangelo Buonarroti e Leonardo», di cui parlò il Vasari.
Il critico australiano scrive, infatti, che il suo saggio «non ha nulla a che fare con il cliché macho dei nemici giurati, degli acerrimi competitori, o dei rancorosi testardi che si contendono senza quartiere la supremazia artistica, o anzi la supremazia tout court. Al contrario, è un libro sulla duttilità, sull'intimità, sull'apertura all'influenza altrui».
La storia dell’arte moderna è piena di storie simili: «a meno di un anno dalla morte di Jackson Pollock in un incidente d’auto, -si legge nella presentazione del libro- il suo sodale Willem de Kooning iniziò una relazione con la sua ragazza, Ruth Kligman, l’unica sopravvissuta a quell’incidente. Pablo Picasso ha tenuto in bella vista in casa sua per tutta la vita il ritratto che Matisse fece alla propria figlia Marguerite, lo stesso ritratto che un tempo veniva usato da lui e dai suoi amici come bersaglio per il tiro a freccette. Dieci anni dopo la morte di Francis Bacon, Lucian Freud ancora non voleva sentirlo neppure nominare, ma conservava gelosamente un suo grande dipinto, rifiutandosi di prestarlo per le mostre».
Tra queste storie Sebastian Smee ricorda anche quella, clamorosa, del doppio ritratto che Edgar Degas dipinse a Édouard Manet e a sua moglie Suzanne: un quadro, conservato nel museo di Kitakyūshū, che oggi termina a metà del profilo della donna, perché il marito lo vandalizzò a coltellate in un momento di rabbia. Che cosa era successo? L'incontrollabile iconoclastia di Manet era causata dall’irritazione per la crudeltà con cui l'amico Degas aveva ritratto il decadimento fisico di sua moglie? O forse le radici del gesto affondano in qualcosa di più profondo e torbido, in un’inconfessabile gelosia?
Questa e molte altre curiosità vengono raccontate nel libro «Artisti rivali», teso a ricostruire gli incontri e gli scontri, i traumi, le invidie e le gelosie che hanno forgiato l’amicizia e l’influenza reciproca tra otto grandi personalità dell’arte contemporanea, di cui ancora oggi resta traccia, con la stessa intensità e la stessa fiamma, nelle loro opere.
Informazioni utili
Sebastian Smee, «Artisti rivali - Amicizie, tradimenti e rivoluzioni nell'arte moderna», Novara-Milano, Utet, 2016. Dati tecnici: pagg. 352, con inserto a colori. ISBN-10: 885112681X. Prezzo: € 20,00 (ebook compreso nel prezzo). In libreria dal 15 novembre 2016. Informazioni: Utet, info@utetlibri.it.
lunedì 14 novembre 2016
«Il bagno», confidenze al femminile con Stefania e Amanda Sandrelli
Madre e figlia nella vita, colleghe sul palco. Stefania e Amanda Sandrelli approdano al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio nell’ambito della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro».
Dopo il successo del musical «Wonderland», che lo scorso ottobre ha registrato per due sere il «tutto esaurito» coinvolgendo oltre milletrecento spettatori, la programmazione serale della sala di via Calatafimi prosegue mercoledì 23 novembre, alle ore 21, con la commedia «Il bagno» dell’attrice e modella Astrid Veillon, «uno spettacolo divertente e sincero -si legge nella scheda di presentazione-, diretto con intelligenza da uno dei registi più interessanti e prolifici della scena spagnola, Gabriel Olivares».
La pièce -un testo francese riadattato da Beatriz Santana e Pilar Ruiz Gutiérrez e tradotto in italiano da David Conati- promette «tante risate», una riflessione sui vari volti dell’universo femminile e «un cast di donne eccezionali».
Sul palco, con Stefania e Amanda Sandrelli, ci saranno, infatti, altre tre talentuose e affascinanti attrici italiane: Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini. Mentre le scene dello spettacolo, presentato da Alessandro Longobardi per Oti e «L’isola trovata», portano la firma di Asier Sancho. Le luci sono a cura di Daniel Navarro; i costumi sono stati realizzati da Adele Bargilli.
Un po’ «Donne sull’orlo di una crisi di nervi» e un po’ «Sex & The City», la commedia «Il bagno» è, nelle parole degli organizzatori, «un gioco di seduzione, una metafora di vita, un nascondiglio, un lavoro di introspezione e soprattutto un trattato sull'uomo».
La storia, dalle atmosfere almodovariane, ha un ritmo narrativo coinvolgente: è il compleanno di Lucia, detta Lu, e le sue tre migliori amiche -Maria Sole, Angela e Titti- decidono di festeggiarla organizzando un party a sorpresa per i suoi quarant’anni nell’elegante casa del fidanzato. La sorpresa che spiazza tutte è, però, l’arrivo di Carmen, la madre di Lu, una donna leggera, svampita e dalle frequentazioni a dir poco discutibili, con cui la figlia non ha un rapporto ottimale. La festa diventa così una girandola di colpi di scena, rivelazioni inaspettate, riflessioni, ubriacature, malinconie e ammissioni di fallimenti.
Tutta la vicenda si svolge, come suggerisce il titolo stesso dello spettacolo, nel bagno di casa, «spazio -riporta la nota di presentazione- dove ci si può sfogare da soli o insieme, dove ci si può isolare per pochi minuti, dove si può urlare in silenzio o piangere con lacrime sincere».
L’amicizia, la maternità, l’amore, il matrimonio, il tempo che passa, la quotidianità e la ricerca continua di un proprio posto nel mondo sono gli argomenti di cui conversano le cinque donne protagoniste del racconto di Astrid Veillon, mettendoci a confronto con tutte le loro paure, carenze, contraddizioni e con i tanti piccoli segreti che ogni amicizia porta con sé. Uno spettacolo, dunque, leggero ma di riflessione quello diretto da Gabriel Olivares, che sottolinea così il lato psicologico del testo: «qui incontriamo delle donne [...] più comiche che drammatiche, più ridicole che gravi, più assurde che terribili. [...] E davanti ai loro problemi (alcuni banali, altri senza soluzione e risposta) non rimane altro che ridere di noi stessi usando la risata come terapia».
Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2 e 3] Una scena della commedia «Il bagno», con Stefania e Amanda Sandrelli, Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini, per la regia di Gabriel Olivares. Foto: Marina Alessi
Informazioni utili
«Il bagno», commedia con Stefania e Amanda Sandrelli, Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini, per la regia di Gabriel Olivares. Dove: teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Quando: mercoledì 23 novembre 2016, ore 21. Ingresso: € 30,00 poltronissima, € 26,00 (intero) o € 24,00 (ridotto) poltrona, € 25,00 (intero) o € 23,00 (ridotto) galleria. Prevendita on-line: http://cinemateatromanzoni.creaweb.it/generic/scheda.php?id=37009#inside. Botteghino: da mercoledì 16 novembre 2016 | dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Informazioni: info@cinemateatromanzoni.it o tel. 0331.677961 (in orario serale e, da mercoledì 16 novembre, tutti i giorni feriali, dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00). Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.
Dopo il successo del musical «Wonderland», che lo scorso ottobre ha registrato per due sere il «tutto esaurito» coinvolgendo oltre milletrecento spettatori, la programmazione serale della sala di via Calatafimi prosegue mercoledì 23 novembre, alle ore 21, con la commedia «Il bagno» dell’attrice e modella Astrid Veillon, «uno spettacolo divertente e sincero -si legge nella scheda di presentazione-, diretto con intelligenza da uno dei registi più interessanti e prolifici della scena spagnola, Gabriel Olivares».
La pièce -un testo francese riadattato da Beatriz Santana e Pilar Ruiz Gutiérrez e tradotto in italiano da David Conati- promette «tante risate», una riflessione sui vari volti dell’universo femminile e «un cast di donne eccezionali».
Sul palco, con Stefania e Amanda Sandrelli, ci saranno, infatti, altre tre talentuose e affascinanti attrici italiane: Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini. Mentre le scene dello spettacolo, presentato da Alessandro Longobardi per Oti e «L’isola trovata», portano la firma di Asier Sancho. Le luci sono a cura di Daniel Navarro; i costumi sono stati realizzati da Adele Bargilli.
Un po’ «Donne sull’orlo di una crisi di nervi» e un po’ «Sex & The City», la commedia «Il bagno» è, nelle parole degli organizzatori, «un gioco di seduzione, una metafora di vita, un nascondiglio, un lavoro di introspezione e soprattutto un trattato sull'uomo».
La storia, dalle atmosfere almodovariane, ha un ritmo narrativo coinvolgente: è il compleanno di Lucia, detta Lu, e le sue tre migliori amiche -Maria Sole, Angela e Titti- decidono di festeggiarla organizzando un party a sorpresa per i suoi quarant’anni nell’elegante casa del fidanzato. La sorpresa che spiazza tutte è, però, l’arrivo di Carmen, la madre di Lu, una donna leggera, svampita e dalle frequentazioni a dir poco discutibili, con cui la figlia non ha un rapporto ottimale. La festa diventa così una girandola di colpi di scena, rivelazioni inaspettate, riflessioni, ubriacature, malinconie e ammissioni di fallimenti.
Tutta la vicenda si svolge, come suggerisce il titolo stesso dello spettacolo, nel bagno di casa, «spazio -riporta la nota di presentazione- dove ci si può sfogare da soli o insieme, dove ci si può isolare per pochi minuti, dove si può urlare in silenzio o piangere con lacrime sincere».
L’amicizia, la maternità, l’amore, il matrimonio, il tempo che passa, la quotidianità e la ricerca continua di un proprio posto nel mondo sono gli argomenti di cui conversano le cinque donne protagoniste del racconto di Astrid Veillon, mettendoci a confronto con tutte le loro paure, carenze, contraddizioni e con i tanti piccoli segreti che ogni amicizia porta con sé. Uno spettacolo, dunque, leggero ma di riflessione quello diretto da Gabriel Olivares, che sottolinea così il lato psicologico del testo: «qui incontriamo delle donne [...] più comiche che drammatiche, più ridicole che gravi, più assurde che terribili. [...] E davanti ai loro problemi (alcuni banali, altri senza soluzione e risposta) non rimane altro che ridere di noi stessi usando la risata come terapia».
Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2 e 3] Una scena della commedia «Il bagno», con Stefania e Amanda Sandrelli, Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini, per la regia di Gabriel Olivares. Foto: Marina Alessi
Informazioni utili
«Il bagno», commedia con Stefania e Amanda Sandrelli, Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini, per la regia di Gabriel Olivares. Dove: teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Quando: mercoledì 23 novembre 2016, ore 21. Ingresso: € 30,00 poltronissima, € 26,00 (intero) o € 24,00 (ridotto) poltrona, € 25,00 (intero) o € 23,00 (ridotto) galleria. Prevendita on-line: http://cinemateatromanzoni.creaweb.it/generic/scheda.php?id=37009#inside. Botteghino: da mercoledì 16 novembre 2016 | dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Informazioni: info@cinemateatromanzoni.it o tel. 0331.677961 (in orario serale e, da mercoledì 16 novembre, tutti i giorni feriali, dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00). Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.
venerdì 11 novembre 2016
«Minute visioni», un percorso tra i micro mosaici romani
«Il musaico in piccolo è un industrioso e pazientissimo lavoro che ripete la sua origine dall’aver immaginato di filare que’ medesimi smalti di cui si eseguivano i quadri nella basilica di San Pietro». Così nel 1847 lo storico Gaetano Moroni ricostruiva la nascita del mosaico minuto in smalti filati, avvenuta durante la seconda metà del Settecento a Roma, forse per opera di Giacomo Raffaelli (1753-1836), discendente di una famiglia fornitrice di smalti per la Fabbrica di San Pietro, che operò nella sua vita per importanti committenti italiani e stranieri.
Il micro mosaico, riconosciuta come una tecnica artistica tipicamente romana, raggiunse il suo apice negli anni a venire, quando in città operavano decine di botteghe specializzate, la cui produzione era in massima parte destinata ai viaggiatori stranieri del Grand Tour. In questi studi d’arte e negozi di belle arti, per lo più situati tra piazza del Popolo e Piazza di Spagna, operavano numerosissimi artigiani, spesso sotto la guida di maestri affermati come Antonio Aguatti, Clemente Ciuli, Luigi Moglia, Gioacchino e Michelangelo Barberi, Guglielmo Chibel.
Allo sviluppo dell’arte del micromosaico tra Sette e Ottocento è dedicata la mostra «Minute visioni. Micromosaici romani del XVIII e XIX secolo dalla collezione Ars Antiqua Savelli», per la curatela di Maria Grazia Branchetti, Fabio Benedettucci e Marco Pupillo, allestita fino al 31 dicembre al Museo napoleonico di Roma.
L’esposizione allinea un centinaio di oggetti tra quadri, tavoli, tabacchiere, placchette, gioielli e fermacarte, che mostreranno l’evoluzione del mosaico minuto attraverso le tematiche più diffuse: vedute romane, paesaggi del Grand Tour, nature morte e raffigurazioni di animali.
Nei suoi primi anni di esistenza, il micromosaico trovò un naturale spazio nei campi già sperimentati dalla miniatura. Le opere di piccolo formato erano realizzate entro cassine di rame o di pasta vitrea, placchette da montare in gioielli e bottoni, in oggetti quali scatole, cofanetti e tabacchiere, in suppellettili da scrittoio o di arredo come fermacarte, calamai, orologi, vasi. Tra le opere di dimensioni più rilevanti troviamo quadri, fasce decorative per camini, piani di tavolo.
Grande spazio in mostra hanno le vedute dell’Urbe. Roma sacra e Roma profana, strettamente intrecciate nelle manifestazioni visibili della loro storia, rappresentarono la meta per eccellenza del Grand Tour, il viaggio in Italia che accomunò per generazioni l’aristocrazia europea in un’esperienza di studio e di vita. Le grandi campagne di scavo e gli straordinari risultati conseguiti nel corso del Settecento restituirono opere grandiose, e la cultura neoclassica propose un ideale di bellezza che trovò nell’antico il suo modello. Con l’affermarsi del Romanticismo, il fascino per la rovina e il paesaggio aggiunse nuova linfa all’interesse del viaggiatore per la sublime grandezza di antiche vestigia e della realtà che ne conservava le tracce. Contestualmente si sviluppò una vera e propria industria artistica finalizzata alla riproduzione, nelle più diverse tecniche, delle meraviglie dell’arte, del costume e del paesaggio italiano.
Per la prima volta i mosaici saranno presentati in diretta relazione con opere pittoriche e stampe, per lo più provenienti dalle collezioni del Museo di Roma, in un confronto che consentirà al pubblico di cogliere le affinità iconografiche e le identità formali che caratterizzarono la produzione musiva romana e i contemporanei raggiungimenti nel campo delle arti maggiori. Oltre ad evocare riferimenti o inquadrature, è possibile anche riconoscere il prototipo dal quale il mosaico fu tratto, come nel caso dell’acquaforte di Bartolomeo Pinelli raffigurante una coppia di danzatori di saltarello, alla base di una raffinata, minuscola placchetta. Per altre opere, il riferimento è meno diretto, ma ugualmente significativo: con un piccolo quadro in mosaico è messa in relazione una tempera raffigurante piazza San Pietro, datata 1824. Nel foglio, la scena è inquadrata all’interno di una cornice ovale, caratterizzata da tralci d’edera posti ai quattro angoli: il bordo della cornice, realizzato imitando piccole sfere dorate, suggerisce che l’opera possa essere servita da modello per una decorazione in mosaico minuto destinata al coperchio di una scatola o di una tabacchiera.
Tra le opere in mostra si segnalano in piccolo ma raffinatissimo nucleo di micromosaici appartenenti al Museo napoleonico, tra cui due tabacchiere, una parure con placchette in mosaico minuto montate in oro, opera di Antonio Aguatti, un fermacarte in marmo nero del Belgio e una rara serie di pendenti per monili con emblemi della Prima Repubblica Romana.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Antonio Aguatti, Parure con placchette in mosaico minuto; [fig. 2] Allegoria di Roma; [fig. 3] Tavolo con veduta del foro romano; [fig. 4] Scena popolare con stemma di papa Leone XIII
Informazioni utili
«Minute Visioni. Micromosaici romani del XVIII e XIX secolo dalla collezione Ars Antiqua Savelli». Museo napoleonico, piazza di Ponte Umberto I – Roma. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-18.00; 24 e 31 dicembre, ore 10.00-14.00 | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso gratuito. Informazioni: 060608 (tutti i giorni, dalle ore 9.00 alle ore 21.00). Sito internet: www.museonapoleonico.it. Fino al 31 dicembre 2016.
Il micro mosaico, riconosciuta come una tecnica artistica tipicamente romana, raggiunse il suo apice negli anni a venire, quando in città operavano decine di botteghe specializzate, la cui produzione era in massima parte destinata ai viaggiatori stranieri del Grand Tour. In questi studi d’arte e negozi di belle arti, per lo più situati tra piazza del Popolo e Piazza di Spagna, operavano numerosissimi artigiani, spesso sotto la guida di maestri affermati come Antonio Aguatti, Clemente Ciuli, Luigi Moglia, Gioacchino e Michelangelo Barberi, Guglielmo Chibel.
Allo sviluppo dell’arte del micromosaico tra Sette e Ottocento è dedicata la mostra «Minute visioni. Micromosaici romani del XVIII e XIX secolo dalla collezione Ars Antiqua Savelli», per la curatela di Maria Grazia Branchetti, Fabio Benedettucci e Marco Pupillo, allestita fino al 31 dicembre al Museo napoleonico di Roma.
L’esposizione allinea un centinaio di oggetti tra quadri, tavoli, tabacchiere, placchette, gioielli e fermacarte, che mostreranno l’evoluzione del mosaico minuto attraverso le tematiche più diffuse: vedute romane, paesaggi del Grand Tour, nature morte e raffigurazioni di animali.
Nei suoi primi anni di esistenza, il micromosaico trovò un naturale spazio nei campi già sperimentati dalla miniatura. Le opere di piccolo formato erano realizzate entro cassine di rame o di pasta vitrea, placchette da montare in gioielli e bottoni, in oggetti quali scatole, cofanetti e tabacchiere, in suppellettili da scrittoio o di arredo come fermacarte, calamai, orologi, vasi. Tra le opere di dimensioni più rilevanti troviamo quadri, fasce decorative per camini, piani di tavolo.
Grande spazio in mostra hanno le vedute dell’Urbe. Roma sacra e Roma profana, strettamente intrecciate nelle manifestazioni visibili della loro storia, rappresentarono la meta per eccellenza del Grand Tour, il viaggio in Italia che accomunò per generazioni l’aristocrazia europea in un’esperienza di studio e di vita. Le grandi campagne di scavo e gli straordinari risultati conseguiti nel corso del Settecento restituirono opere grandiose, e la cultura neoclassica propose un ideale di bellezza che trovò nell’antico il suo modello. Con l’affermarsi del Romanticismo, il fascino per la rovina e il paesaggio aggiunse nuova linfa all’interesse del viaggiatore per la sublime grandezza di antiche vestigia e della realtà che ne conservava le tracce. Contestualmente si sviluppò una vera e propria industria artistica finalizzata alla riproduzione, nelle più diverse tecniche, delle meraviglie dell’arte, del costume e del paesaggio italiano.
Per la prima volta i mosaici saranno presentati in diretta relazione con opere pittoriche e stampe, per lo più provenienti dalle collezioni del Museo di Roma, in un confronto che consentirà al pubblico di cogliere le affinità iconografiche e le identità formali che caratterizzarono la produzione musiva romana e i contemporanei raggiungimenti nel campo delle arti maggiori. Oltre ad evocare riferimenti o inquadrature, è possibile anche riconoscere il prototipo dal quale il mosaico fu tratto, come nel caso dell’acquaforte di Bartolomeo Pinelli raffigurante una coppia di danzatori di saltarello, alla base di una raffinata, minuscola placchetta. Per altre opere, il riferimento è meno diretto, ma ugualmente significativo: con un piccolo quadro in mosaico è messa in relazione una tempera raffigurante piazza San Pietro, datata 1824. Nel foglio, la scena è inquadrata all’interno di una cornice ovale, caratterizzata da tralci d’edera posti ai quattro angoli: il bordo della cornice, realizzato imitando piccole sfere dorate, suggerisce che l’opera possa essere servita da modello per una decorazione in mosaico minuto destinata al coperchio di una scatola o di una tabacchiera.
Tra le opere in mostra si segnalano in piccolo ma raffinatissimo nucleo di micromosaici appartenenti al Museo napoleonico, tra cui due tabacchiere, una parure con placchette in mosaico minuto montate in oro, opera di Antonio Aguatti, un fermacarte in marmo nero del Belgio e una rara serie di pendenti per monili con emblemi della Prima Repubblica Romana.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Antonio Aguatti, Parure con placchette in mosaico minuto; [fig. 2] Allegoria di Roma; [fig. 3] Tavolo con veduta del foro romano; [fig. 4] Scena popolare con stemma di papa Leone XIII
Informazioni utili
«Minute Visioni. Micromosaici romani del XVIII e XIX secolo dalla collezione Ars Antiqua Savelli». Museo napoleonico, piazza di Ponte Umberto I – Roma. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-18.00; 24 e 31 dicembre, ore 10.00-14.00 | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso gratuito. Informazioni: 060608 (tutti i giorni, dalle ore 9.00 alle ore 21.00). Sito internet: www.museonapoleonico.it. Fino al 31 dicembre 2016.
giovedì 10 novembre 2016
Jannis Kounnellis e il teatro di Heiner Müller in mostra a Milano
«Mi piace lavorare per il teatro perché mi piace il teatro, e poi perché era necessario portare sul palcoscenico la stessa rivoluzione che io e i pittori della mia generazione, avevamo portato nella pittura». Così Jannis Kounellis racconta il suo rapporto con il teatro, iniziato nel 1968 con la scena dei sacchi di carbone per lo spettacolo «I testimoni» di Flaminio Bulla, per la regia di Carlo Quartucci, andato in scena al teatro Stabile di Torino.
