ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
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giovedì 31 marzo 2022

Riapre a Venezia il Teatro Verde, gioiello architettonico della Fondazione Giorgio Cini

Era il luglio 1954 quando a Venezia, sull’isola di San Giorgio Maggiore, veniva inaugurato, con il testo sacro «Resurrezione e vita», il Teatro Verde, uno scenografico anfiteatro all’aperto che fonde insieme la solennità della architettura teatrale classica antica e la grazia preromantica di quella agreste, elemento fondamentale nella vita teatrale dei secoli che vanno dal '500 al '700.
Progettato dall’architetto Luigi Vietti (1903-1998) ispirandosi ai «teatri di verzura» che ornavano le ville venete della terraferma, la struttura della Fondazione Giorgio Cini, che ha per quinte il verde e il blu della laguna veneta e per soffitto il cielo, ha ospitato, negli anni, spettacoli complessi e sontuosi. Si sono succeduti sul palco il Teatro di Atene con l'«Ecuba» di Euripide e l'«Edipo Re» di Sofocle, il Théàtre populaire de France con il «Don Juan» di Molière e la «Ville» di Claudel, la Compagnia di Annie Ducaux con la «Bérénice» di Racine e quella dell'Oxford Playhouse con «Il sogno di una notte di mezza estate» di Shakespeare. Sono andati in scena anche spettacoli di «Nô» giapponesi, danze sacre tibetane, coreografie Maori e classici italiani come «La Moscheta» di Ruzzante, il «Campiello» di Carlo Goldoni e «L'amore delle tre melarance» di Carlo Gozzi, nonché appuntamenti lirici, dall'«Arianna» di Benedetto Marcello alla «Serva padrona» di Pergolesi, passando per la «Carmen» di Bizet.
Il cartellone, sempre di qualità, non ha mai oscurato la bellezza dello spazio che ha avuto tra i suoi estimatori anche l’attrice Katerine Hepburn. Fu lei a definire, negli anni Cinquanta, l’anfiteatro veneziano, che si trova nella porzione meridionale del bosco sull’isola di San Giorgio Maggiore, come «il teatro più bello del mondo». Non si può darle torto: le siepi di ligustro collocate sugli schienali delle sedute in pietra, gli alberi che fanno da quinte, il mare che fa da fondale e gli oltre millecinquecento posti a sedere fanno di questo palco, fortemente voluto dall’illuminato mecenate Vittorio Cini, un vero e proprio gioiello.
Da sempre esposto all’aggressività dell’ambiente lagunare e alle acque alte (la parte che si trova sotto il palcoscenico - contenente camerini, servizi, locali tecnici, depositi e la fossa dell’orchestra - è collocata a una quota inferiore rispetto al medio mare), il Teatro Verde ha avuto bisogno nel corso del tempo di svariati restauri. Il più consistente di questi riammodernamenti si è tenuto nel 1999 e ha visto in campo la Biennale di Venezia, che nel luglio dello stesso anno ha riaperto lo spazio, dopo venticinque anni di chiusura, con lo spettacolo «Parabola» di Carolyn Carlson. Nel 2016 anche il Fai – Fondo per l’ambiente italiano si è interessato, con la campagna «I luoghi del cuore», alle sorti del teatro veneziano organizzando delle visite guidate per la cittadinanza.
