ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 2 maggio 2013

«Lights», Dan Flavin e le sue stanze di luce

La luce è quella di un qualsiasi tubo al neon prodotto su scala industriale e, dunque, reperibile in ogni luogo della nostra quotidianità, dalle strade alla cucina di casa. Ma le combinazioni che ne derivano, giocate su una ristretta gamma di colori (blu, verde, rosa, rosso, giallo e quattro sfumature di bianco), hanno lo scatto della poesia. Dan Flavin (New York, 1933-1996), uno degli artisti più importanti della compagine americana definita con il nome di Minimalismo, ha saputo diventare l'indiscusso maestro della luce artificiale, ridisegnando stanze spoglie con la più immateriale delle materie in natura e creando così ambienti dai mille bagliori capaci di parlare alla mente e al cuore di chi sappia abbandonare i propri pensieri per lasciarsi cullare dalle emozioni.
Dopo un periodo di iniziale snobbismo che fece dire a molti «se voglio un Flavin vado dall'elettricista, mi compro una lampada e me la metto in casa», le opere dell'artista americano, frutto di una perfetta fusione di semplici lampadine o di scarne «stecche di colore», hanno raggiunto oggi ragguardevoli quotazioni di mercato (si parla di cifre che si aggirano tra i 400.000 e gli 800.000 dollari ad installazione) e raccolgono sempre più di frequente la stima non solo della critica, ma anche del grande pubblico.
A Dan Flavin, compagno di avventura di Donald Judd e Carl Andre, dedica un’ampia retrospettiva, a cura di Roland Wäspe, il Kunstmuseum di San Gallo, nella Svizzera orientale. «Lights», questo il titolo della mostra, allinea una trentina di opere, già presentate lo scorso inverno al Mumok di Vienna, che sarebbero senz’altro piaciute al conte Giuseppe Panza di Biumo, il collezionista che per primo, sul finire degli anni Sessanta, diede credito all’artista newyorkese, commissionandogli, nel corso degli anni, numerose opere, tra le quali la nota e suggestiva installazione permanente «Varese Corridor» (1976), una sequenza di luci rosa, gialle e verdi per villa Panza, oggi residenza del Fai (Fondo per l’ambiente italiano).
Partendo dalla serie «Icons» (1961-1964), considerata l’iniziatrice del movimento minimalista con le sue sculture in legno, formica e masonite arricchite da economiche lampadine fluorescenti, l’esposizione permette di immergersi tra le emozioni cromatiche e luminose di lavori noti, anche di grandi dimensioni, come «Pink out of a corner (to Jasper Johns)» (1963), «A primary picture» (1964), «Untitled (To Henri Matisse)» (1964), «Untitled (To Jan and Ron Greenberg)» (1972-1973) e «The diagonal of May 25, 1963 (To Costantin Brancusi)», il primo tubo color giallo oro appoggiato dall’artista in diagonale a una parete.
Non mancano nella rassegna, la prima che la Svizzera dedica all'autore minimalista, alcuni moduli dell’omaggio al collega Donald Judd e una selezione di lavori del ciclo «Monuments for V. Tatlin» (1964-1990), dedicato al leader del movimento costruttivista russo.
L'impatto con l'arte asciutta e immediata di Dan Flavin, che si nutre dell'essenzialità del messaggio della luce e del colore e che si avvale di forme semplici e di materiali economici per creare mondi di pura poesia, ha portato molti critici a scrivere pagine e pagine interrogandosi sul rapporto dell'artista con il sacro. A questo tema ha guardato anche Angela Vettese, che nel catalogo della retrospettiva varesina organizzata nel 1994 per volere del conte Panza di Biumo, si è soffermata sulla religiosità dell’artista, «intesa non come una reverenza a una religione rivelata ma come tensione ideale». Forse la definizione non sarebbe piaciuta allo stesso autore minimalista, che a chi vedeva un significato mistico nelle sue installazioni rispondeva, severo e sempre arrabbiato, mai dimentico dei conflitti con il padre che gli aveva imposto gli studi in seminario: «I miei tubi non si sono mai infiammati nella ricerca di Dio».
Ma è innegabile che l’arte di Dan Flavin abbia alla base una, seppur inconfessata, ricerca di spiritualità. Lo stesso mezzo utilizzato per le opere, lampade al neon condannate ad esaurirsi dopo un certo numero di ore e ad essere sostituite con nuovi modelli, ci racconta il dramma dell'esaurimento della materia, l'impossibilità per l'uomo di eternare non solo la sua vita, ma anche la sua attività. La durata limitata delle installazioni luminose dell'artista americano, costrette a fare i conti con il tempo e con l'innovazione tecnologia, sembrano, dunque, alludere al timore del panta rei, al dramma della caducità umana.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Dan Flavin, «The diagonal of May 25, 1963 (to Constantin Brancusi)», 1963. The Estate Collection David Zwirner. Foto: Billy Jim, New York. Courtesy of David Zwirner, New York. © 2012 Stephen Flavin / Pro Litteris, Zürich; [Fig. 2] Dan Flavin, «Pink out of a corner (to Jasper Johns)», 1963. The Estate Collection David Zwirner. Foto: Billy Jim, New York. Courtesy of David Zwirner, New York. © 2012 Stephen Flavin / Pro Litteris, Zürich; [fig. 3]Dan Flavin, «Untitled (to Donald Judd, colorist)», 1,7,8,9,10 e 4, 1987. The Estate Collection David Zwirner. Installazione, Kunstmuseum St.Gallen. Foto: Stefan Rohner, St.Gallen. Courtesy of David Zwirner, New York. © 2012 Stephen Flavin / Pro Litteris, Zürich

Informazioni utili 
Dan Flavin - Lights. Kunstmuseum St.Gallen, Museumstrasse 32 – San Gallo (Svizzera). Orari: martedì-domenica, ore 10.00-17.00; mercoledì, ore 10.00-20.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero ChF 10,00, ridotto ChF 8,00, bambini e adolescenti fino ai 16 anni € 4,00. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel +41.712420671 o info@kunstmuseumsg.ch. Sito web: www. kunstmuseumsg.ch. Fino a domenica 18 agosto 2013.