Da allora l’artista greco, esponente di spicco dell’Arte povera, si è più volte accostato al mondo della scena: nel 1991 ha realizzato i «cani che abbaiano» per il «Mauser» di Heiner Müller, nel 1999 tre grandi treni per l'«Opera Beuys» proposta a Duesseldorf, nel 2000 un sipario di coltelli e una croce rovesciata per «Il Cimarron», con la musica di Hanz Werner Heinze.
L’elenco delle collaborazioni di Jannis Kounellis è proseguito con l’ideazione, nel 2010, di un sipario di pietre legate a corde per il teatro greco di «Elefsina» e con il monumentale sipario «gotico» di lamiere con scranni su tre livelli per il «Loengrin» di Richard Wagner, rappresentato ad Amsterdam nel 2014.
L’ultima sua ideazione per il mondo della scena è del 2015, quando ha lavorato a «Die Hamletmaschine» («La macchina di Amleto»), un dramma postmoderno di Heiner Müller liberamente ispirato all’«Amleto» di William Shakespeare, portato in scena nel dicembre 2015 al Piccolo Teatro d’Europa di Milano.
Il video di questa performance teatrale, realizzata in collaborazione con il regista Theodoros Terzopoulos, è ora in mostra nella sede milanese della Galleria Fumagalli, per la curatela di Annamaria Maggi e Alexandra Papadopulos.
L’opera, realizzata in occasione del ventennale della scomparsa del drammaturgo e poeta tedesco si compone di un’installazione (scena e platea) realizzata dall’artista greco e di una performance nella quale alcuni brani del dramma «Die Hamletmaschine» prendono forma attraverso la voce femminile dell’attrice Sofia Hill, la musica elettronica live di Panagiotis Velianitis e la voce maschile elaborata da Theodoros Terzopoulos.
Il lavoro di Heiner Müller, autore definito negli anni Novanta «il più grande scrittore di teatro vivente», rilegge liberamente l’«Amleto» di Shakespeare, introducendovi anche riferimenti e allusioni al femminismo, al movimento ecologista e al comunismo.
Caratteristica dell’opera, redatta nel 1977, è la frizione della parola poetica con la storia, strutturata in cinque sequenze di monologhi durante i quali il protagonista abbandona il proprio ruolo teatrale per riflettere sul suo essere attore.
L’interprete di «Amleto» si ritrova morbosamente avvinghiato al suo personaggio, alle prese con le proprie passioni e i propri fantasmi. Il suo è un farneticante soliloquio in cui sono messi a nudo, da una parte, l’accantonamento di ogni slancio utopico e, dall’altra, i paradossi della situazione dell’intellettuale moderno, dibattuto tra l’impossibilità di modificare lo stato delle cose e la volontà di trasformarsi in macchina al servizio di chi amministra l’esistente. Il risultato è un racconto frastagliato, senza armonia, come se il mondo interiore dell’interprete del dramma shalespeariano volesse esplodere nell’irruzione accidentale di brandelli di frasi, di suoni appena udibili.
Per questo lavoro Kounellis ha realizzato un’installazione, allo stesso tempo personale e sociale, contro la corruzione e il potere, nel quale compare un Amleto «con la schiena rivolta verso le rovine dell’Europa».
L’artista greco continua così il suo rapporto con il mondo della scena per il quale usa un linguaggio che non è fatto di pennellate, ma di cose vere: i sacchi di carbone, il fuoco, la terra, la lana, i sacchi di juta, le piante, gli animali, rivendicando alla materia artistica una sua verità e un potere di svelamento non privo di rimandi poetici, letterari e simbolici. Una vera e propria drammaturgia, la sua, da intendersi in termini di scrittura scenica, capace di trasformare lo spazio in una «cavità teatrale e umanistica» perché –come afferma lo stesso artista- «è l'uomo il vero punto di vista del teatro, la sua centralità, che a differenza della pittura ha uno svolgimento e una grande immediatezza».
Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Jannis Kounellis, Theodoros Terzopoulos, Die Hamletmaschine di Heiner Müller, Il Piccolo Teatro d’Europa, 2015; [fig. 4] Ritratto di Jannis Kounellis
Informazioni utili
Jannis Kounnellis, Theodoros Terzopoulos. Die Hamletmaschine by Heiner Müller. | Presentazione video della performance. Galleria Fumagalli, via Bonaventura Cavalieri, 6 – Milano. Orari: martedì-sabato, ore 11.00-19.00. Ingresso libero. Informazioni: galleriafumagalli.com o tel. 02.36799285. Sito internet: www.galleriafumagalli.com. Fino al 20 dicembre 2016.
Da allora l’artista greco, esponente di spicco dell’Arte povera, si è più volte accostato al mondo della scena: nel 1991 ha realizzato i «cani che abbaiano» per il «Mauser» di Heiner Müller, nel 1999 tre grandi treni per l'«Opera Beuys» proposta a Duesseldorf, nel 2000 un sipario di coltelli e una croce rovesciata per «Il Cimarron», con la musica di Hanz Werner Heinze.
L’elenco delle collaborazioni di Jannis Kounellis è proseguito con l’ideazione, nel 2010, di un sipario di pietre legate a corde per il teatro greco di «Elefsina» e con il monumentale sipario «gotico» di lamiere con scranni su tre livelli per il «Loengrin» di Richard Wagner, rappresentato ad Amsterdam nel 2014.
L’ultima sua ideazione per il mondo della scena è del 2015, quando ha lavorato a «Die Hamletmaschine» («La macchina di Amleto»), un dramma postmoderno di Heiner Müller liberamente ispirato all’«Amleto» di William Shakespeare, portato in scena nel dicembre 2015 al Piccolo Teatro d’Europa di Milano.
Il video di questa performance teatrale, realizzata in collaborazione con il regista Theodoros Terzopoulos, è ora in mostra nella sede milanese della Galleria Fumagalli, per la curatela di Annamaria Maggi e Alexandra Papadopulos.
L’opera, realizzata in occasione del ventennale della scomparsa del drammaturgo e poeta tedesco si compone di un’installazione (scena e platea) realizzata dall’artista greco e di una performance nella quale alcuni brani del dramma «Die Hamletmaschine» prendono forma attraverso la voce femminile dell’attrice Sofia Hill, la musica elettronica live di Panagiotis Velianitis e la voce maschile elaborata da Theodoros Terzopoulos.
Il lavoro di Heiner Müller, autore definito negli anni Novanta «il più grande scrittore di teatro vivente», rilegge liberamente l’«Amleto» di Shakespeare, introducendovi anche riferimenti e allusioni al femminismo, al movimento ecologista e al comunismo.
Caratteristica dell’opera, redatta nel 1977, è la frizione della parola poetica con la storia, strutturata in cinque sequenze di monologhi durante i quali il protagonista abbandona il proprio ruolo teatrale per riflettere sul suo essere attore.
L’interprete di «Amleto» si ritrova morbosamente avvinghiato al suo personaggio, alle prese con le proprie passioni e i propri fantasmi. Il suo è un farneticante soliloquio in cui sono messi a nudo, da una parte, l’accantonamento di ogni slancio utopico e, dall’altra, i paradossi della situazione dell’intellettuale moderno, dibattuto tra l’impossibilità di modificare lo stato delle cose e la volontà di trasformarsi in macchina al servizio di chi amministra l’esistente. Il risultato è un racconto frastagliato, senza armonia, come se il mondo interiore dell’interprete del dramma shalespeariano volesse esplodere nell’irruzione accidentale di brandelli di frasi, di suoni appena udibili.
Per questo lavoro Kounellis ha realizzato un’installazione, allo stesso tempo personale e sociale, contro la corruzione e il potere, nel quale compare un Amleto «con la schiena rivolta verso le rovine dell’Europa».
L’artista greco continua così il suo rapporto con il mondo della scena per il quale usa un linguaggio che non è fatto di pennellate, ma di cose vere: i sacchi di carbone, il fuoco, la terra, la lana, i sacchi di juta, le piante, gli animali, rivendicando alla materia artistica una sua verità e un potere di svelamento non privo di rimandi poetici, letterari e simbolici. Una vera e propria drammaturgia, la sua, da intendersi in termini di scrittura scenica, capace di trasformare lo spazio in una «cavità teatrale e umanistica» perché –come afferma lo stesso artista- «è l'uomo il vero punto di vista del teatro, la sua centralità, che a differenza della pittura ha uno svolgimento e una grande immediatezza».
Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Jannis Kounellis, Theodoros Terzopoulos, Die Hamletmaschine di Heiner Müller, Il Piccolo Teatro d’Europa, 2015; [fig. 4] Ritratto di Jannis Kounellis
Informazioni utili
Jannis Kounnellis, Theodoros Terzopoulos. Die Hamletmaschine by Heiner Müller. | Presentazione video della performance. Galleria Fumagalli, via Bonaventura Cavalieri, 6 – Milano. Orari: martedì-sabato, ore 11.00-19.00. Ingresso libero. Informazioni: galleriafumagalli.com o tel. 02.36799285. Sito internet: www.galleriafumagalli.com. Fino al 20 dicembre 2016.
mercoledì 9 novembre 2016
Le foto di Ai Weiwei in mostra a Torino
È una delle figure più discusse e controverse del mondo dell’arte. Stiamo parlando di Ai Weiwei (Pechino, 28 agosto 1957), artista, designer e attivista politico cinese, diventato una vera e propria icona del mondo asiatico per la sua lotta a favore della libertà d’espressione. Mentre Firenze ne celebra l’arte con una mostra monografica a Palazzo Strozzi, che sta facendo discutere per la serie di gommoni posizionati sulla facciata del museo a ricordare il dramma dei profughi, Torino ne ripercorre la poetica artistica e il ruolo nel dibattito culturale internazionale con la rassegna «Around Ai Weiwei: Photographs 1983-2016».
L’esposizione, allestita fino al 12 febbraio a Camera – Centro italiano per la fotografia, include materiali fotografici e video, tra cui alcuni documenti inediti, a partire dall’autoritratto «The Forbidden City during the SARS Epidemic», una sorta di selfie ante litteram, datato 2003, nel quale l’artista è solo all’interno della «città proibita» di Pechino, svuotata dall’epidemia che isolò la Cina dal resto del mondo per sei mesi, riducendo a città fantasma moltissimi tra villaggi e cittadine.
