LA FAVOLA: Sarà per tradizione. Sarà per autentico sentimento. Ma a Natale siamo tutti più buoni, generosi, affabili e sereni. Tutti, tranne uno: Pantalone de’ Bisognosi. A casa sua non si fanno l’albero e il presepe. Non si scartano i regali. E, soprattutto, non ci si abbuffa con dolci e leccornie. Ne sanno qualcosa Arlecchino, Brighella, Pulcinella, Colombina, la figlia Isabella e lo storico amico Pantofola da Montepulciano, al quale si deve uno dei soprannomi più conosciuti del ricco mercante veneziano: «braccino corto».
Mancavano ormai pochi giorni a Natale e Pantalone rispondeva sempre con un no deciso a tutte le proposte dei suoi servitori.
«Vado a prendere in ripostiglio l’albero e le decorazioni per abbellire la casa?», chiedeva civettuola Colombina.
«Un mio amico di Napoli mi ha regalato un bel presepe del Settecento, fatto dagli artigiani di via San Gregorio Armeno. Lo mettiamo in salotto, vicino alla finestra che si affaccia sul Canal Grande?», domandava con il solito atteggiamento svogliato Pulcinella.
«Sior paròn, g’ho già una fame che no ghe vedo. Mi sogno la cena della Vigilia da giorni: mi immagino sulla nostra tavola natalizia bigoli in salsa, risi e bisi, sardele in saor, baccalà mantecato, moleche col pien, baìcoli, torone e il panettone di Meneghino. Giuro che mangerò tutto e ne vorrò ancor di più. Sior paròn, vado a far la spesa così siamo sicuri di avere tutto in dispensa?», chiedeva con un sorriso astuto Arlecchino.
A tutte le domande Pantalone rispondeva «Nooo. Gh’ho dito no ed è no. A casa nostra non si festeggia il Natale». Ma il ricco mercante di Venezia non aveva fatto i conti con un «buffo uomo vestito di rosso», dalla lunga barba bianca e con la casa piena di regali per i bambini di tutto il mondo.
La sera del 23 dicembre di quell’anno, in anticipo di qualche ora (forse un po’ troppe), Babbo Natale planò con la sua slitta sul tetto del palazzo de’ Bisognosi, si calò lentamente nel camino, andò in cucina e…rapì Colombina.
Potete immaginare che gran trambusto ci fu in quella casa. Arlecchino piangeva disperato pensando di aver perso per sempre l’amore della sua vita e, soprattutto, la sua locandiera personale. Brighella temeva di dover lavorare anche il giorno di Natale ed era quasi certo che Pulcinella, sempre impegnato dalla mattina alla sera nell’arte del «dolce far niente», non lo avrebbe aiutato nemmeno in quella difficile situazione. Pantalone, invece, era contento, anzi contentissimo: in casa ci sarebbe stata una persona in meno a ricordargli che si stava avvicinando il 25 dicembre. Mentre la slitta di Babbo Natale volava in cielo, il ricco mercante veneziano si era messo addirittura a ridere, saltare e gridare: «Addio Colombina. È stato un piacere averti conosciuta, ma era già da qualche tempo che pensavo di sostituirti con la tua amica Smeraldina. Non ti preoccupare, mi hanno detto che se un buffo uomo vestito di rosso ti mette in un sacco e ti rapisce, non devi aver paura: qualcuno ha chiesto un tesoro per Natale. Ah, ah, che ridere! E adesso mi chiudo nella mia stanza e ci rimango fino al 26 dicembre. Ah, ah, che ridere!».
Babbo Natale sorrise serafico e pensò tra sé e sé: «mio caro vecchio barbagianni, chi la fa, l’aspetti». Colombina era, infatti, il prezioso regalo che avrebbe trovato sotto l’albero Isabella, la figlia di Pantalone, per realizzare il suo più grande sogno: una festa di Natale per tutti i veneziani, che avrebbe riunito intorno allo stesso grande tavolo adulti e bambini, ricchi e poveri, simpatici e antipatici, amici e nemici.
In gran segreto tutte le maschere della Commedia dell’arte stavano arrivando a Venezia, su invito del «buffo uomo vestito di rosso», con un piatto tipico della loro terra: Tartaglia avrebbe portato la pizza napoletana e gli strufoli, Peppe Nappa i cannoli e le cassate, Gianduja i gianduiotti e il bollito misto alla piemontese con il bagnet ross e verd, il dottor Balanzone la mortadella di Bologna e i tortellini da fare in brodo, Meo Patacca gli gnocchi alla romana, Meneghino il panettone e Pantofola da Montepulciano del buon vino toscano. Mentre Colombina avrebbe preparato tutti i piatti veneziani che piacevano tanto al suo amato Arlecchino.
Ci vollero una notte e un giorno per i preparativi: si dovette diramare l’invito a tutti i veneziani, preparare l’albero e il presepe, incartare i regali e portare di nascosto le pietanze nel palazzo di Pantalone, l’inconsapevole ospitante della festa. Il segreto non durò molto. Al primo vociare di bambini, il vecchio mercante si alzò di scatto dal letto. Uscì dalla sua stanza. Si guardò intorno. Capì che cosa stava succedendo e decise di far pagare a tutti il biglietto di ingresso al palazzo. Ci volle l’intervento di Isabella per far capire al padre che in una serata tanto speciale come quella della nascita di Gesù l’unica moneta da far pagare erano le parole di poesie famose e le note di belle canzoni e così fu, ma non prima che Pantalone dicesse a tutti i presenti: «…E che festa sia!».
Forse è vero: a Natale siamo tutti un po’ più buoni.
Gli ATTORI IN ERBA di CULTURANDO