martedì 30 aprile 2013

Ghitta Carell, quando il potere incontra il bianco e nero

«Fotografava solo 'il meglio': aristocratiche con figli e cani aristocratici, poeti, scrittrici, dive intellettuali, generali, gerarchi, membri di case regnanti. Fotografava solo gente bellissima […]: le sue donne sembravano sempre regine inavvicinabili eppure dolcissime, i suoi uomini forti intelligenti, dominatori». Così Natalia Aspesi descrive Ghitta Carell (1899-1972), celebre ritrattista e fotografa di moda ungherese di nascita e italiana d’adozione, alla quale la Fondazione Pastificio Cerere di Roma dedica un’ampia retrospettiva, a cura di Diego Mormorio, che si avvale della consulenza di un comitato scientifico composto da Ottavio Celestino, Flavio Misciattelli, Stefano Palumbo e Marcello Smarrelli.
Un gruppo di quindici fotografie originali e di centoquaranta immagini, quasi tutte stampate per l’occasione, restituiscono la storia di un’epoca, quella a cavallo tra gli anni Trenta e Cinquanta, attraverso i volti e gli sguardi di alcuni dei suoi protagonisti: da papa Eugenio Pacelli al disegnatore americano Walt Disney, passando per Benito Mussolini, Cesare Pavese, la principessa Margareth d’Inghilterra, Maria Josè di Savoia, Camilla Cederna, Giulio Andreotti e tanti altri nobili, ecclesiastici, uomini politici, imprenditori ed intellettuali del tempo.
Dopo un periodo di formazione a Budapest presso lo studio di Szekelu Aladair, Ghitta Carell approda, appena venticinquenne, nel nostro Paese, soggiornando prima a Firenze e poi a Milano. Due anni dopo, nel 1926, inizia la sua ascesa verso la notorietà: a lanciarla è la foto di un bambino vestito da Balilla, scelta per un manifesto di propaganda destinato a tappezzare i muri di tutta la nazione.
La fama, sancita anche da giudizi autorevoli come quello di Ugo Ojetti, dischiude ben presto alla giovane fotografa le porte di una committenza sempre più ampia ed esclusiva. Nasce così la decisione di trasferirsi, nel 1928, a Roma, vicino a piazza del Popolo. Il «bel mondo» capitolino si fa conquistare dal suo inconfondibile stile: Edda e Galeazzo Ciano, Benito Mussolini, Alberto Savino, Giovanni Papini, Alba De Céspedes, Pio XII, i Gonzaga, i Diaz, i Borghese, i Cicogna, i Visconti, i Colonna sono tra i suoi clienti. Nemmeno la promulgazione del leggi razziali nel 1938 contrasta il percorso di Ghitta Carrell, ebrea per parte di padre; le viene solo chiesto di non mettersi troppo in mostra.
Con la fine della guerra, tutto il gotha democristiano, da Alcide De Gasperi a Giovanni Gronchi, posa sotto le sue lampade. Lo stesso fanno scrittori come Cesare Pavese, attrici come Valentina Cortese, giornalisti come Camilla Cederna e personaggi come Walt Disney. Negli anni Sessanta, dopo aver ricevuto la cittadinanza italiana, l'artista decide di trasferirsi a vita privata in Israele (dove muore nel 1972), ma prima cede il proprio archivio alla Fondazione 3M di Segrate (Milano), ente che collabora alla mostra romana al Pastificio Cerere, voluta e sostenuta da Elsa Peretti e corredata da un catalogo trilingue (italiano, inglese e spagnolo) di Celestino editore.
«Ghitta Carell e il potere del ritratto», questo il titolo della rassegna, vuole contribuire a riconsiderare la figura di questa fotografa, spesso definita come l’interprete del mondo del potere, facendone conoscere il suo bianco e nero poetico e la sua perizia nell’arte del ritocco, una tecnica moderna che consisteva nel lavorare con delicatezza le lastre per togliere ombre, durezze, vuoti, restituendo così un’aria meno torva ai fascisti e una più seducente alle dame dell’alta società. Per quanto riguarda l'attrezzatura, l'artista italo-ungherese non si fece, invece, mai conquistare dall’avanzamento tecnologico che proveniva dall’America. Continuò a usare un banco ottico a lastre nel formato 18x24 e, più raramente, una Rolleiflex 6x6, strumenti che le consentivano un’attenzione meticolosa per la scenografia e una raffinata interpretazione psicologica dei soggetti ritratti. Lei stessa amava dire: «ogni persona ha due facce, l’uomo è frutto di luce e ombra, io cerco la luce», l’anima.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Ghitta Carrell, Walt Disney, 1935. Copyright Archivio storico Fondazione 3M; [fig. 2] Ghitta Carrell, La principessa Maria Josè, anni ’30. copyright Fondazione 3M; [fig. 3] Ghitta Carrell, Papap Pacelli, anni '40. copyright Fondazione 3M

Informazioni utili 
Ghitta Carell e il potere del ritratto. Fondazione Pastificio Cerere, via degli Ausoni, 7 – Roma. Orari: > Fondazione Pastificio Cerere, Spazio Cerere, Studio d’arte contemporanea Pino Casagrande >   lunedì-venerdì, ore 15.00-19.00;  Ristorante San Lorenzo > tutti i giorni, ore 19.00-02.00. Ingresso libero. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 06.45422960 o info@pastificiocerere.it. Sito internet: www.pastificiocerere.it o www.fondazione3m.it. Fino a venerdì 17 maggio 2013.

lunedì 29 aprile 2013

«Gli altri volti», scatti dal terremoto emiliano

E’ la notte di domenica 20 maggio 2012 quando una forte scossa sismica di magnitudo 5.9 della scala Richter, con epicentro tra San Felice al Panaro e Finale Emilia, semina morte, distruzione e paura nei territori di Modena, Bologna e Ferrara, ma anche di Mantova e Rovigo. Una settimana dopo, martedì 29 maggio 2012, la pianura padana torna a tremare con forza, nell’area tra Mirandola e Medolla.
Stando ai dati riportati sul sito del Parlamento europeo, il bilancio finale è di 27 vittime, circa 300 feriti, 45mila sfollati, oltre 13miliardi di danni stimati ad attività produttive, infrastrutture, beni storico-artistici, edifici religiosi ed edilizia residenziale. Ciò che la fredda precisione dei numeri non può raccontare è, però, il sentimento di impotenza che si è impadronito di chi, in pochi istanti, ha visto cambiare la propria quotidianità, la forza della solidarietà che ha portato molte persone a mobilitarsi in aiuto dell’Emilia ferita, la voglia di tanti piccoli paesi di rimboccarsi le maniche e di guardare al domani. Sono questi gli aspetti su cui si sono concentrati i fotografi milanesi Andrea Armandola e Michela Benaglia con il loro progetto «Gli altri volti, identità di un Terremoto», un «reportage slow» realizzato in undici settimane, tra il giugno e l’ottobre 2012, con un mezzo ormai d’altri tempi come la Rollei 6x6 e lo scatto in pellicola, che documenta storie, sentimenti e sguardi di chi del sisma emiliano è stato protagonista, davanti e dietro le quinte. Ne sono nati centotrentanove ritratti di persone, soprattutto anziani ed extra-comunitari, che il terremoto ha sradicato dalle proprie abitudini e case, costringendole a vivere nelle tendopoli della Protezione civile o nei campi autonomi, costruiti nel giardino di qualche palazzo.
Sono immagini in bianco e nero, riunite ora in una mostra e in un catalogo, che raccontano cosa accade nei paesi colpiti dal sisma quando le telecamere si spengono e i giornalisti non hanno più l’affanno di cercare, tra le macerie, notizie da prima pagina.
Ecco così che Andrea Armandola e Michela Benaglia sono entrati in punta di piedi in una realtà totalmente sconquassata dalla forza della natura e l’hanno osservata con attenzione, sensibilità e rispetto, fissando sulla pellicola l’entusiasmo dei volontari venuti da tutta Italia per offrire il proprio sostegno, i giochi del bambini nei campi, le riunioni serali a base di lambrusco e parmigiano ‘terremotato’, la convivenza forzata tra persone di religioni ed etnie diverse, la voglia dei più giovani di guardare con speranza al futuro, studiando per un esame o catalogando, con la pazienza e la dedizione di un archeologo, pietre di vecchi palazzi rasi al suolo.
Il progetto, promosso dall’associazione «Make for Social Intent», ha trovato ospitalità, grazie all’interessamento dell’Auser di Rimini, nell'area Mastio del Castello Malatestiano, dove prossimamente (la data è in via di definizione) si terrà un’esposizione multisensoriale con foto, videoproiezioni e performance musicali per raccogliere fondi a favore delle popolazioni terremotate. Ma gli organizzatori hanno intenzione di rendere la mostra itinerante e per questo motivo hanno deciso di chiedere il sostegno della rete sulla pagina italiana di ulule.com, il primo sito europeo di crowdfunding, dove è possibile acquistare il catalogo o una delle foto (stampa fotografica manuale ai sali d'argento, su carta baritata o politenata) in edizione limitata e autografata dall'autore. Servono 15mila euro e c’è tempo fino al 15 maggio per realizzare un sogno d’arte e di solidarietà.

Vedi anche
«Ricreazioni», a Mirandola l'arte racconta il territorio

Didascalie delle immagini
[Figg.1,  2, 3 e 4] Una foto del progetto «Gli altri volti, identità di un Terremoto». Ph Michela Benaglia

 Informazioni utili 
«Gli altri volti, identità di un Terremoto». Raccolta fondi su: http://it.ulule.com/gli-altri-volti

mercoledì 24 aprile 2013

Ricicli d’arte: alla Peggy Guggenheim di Venezia arrivano le «Malefatte»