All’ingresso della mostra, a cura di Davide Quadrio, il visitatore è posto di fronte all’opera monumentale «Soft Ground», un tappeto lungo quarantacinque metri con una riproduzione fotografica in scala 1:1 delle tracce lasciate da carri armati su una carreggiata a sud-ovest di Pechino. Il lavoro vuole ricordare la crisi di Piazza Tienanmen del 1989, momento chiave nella storia contemporanea della Cina e del mondo intero che ha influenzato e ancora influenza la produzione artistica cinese.
A partire da qui il percorso si sviluppa in modo cronologico e per capitoli tematici. Accanto ai segni dei cingolati di piazza Tienanmen, scorre la vita di Ai Weiwei nel contesto newyorkese con una serie di fotografie intitolate «New York Photographs 1983-1993»: ottanta scatti, come fermi immagine di un film in bianco e nero, restituiscono una sequenza di momenti privati e incontri che l'artista fece quando visse negli Stati Uniti.
Nel 1994 l’artista torna in Cina e realizzata una rara video-intervista con Daria Menozzi, «Before Ai Weiwei» («Prima di Ai Weiwei»), montata nel 2009, che lo mostra coinvolto in un dialogo intimo teso a ricostruire uno scorcio dei primi anni del suo ritorno in patria dopo il soggiorno americano.
Pressoché inedita è anche la serie «Beijing Photographs 1993-2003» («Fotografie di Pechino, 1993-2003») che ritrae la vita, le azioni e l’entourage di Ai Weiwei appena prima del rapido processo di trasformazione che avrebbe reso Pechino la città globale di oggi. Attraverso i progetti editoriali dell'artista, tra i quali spicca la serie «Black Cover Book, White Cover Book e Grey Cover Book», viene offerta -si legge nella nota stampa- una visione progressista su un’ampia gamma di questioni culturali.
Le due opere video «Chang’an Boulevard» («Viale Chang’an») e «Beijing: The Second Ring» («Pechino: il secondo anello») descrivono, invece, lo scenario della capitale cinese nei primi anni Duemila. Attraverso riprese di paesaggi urbani e frammenti di vita, vengono documentate le radicali trasformazioni che investono Pechino, dissezionando e indagando una città in continua metamorfosi.
L’ultima sezione della mostra offre un’anteprima di uno degli ultimi progetti di Ai Weiwei: «Refugee Wallpaper», un collage di oltre 17.000 immagini scattate dall'artista durante il suo continuo contatto con l’emergenza rifugiati che si sta dispiegando in Europa, in Medio Oriente e altrove. Questa serie sembra voler far interrogare il pubblico sulle implicazioni dell’attivismo dell’artista: all’interno dei confini divenuti fragili sotto il peso degli eventi globali e della politica internazionale, il dramma della migrazione diviene spettacolo come tutto il resto.
«Qui, la voce dell’artista riempie il vuoto creato dal silenzio di migliaia di persone –spiega Davide Quadrio- tuttavia, al tempo stesso siamo testimoni di una conseguente ossessiva azione di voyeurismo che provoca un senso di disagio. Questa enorme produzione di immagini ci porta a vedere e a capire di più o di meno? Tanti anni dopo la sua serie di autoritratti, che cosa rimane e che cosa è cambiato nell’approccio dell’artista nei confronti dell’autorappresentazione?». L’omaggio che la città di Torino fa all’artista termina al Castello di Rivoli, dove è visibile la monumentale installazione di «Ai Weiwei Fragments» (2005), potente metafora della realtà odierna e della fragilità che si cela dietro alle manifestazioni di potere.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ai Weiwei, Beijing Photographs 1993-2003, The Forbidden City during the SARS Epidemic, 2003. Courtesy of Ai Weiwei Studio; [fig. 2] Ai Weiwei, Beijing Photographs 1993-2003, Last dinner in East Village, 1994. Courtesy of Ai Weiwei Studio; [fig. 3] Ai Weiwei, Lesvos, 27 January 2016. Courtesy of Ai Weiwei Studio
Informazioni utili
Around Ai Weiwei Photographs 1983-2016. CAMERA – Centro italiano per la fotografia, via delle Rosine 18 - Torino. Orari: lunedì, mercoledì e da venerdì a domenica, ore 11.00-19.00; giovedì, ore 11.00-21.00; chiuso il martedì | Ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 6,00, gratuito per i bambini fino ai 12 anni e per i possessori della Torino+Piemonte Card.Informazioni: camera@camera.to. Sito internet: www.camera.to. Fino al 12 febbraio 2017.
L’esposizione, allestita fino al 12 febbraio a Camera – Centro italiano per la fotografia, include materiali fotografici e video, tra cui alcuni documenti inediti, a partire dall’autoritratto «The Forbidden City during the SARS Epidemic», una sorta di selfie ante litteram, datato 2003, nel quale l’artista è solo all’interno della «città proibita» di Pechino, svuotata dall’epidemia che isolò la Cina dal resto del mondo per sei mesi, riducendo a città fantasma moltissimi tra villaggi e cittadine.
All’ingresso della mostra, a cura di Davide Quadrio, il visitatore è posto di fronte all’opera monumentale «Soft Ground», un tappeto lungo quarantacinque metri con una riproduzione fotografica in scala 1:1 delle tracce lasciate da carri armati su una carreggiata a sud-ovest di Pechino. Il lavoro vuole ricordare la crisi di Piazza Tienanmen del 1989, momento chiave nella storia contemporanea della Cina e del mondo intero che ha influenzato e ancora influenza la produzione artistica cinese.
A partire da qui il percorso si sviluppa in modo cronologico e per capitoli tematici. Accanto ai segni dei cingolati di piazza Tienanmen, scorre la vita di Ai Weiwei nel contesto newyorkese con una serie di fotografie intitolate «New York Photographs 1983-1993»: ottanta scatti, come fermi immagine di un film in bianco e nero, restituiscono una sequenza di momenti privati e incontri che l'artista fece quando visse negli Stati Uniti.
Nel 1994 l’artista torna in Cina e realizzata una rara video-intervista con Daria Menozzi, «Before Ai Weiwei» («Prima di Ai Weiwei»), montata nel 2009, che lo mostra coinvolto in un dialogo intimo teso a ricostruire uno scorcio dei primi anni del suo ritorno in patria dopo il soggiorno americano.
Pressoché inedita è anche la serie «Beijing Photographs 1993-2003» («Fotografie di Pechino, 1993-2003») che ritrae la vita, le azioni e l’entourage di Ai Weiwei appena prima del rapido processo di trasformazione che avrebbe reso Pechino la città globale di oggi. Attraverso i progetti editoriali dell'artista, tra i quali spicca la serie «Black Cover Book, White Cover Book e Grey Cover Book», viene offerta -si legge nella nota stampa- una visione progressista su un’ampia gamma di questioni culturali.
Le due opere video «Chang’an Boulevard» («Viale Chang’an») e «Beijing: The Second Ring» («Pechino: il secondo anello») descrivono, invece, lo scenario della capitale cinese nei primi anni Duemila. Attraverso riprese di paesaggi urbani e frammenti di vita, vengono documentate le radicali trasformazioni che investono Pechino, dissezionando e indagando una città in continua metamorfosi.
L’ultima sezione della mostra offre un’anteprima di uno degli ultimi progetti di Ai Weiwei: «Refugee Wallpaper», un collage di oltre 17.000 immagini scattate dall'artista durante il suo continuo contatto con l’emergenza rifugiati che si sta dispiegando in Europa, in Medio Oriente e altrove. Questa serie sembra voler far interrogare il pubblico sulle implicazioni dell’attivismo dell’artista: all’interno dei confini divenuti fragili sotto il peso degli eventi globali e della politica internazionale, il dramma della migrazione diviene spettacolo come tutto il resto.
«Qui, la voce dell’artista riempie il vuoto creato dal silenzio di migliaia di persone –spiega Davide Quadrio- tuttavia, al tempo stesso siamo testimoni di una conseguente ossessiva azione di voyeurismo che provoca un senso di disagio. Questa enorme produzione di immagini ci porta a vedere e a capire di più o di meno? Tanti anni dopo la sua serie di autoritratti, che cosa rimane e che cosa è cambiato nell’approccio dell’artista nei confronti dell’autorappresentazione?». L’omaggio che la città di Torino fa all’artista termina al Castello di Rivoli, dove è visibile la monumentale installazione di «Ai Weiwei Fragments» (2005), potente metafora della realtà odierna e della fragilità che si cela dietro alle manifestazioni di potere.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ai Weiwei, Beijing Photographs 1993-2003, The Forbidden City during the SARS Epidemic, 2003. Courtesy of Ai Weiwei Studio; [fig. 2] Ai Weiwei, Beijing Photographs 1993-2003, Last dinner in East Village, 1994. Courtesy of Ai Weiwei Studio; [fig. 3] Ai Weiwei, Lesvos, 27 January 2016. Courtesy of Ai Weiwei Studio
Informazioni utili
Around Ai Weiwei Photographs 1983-2016. CAMERA – Centro italiano per la fotografia, via delle Rosine 18 - Torino. Orari: lunedì, mercoledì e da venerdì a domenica, ore 11.00-19.00; giovedì, ore 11.00-21.00; chiuso il martedì | Ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 6,00, gratuito per i bambini fino ai 12 anni e per i possessori della Torino+Piemonte Card.Informazioni: camera@camera.to. Sito internet: www.camera.to. Fino al 12 febbraio 2017.
martedì 8 novembre 2016
24 Ore Cultura, Frida Kahlo in una graphic novel di Vanna Vinci
Donna dalla personalità molto forte, indipendente e passionale, riluttante nei confronti delle convenzioni sociali, Frida Kahlo è una di quelle figure femminili che ha lasciato un contributo significato nella storia dell’arte del secolo scorso, ma che è nota al grande pubblico soprattutto per le tante sfumature della sua vita, dall’amore tormentato con il pittore muralista Diego Rivera alla sofferenza fisica causata da un terribile incidente occorsole all’età di 17 anni.
L’artista messicana, al centro in questi giorni di una bella mostra retrospettiva al Palazzo Albergati di Bologna, è protagonista anche di una graphic novel, in uscita il prossimo 10 novembre per i tipi di 24 Ore Cultura, disegnata da Vanna Vinci, la “mamma” della sulfurea e ribelle «bambina filosofica» a cui nel 2015 è stato dedicato un affresco di dodici metri a Bruxelles, di fronte all’ambasciata italiana.
Dopo il lavoro su Tamara de Lempicka, la poliedrica fumettista cagliaritana, vincitrice nel 2015 del premio Boscarato e quest’anno del premio Forte dei Marmi per la satira politica, si, dunque, è confrontata, attraverso la sua matita e il suo inconfondibile segno, con un’altra artista misteriosa e trasgressiva. Ne è nato il volume «Frida. Operetta amorale a fumetti»: una sorta di autobiografia, che racconta la vita di Frida Kahlo in «una sorta dialogo a due voci con la morte, -si legge nella scheda di presentazione- compagna vicinissima di un’esistenza trascorsa tra amori brucianti e sconvolgenti dolori, aborti spontanei e prolifico talento, gioia di vivere e tentativi di suicidio».