Infine, nel 2021 è iniziato un nuovo restauro che ha riportato alla luce l’architettura, valorizzandone tutte le qualità dei materiali costruttori, la struttura botanica circostante, le spazialità e gli straordinari scorci paesaggistici. L’intervento, a cura della Fondazione Cini, è stato reso possibile grazie alla partnership con Cartier, maison da sempre attenta alle eccellenze culturali.
Per l’occasione è stato organizzato con l’Uia - Università internazionale dell’arte un cantiere didattico curricolare per la pulitura delle sedute in marmo, con trattamento biocida, allo scopo di riportare alla luce la qualità dei marmi impiegati, valorizzando i materiali e le cromie. Sono state messe, inoltre, in atto la rimessa in sicurezza delle scale di accesso, operazioni di consolidamento del palco e lavori di cura, sostituzione e potatura del verde, per restituire alla vista gli straordinari scorci lagunari.
Parallelamente a questa serie di interventi, la Fondazione Cini sta sviluppando innovativi progetti culturali per la conoscenza e la valorizzazione della struttura, attraverso lo studio della documentazione d’archivio presente all’Istituto per il teatro e il melodramma, mediante la digitalizzazione di fotografie e documenti e attivando anche specifici progetti artistici per la fruizione innovativa dello spazio.
In attesa di nuovi restauri, in programma per i prossimi anni, il Teatro Verde riapre al pubblico in occasione di Homo Faber Event 2022 (homofaber.com), iniziativa culturale dedicata all’eccellenza dei mestieri d’arte contemporanei, in programma dal 10 aprile, mentre a partire dal 20 maggio potrà essere visitato attraverso una serie di visite guidate (informazioni e biglietti su visitcini.com).
In occasione dell’apertura di aprile, sarà possibile vedere un’anticipazione del film site specific, prodotto dalla Fondazione Cini nell’ambito del centro di eccellenza ARCHiVe. «La maschera del tempo» (le ultime due immagini sono due still da video), questo il titolo del progetto curato da Ennio Bianco, è un’opera audiovisiva creata da Mattia Casalegno in quattro atti, intitolati rispettivamente la «Storia», gli «Spettacoli», il «Presente» e il «Futuro». Ispirata alle vicende e alla architettura del Teatro Verde, l’opera parte dall’idea di teatro inteso come luogo di finzione e rappresentazione e si colloca all’intersezione tra natura e cultura, indagando sulle relazioni e tensioni che uniscono l’ambiente naturale, l’uomo e le sue tecnologie.
Per quest'opera l'artista ha collaborato Factum Foundation partner istituzionale di ARCHiVe che, con un avanzato utilizzo dei droni per la fotogrammetria, ha fornito il completo rilievo 3D del Teatro Verde. Mentre il sound è affidato al compositore elettronico e sound designer Maurizio Martusciello in arte Martux_m. Partendo dalle collezioni e dai fondi negli archivi storici musicali della Fondazione Cini, i due artisti hanno affrontato un percorso produttivo in cui audio e video si fondono in un unico meta-linguaggio espressivo, che mette al centro il tema della sostenibilità ambientale. Venezia scrive così un ulteriore tappa del suo Rinascimento culturale, che sta vedendo il restauro e la valorizzazione di molti spazi che hanno fatto la storia della città.