Riciclare è un’arte: lo sanno bene alla Cooperativa sociale «Rio Terà dei Pensieri», che dal 1994 gestisce attività di formazione professionale e lavorazioni artigianali all’interno delle carceri veneziane, preoccupandosi di dare un’impostazione eco-sostenibile ai propri prodotti. Tra le creazioni di questa vivace cooperativa lagunare, vi è, infatti, la linea «Malefatte», borse interamente realizzate con vecchi striscioni pubblicitari in polivinilcloruro o cloruro di polivinile (il più noto pvc), della cui lavorazione si occupano nei laboratori di serigrafia e pelletteria del penitenziario maschile di Santa Maria Maggiore.
L’idea di questo curioso progetto green e solidale, lanciato nella primavera del 2009, è di Fabrizio Olivetti, art director dell'Ufficio grafico del Comune di Venezia, che ha trovato in Francesca Codrino e nell'illustratore Lucio Schiavon i primi due compagni di una fortunata avventura, la cui realizzazione pratica è affidata da sempre a «Rio Terà dei Pensieri» e che, in poco meno di tre anni, è diventato un ricercato fenomeno di moda.
Un rifiuto difficilmente smaltibile, quale è uno striscione pubblicitario in materiale plastico, viene così trasformato in un oggetto fashion, in un pezzo unico, da collezione e molto resistente, che reca con sé memorie di mostre ed eventi cittadini. Le borse fatte dai detenuti del carcere di Santa Maria Maggiore sono, infatti, tutte create a mano, assemblando, decontestualizzando e ricucendo frammenti di grandi banner promozionali per dare vita a lavori, originali, non seriali, che coniugano intento artistico, sociale ed ecologico con un immancabile tocco di ironia.
Da mercoledì 24 aprile, le «Malefatte» saranno in vendita anche nei bookshop della Collezione Peggy Guggenheim, ad un costo variabile dai 27 ai 48 euro. Realizzate con i manifesti delle mostre organizzate a Palazzo Venier dei Leoni, le borse conterranno al proprio interno il catalogo di un'esposizione passata, diventando così un originale strumento per portare l’arte a viaggiare in tutto il mondo. Ma non è tutto:  chiunque acquisti una banner bag della serie «Malefatte» potrà farsi una foto in una galleria o in uno spazio espositivo e postarla direttamente sulla pagina Facebook del museo. Il tutto all’insegna dello slogan «Ricicla l’arte e falla viaggiare».

Didascalie delle immagini 
[Figg. 1, 2 e 3] Le borse «Malefatte» della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Ph Marta Vimercati

Informazioni utili 
 Rio Terà dei Pensieri Cooperativa sociale a r.l., S. Croce, Fond. S. Chiara 495/B - 30135 Venezia,tel/fax 041.2960658, e-mail: info@riotera-ve.it. Sito web: www.rioteradeipensieri.org.

martedì 23 aprile 2013

«Vitrine», in Piemonte l’arte è giovane

E’ un doppio appuntamento con «Vitrine», il progetto dedicato alla giovane ricerca artistica sviluppata in Piemonte dalla generazione nata tra gli anni Settanta e Ottanta, quello che va in scena in questo ultimo scorcio d’aprile alla Gam di Torino.
La seconda edizione dell’iniziativa espositiva, affidata alla curatela di Stefano Collicelli Cagol, presenta, da martedì 23 aprile (inaugurazione alle ore 18.00) a domenica 9 giugno, il lavoro di Ludovica Carbotta (Torino, 1982), vincitrice nel 2011 del Premio Ariane de Rothschild e borsa di studio presso Central Saint Martins Londra, con all’attivo il coordinamento del «Progetto Diogene» e mostre alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, all’Hangar Bicocca di Milano e al Centro di cultura contemporanea di Firenze.
Dopo Paola Anziché (Milano, 1975), Helena Hladilova (Kroměříž, Repubblica Ceca, 1983) e Sara Enrico (Biella, 1979), tutte e tre residenti a Torino, la Gam, nell’angolo retto tra le due pareti che sta ospitando il ciclo «270°», porta, dunque, a conoscenza del visitatore una ricerca artistica caratterizzata da un’attenzione verso la spazio urbano, sempre esperito e riflettuto partendo dal proprio corpo. Dandosi una serie di regole che limitano la propria libertà di operare nello spazio, Ludovica Carbotta realizza, infatti, sculture, video, disegni o installazioni, che hanno nella capacità del fare il loro punto in comune e che pongono l’attenzione su ambiti del quotidiano spesso sfuggenti alla nostra percezione. Ne è esempio una recente serie di fotografie, nelle quali l’artista si antepone tra la macchina fotografica e il profilo di un’architettura in costruzione, oscurandone con la sua presenza il profilo. Viene così testimoniato un attimo irripetibile nella vita del panorama cittadino: una volta terminata la costruzione non rimarrà, infatti, più traccia dello scheletro dell’edificio a lungo visibile e parte dell’esperienza del centro abitato.
Per il ciclo «270°», Ludovica Carbotta si è confrontata con la vasta collezione della Gam, pensando all’opportunità di vedere il proprio lavoro accostato a opere di maestri del passato come Medardo Rosso e Umberto Boccioni, ma anche a quelle di artisti contemporanei in una sorta di museo immaginario. L’artista, tramite una serie di disegni, si è, quindi, interrogata su come tutte le opere che ha visto, studiato o di cui ha sentito parlare sono entrate a fare parte della propria memoria e hanno influenzato il suo modo di pensare e la sua ricerca artistica.
In questi giorni, la giovane torinese è anche tra le protagoniste della rassegna «Alle radici della democrazia», realizzata in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile dal Consiglio regionale del Piemonte, con la Gam di Torino. La sua opera, negli spazi della stessa Gam, dialoga con i lavori di altre quattro artiste, selezionate da Stefano Collicelli Cagol: Sara Enrico, Helena Hladilova, Paola Anziché e Dafne Boggeri, in mostra rispettivamente a Torino, negli spazi di Palazzo Lascaris e del Museo diffuso della Resistenza (da giovedì 25 aprile, alle ore 11), a Cuneo, presso il Centro di documentazione territoriale (da mercoledì 24 aprile, alle ore 17.30), e a Verbania, nella sede dell’associazione Casa della Resistenza (da giovedì 25 aprile, alle ore 16.00). Le loro opere, visibili fino a domenica 9 giugno, intendono proporre una riflessione sui temi della memoria, della Liberazione e della Costituzione.
Alla Gam di Torino, negli spazi della Videoteca, è, inoltre, in mostra, da martedì 23 aprile e fino a sabato 8 giugno, il video «Abraham Abraham» di Nira Pereg (Tel Aviv, 1969), acquisito dalla Fondazione Crt per l’arte moderna e contemporanea nell’ultima edizione di «Artissima». L’opera, girata in Israele, è la registrazione di un evento ciclico, un particolare dischiudersi delle frontiere tra ebrei e arabi che ha luogo in una caverna di Hebron, spartita in spazi dedicati a una moschea e a una sinagoga. Il luogo è sacro per entrambe le religioni. Per dieci volte l’anno, in occasione di alcune particolari festività, gli ebrei ripongono la Torah e i loro oggetti rituali all’interno di armadi. Una ronda di soldati armati passano in rassegna gli spazi deserti e lasciano il campo ai musulmani che, in pochi minuti, entrano a riempire il vuoto appena formatosi srotolando sul pavimento i loro tappeti e trasformando per ventiquattrore la sinagoga in moschea. Il silenzio che domina il luogo per i brevissimi istanti che seguono all’andarsene dei soldati, prima dell’arrivo dei nuovi diversi fedeli, è lo spazio vuoto della possibilità: il respiro di un Israele surreale come un sogno.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Ludovica Carbotta, disegno per il progetto «Vitrine.270°» alla Gam di Torino, 2013; [fig. 2] Sara Enrico, «Segnavia#1», 2013. Olio su pietra di granito, 162x100x3 cm. Torino, Palazzo Lascaris; [fig. 3] Paola Anziché, «Rainbow», 2013. Stoffa, 20 mtq. Immagine dell'allestimento. Cuneo, Centro di documentazione territoriale; [fig. 4] Nira Pereg, «Abraham Abraham», 2012. Video

Informazioni utili
«Vitrine». Gam, via Magenta, 31 - Torino. Orari: martedì - domenica, ore 10.00-18.00 (la biglietteria chiude un'ora prima); chiuso lunedì. Ingresso libero. Informazioni: centralino, tel. 011.4429518, segreteria, tel. 011.4429595, e-mail gam@fondazionetorinomusei.it. Fino a domenica 9 giugno 2013. 