Per realizzare questa graphic novel, Vanna Vinci si è ispirata alle «Operette morali» di Leopardi e ai «Dialoghi di Eupalinos o l’architetto, L’anima e la danza e Dialogo dell’albero» di Paul Valéry.
Il risultato è un diario a fumetti che ricompone i fatti e i sentimenti vissuti dall'artista latina, dall’infanzia messicana ai soggiorni negli Stati Uniti, dal leggendario matrimonio con Diego Rivera alla scoperta della passione per la pittura, trasformata in specchio dell’interiorità. «Il libro –si legge ancora nella scheda di presentazione- alterna le sequenze a fumetti alle tavole disegnate con un ritmo libero, ispirate al mondo concreto di Frida Kahlo, così come al suo immaginario, popolato di ricordi e animali: scimmiette, pappagalli, simboli comunisti, foto di famiglia, protesi e busti, abiti tradizionali e personaggi folkloristici».
Il volume «Frida. Operetta amorale a fumetti» si inserisce in un più ampio progetto sull'artista messicana che, nella primavera del 2018, vedrà 24 Ore Cultura portare al Mudec di Milano una grande mostra monografica, nella quale saranno unite per la prima volta in Italia le due più grandi collezioni sull'arte di Frida Kahlo, quella di Dolores Olmedo e quella di Jacques e Natasha Gelman.
Informazioni utili
Vanni Vinci, «Frida. Operetta amorale a fumetti», 24 Ore Cultura, Milano 2016. Dati tecnici: 20 x 26 cm | 160 pagine illustrate | Cartonato. Prezzo: € 22,90. In uscita il 10 novembre 2016. Informazioni: www.24orecultura.com
L’artista messicana, al centro in questi giorni di una bella mostra retrospettiva al Palazzo Albergati di Bologna, è protagonista anche di una graphic novel, in uscita il prossimo 10 novembre per i tipi di 24 Ore Cultura, disegnata da Vanna Vinci, la “mamma” della sulfurea e ribelle «bambina filosofica» a cui nel 2015 è stato dedicato un affresco di dodici metri a Bruxelles, di fronte all’ambasciata italiana.
Dopo il lavoro su Tamara de Lempicka, la poliedrica fumettista cagliaritana, vincitrice nel 2015 del premio Boscarato e quest’anno del premio Forte dei Marmi per la satira politica, si, dunque, è confrontata, attraverso la sua matita e il suo inconfondibile segno, con un’altra artista misteriosa e trasgressiva. Ne è nato il volume «Frida. Operetta amorale a fumetti»: una sorta di autobiografia, che racconta la vita di Frida Kahlo in «una sorta dialogo a due voci con la morte, -si legge nella scheda di presentazione- compagna vicinissima di un’esistenza trascorsa tra amori brucianti e sconvolgenti dolori, aborti spontanei e prolifico talento, gioia di vivere e tentativi di suicidio».
Per realizzare questa graphic novel, Vanna Vinci si è ispirata alle «Operette morali» di Leopardi e ai «Dialoghi di Eupalinos o l’architetto, L’anima e la danza e Dialogo dell’albero» di Paul Valéry.
Il risultato è un diario a fumetti che ricompone i fatti e i sentimenti vissuti dall'artista latina, dall’infanzia messicana ai soggiorni negli Stati Uniti, dal leggendario matrimonio con Diego Rivera alla scoperta della passione per la pittura, trasformata in specchio dell’interiorità. «Il libro –si legge ancora nella scheda di presentazione- alterna le sequenze a fumetti alle tavole disegnate con un ritmo libero, ispirate al mondo concreto di Frida Kahlo, così come al suo immaginario, popolato di ricordi e animali: scimmiette, pappagalli, simboli comunisti, foto di famiglia, protesi e busti, abiti tradizionali e personaggi folkloristici».
Il volume «Frida. Operetta amorale a fumetti» si inserisce in un più ampio progetto sull'artista messicana che, nella primavera del 2018, vedrà 24 Ore Cultura portare al Mudec di Milano una grande mostra monografica, nella quale saranno unite per la prima volta in Italia le due più grandi collezioni sull'arte di Frida Kahlo, quella di Dolores Olmedo e quella di Jacques e Natasha Gelman.
Informazioni utili
Vanni Vinci, «Frida. Operetta amorale a fumetti», 24 Ore Cultura, Milano 2016. Dati tecnici: 20 x 26 cm | 160 pagine illustrate | Cartonato. Prezzo: € 22,90. In uscita il 10 novembre 2016. Informazioni: www.24orecultura.com
lunedì 7 novembre 2016
In arrivo al Palladio Museum di Vicenza un disegno rinascimentale del Peruzzi
L’Italia riconquista uno dei capolavori del proprio Rinascimento. Sta per ritornare in Italia un prezioso disegno dell’architetto e pittore Baldassarre Peruzzi (1481-1536), facente parte della collezione privata del celebre critico d’arte inglese Brian Sewell. Il foglio, battuto all’asta lo scorso 27 settembre dalla londinese Christie’s, è stato acquisito da un privato, che ha voluto restare anonimo, per essere destinato al Palladium Museum di Vicenza, dove, al suo arrivo, verrà omaggiato con una piccola mostra monografica.
Non si ha memoria di altri disegni di Peruzzi di questa importanza posti sul mercato nelle aste internazionali, tanto che l’aggiudicazione è avvenuta dopo un’accanita battaglia con molti rilanci che hanno spinto il prezzo dagli iniziali centomila dollari a mezzo milione (tasse escluse). Da tempo una istituzione culturale italiana non riusciva a far tornare a casa un pezzo tanto pregiato del patrimonio artistico del nostro Paese.
A detta di Michelangelo, Cellini e Giorgio Vasari, Baldassarre Peruzzi fu fra i migliori architetti, disegnatori di architettura e teorici della prospettiva del suo tempo. I suoi scritti, oggi perduti, formarono la base per i trattati di Sebastiano Serlio, vale a dire i manuali che diffusero la nuova architettura rinascimentale in Italia e in tutta Europa. Ancora oggi possiamo ammirare diversi edifici costruiti di Peruzzi: da villa Farnesina sul Lungotevere a Roma (di cui realizzò anche gli affreschi) a interventi a Siena e Carpi sino al suo capolavoro, Palazzo Massimo alle Colonne a Roma, celebre per la geniale invenzione della facciata ricurva.
Il disegno acquisito fu tracciato da Baldassare Peruzzi al suo ritorno in patria, a Siena, dopo il Sacco di Roma del 1527. Si tratta di un progetto per un banco monumentale dal quale alti funzionari del governo della Repubblica di Siena potessero esercitare le proprie funzioni, un elemento da collocare nel piccolo ambiente chiamato «La Cancelleria», all’interno del Palazzo pubblico senese (un progetto planimetrico di Peruzzi per questa sala è conservato agli Uffizi). Le figure inserite nell’imponente schienale rappresentano uomini famosi (da Ercole ad Attilio Regolo), richiamando il mito dell’antico passato di Siena. Il disegno è, quindi, anche un ricordo del filone repubblicano della grande storia politica d’Italia.
Il foglio è di grande formato, maggiore della media dei disegni dell’artista oggi conservati soprattutto agli Uffizi, ma anche al Louvre, al British Museum e all’Ashmolean Museum di Oxford.
«È uno dei più bei disegni di Peruzzi –dichiara lo studioso tedesco Christoph L. Frommel, accademico dei Lincei e autore delle principali monografie sull’artista– e non ho memoria che un’opera del genere sia mai apparsa sul mercato da decenni. E’ un foglio particolarmente prezioso perché dimostra la straordinaria abilità di Peruzzi sia come disegnatore di figure che come disegnatore di architettura».
ll disegno è anche prova del suo modo geniale di servirsi della prospettiva (forse imparato da Leonardo da Vinci, incontrato a Roma) per creare l’equivalente di un moderno modello 3D virtuale. «Sono molto soddisfatto dell’acquisizione alle nostre collezioni – dichiara Howard Burns, presidente del consiglio scientifico del Cisa Andrea Palladio, di cui il Palladio Museum è emanazione – perché fra i nostri scopi abbiamo sempre avuto non solo lo studio e la valorizzazione di disegni di architettura, ma anche acquisizioni e depositi presso di noi. Una scelta premiata in questi giorni anche dalla donazione della storica raccolta di disegni di architettura della famiglia Papafava, vera antologia dei disegni dei migliori architetti italiani attorno all’anno 1800».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Baldassare Peruzzi nelle «Vite» del Vasari; [fig. 2] Baldassare Peruzzi, «Progetto per un banco con nicchie contenenti figure di personaggi antichi (da sinistra a destra: un giovane non identificato, Marco Attilio Regolo, Ercole, Lucio Giunio Bruto e forse Giulio Cesare) ». Pietra rossa e nera, penna e inchiostro marrone, pennello e acquarello marrone e grigio. Mm19.7 x 48.3 cm; [fig. 3] Ingresso del Palladio Museum di Vicenza
Informazioni utili
www.palladiummuseum.org
Non si ha memoria di altri disegni di Peruzzi di questa importanza posti sul mercato nelle aste internazionali, tanto che l’aggiudicazione è avvenuta dopo un’accanita battaglia con molti rilanci che hanno spinto il prezzo dagli iniziali centomila dollari a mezzo milione (tasse escluse). Da tempo una istituzione culturale italiana non riusciva a far tornare a casa un pezzo tanto pregiato del patrimonio artistico del nostro Paese.
A detta di Michelangelo, Cellini e Giorgio Vasari, Baldassarre Peruzzi fu fra i migliori architetti, disegnatori di architettura e teorici della prospettiva del suo tempo. I suoi scritti, oggi perduti, formarono la base per i trattati di Sebastiano Serlio, vale a dire i manuali che diffusero la nuova architettura rinascimentale in Italia e in tutta Europa. Ancora oggi possiamo ammirare diversi edifici costruiti di Peruzzi: da villa Farnesina sul Lungotevere a Roma (di cui realizzò anche gli affreschi) a interventi a Siena e Carpi sino al suo capolavoro, Palazzo Massimo alle Colonne a Roma, celebre per la geniale invenzione della facciata ricurva.
Il disegno acquisito fu tracciato da Baldassare Peruzzi al suo ritorno in patria, a Siena, dopo il Sacco di Roma del 1527. Si tratta di un progetto per un banco monumentale dal quale alti funzionari del governo della Repubblica di Siena potessero esercitare le proprie funzioni, un elemento da collocare nel piccolo ambiente chiamato «La Cancelleria», all’interno del Palazzo pubblico senese (un progetto planimetrico di Peruzzi per questa sala è conservato agli Uffizi). Le figure inserite nell’imponente schienale rappresentano uomini famosi (da Ercole ad Attilio Regolo), richiamando il mito dell’antico passato di Siena. Il disegno è, quindi, anche un ricordo del filone repubblicano della grande storia politica d’Italia.