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mercoledì 30 marzo 2022

Arriva al cinema il documentario «Tintoretto. L’uomo che uccise la pittura»

«La sua opera è immensa include ogni cosa, dalla natura morta fino a Dio; è un enorme arca di Noè; io mi sarei trasferito a Venezia soltanto per lui!». Così Paul Cézanne parlava del Tintoretto (Venezia 1518/1519 - ivi 1594), al secolo Jacopo Robusti, «il furioso» della pittura a cavallo tra Manierismo e Barocco, che ha scritto un’importante pagina della storia dell’arte con il suo tratto drammatico e deciso, con gli inebrianti giochi di luce, con il sofisticato uso del colore, con gli azzardi compositivi e prospettici che lo hanno fatto definire da Jean Paul Sartre «il primo cineasta della storia».
Al maestro veneziano, che seppe unire la potenza del disegno di Michelangelo alla tavola del Tiziano, è dedicato il film «Tintoretto. L’artista che uccise la pittura», nelle sale italiane dall’11 al 13 aprile, dopo la selezione ufficiale in importanti rassegne internazionali come il Fifa di Montrèal in Canada e il Beirut Art Film Festival.
Co-prodotto da Kublai Film, Videe, ZetaGroup, Gebrueder Beetz Filmproduktion, in collaborazione con la rete televisiva franco-tedesca Arte, il documentario, che si avvale della regia di Erminio Perocco e delle musiche di Carlo Raiteri e Teho Teardo, verrà presentato in anteprima nei prossimi giorni al Cinema Mexico di Milano (4 aprile), al Cinema Eden di Roma (6 aprile) e al Multisala Rossini di Venezia (8 aprile).
Il film conduce gli spettatori nei luoghi che videro muoversi e operare Tintoretto, nella Venezia del Cinquecento, rievocando le atmosfere del tempo, le luci della città vibrante sull’acqua e i colori dei preziosi pigmenti che giungevano nella Serenissima come in nessun altro luogo e di cui il Robusti, figlio di un tintore, sapeva servirsi con straordinaria maestria.
Irrequieto e caparbio, determinato nella costruzione della propria carriera, Tintoretto volle contrapporsi allo stile e alle mode del tempo, giungendo per primo a sfaldare la pennellata, a usare il non finito, imponendo prospettive diverse all’interno di uno stesso quadro, soluzioni inattese e audaci che - coniugando le esperienze della pittura, della scultura e dell’architettura - diedero vita a narrazioni complesse, storie che si svolgono dinnanzi agli occhi dello spettatore fino ad assorbirlo e a renderlo parte delle stesse.
Come un regista cinematografico ante litteram, l’artista è stato capace di trasporre in pittura l’azione scenica e la forza espressiva dei movimenti dei corpi. Lo evidenzia bene il documentario grazie a fascinosi tableux vivant.
Tintoretto ha infranto le regole della pittura e come tutti gli innovatori ha saputo conquistare gli artisti che sono venuti dopo di lui, da Rubens a El Greco, da Jackson Pollock a Emilio Vedova.
Il film di Erminio Perocco prova a raccontarne la modernità e lo spirito rivoluzionario, carpendone i pensieri e lo stile, inquadrandone il contesto storico e politico, ma anche presentando contributi di importanti studiosi e guest star: Robert Echols (curatore dell’ultima grande mostra a Venezia sull’artista), Roland Krischel, Antonio Manno, Stefania Mason, Gabriele Matino, Miguel Falomir (direttore del Prado di Madrid), Fabrizio Gazzarri, Mario Infelise, Roberto Mazzetto, Luciano Pezzollo e Jorge Pombo.
La macchina da presa va alla ricerca dei lavori, drammatici e coinvolgenti, dell’artista per tutta Venezia, in un viaggio che spazia dagli edifici pubblici alle chiese, fino a Palazzo Ducale, cuore del potere e del governo cittadino. Dal potente e rivoluzionario «San Marco libera lo schiavo» (1548) alla «Presentazione della Vergine al Tempio» (1551 – 1556), realizzata per la Madonna dell’Orto, dalla monumentale «Crocefissione» (1565), della Scuola Grande di San Rocco, alla strabiliante e gigantesca tela con il «Paradiso »(1588) per la Sala del Maggior Consiglio nel Palazzo del Doge, sono tante le opere che raccontano il genio del Tintoretto, l’artista che Giorgio Vasari definiva «il più terribile cervello che mai abbia avuto la pittura».

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«Tintoretto. L’artista che uccise la pittura». Genere: Documentario biografico | Durata: 86' | Regia: Erminio Perocco | Musiche: Carlo Raiteri e Teho Teardo | Fotografa: Giovanni Andreota | Montaggio: Mateo Trevisan | Anno di uscita: 2022 | Produttore: Kublai Film; ZDF / arte; Gebruder Beetz; Videe Spa; Zeta Group Nei cinema italiani dall’11 al 13 aprile 2022 Anteprime: Milano - 4 aprile, ore 21.30 - Cinema Mexico - Via Savona, 57 - Informazioni per acquisto biglietti: www.cinemamexico.it, tel. 02.4895 1802 | Roma – 6 aprile, ore 21.00 - Cinema Eden, Piazza Cola di Rienzo- Informazioni per acquisto biglietti: https://eden.efc.18tickets.it, tel. 06.3612449 | Venezia - 8 aprile, ore 21.00 - Multisala Rossini - San Marco 3997 - Informazioni: tel. 041.2417274