«Abraham Abraham» di Nira Pereg. Videoteca Gam, via Magenta, 31 - Torino. Orari: martedì-sabato, ore 10.00-18.00; aperto la prima domenica del mese.Informazioni: tel. 011.4429597, email videotecagam@fondazionetorinomusei.it. Fino a sabato 8 giugno 2013. 



lunedì 22 aprile 2013

«Ricreazioni», a Mirandola l’arte racconta il terremoto

L’immagine del Duomo di Mirandola, profondamente ferito dalle due scosse telluriche che lo scorso maggio hanno portato la devastazione e la morte in Emilia Romagna, ha fatto il giro del mondo. Ma l’elenco dei beni architettonici e storico-artistici della cittadina del Modenese, fiore all’occhiello del settore biomedicale italiano, che hanno subito gravi danni non si limita al solo complesso religioso quattrocentesco, al cui interno erano conservate opere di Paolo Bonelli e Sante Peranda, ma comprende anche il Palazzo comunale, il Teatro nuovo, il Castello dei Pico, varie chiese ed edifici scolastici, tra le quali l’Istituto di istruzione superiore «Giuseppe Luosi». E sono proprio gli alunni di questa scuola alcuni dei protagonisti del progetto artistico e didattico «Ricreazioni. Artisti per Mirandola» , realizzato dall’associazione culturale «Abaco», grazie al supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola e alla collaborazione dell’Amministrazione comunale.
Fino a domenica 16 giugno, il centro storico della cittadina rivivrà grazie alle installazioni di quattro artisti emiliani inviati da Elisabetta Modena e Valentina Rossi a interrogarsi sul tema della casa e del suo significato, dopo che il terremoto della scorsa primavera ha ferito, non solo edifici ed infrastrutture, ma anche le più profonde sicurezza di chi abita questo angolo d’Italia.
«La prima scossa, quella delle 4 del mattino di domenica 20 maggio 2012, ha colto tutti nel sonno e ha sconvolto per sempre l’idea di pace e inviolabilità dello spazio più intimo. La quotidianità e la comune riconoscibilità della differenza tra territorio privato e pubblico -raccontano le due curatrici- sono state messe in discussione nei mesi immediatamente successivi a favore di una condivisione o promiscuità che ha destabilizzato le comunità che abitano questi luoghi. Molti emiliani sono oggi abituati a ragionare ad un prima e un dopo: il terremoto ha cambiato tutto, anche la concreta dimensione di ricordi, valori, immagini, profumi, colori e riti connessi alla dimensione della casa, ormai spezzati da una ricostruzione che prevede inevitabilmente tempi lunghi».
Da queste considerazioni è nato il progetto «Ricreazioni», accompagnato da un articolato programma didattico dedicato ai bambini delle scuole primarie e secondarie di primo livello, curato da Giulia Marchetti e Chiara Baldassarri, il cui intento è di rimandare all’idea di creazione artistica e, contemporaneamente, a quella di ri-costruzione di un territorio, ma anche di una comunità e di una identità fortemente incrinate dal terremoto.
E’ stato così ideato un percorso di memoria e di speranza che vede in piazza della Costituente l’intervento di Davide Bertocchi, dal titolo «Volare» (2013): un insieme di cassette con quarantacinque giri posizionati davanti al foro di ingresso, omaggio alla celebre canzone «Nel blu dipinto di blu» di Domenico Modugno.
In via Roma (alle spalle del Duomo), il visitatore troverà, invece, la scritta «Campioni del mondo», disegnata da Flavio Fanelli in nero su sfondo giallo, prendendo spunto dal titolo della «Gazzetta dello Sport» del 12 luglio 1982, quella del giorno dopo la vittoria italiana ai Mondiali di Spagna. Mentre Chiara Pergolaha portato in piazza Garibaldi la sua «Girandola», lettere da calpestare alla ricerca di parole nuove per il futuro.
Altra reinterpretazione dello spazio pubblico, in vista della rinascita del centro storico, è quella di Claudia Losi che, con la sua installazione «Quando il suono delle campane scorreva tra le vie», medita sul fatto che il terremoto abbia distrutto anche tanti campanili. Su festoni colorati, agganciati a dei sonagli, sono state riportate le risposte dei mirandolesi alla domanda «Che cosa avete perso e che cosa avete trovato con il terremoto?» e quando soffia il vento sembra di risentire suonare la campane del vicino convento di San Francesco. Il progetto «Ricreazioni» coinvolge anche i container, dove oggi ha sede l’Istituto di istruzione superiore «Giuseppe Luosi». Qui, nei mesi scorsi, gli artisti Stefano Arienti, Cuoghi Corsello, Emilio Fantin, Eva Marisaldi e Il Prufesur, con gli allievi della scuola e sotto la supervisione di Anteo Radovan, hanno dato colore al grigio dei prefabbricati. I loro interventi, come quelli attuati nel centro storico, saranno pubblicati in un catalogo-libro d’artista, stampato da Fortino Editions in edizione limitata: una nuova guida della città di Mirandola su cui gli artisti interverranno con progetti, bozzetti e rielaborazioni creative, perché il futuro di una città può passare anche dall’arte.

Didascalie delle immagini

[Fig. 1] Claudia Losi, «Quando il suono delle campane scorreva tra le vie», 2013. Fettucce di cotone, sonagli, inchiostro indelebile; [fig. 2] Flavio Fanelli, «1982. Campioni del mondo», 2013 [fig. 3] Chiara Pergola, progetto per «Girandola», 2013 ; [fig. 4 e 5] Davide Bertocchi, «Volare», 2013. Modello dell’installazione 

 Informazioni utili
«Ricreazioni. Artisti per Mirandola». Centro storico e Istituto di istruzione superiore «Giuseppe Luosi» (container di via 29 maggio) – Mirandola (Modena). Catalogo: «Ricreazioni. Nuova guida per Mirandola», Fortino Editions 2013. Fino a domenica 16 giugno 2013

venerdì 19 aprile 2013

L’isola Bella ritrova i grandi arazzi del cardinale Mazzarino

L’isola Bella, gioiello paesaggistico del lago Maggiore, ritrova i grandi arazzi fiamminghi del cardinale Mazzarino. Dopo due anni di intervento conservativo, affidato ai tecnici della Royal Manufacturers De Wit di Mechelen in Belgio, i delicatissimi tessuti rinascimentali, considerati tra i più belli di quell’epoca in tutta Europa, ritornano ad ornare Palazzo Borromeo.
Eseguiti, con ogni probabilità, intorno al 1565 a Bruxelles nella bottega di Pieter Coecke, sulla base di cartoni elaborati da Michael Coxie (1499-1592) per le figure e da Wiliem Tons (o Tonis, Thonis, Thoens) per i paesaggi e gli animali, queste opere entrarono a far parte della collezione Borromeo nel 1787, quale dono del cardinale Vitaliano VII al nipote Gilberto V. La provenienza anteriore non è sicura, ma secondo un'ipotesi molto verosimile gli arazzi possono aver fatto parte della collezione del cardinale Mazzarino, nel cui inventario, datato 1661, compare una serie di «panni» identica a quella oggi esposta all’isola Bella per formato, soggetti e temi delle bordure. Il potente ministro di Luigi XIII avrebbe acquistato questi arazzi nel 1654 dalla famiglia de Guise ed è probabile che sia stato il il cardinale Charles de Guise (1525-1574) ad ordinarne l'esecuzione. Un personaggio di spicco quale fu il prelato francese, con un ruolo eminente tanto sul piano politico quanto su quello religioso (fu protagonista della lotta contro i protestanti francesi e della fase finale del Concilio di Trento), può spiegare in parte non solo l'eccezionale qualità artistica della serie, ma anche la scelta dei soggetti che, sotto il velo dell'allegoria, illustrano il tema del «peccato» e quello della «redenzione», resa possibile dalla grazia e dalla provvidenza divina. L'uomo e la sua opera sono assenti dalle immagini, ma i titoli rimandano continuamente alla morale cristiana e al tema della colpa e a quello del riscatto; il male assume in questa serie l'aspetto di animali selvaggi o mitici come il liocorno, secondo una chiave di interpretazione simbolica suggerita da fonti antiche e cristiane.
I panni, restaurati grazie al finanziamento dei principi Borromeo, hanno altezze simili (412 centimetri) ma larghezze diverse (da 502 a 650 centimetri) e appartengono tutti al medesimo insieme come dimostrano, oltre ai dati dello stile, il disegno delle bordure identico in ognuno dei pezzi (ad eccezione dei cartigli con i testi e dei medaglioni che variano in ogni esemplare) e la coerenza della tecnica di esecuzione: una trama di lana e seta con fili d'oro e d'argento con una densità dell'ordito di nove fili per centimetro, e una gamma cromatica di grande varietà, con toni sfumati ed effetti pittorici di grande raffinatezza.
Tutti gli elementi della serie hanno bordure identiche. Esse includono, tra il fogliame e la vegetazione, dieci gruppi di figure rivolte verso il centro, che rappresentano personaggi mitologici contraddistinti da un rapporto significativo con un animale, il cui nome evoca quello di una costellazione. Si vedono, tra gli altri, Ercole e il leone, Diana e il cane, Promoteo e l'aquila, Annuite e il delfino, Romolo e Remo con la lupa, Europa e il toro, Leda e il cigno, Igea incoronata con il serpente. All'interno di questo sistema decorativo comune che costituisce una sorta di cosmografia illustrata, ogni panno include tre medaglioni circolati e un grande cartiglio con testi e soggetti in rapporto alla figurazione principale.
Non c’è animale, vegetale o motto che non risponda a precisi dettami e significati religiosi. Le opere rappresentano, infatti, delle scene che hanno un aspetto apparente, cui sottende una lettura per codici e conoscenze, lettura finalizzata a trasmette precisi messaggi che potremmo definire come catechistici, nel senso che si rifanno a precisi insegnamenti biblici.
«Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Matteo, 10, 16), «Osserva la formica, pigro, prendi esempio dal suo comportamento» (Proverbi, 6, 6), « Salvami dalle fauci del leone e dal corno del liocorno, difendi la mia fragile esistenza» (Salmi, 22, 22) o «Lo struzzo abbandona in terra le sue uova e le lascia scaldare nella polvere; dimentica che un piede le può calpestare, un animale selvatico le può schiacciare »(Giobbe, 39, 14-15): sono alcune delle espressioni bibliche che si leggono nei cartigli dei sei arazzi esposti (ne manca uno all’appello), tradotte in seta, oro e argento da un laboratorio tra i migliori del Continente, a esplicitare i dettami di un Concilio, quello di Trento chiuso nel 1563, che diede all’arte la funzione di trasmettere i dettami di una religione che impregnava la società.