Il foglio è di grande formato, maggiore della media dei disegni dell’artista oggi conservati soprattutto agli Uffizi, ma anche al Louvre, al British Museum e all’Ashmolean Museum di Oxford.
«È uno dei più bei disegni di Peruzzi –dichiara lo studioso tedesco Christoph L. Frommel, accademico dei Lincei e autore delle principali monografie sull’artista– e non ho memoria che un’opera del genere sia mai apparsa sul mercato da decenni. E’ un foglio particolarmente prezioso perché dimostra la straordinaria abilità di Peruzzi sia come disegnatore di figure che come disegnatore di architettura».
ll disegno è anche prova del suo modo geniale di servirsi della prospettiva (forse imparato da Leonardo da Vinci, incontrato a Roma) per creare l’equivalente di un moderno modello 3D virtuale. «Sono molto soddisfatto dell’acquisizione alle nostre collezioni – dichiara Howard Burns, presidente del consiglio scientifico del Cisa Andrea Palladio, di cui il Palladio Museum è emanazione – perché fra i nostri scopi abbiamo sempre avuto non solo lo studio e la valorizzazione di disegni di architettura, ma anche acquisizioni e depositi presso di noi. Una scelta premiata in questi giorni anche dalla donazione della storica raccolta di disegni di architettura della famiglia Papafava, vera antologia dei disegni dei migliori architetti italiani attorno all’anno 1800».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Baldassare Peruzzi nelle «Vite» del Vasari; [fig. 2] Baldassare Peruzzi, «Progetto per un banco con nicchie contenenti figure di personaggi antichi (da sinistra a destra: un giovane non identificato, Marco Attilio Regolo, Ercole, Lucio Giunio Bruto e forse Giulio Cesare) ». Pietra rossa e nera, penna e inchiostro marrone, pennello e acquarello marrone e grigio. Mm19.7 x 48.3 cm; [fig. 3] Ingresso del Palladio Museum di Vicenza
Informazioni utili
www.palladiummuseum.org
venerdì 4 novembre 2016
Grazia Toderi e Orhan Pamuk, un dialogo tra stelle e parole
Arte visiva e scrittura si incontrano a Torino. E il connubio è destinato a far parlare di sé. Nei giorni di «Artissima», la città della Mole ospita un’anteprima della mostra che il Mart – Museo d’arte moderna di Trento e Rovereto dedicherà, dal prossimo aprile, al progetto che ha recentemente visto collaborare lo scrittore turco Orhan Pamuk e l’artista italiana Grazia Toderi per la realizzazione di un’opera per il Museo dell’Innocenza di Istanbul, ideato dallo stesso Orhan Pamuk.
In tre anni di lavoro, dal 2013 al 2016, le conversazioni, gli incontri e l’intenso scambio di corrispondenza tra i due autori hanno portato alla realizzazione di una trilogia costituita da un monologo, un dialogo e una conversazione- per un totale di otto proiezioni video- , che saranno al centro, la prossima primavera, di una esposizione curata da Gianfranco Maraniello per il Mart.
Grazie alla collaborazione con Infini.to – Planetario di Torino, il moderno science centre sulla collina a pochi chilometri dal capoluogo piemontese, il progetto si arricchisce di un’opera realizzata specificamente per lo spazio della cupola. Il lavoro, presentato al pubblico il 5 e 6 novembre 2016, ha l’aspetto di una proiezione video a 360 gradi su schermo emisferico. Il pubblico si trova all’interno di un globo nel contempo celeste e terrestre, dagli incerti confini, dove la scrittura di Orhan Pamuk appare e scompare sullo sfondo notturno della città di Istanbul, le cui luci si trasformano in possibili costellazioni nelle immagini create da Grazia Toderi.
In contemporanea, e fino al prossimo 16 gennaio, Torino ospita, negli spazi di Palazzo Madama, anche un piccolo ma raffinato intervento installativo, a cura di Guido Curto e Clelia Arnaldi di Balme. Grazia Toderi e Orhan Pamuk dialogano, qui, con un’opera d’arte antica dell’ebanista Pietro Piffetti (Torino 1701 – 1777): un piccolo planetario realizzato in legno e avorio a metà del 1700, raffigurante le orbite in movimento tra Sole, Terra, Luna e pianeti e con tutt’intorno figure raffiguranti i segni zodiacali.
Il planetario, composto da elementi mobili, fu costruito dall’ebanista piemontese sulla base delle indicazioni a lui fornite dal fisico francese Jean-Antoine Nollet, chiamato a Torino per sei mesi nel 1739 a tenere un corso di fisica per il principe Vittorio Amedeo, figlio di Carlo Emanuele III di Savoia e futuro re di Sardegna.
Grazia Toderi e Orhan Pamuk hanno inserito tridimensionalmente e racchiuso in una grande teca che hanno posto nella Sala del Senato otto immagini dalla forma circolare e ovale da avvicinare al piccolo planetario ligneo, scegliendo di lasciarlo smontato così come è stato ritrovato (in futuro sarà restaurato), per sottolinearne la natura fortemente enigmatica, come enigmatica rimane la visione delle stelle.
Queste due mostre offrono una prima occasione per avvicinarsi al progetto «Words and Stars», che riprende e sviluppa la trama del «Museo dell’Innocenza», romanzo pubblicato dallo scrittore turco nel 2008, a cui è seguita la creazione del museo vero e proprio a Istanbul nel 2012. I due protagonisti, che vivono un amore contrastato, tornano bambini ponendosi domande esistenziali sull’universo: possono i nostri pensieri essere confrontati a lontane stelle in movimento? Esiste un collegamento visivo tra i paesaggi della nostra mente e il cielo sopra alle città? Questi stessi interrogativi costituiscono il punto di partenza della collaborazione tra Grazia Toderi e Orhan Pamuk, una collaborazione che unisce arte e letteratura, stelle e parole, per raccontare il nostro essere infinitamente piccoli.
Informazioni utili
Grazia Toderi e Orhan Pamuk. Words and Stars. Palazzo Madama, piazza Castello – Torino | Infini.to - Planetario di Torino, Museo dell’astronomia e dello spazio, via Osservatorio, 30 – Pino Torinese (Torino). Orari: Palazzo Madama, ore 10.00-18.00; chiuso il martedì - inaugurazione venerdì 4 novembre, dalle ore 17.00 alle 19.00 | Planetario, 5 e 6 novembre 2016 - proiezione alle ore 18.30, 19.00 e 19.30. Informazioni: palazzomadama@fondazionetorinomusei.it o tel 011 4433501 | info@planetarioditorino.it, tel 011.8118740 (martedì-venerdì, ore 10.00-15.00). Sito internet: www.palazzomadamatorino.it | www.planetarioditorino.it. Fino al 16 gennaio 2017.
In tre anni di lavoro, dal 2013 al 2016, le conversazioni, gli incontri e l’intenso scambio di corrispondenza tra i due autori hanno portato alla realizzazione di una trilogia costituita da un monologo, un dialogo e una conversazione- per un totale di otto proiezioni video- , che saranno al centro, la prossima primavera, di una esposizione curata da Gianfranco Maraniello per il Mart.
Grazie alla collaborazione con Infini.to – Planetario di Torino, il moderno science centre sulla collina a pochi chilometri dal capoluogo piemontese, il progetto si arricchisce di un’opera realizzata specificamente per lo spazio della cupola. Il lavoro, presentato al pubblico il 5 e 6 novembre 2016, ha l’aspetto di una proiezione video a 360 gradi su schermo emisferico. Il pubblico si trova all’interno di un globo nel contempo celeste e terrestre, dagli incerti confini, dove la scrittura di Orhan Pamuk appare e scompare sullo sfondo notturno della città di Istanbul, le cui luci si trasformano in possibili costellazioni nelle immagini create da Grazia Toderi.
In contemporanea, e fino al prossimo 16 gennaio, Torino ospita, negli spazi di Palazzo Madama, anche un piccolo ma raffinato intervento installativo, a cura di Guido Curto e Clelia Arnaldi di Balme. Grazia Toderi e Orhan Pamuk dialogano, qui, con un’opera d’arte antica dell’ebanista Pietro Piffetti (Torino 1701 – 1777): un piccolo planetario realizzato in legno e avorio a metà del 1700, raffigurante le orbite in movimento tra Sole, Terra, Luna e pianeti e con tutt’intorno figure raffiguranti i segni zodiacali.
Il planetario, composto da elementi mobili, fu costruito dall’ebanista piemontese sulla base delle indicazioni a lui fornite dal fisico francese Jean-Antoine Nollet, chiamato a Torino per sei mesi nel 1739 a tenere un corso di fisica per il principe Vittorio Amedeo, figlio di Carlo Emanuele III di Savoia e futuro re di Sardegna.
Grazia Toderi e Orhan Pamuk hanno inserito tridimensionalmente e racchiuso in una grande teca che hanno posto nella Sala del Senato otto immagini dalla forma circolare e ovale da avvicinare al piccolo planetario ligneo, scegliendo di lasciarlo smontato così come è stato ritrovato (in futuro sarà restaurato), per sottolinearne la natura fortemente enigmatica, come enigmatica rimane la visione delle stelle.
Queste due mostre offrono una prima occasione per avvicinarsi al progetto «Words and Stars», che riprende e sviluppa la trama del «Museo dell’Innocenza», romanzo pubblicato dallo scrittore turco nel 2008, a cui è seguita la creazione del museo vero e proprio a Istanbul nel 2012. I due protagonisti, che vivono un amore contrastato, tornano bambini ponendosi domande esistenziali sull’universo: possono i nostri pensieri essere confrontati a lontane stelle in movimento? Esiste un collegamento visivo tra i paesaggi della nostra mente e il cielo sopra alle città? Questi stessi interrogativi costituiscono il punto di partenza della collaborazione tra Grazia Toderi e Orhan Pamuk, una collaborazione che unisce arte e letteratura, stelle e parole, per raccontare il nostro essere infinitamente piccoli.
Informazioni utili
Grazia Toderi e Orhan Pamuk. Words and Stars. Palazzo Madama, piazza Castello – Torino | Infini.to - Planetario di Torino, Museo dell’astronomia e dello spazio, via Osservatorio, 30 – Pino Torinese (Torino). Orari: Palazzo Madama, ore 10.00-18.00; chiuso il martedì - inaugurazione venerdì 4 novembre, dalle ore 17.00 alle 19.00 | Planetario, 5 e 6 novembre 2016 - proiezione alle ore 18.30, 19.00 e 19.30. Informazioni: palazzomadama@fondazionetorinomusei.it o tel 011 4433501 | info@planetarioditorino.it, tel 011.8118740 (martedì-venerdì, ore 10.00-15.00). Sito internet: www.palazzomadamatorino.it | www.planetarioditorino.it. Fino al 16 gennaio 2017.
giovedì 3 novembre 2016
«Naturalmente carta», un week-end con il Fai tra gioielli di cartone e libri d’arte
Taccuini, gioielli, mobili, libri-scultura, lampade e scatole. Tanti manufatti diversi e un’unica materia. Il Fai – Fondo per l’ambiente italiano apre le porte di Villa Necchi Campiglio a Milano per ospitare, nel week-end tra sabato 5 e domenica 6 novembre, la quinta edizione della mostra-mercato «Naturalmente carta», a cura di Angelica Guicciardini.