Informazioni utili 
Palazzo Borromeo – Galleria degli Arazzi, Isola Bella – Lago Maggiore (Verbania). Orari di ingresso: ore 9.00-17.30. Ingresso: Palazzo + giardino – intero € 13,00, ragazzi € 5,50, gruppi adulti € 9,50, gruppi ragazzi € 5,00; Isola Bella + Isola Madre – intero € 18,00, ragazzi € 8,00, gruppi adulti € 14,00, gruppi ragazzi € 7,50; Isola Bella + Isola Madre + Rocca d’Angera, intero € 21,50, ragazzi € 11,00, gruppi adulti € 16,50, gruppi ragazzi € 9,50. Informazioni: tel.0323.30556, info@borromeoturismo.it. Sito web: www.isoleborromee.it. Da sabato 16 marzo a domenica 20 ottobre 2013.

mercoledì 17 aprile 2013

Dalle maioliche di Nicola da Urbino alle tele di Vittore Carpaccio: ecco la «Wunderkammer» del museo Correr di Venezia

Maioliche, cammei e gemme preziose di epoca rinascimentale, smalti romanico-gotici di Limoges, oreficerie provenienti da Costantinopoli, manufatti veneziani in avorio e cristallo, ma anche lussuosi metalli ageminati islamici, arazzi delle Fiandre, preziosi codici miniati e capolavori inediti, recentemente attribuiti a Vittore Carpaccio e Lorenzo Lotto: sono oltre trecento le opere delle ricchissime collezioni civiche veneziane inserite nel nuovo percorso espositivo del Museo Correr di Venezia, curato da Andrea Bellieni. Di queste, ben duecentosessanta escono direttamente dai depositi, esposte e portate all’attenzione e al godimento del pubblico quasi tutte per la prima volta, dopo un secolo di «nascondimento museale», così da svelare ai visitatori anche i risultati della silenziosa e continua opera di catalogazione, studio e restauro delle raccolte condotta dai suoi conservatori e responsabili, in sinergia con le Soprintendenze, ma anche da studiosi internazionali.

A cominciare dal ritratto di colui che diede vita alle raccolte civiche veneziane, quel Teodoro Correr che riempì di opere e documenti il suo palazzetto a San Zandegolà, si dipana una sorta di «collezione delle meraviglie», che mostra il volto della Venezia settecentesca quale città cosmopolita, crocevia di popoli, culture e religioni che potevano dialogare e confrontarsi, straordinario ponte tra Oriente e Occidente.
Tra le tantissime curiosità, in una sala interamente dedicata a oggetti d’arte sacra troviamo, oltre a uno straordinario dente di narvalo figurato, due dei quattro arazzi provenienti da Santa Maria degli Angeli a Murano, probabilmente realizzati ad Arras agli inizi del Cinquecento su commissione veneziana come dimostrerebbero i tanti stemmi patrizi. Nella stessa sala, sono esposti anche una «Madonna con il Bambino in trono e Angeli», che vide probabilmente l’intervento di Gentile da Fabriano, e un grande leggio metallico, prodotto nelle Fiandre per un monastero dell’Egeo e salvato dalla distruzione mussulmana da Francesco Morosini, che lo condusse in patria affidandolo al convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo.
I gusti e le mode veneziane, alimentate dai racconti e dalle merci preziose di mondi lontani, rivivono nelle case dei mercanti e in oggetti singolari, come i brucia-profumi islamici a forma di sfera rotolabile sui tappeti, gli scacchi scandinavi, gli avori gotici francesi o della bottega veneziana trequattrocentesca degli Embriachi, superbi e raffinati per gli intagli.
La mostra al Correr pone, poi, l’accento su dipinti finora trascurati, il cui studio e lavoro di restauro ha riservato verifiche interessanti e scoperte clamorose. Tra questi lavori sono esposti, per la prima volta, un piccolo e inedito «Dio padre» di Lorenzo Lotto, uno struggente disegno con Sant’Anna del Dürer, uno straordinario quanto problematico «Ritratto di Ferrante d’Avalos» (dipinto secondo la tradizione addirittura a Leonardo) e, soprattutto, tre recenti attribuzioni a Vittore Carpaccio, opere fondamentali per chiarire la sua fase giovanile e i suoi riferimenti pittorici: una «Madonna con il Bambino» (1487 ca.), una «Pietà» (1487-’90 ca.) di straordinaria intensità emotiva e poetica e l’eccezionale «Ritratto del doge Leonardo Loredan» (1505 ca.).
Ci sono poi, nel percorso di questa sorprendente wunderkammer, dipinti su tavola di provenienza nordica, come il pregevole «Salvator Mundi» assegnato a Quentin Metsys e bottega (1495 ca.) o la tavola con scene della passione di Cristo su verso e recto, riconducibile a un pittore renano dell’ambiente di Martin Schongauer, o quadri singolari ancora da approfondire, quali il «Ritratto di Marco Pasqualigo», realizzato da Domenico Tintoretto. Non mancano rarità come il bracciale porta-sali fatto con semi d’albicocca o un cammeo del II secolo a.C., raffigurante una civetta e altri animali, adattato a fermaglio di bracciale e spilla, che si dice sia appartenuto a Maria Antonietta di Francia.
I magistrali metalli realizzati da Orazio Fortezza, le posate in cristallo di rocca e argento, lo spettacolare «Stipo Venier» di provenienza tedesca, realizzato nella prima metà del XVII secolo, si affiancano in mostra a nuclei espositivi d’eccezionale importanza e valore artistico come il Servizio Correr, realizzato intorno al 1520 da Nicola da Urbino, capolavoro della maiolica rinascimentale tra i più noti e importanti in assoluto. Notevole anche la selezione di bronzetti e placchette, che mostra opere delle officine di Padova e Venezia dalla seconda metà del Quattrocento al primo Seicento, con i grandi nomi della produzione bronzistica e le loro botteghe: Andrea Briosco detto il Riccio, Savero Calzetta da Ravenna, Alessandro Vittoria, Girolamo Campagna, Tiziano Aspetti. Tra le medaglie spiccano noti esemplari di rara qualità dovuti a Pisanello, Matteo de’ Pasti e Gentile Bellini.
Prima di lasciare le sale, lo sguardo corre su alcune immagini della città: l’«Arrivo a Venezia di Ercole I d’Este duca di Ferrara, 1487», attribuito a Lazzaro Bastiani, la grande xilografia di Tiziano Vecellio che rievoca la sommersione del Faraone nelle acque di un Mar Rosso dalla chiara dimensione lagunare, e quella che è forse la più nota veduta prospettica a volo d’uccello di Venezia, «Venetie MD», l’opera di Jacopo de Barbari degli inizi del XVI secolo, composta da sei fogli di carta giuntati, esposta in questa occasione accanto alle corrispondenti matrici su tavole in legno di pero, straordinariamente acquisite e conservate proprio da Teodoro Correr.

Per saperne di più
Un Carpaccio inedito nel nuovo numero del Bollettino dei Musei civici veneziani
Venezia, restaurati gli appartamenti della principessa Sissi 

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Veduta dell’allestimento del percorso espositivo «Wunderkammer. Studi, scoperte, restauri per il ‘Grande Correr’»; [fig. 3] Vittore Carpaccio, «Madonna con il Bambino», 1487 ca.. Venezia, Museo Correr;  [fig. 4] Lorento Lotto, «Dio Padre», 1527 ca.. Venezia, Museo Correr; [fig. 5] Nicola da Urbino, «Servizio Correr» – «Orfeo incanta gli animali suonando», 1520 ca.. Venezia, Museo Correr

Informazioni utili
Wunderkammer. Studi, scoperte, restauri per il ‘Grande Correr’. Museo Correr, piazza San Marco – Venezia. Orari: dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00 - 19.00 (biglietteria, ore 10.00 - 18.00); dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00 -17.00 (biglietteria, ore 10.00 -16.00). Biglietto (valido per Palazzo ducale, Museo Correr, Museo archeologico nazionale e Sale monumentali della Biblioteca nazionale marciana): intero € 16,00, ridotto (ragazzi da 6 a 14 anni, studenti dai 15 ai 25 anni; accompagnatori di gruppi di ragazzi o studenti, cittadini ultrasessantacinquenni; personale del Ministero per i beni e le attività culturali, titolari di Carta Rolling Venice, soci Fai) € 8,00; gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia e membri Icom, bambini da 0 a 5 anni, portatori di handicap con accompagnatore, guide autorizzate; interpreti turistici che accompagnino gruppi (una gratuità ogni quindici biglietti previa prenotazione), possessori Muve Friend Card; Offerta scuole € 5,50 a persona  (valida nel periodo 1° settembre – 15 marzo). Informazioni: call center 848082000 (dall’Italia) o  +39.(0)4142730892 (dall’estero); info@fmcvenezia.it. Sito web: correr.visitmuve.it. Da mercoledì 17 aprile 2013. 

martedì 16 aprile 2013

«I Vangeli nelle chiese di Lombardia», un progetto tra arte, turismo e teatro

La difesa del più debole, la ricerca della pace, la cura della propria dimensione interiore: è l’insegnamento etico che Gesù Cristo lascia ai suoi discepoli e alla folla nel discorso delle Beatitudini, vera a propria «Magna Charta del cristianesimo», a chiudere lo spettacolo «Gesù, il ritorno», una riflessione sull’attualità del messaggio evangelico, su ciò che le parole dei santi Marco, Matteo, Luca e Giovanni hanno ancora da dire all’uomo di oggi.
 La rappresentazione, che debutterà nel pomeriggio di domenica 21 aprile a Gallarate, è il cuore pulsante del progetto itinerante «I Vangeli nelle chiese di Lombardia», promosso dall’associazione culturale «Educarte», con il patrocinio e il contributo economico della Fondazione Lambriana per attività religiose e caritative di Milano, in occasione dell’Anno della fede.
 L’iniziativa, nata da un’idea della regista bustese Delia Cajelli, intende rivisitare pagine significative dei quattro evangelisti attraverso l’uso del linguaggio teatrale e, contemporaneamente, si propone di valorizzare importanti testimonianze storico-artistiche e architettoniche della regione Lombardia, edifici che possano ospitare al proprio interno uno spettacolo teatrale e che vengano considerati mete per una gita fuori porta. Grazie alla disponibilità di monsignor Ivano Valagussa, prevosto della Comunità pastorale di San Cristoforo in Gallarate, il progetto debutterà nel pomeriggio di domenica 21 aprile, alle ore 16.30, presso la chiesa di San Pietro, gioiello di arte lombarda in stile romanico, con elementi gotici, dichiarato monumento nazionale nel 1844, al cui interno sono conservati un altare barocco in marmi policromi del secolo XVII, un capitello corinzio del III-IV secolo, adattato ad acquasantiera, e una raffigurazione a finto mosaico del Buon Pastore, databile agli inizio Novecento.
 In questi spazi, la cui costruzione è ad opera di maestri comacini, gli attori del teatro Sociale di Busto Arsizio (Ambra Greta Cajelli, Gerry Franceschini, Mario Piciollo e Anita Romano), insieme con una decina di allievi del progetto Officina della creatività» di «Educarte», faranno ‘incontrare’ al pubblico personaggi evangelici quali Giovanni Battista, Nicodemo, Maria Maddalena, la samaritana al pozzo, Lazzaro e il cieco nato, figure la cui vita è stata cambiata profondamente dall’incontro con Gesù Cristo e che testimoniano all’uomo di ieri e di oggi l’immensità della misericordia di Dio.
 Lo spettacolo, su testo e per la regia di Delia Cajelli, proporrà anche una riflessione su alcuni passi dell’«Apocalisse», l’ultimo libro della Bibbia con il racconto del giudizio finale e della Gerusalemme celeste, oltre a un focus sulla figura di san Francesco e sull’attualità del suo messaggio di pace, povertà e amore per il Creato, che prevede la drammatizzazione di alcune pagine del canto XI del «Paradiso» di Dante Alighieri e del «Cantico delle creature», del quale verranno proposti anche un intervento coreografico a firma di Elisa Vai e uno musicale a cura di Anita Romano.
 «Lo spettacolo -spiega Delia Cajelli- sarà recitato in mezzo al pubblico e gli attori saranno vestiti in abiti dei nostri tempi, a testimoniare come i valori evangelici siano portatori di una luce e di una speranza capace di orientare il cammino degli uomini di tutti i tempi. La parte di Gesù è stata affidata ad un extracomunitario, perché se Cristo nascesse oggi sarebbe uno straniero, schierato dalla parte dei più poveri e dei più deboli». Nel ruolo del Messia si cimenterà così Leonardo Gallina, giovane allievo argentino del corso «Chi è di scena? Il pubblico», originario di Buenos Aires, dove ha vissuto parte della sua infanzia e adolescenza.
 A fare da colonna sonora allo spettacolo, per la quale l’associazione culturale «Educarte» si è avvalsa della competente consulenza musicale di don Alessandro Casiraghi (già parroco dei Santi Magi di Legnano e oggi residente alla Casa del clero «Domus Mater» - ex Villa Aldè di Lecco), saranno musiche per organo di Johann Sebastian Bach, composizioni del gesuita e musicista barocco Domenico Zipoli, oltre a brani di Angelo Branduardi tratti dall’album «L’infinitamente piccolo», dedicato alla figura di San Francesco.
Luci e fonica vedranno all’opera Maurizio «Billo» Aspes. Complessivamente saranno sei le repliche della sacra rappresentazione «Gesù, il ritorno» in programma sull’intero territorio regionale, tre delle quali si terranno nel Varesotto (le altre saranno allestite in edifici sacri, ubicati nelle province di Bergamo, Lecco e Milano).
Dopo il debutto gallaratese, lo spettacolo farà tappa nella serata di venerdì 17 maggio, alle ore 20.30, a Lonate Pozzolo, negli spazi del monastero di san Michele (ingresso da via Cavour), complesso religioso fondato nel Quattrocento e ampliato durante il secolo successivo per volontà di san Carlo Borromeo, oggi di proprietà del Comune che lo ha trasformato in spazio polifunzionale con biblioteca, aula per conferenze e uffici, al cui interno sono conservati affreschi di soggetto sacro, datati tra il Cinquecento e il Settecento, raffiguranti, tra l’altro, una grande scena della Pentecoste e la traslazione della santa casa di Loreto.
Giovedì 23 maggio, alle ore 21, «Gesù, il ritorno» sarà, quindi, rappresentato a Busto Arsizio, presso il santuario di santa Maria di piazza, armoniosa costruzione rinascimentale di tipo bramantesco, all’interno della quale sono conservati dipinti di Bernardino Luini e Gaudenzio Ferrari, oltre alla statua della Madonna dell’Aiuto, che la tradizione popolare vuole abbia fermato, nel 1630, il contagio della peste di manzoniana memoria.L'associazione culturale «Educarte» propone, dunque, un appuntamento itinerante di teatro che è anche occasione per scoprire o riscoprire tante piccole perle architettoniche e storico-artistico del territorio lombardo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Chiesa di San Pietro a Gallarate (Varese); [fig. 2] Santuario di Santa Maria di piazza a Busto Arsizio (Varese); [fig. 3] Monastero di San Michele a Lonate Pozzolo (Varese)

Informazioni utili
Teatro Sociale, piazza Plebiscito 8, 21052 Busto Arsizio (Varese), tel. 0331.679000, fax. 0331.637289, info@teatrosociale.it, www.teatrosociale.it.

lunedì 15 aprile 2013

«Kids Creative Lab», a casa di Peggy le creazioni di migliaia di piccoli designers