Il progetto espositivo, realizzato con il contributo della Fondazione Cologni dei mestieri d'arte e di Comieco, vedrà la presenza di venti artisti-artigiani selezionati tra le eccellenze del nostro Paese, che esporranno le loro migliori creazioni in carta.
Dalle lampade di Papermache alle scatole rivestite con vecchie riviste e giornali di Homo Faber, senza dimenticare i taccuini di Kei Kei Studio, i manufatti in carta dell’atelier Paperoowl, le carte da parati tridimensionali di Fabscarte e le opere pubblicate dalla casa editrice Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy: sono tantissimi gli oggetti che permetteranno al pubblico di scoprire i molti utilizzi di un materiale duttile come la carta.
In mostra ci saranno anche molti artigiani specializzati in gioielli come Sandra Di Giacinto, capace di creare accessori originali partendo dal cartone riciclato, Angela Simone che utilizza per i suoi bijoux carte dalla grammatura diversa alla ricerca continua di nuove forme, e Ana Hagopian che realizza gioielli contemporanei ispirati alla natura, ai suoi infiniti colori e continui mutamenti.
Non mancherà nemmeno una sezione dedicata ai libri scultura di Crizu, preziosi volumi “esplosi” grazie alla piegatura manuale di ogni pagina e trasformati in opere d’arte dalla passione di Cristina Corradi Bonino.
Nel corso delle due giornate verranno, inoltre, proposti tre laboratori dedicati alla carta (prenotazioni al numero 02.76340121), tenuti da importanti maestri artigiani come il fabrianese Sandro Tiberi (sabato 5 e domenica 6 novembre, dalle ore 10 alle ore 18), la milanese Luisa Canovi che insegnerà la tecnica decorativa giapponese con inchiostro fluttuante suminagashi (sabato 5 novembre, alle ore 15, 16, 16.45 e 17.30), e Angela Florio che spiegherà ai presenti come si realizzano delle carte marmorizzate (domenica 6 novembre, alle ore 15, 15.45, 16.30 e 17.15).
In questi due giorni sarà, poi, possibile visitare la mostra «Moda di carta», che vede esposti a Villa Necchi, fino al prossimo 31 dicembre, oltre trenta abiti totalmente realizzati in carta con l’incredibile perizia e il talento creativo dell’artista belga Isabelle de Borchgrave, capaci di dialogare con l’architettura progettata da Piero Portaluppi.
Le creazioni esposte illustrano un momento breve ma fertilissimo della storia della moda e dello stile, quello tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento. Lo spettatore si trova così a confronto con delle vere e proprie installazioni d’arte, evocative presenze che animano saloni e stanze e che coniugano piacere estetico, curiosità storico-culturale e stupore assoluto, nella scoperta delle infinite possibilità di una materia semplice come la carta.
Dai tailleur di Dior ai colorati kimono giapponesi, dagli abiti da sera di Lanvin e Poiret ai vestiti da giorno di Chanel, la mostra milanese propone, nello specifico, un percorso tra minuziose riproduzioni di abiti-icona che hanno rivoluzionato il nostro modo di vestire. Si potrà, ad esempio, ammirare la fitta plissettatura dell’abito «Delphos», disegnato da Mariano Fortuny ispirandosi alle tuniche delle sculture greche, che rappresenta una radicale innovazione nell'abbigliamento femminile, poiché proponeva un indumento estremamente confortevole, privo di busto, e di facile realizzazione, basato su un modello con pochi tagli e cuciture. Oppure si potrà scoprire la storia del tailleur «Bar», modello-manifesto della collezione «New Look» del 1947 di Christian Dior, che ha dettato le regole di una nuova estetica: dalla giacchina in shantung color crema a falde arrotondate modellate sulle curve del busto alla gonna plissettata e svasata che regala un incedere flessuoso assolutamente inedito.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Taccuini di Kei Kei Studio; [fig. 2] Lampada di Papermache; [fig. 3] Collana in fiori bianchi e neri di Angela Simone
Informazioni utili
«Naturalmente carta». Villa Necchi Campiglio, Via Mozart 14 – Milano. Orari: sabato 5 e domenica 6 novembre 2016, ore 10.00-18.00. Ingresso: intero € 13,00, iscritti Fai e ridotto per ragazzi dai 4 ai 14 anni € 5,00. Informazioni: tel. 02.76340121 o fainecchi@fondoambiente.it. Sito internet: www.manualmentecarta.it.
«Moda di carta». Villa Necchi Campiglio, Via Mozart 14 – Milano. Orari: mercoledì-domenica, ore 10.00-18.00. Ingresso: intero € 12,00, iscritti Fai e ridotto per ragazzi dai 4 ai 14 anni € 4,00, universitari fino ai 26 anni € 5,00. Informazioni: tel. 02.76340121 o fainecchi@fondoambiente.it. Sito internet: : www.fondoambiente.it. Fino al 31 dicembre 2016.
Il progetto espositivo, realizzato con il contributo della Fondazione Cologni dei mestieri d'arte e di Comieco, vedrà la presenza di venti artisti-artigiani selezionati tra le eccellenze del nostro Paese, che esporranno le loro migliori creazioni in carta.
Dalle lampade di Papermache alle scatole rivestite con vecchie riviste e giornali di Homo Faber, senza dimenticare i taccuini di Kei Kei Studio, i manufatti in carta dell’atelier Paperoowl, le carte da parati tridimensionali di Fabscarte e le opere pubblicate dalla casa editrice Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy: sono tantissimi gli oggetti che permetteranno al pubblico di scoprire i molti utilizzi di un materiale duttile come la carta.
In mostra ci saranno anche molti artigiani specializzati in gioielli come Sandra Di Giacinto, capace di creare accessori originali partendo dal cartone riciclato, Angela Simone che utilizza per i suoi bijoux carte dalla grammatura diversa alla ricerca continua di nuove forme, e Ana Hagopian che realizza gioielli contemporanei ispirati alla natura, ai suoi infiniti colori e continui mutamenti.
Non mancherà nemmeno una sezione dedicata ai libri scultura di Crizu, preziosi volumi “esplosi” grazie alla piegatura manuale di ogni pagina e trasformati in opere d’arte dalla passione di Cristina Corradi Bonino.
Nel corso delle due giornate verranno, inoltre, proposti tre laboratori dedicati alla carta (prenotazioni al numero 02.76340121), tenuti da importanti maestri artigiani come il fabrianese Sandro Tiberi (sabato 5 e domenica 6 novembre, dalle ore 10 alle ore 18), la milanese Luisa Canovi che insegnerà la tecnica decorativa giapponese con inchiostro fluttuante suminagashi (sabato 5 novembre, alle ore 15, 16, 16.45 e 17.30), e Angela Florio che spiegherà ai presenti come si realizzano delle carte marmorizzate (domenica 6 novembre, alle ore 15, 15.45, 16.30 e 17.15).
In questi due giorni sarà, poi, possibile visitare la mostra «Moda di carta», che vede esposti a Villa Necchi, fino al prossimo 31 dicembre, oltre trenta abiti totalmente realizzati in carta con l’incredibile perizia e il talento creativo dell’artista belga Isabelle de Borchgrave, capaci di dialogare con l’architettura progettata da Piero Portaluppi.
Le creazioni esposte illustrano un momento breve ma fertilissimo della storia della moda e dello stile, quello tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento. Lo spettatore si trova così a confronto con delle vere e proprie installazioni d’arte, evocative presenze che animano saloni e stanze e che coniugano piacere estetico, curiosità storico-culturale e stupore assoluto, nella scoperta delle infinite possibilità di una materia semplice come la carta.
Dai tailleur di Dior ai colorati kimono giapponesi, dagli abiti da sera di Lanvin e Poiret ai vestiti da giorno di Chanel, la mostra milanese propone, nello specifico, un percorso tra minuziose riproduzioni di abiti-icona che hanno rivoluzionato il nostro modo di vestire. Si potrà, ad esempio, ammirare la fitta plissettatura dell’abito «Delphos», disegnato da Mariano Fortuny ispirandosi alle tuniche delle sculture greche, che rappresenta una radicale innovazione nell'abbigliamento femminile, poiché proponeva un indumento estremamente confortevole, privo di busto, e di facile realizzazione, basato su un modello con pochi tagli e cuciture. Oppure si potrà scoprire la storia del tailleur «Bar», modello-manifesto della collezione «New Look» del 1947 di Christian Dior, che ha dettato le regole di una nuova estetica: dalla giacchina in shantung color crema a falde arrotondate modellate sulle curve del busto alla gonna plissettata e svasata che regala un incedere flessuoso assolutamente inedito.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Taccuini di Kei Kei Studio; [fig. 2] Lampada di Papermache; [fig. 3] Collana in fiori bianchi e neri di Angela Simone
Informazioni utili
«Naturalmente carta». Villa Necchi Campiglio, Via Mozart 14 – Milano. Orari: sabato 5 e domenica 6 novembre 2016, ore 10.00-18.00. Ingresso: intero € 13,00, iscritti Fai e ridotto per ragazzi dai 4 ai 14 anni € 5,00. Informazioni: tel. 02.76340121 o fainecchi@fondoambiente.it. Sito internet: www.manualmentecarta.it.
«Moda di carta». Villa Necchi Campiglio, Via Mozart 14 – Milano. Orari: mercoledì-domenica, ore 10.00-18.00. Ingresso: intero € 12,00, iscritti Fai e ridotto per ragazzi dai 4 ai 14 anni € 4,00, universitari fino ai 26 anni € 5,00. Informazioni: tel. 02.76340121 o fainecchi@fondoambiente.it. Sito internet: : www.fondoambiente.it. Fino al 31 dicembre 2016.
mercoledì 2 novembre 2016
Reggia di Caserta, a caccia di tesori contemporanei tra le opere di «Terrae Motus»
Con l’arte si può giocare. Ne sono convinti alla Reggia di Caserta dove da sabato 5 novembre, per quattro week-end consecutivi, si terrà «Terrae Motus – A caccia di tesori contemporanei», un’inedita caccia al tesoro -in versione 2.0- progettata col chiaro intento di valorizzare uno dei luoghi della cultura più importanti e affascinanti d’Italia, al cui interno sono custodite opere di Warhol, Mapplethorpe, Haring, Halley e Rauschenberg.
L’iniziativa nasce dalla partnership tra il museo diretto da Mauro Felicori e il Centro commerciale Campania e vede la collaborazione di 012 Factory, First Social Life e GDG Campania.
Il progetto, pensato per immergersi in maniera ludica nel patrimonio culturale della residenza borbonica progettata da Luigi Vanvitelli, vuole stimolare la curiosità del pubblico attraverso la tecnologia di una app creata per l’occasione e il classico, irrinunciabile complemento di ogni caccia avventurosa che si rispetti: la mappa del tesoro.
I giocatori sono invitati a rispondere a una serie di domande relative alla storia locale, ai beni artistici del casertano, all’arte contemporanea e alle iniziative culturali del territorio. Nel caso in cui tutte le risposte siano giuste, potranno percorrere un itinerario tra i tesori artistici della Reggia di Caserta e il Centro commerciale Campania, per tentare di aggiudicarsi fino a settecento euro in buoni spesa.
Giocare è semplice: basta scaricare l’app, dotarsi della mappa del tesoro e recarsi alla Reggia tutti i sabati del mese di novembre dove, contestualmente all’acquisto del biglietto, sarà consegnato il codice per avviare la sessione di gioco, in agenda dalle ore 9 alle ore 16.
Quando la caccia al tesoro avrà inizio si procederà nelle postazioni degli appartamenti reali e nei locali della mostra «Terrae Motus» cercando i codici che, una volta scansionati, faranno apparire sul proprio dispositivo (smartphone o tablet) le domande. Sarà così possibile rispondere e procedere fino alla fine del percorso; mentre la domenica mattina, dalle ore 9 alle ore 13, la caccia al tesoro si sposterà al Centro commerciale Campania di Marcianise.
Alle ore 14 sarà diffusa la classifica, che verrà inviata ai giocatori tramite app e sarà presente al box informazioni del centro commerciale, e verranno assegnati i premi (i minorenni dovranno essere accompagnati da un familiare adulto per riscuotere il premio).
La caccia al tesoro nella Reggia di Caserta -che ha ricevuto anche il plauso della presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, Flavia Piccoli Nardelli- è la prima occasione di una collaborazione inedita che coinvolge quattro importanti realtà della cultura, dell’innovazione e del mondo imprenditoriale del territorio casertano. Un formula di interazione stretta, questa, basata su una convergenza di vedute e una condivisione di contenuti, volta alla valorizzazione del patrimonio culturale sia agli occhi della cittadinanza locale sia come forza attrattiva per il turismo.
Un’azione che instaura un dialogo tra realtà eterogenee, ma complementari, con l’ambizione di rendere il tessuto territoriale sempre più integrato e attrattivo nell’ambito nazionale e internazionale dell’innovazione, dell’impresa e della fruizione dei beni culturali nel loro insieme.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Vedute della Reggia di Caserta. Foto: A. Gentile
Informazioni utili
Reggia di Caserta, viale Dohuet – 81100 Caserta. Orario di visita: ore 8.30-19.30; chiusura biglietteria, ore 18.45; ultimo ingresso, ore 19.00. Ingresso: intero € 12,00 (solo appartamento € 9.00), ridotto € 6,00 (solo appartamenti € 4,00). Informazioni: tel. (0039)0823-448084 o (0039)0823-277580. Sito internet: http://www.reggiadicaserta.beniculturali.it.
L’iniziativa nasce dalla partnership tra il museo diretto da Mauro Felicori e il Centro commerciale Campania e vede la collaborazione di 012 Factory, First Social Life e GDG Campania.
Il progetto, pensato per immergersi in maniera ludica nel patrimonio culturale della residenza borbonica progettata da Luigi Vanvitelli, vuole stimolare la curiosità del pubblico attraverso la tecnologia di una app creata per l’occasione e il classico, irrinunciabile complemento di ogni caccia avventurosa che si rispetti: la mappa del tesoro.
I giocatori sono invitati a rispondere a una serie di domande relative alla storia locale, ai beni artistici del casertano, all’arte contemporanea e alle iniziative culturali del territorio. Nel caso in cui tutte le risposte siano giuste, potranno percorrere un itinerario tra i tesori artistici della Reggia di Caserta e il Centro commerciale Campania, per tentare di aggiudicarsi fino a settecento euro in buoni spesa.
Giocare è semplice: basta scaricare l’app, dotarsi della mappa del tesoro e recarsi alla Reggia tutti i sabati del mese di novembre dove, contestualmente all’acquisto del biglietto, sarà consegnato il codice per avviare la sessione di gioco, in agenda dalle ore 9 alle ore 16.
Quando la caccia al tesoro avrà inizio si procederà nelle postazioni degli appartamenti reali e nei locali della mostra «Terrae Motus» cercando i codici che, una volta scansionati, faranno apparire sul proprio dispositivo (smartphone o tablet) le domande. Sarà così possibile rispondere e procedere fino alla fine del percorso; mentre la domenica mattina, dalle ore 9 alle ore 13, la caccia al tesoro si sposterà al Centro commerciale Campania di Marcianise.
Alle ore 14 sarà diffusa la classifica, che verrà inviata ai giocatori tramite app e sarà presente al box informazioni del centro commerciale, e verranno assegnati i premi (i minorenni dovranno essere accompagnati da un familiare adulto per riscuotere il premio).
La caccia al tesoro nella Reggia di Caserta -che ha ricevuto anche il plauso della presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, Flavia Piccoli Nardelli- è la prima occasione di una collaborazione inedita che coinvolge quattro importanti realtà della cultura, dell’innovazione e del mondo imprenditoriale del territorio casertano. Un formula di interazione stretta, questa, basata su una convergenza di vedute e una condivisione di contenuti, volta alla valorizzazione del patrimonio culturale sia agli occhi della cittadinanza locale sia come forza attrattiva per il turismo.
Un’azione che instaura un dialogo tra realtà eterogenee, ma complementari, con l’ambizione di rendere il tessuto territoriale sempre più integrato e attrattivo nell’ambito nazionale e internazionale dell’innovazione, dell’impresa e della fruizione dei beni culturali nel loro insieme.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Vedute della Reggia di Caserta. Foto: A. Gentile
Informazioni utili
Reggia di Caserta, viale Dohuet – 81100 Caserta. Orario di visita: ore 8.30-19.30; chiusura biglietteria, ore 18.45; ultimo ingresso, ore 19.00. Ingresso: intero € 12,00 (solo appartamento € 9.00), ridotto € 6,00 (solo appartamenti € 4,00). Informazioni: tel. (0039)0823-448084 o (0039)0823-277580. Sito internet: http://www.reggiadicaserta.beniculturali.it.
martedì 1 novembre 2016
Torna in stampa il «Libro imbullonato» di Depero
Ha da poco preso il via la campagna Kickstarter finalizzata alla pubblicazione della ristampa anastatica del celebre «Libro imbullonato» del pittore e designer Fortunato Depero.
Considerato il primo esempio compiuto di libro d'artista e campionario di tutte le possibili e più ardite sperimentazioni tipografiche dei primi del Novecento, il volume venne stampato nel 1927 con la complicità dell'editore e aviatore Fedele Azari.
All’interno della pubblicazione -rilegata con due massicci bulloni metallici, che restituiscono tutta la fascinazione del movimento marinettiano per le macchine e la modernità- si trovano oltre a numerose tavole parolibere, stampate su carte di differenti colori e grammature, riproduzioni di quadri, arazzi, disegni e progetti, che offrono un’esaustiva panoramica della vulcanica creatività dell'artista roveretano e del suo talento per l’autopromozione.
Un capitolo del volume è interamente dedicato alla longeva collaborazione tra Depero e la Campari; per l'azienda milanese l’artista disegna, infatti, numerose campagne pubblicitarie, gadget e l'intramontabile bottiglietta del Campari Soda.
Stampato in poche copie nella tipografia Mercurio di Rovereto e considerato da Kurt Schwitters e da Jan Tschichold come uno dei capolavori indiscussi della grafica del Novecento, «Depero futurista» (questo il titolo del libro), è ora un'assoluta rarità per bibliofili. Lo si può trovare in alcune raccolte pubbliche, dal Mart di Rovereto al MoMA di New York, e nelle più raffinate collezioni private. Persino le due ristampe anastatiche realizzate dalla Spes di Firenze nel 1978 e nel 1987 sono praticamente introvabili.
La campagna Kickstarter, lanciata da Designers & Books, uno dei siti più autorevoli in America in fatto di graphic design e di libri di pregio, e dal Cima (Center for Italian Modern Art) di New York, istituzione votata allo studio e alla promozione dell'arte italiana del Novecento, renderà possibile acquistare una ristampa anastatica di altissima qualità e totalmente fedele all'originale.
Insieme al «Libro imbullonato», che sarà disponibile su Kickstarter fino al 1° dicembre, verrà offerta una pubblicazione con saggi d'approfondimento, immagini e documenti inediti provenienti dall’archivio del Mart di Rovereto.
Informazioni utili
www.boltedbook.com
Considerato il primo esempio compiuto di libro d'artista e campionario di tutte le possibili e più ardite sperimentazioni tipografiche dei primi del Novecento, il volume venne stampato nel 1927 con la complicità dell'editore e aviatore Fedele Azari.
All’interno della pubblicazione -rilegata con due massicci bulloni metallici, che restituiscono tutta la fascinazione del movimento marinettiano per le macchine e la modernità- si trovano oltre a numerose tavole parolibere, stampate su carte di differenti colori e grammature, riproduzioni di quadri, arazzi, disegni e progetti, che offrono un’esaustiva panoramica della vulcanica creatività dell'artista roveretano e del suo talento per l’autopromozione.
Un capitolo del volume è interamente dedicato alla longeva collaborazione tra Depero e la Campari; per l'azienda milanese l’artista disegna, infatti, numerose campagne pubblicitarie, gadget e l'intramontabile bottiglietta del Campari Soda.
Stampato in poche copie nella tipografia Mercurio di Rovereto e considerato da Kurt Schwitters e da Jan Tschichold come uno dei capolavori indiscussi della grafica del Novecento, «Depero futurista» (questo il titolo del libro), è ora un'assoluta rarità per bibliofili. Lo si può trovare in alcune raccolte pubbliche, dal Mart di Rovereto al MoMA di New York, e nelle più raffinate collezioni private. Persino le due ristampe anastatiche realizzate dalla Spes di Firenze nel 1978 e nel 1987 sono praticamente introvabili.
La campagna Kickstarter, lanciata da Designers & Books, uno dei siti più autorevoli in America in fatto di graphic design e di libri di pregio, e dal Cima (Center for Italian Modern Art) di New York, istituzione votata allo studio e alla promozione dell'arte italiana del Novecento, renderà possibile acquistare una ristampa anastatica di altissima qualità e totalmente fedele all'originale.
Insieme al «Libro imbullonato», che sarà disponibile su Kickstarter fino al 1° dicembre, verrà offerta una pubblicazione con saggi d'approfondimento, immagini e documenti inediti provenienti dall’archivio del Mart di Rovereto.
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