Ago, filo e tanta fantasia: sono questi gli ingredienti di «Kids Creative Lab», progetto ideato dalla collezione Peggy Guggenheim di Venezia, insieme con la catena di abbigliamento Ovs, il più noto retailer di fast fashion italiano di proprietà del gruppo Coin.
L’iniziativa, lanciata su scala nazionale lo scorso novembre, ha coinvolto 1.200 scuole primarie, 7.000 classi e oltre 160.000 bambini. Il risultato del lavoro di tutti questi piccoli ‘artisti in erba’, e dei loro insegnanti e genitori, sarà in mostra a partire da mercoledì 24 aprile nel noto museo lagunare, ubicato nelle sale di Palazzo Venier dei Leoni, al cui interno è conservata una ricca collezione con opere di Picasso, Kandinsky, Magritte, Pollock e Miró, ossia il meglio dell’arte europea e americana del primo Novecento.
Per circa due settimane, e cioè fino a lunedì 6 maggio, i visitatori potranno ammirare -accanto alle opere di Afro, Arp, Fontana e Warhol della raccolta Hannelore e Rudolph Schulhof (appena acquisita dal museo)- una stravagante e imponente installazione composta da migliaia di coloratissime creazioni in feltro, dalle forme più disparate, realizzate con passione e creatività dai bambini di tutta Italia nell’ambito dei quattro laboratori creativi, presentati lo scorso novembre con lo scopo di avvicinare i più piccoli all’arte e alla moda attraverso la creatività, quale strumento di maturazione intellettuale ed emotiva.
Oltre ai singoli laboratori ‘fai da te’, che i partecipanti hanno potuto seguire e realizzare grazie a un manuale con tutte le istruzioni e a una serie di divertenti video tutorial, i bambini, in questi mesi, hanno avuto l’opportunità di lavorare anche con il «Kit d’artista», che ha permesso loro un approccio accattivante e originale alle tematiche e ai materiali del fare artistico.
L’istituto che ha partecipato alla mostra con il maggior numero di studenti riceverà in premio dieci tablet Asus VivoTab Smart di ultima generazione, completi di custodia e tastiera, messi in palio da Asus, sponsor tecnico del progetto. Il nome della scuola vincitrice verrà comunicato in occasione della vernice della rassegna, alla quale ogni bambino che ha preso parte all’iniziativa potrà accedere gratuitamente, insieme a due adulti accompagnatori, di poter accedere al museo.
Tra soggetti mitologici, figure geometriche, animali di tessuto, mosaici di bottone e feltro, si chiude, dunque, la prima edizione di un interessante progetto formativo che ha insegnato ai più piccoli a coniugare moda, design e nuovi media, in dialogo tra scuola, famiglia e museo.

Informazioni utili 
«Kids Creative Lab». Collezione Peggy Geggenheim - Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 - Venezia. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-18.00. Ingresso: intero € 14,00, ridotto € 12,00/€8,00, senior over 65, € 11,00, bambini fino ai 10 anni e soci gratuito. Informazioni: tel. 041.2405411, fax 041.5206885, e-mail: info@guggenheim-venice.it. Sito web: Da mercoledì 24 aprile a lunedì 6 maggio 2013.

venerdì 12 aprile 2013

Da «Scintille» a «Movin’Up»: in tutta Italia concorsi per attori, curatori e artisti under 35

E’ una vetrina per le giovani compagnie quella che propone il «Festival Asti Teatro» con la nuova edizione di «Scintille», concorso finalizzato alla produzione di uno spettacolo teatrale da promuovere sull’intero territorio nazionale. Il bando, aperto fino a lunedì 22 aprile 2013, si rivolge a gruppi teatrali di massimo otto persone, i cui membri non abbiano superato i 35 anni di età. Sono ammessi progetti di drammaturgia non ancora realizzati e di qualsiasi genere, dal teatro di impegno civile a quello sperimentale.
Le compagnie interessate possono candidarsi inviando una descrizione del proprio progetto (massimo cinque cartelle) e/o altro materiale relativo al progetto stesso e alla compagnia (cd, dvd e simili), insieme con il modulo di iscrizione, a Asti Teatro 35- Scintille 013, presso il teatro Alfieri di Asti (via Grandi 16, 14100 Asti). Copia del solo modulo d’iscrizione dovrà essere inviata anche via posta elettronica (senza allegare altro materiale) al seguente indirizzo scintille@comune.asti.it.
Dopo una prima selezione tra le proposte di spettacolo pervenute, verranno individuate otto compagnie che saranno invitate, entro venerdì 24 maggio, ad allestire una proposta-studio del loro spettacolo ad Asti nel week-end del 29 e del 30 giugno, in alcuni cortili del centro storico, con ‘assaggi’ di venti minuti. Ad ogni compagnia selezionata verrà garantita l'ospitalità per i giorni di permanenza ed un contributo di 400 euro come rimborso spese di viaggio. Il vincitore, scelto dal pubblico e da una giuria di operatori teatrali, riceverà un premio di produzione di 4mila euro.

Guarda agli under 35 anche il bando «Giovani curatori», lanciato dal Comune di Genova attraverso il Museo di villa Croce, la Sala Dogana - Giovani idee in transito e Genova Palazzo Ducale-Fondazione per la Cultura. Il bando, le cui iscrizioni sono aperte fino a lunedì 6 maggio 2013, richiede la creazione di un progetto espositivo avente per tema la domanda «Non è un paese per vecchi?». Gli interessati, di età compresa tra i 25 e i 35 anni e con un’esperienza di almeno due anni in istituzioni museali pubbliche o private, dovranno far pervenire al Comune di Genova il modulo di iscrizione al concorso, completo di un curriculum vitae di lunghezza non superiore a una cartella, della descrizione del progetto con indicazione del concept della mostra, di un elenco preliminare delle opere e degli artisti italiani o stranieri operanti in Italia, di età compresa tra i 18 e i 40 anni alla data di scadenza del bando, e di una ipotesi di allestimento, con almeno cinque immagini.

La selezione dei progetti sarà affidata a una giuria presieduta da Ilaria Bonacossa, curatrice del programma espositivo del Museo d’arte contemporanea Villa Croce, e composta da Viana Conti, Antonella Crippa, Sandro Ricaldone e dal duo artistico Alis/Filliol. Al vincitore verrà corrisposto un importo imponibile pari a € 3.750,00, quale sostegno per la realizzazione e l’allestimento della mostra oggetto del concorso, in programma dal 4 al 20 ottobre 2013 presso gli spazi di Sala Dogana.

Attori, curatori di mostre, ma anche giovani artisti under 35 sono tra i protagonisti dei bandi appena lanciati nel nostro Paese. A Modena ritorna, per esempio, «Dab – Design da destinare agli art shop e ai bookshop museali», concorso promosso da Gai – Associazione per circuito dei giovani artisti italiani e realizzato dall'Ufficio giovani d'arte del Comune di Modena nell’ambito della Convenzione progetto De.Mo-sostegno al nuovo design e alla mobilità, siglato dalla stessa Gai con il Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale e Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee / Servizio architettura e arte contemporanee.
L'iniziativa, alla sua quarta edizione, si rivolge ad artisti, designer, artigiani-artisti, studenti, di nazionalità italiana o con residenza in Italia da almeno un anno alla data di presentazione della domanda. Gli interessati dovranno inviare all’Ufficio Giovani d’arte del Comune di Modena scheda di iscrizione, scheda tecnica del progetto, prototipo realizzato su supporto digitale e/o cartaceo, curriculum vitae e immagini di eventuali precedenti realizzazioni.

Il concorso, le cui iscrizioni sono aperte fino al 1° luglio 2013, ha lo scopo di favorire la progettazione e produzione di oggetti d’arte e di design, ad opera di giovani artisti italiani da destinare alla commercializzazione negli art shop e bookshop dei musei del nostro Paese attraverso la creazione di vetrine per la presentazione dei prototipi realizzati e la promozione di condizioni adeguate per la loro successiva produzione e commercializzazione. Il percorso del progetto prevede una prima selezione di prototipi che sarà oggetto della pubblicazione del catalogo «Dab4», di esposizioni in Italia e la successiva, eventuale individuazione, tra questi, di un nucleo di oggetti che saranno autoprodotti dagli autori, entrando a far parte della «linea Dab per il merchandising museale», presentato in passato alla Galleria civica di Modena, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, al Castel Sant'Elmo di Napoli, al Macef di Milano e al Bologna Licensing Trade Fair alla Fiera di Bologna.
Un’apposita commissione, costituita da esperti ed operatori del settore, selezionerà, tra i candidati, gli autori delle opere ritenute più originali, significative e qualitativamente valide anche in relazione a requisiti di fattibilità e al rapporto qualità-prezzo. I prototipi parteciperanno all’esposizione che si terrà a Modena, dal 21 settembre al 20 ottobre 2013, presso il Museo casa Enzo Ferrari e in un altro museo statale italiano, individuato dal Ministero per i beni e le attività culturali.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Immagine promozionale del bando «Scintille 2013»; [fig. 2] Vista degli spazi di Sala Dogana a Genova, sede della mostra realizzata a chiusura del concorso  «Giovani curatori»; [fig. 3] Francesca De Pieri,  «Note in arte», Shopper per  «Dab – Design da destinare agli art shop e ai bookshop museali»; [fig. 4] Valerio Vinciguerra per «Dab – Design da destinare agli art shop e ai bookshop museali»

Informazioni utili 
«Scintille 2013». Data ultima di consegna: 22 aprile 2013 (dicitura per la busta: Asti Teatro 35- Scintille 013). Informazioni: teatro Alfieri, via Grandi 16 - 14100 Asti, tel. 0141/399573 (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 13.00), e-mail: scintille@comune.asti.it. Sito internet: www.comune.asti.it

 «Giovani curatori». Data ultima di consegna: lunedì 6 maggio 2013 (dicitura per la busta: Giovani curatori). Comune di Genova - Archivio Generale, piazza Dante 10 / 1° piano - Genova. Orari di consegna: lunedì e giovedì, ore 8.30-12.30 e ore 14.00-16.30; martedì e mercoledì, ore 8.30-16.30; venerdì, ore 8.30-14.00. Sito internet: www.palazzoducale.genova.it. 

 «Dab – Design da destinare agli art shop e ai bookshop museali». Data ultima di consegna: 1° luglio 2013. Informazioni e spedizione materiali: Giovani d'arte, Settore Cultura, via Galaverna 8 – 41100 Modena, tel. 059.2032604 (orari: da martedì a venerdì, ore 8.30-13.00; lunedì e giovedì, ore 14.30-17.30), giovanidarte@comune.modena.it. Sito web: www.comune.modena.it/gioarte.

giovedì 11 aprile 2013

La Pompei di fine Ottocento nella pittura di Luigi Bazzani

Era la fine dell’Ottocento quando Luigi Bazzani (Bologna 1836 - Roma 1927), scenografo e vedutista bolognese le cui opere sono conservate in prestigiosi istituzioni italiane e straniere come la Galleria di Capodimonte a Napoli e il Victoria and Albert Museum di Londra, partiva alla volta di Pompei per ritrarre e studiare le rovine da poco riportate alla luce dalle ceneri del Vesuvio. Un secolo dopo, sul finire degli anni Novanta, la storia della città felsinea si intrecciava ancora una volta con quella degli scavi pompeiani, grazie al prezioso lavoro di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di archeologia dell’Alma Mater, che si sarebbero anche occupati, nel corso degli anni, di ricostruire tridimensionalmente la domus del Centenario e altri reperti della zona vesuviana. Questa storia, che viaggia sul doppio binario del tempo, viene, oggi, ricostruita dalla mostra «Davvero! La Pompei di fine '800 nella pittura di Luigi Bazzani», promossa dalla Fondazione del Monte, con l'Università di Bologna - Dipartimento di storia culture civiltà, Sezione di archeologia, grazie al contributo economico dell'Istituto Banco di Napoli – Fondazione e alla collaborazione della Soprintendenza dei beni archeologici di Napoli e Pompei.
Il progetto espositivo, visibile fino a domenica 26 maggio 2013 presso la sede bolognese della Fondazione del Monte e da giovedì 4 luglio 2013 al Museo archeologico nazionale di Napoli, ripercorre, attraverso un ricco apparato iconografico composto dalle opere di Luigi Bazzani e da una serie di scatti che documentano l'attuale realtà pompeiana, l'eccezionale produzione del pittore bolognese, soffermandosi in particolare sullo straordinario contributo che i suoi acquerelli, caratterizzati da una grande qualità artistica e da una prodigiosa abilità tecnica, rappresentano ancora oggi per lo studio di Pompei e della sua storia.
Quasi un centinaio di opere, tra le quali anche schizzi, disegni e dipinti ad olio in gran parte sconosciuti al pubblico e agli stessi archeologi, restituiscono con assoluta precisione edifici e pitture oggi gravemente danneggiati o scomparsi, ai quali Luigi Bazzani dedicò oltre un trentennio del suo lavoro, tra il 1880 e il 1910 circa, realizzando appunti visivi diventati testimonianze storiche dello splendore e della fragilità di un luogo, del quale lo stesso artista percepì l’inesorabile degrado. Il percorso espositivo, per la curatela di Daniela Scagliarini, Antonella Coralini, Riccardo Helg e Valeria Sampaolo, è articolato in sei differenti sezioni ed inquadra la figura di Luigi Bazzani muovendo dagli inizi bolognesi -dove l’artista si distinse già in giovane età per l'abilità tecnica nella composizione di scene prospettiche e architettoniche che lo portò anche a collaborare agli allestimenti scenografici del Teatro comunale della città- fino al momento del suo trasferimento a Roma nel 1861. Se da un lato l'attività di scenografo proseguì nei primi anni dal suo arrivo nella capitale, è pur vero che fu senz'altro questa l'occasione dei primi contatti con i monumenti dell'antichità classica, le cui rovine divennero la sua principale fonte di ispirazione.
Le sezioni successive propongono un vero e proprio viaggio nella Pompei della seconda metà dell'Ottocento, esplorando, di volta in volta, differenti momenti del periodo in cui Luigi Bazzani operò nella città campana: il complesso rapporto tra la pittura e la fotografia, tecnica innovativa che andava affermandosi proprio in quegli anni, la corrente neopompeiana di ispirazione storica, alla quale lo stesso artista bolognese aderì per qualche tempo, l’evoluzione definitiva del suo lavoro verso il vedutismo, il cui intento era quello di far rivivere nell'osservatore il fascino e l'emozione di una visita alla città antica. Un'ulteriore sezione è, poi, dedicata alle opere in cui Luigi Bazzani si cimentò con le tecniche del rilievo architettonico, un aspetto finora poco noto ma di grande interesse per la ricerca archeologica.
L'ultima parte del percorso espositivo, di carattere più tecnico, è, invece, dedicata alle metodologie oggi impiegate per la documentazione degli apparati decorativi nei progetti di ricerca e di formazione dell'ateneo bolognese, dal rilievo fotogrammetrico alla ricostruzione tridimensionale, senza trascurare tecniche tradizionali come la tempera e l’acquerello per la ricostruzione della policromia originale delle pareti.
Un catalogo e un sito internet realizzato in collaborazione con Cineca, in cui saranno disponibili tutte le opere pompeiane dell’artista, localizzate nella città antica e corredate di scheda illustrativa e confronto fotografico con la situazione attuale, completano il progetto, un vero e proprio viaggio nel tempo per scoprire il fascino di luoghi che tutto il mondo ci invidia (non è un caso che la mostra-evento «Vita e morte a Pompei ed Ercolano» al British Museum di Londra stia facendo file al botteghino) e che noi non amiamo a sufficienza.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Luigi Bazzani, Larario della Casa IX 1, 7, acquerello su carta, 31x22, 1903. Museo archeologico nazionale di Napoli, inv. 139418; [fig. 2] Luigi Bazzani, Fontana della Casa di C. Virnius Modestus (IX 7, 16) acquerello su carta, 47x32,5, non datato. Museo archeologico nazionale di Napoli, inv. 139427; [fig. 3] Luigi Bazzani, Gineceo della Casa di Sallustio (VI 2, 4)
acquerello su carta, 42,6x31, 1902. Museo archeologico nazionale di Napoli, inv. 139439; [fig. 4] Luigi Bazzani, Odeion, acquerello su carta, 42x32, non datato. Museo archeologico nazionale di Napoli, inv. 139446

Informazioni utili

Davvero! La Pompei di fine '800 nella pittura di Luigi Bazzani. Fondazione del Monte, via delle Donzelle, 2 -  Bologna. Orari: 10.00-19.00; chiuso il 1° maggio 2013. Ingresso libero. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 051.2962508. Sito web: www.fondazionedelmonte.it. Fino al 26 maggio 2013.