lunedì 28 marzo 2022

Venezia, Palazzo Diedo diventa un centro d’arte contemporanea

Avrà una nuova vita Palazzo Diedo, prestigioso edificio settecentesco di Venezia, nel sestiere di Canareggio, costruito nei primi del 1700 dall’architetto Andrea Tirali e affrescato al suo interno da artisti locali quali Francesco Fontebasso e Costantini Cedini. Questi spazi - con un passato prima da scuola elementare e poi, fino al 2012, da Tribunale di sorveglianza – sono stati messi in vendita dalla Cassa Depositi e Prestiti e ora diventeranno un polo di arte contemporanea. L’idea è del filantropo Nicolas Berggruen, fondatore dell’omonimo istituto di ricerca con sedi a Los Angeles e Pechino, attivo nelle politiche internazionali e nelle sfide globali del XXI secolo, e membro dei consigli internazionali per la Tate di Londra, il Museum of Modern Art di New York, la Fondation Beyeler di Basilea e il President’s International Council for The J. Paul Getty Trust di Los Angeles, nonché esponente di una storica famiglia dell'arte europea del Novecento, che ha donato la sua collezione con oltre un centinaio di opere di Pablo Picasso (e non solo) alla Nationalgalerie di Berlino. 
Quello di Nicolas Berggruen non è un nome nuovo per Venezia: un anno fa il miliardario parigino, con residenza americana e tedesca, aveva, infatti, acquisito nella città lagunare, per farne la sede europea della Berggruen Arts & Culture, Casa dei Tre Oci, celebre palazzo neogotico sull’isola della Giudecca, noto agli amanti dell’arte per aver organizzato, negli anni, mostre fotografiche di artisti del calibro di David LaChapelle, Helmut Newton e Lewis Hine.
Attualmente in fase di restauro, sotto la supervisione dell’architetto veneziano Silvio Fassi, Palazzo Diedo inizierà la sua nuova vita nei giorni della cinquantanovesima edizione della Biennale di Venezia (dal 23 aprile al 27 novembre, con pre-apertura dal 20 al 22 aprile). Durante l’intervento conservativo dell’edificio, che sarà completato nel 2024, verrà avviato un progetto di residenza d’artista. A essere stato invitato è l’americano-olandese Sterling Ruby, classe 1972, che il 20 aprile presenterà «A Project in Four Acts», una struttura in rilievo che si appoggia sulla facciata del palazzo e che rimarrà esposta fino a novembre 2022. «L’installazione che ho immaginato – racconta l’autore - cambierà con l’edificio, esprimendo e anche commentando che cosa significa lavorare per un palazzo con una lunghissima storia, e riflettendo in modo diretto, concreto, le tradizioni della creazione di arte e artigianato che sono parte integrante di Venezia». 
La prima fase di «A Project in Four Acts» durerà, dunque, fino a novembre; Sterling Ruby allestirà, poi, altre due installazioni esterne tra la fine del 2022 e la tarda primavera del 2023, avvolgendo la struttura man mano che si trasforma. La fase finale del progetto comprenderà, invece, una residenza che si concluderà con una mostra a Palazzo Diedo, nell’ambito dell’inaugurazione ufficiale prevista per la primavera del 2024, nei giorni della sessantesima Biennale d'arte.
Sotto la direzione artistica del veneziano Mario Codognato, già capo curatore del Madre di Napoli e oggi direttore della Anish Kapoor Foundation, con sede in un altro edificio storico di Venezia, l’appena restaurato Palazzo Manfrin, la Berggruen Arts & Culture in Canareggio accoglierà, quindi, mostre, installazioni, simposi e un programma di residenze d’artista.
«Un’arte che parla al pubblico, che ci induce a pensare in modo diverso e che innesca discussioni» è quella che Mario Codognato vuole portare a Palazzo Diedo e nella città lagunare, sempre più crocevia mondiale di idee e di creatività. Oltre alla Berggruen Arts & Culture e alla Anish Kapoor Foundation, altre istituzioni culturali stanno, infatti, approdando in Laguna in questi ultimi mesi. È il caso della Fondazione dell’Albero d’Oro, capeggiata dal finanziere francese Gilles Etrillard, che ha riaperto e restaurato Palazzo Vendramin Grimani, e della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che ha acquistato da Cassa Depositi e Prestiti l’isola di San Giacomo in Paludo per farne un polo d’arte contemporanea. Venezia vive, dunque, un nuovo Rinascimento culturale.

Didascalie delle immagini
1. Palazzo Diedo, sede di Berggruen Arts & Culture, situato a Venezia, nel sestiere di Cannaregio, rio di Santa Fosca. Foto © Alessandra Chemollo, courtesy Berggruen Arts & Culture; 2.  Palazzo Diedo, sede di Berggruen Arts & Culture, situato a Venezia, nel sestiere di Cannaregio, rio di Santa Fosca. Foto © Alessandra Chemollo, courtesy Berggruen Arts & Culture. Portale di collegamento al lungomare laterale, ornato da colonne ioniche, trabeazione a fasce inclinate e timpano centrale in pietra d'Istria, sormontato da sculture in gesso e legno; 3. Palazzo Diedo, sede di Berggruen Arts & Culture, situato a Venezia, nel sestiere di Cannaregio, rio di Santa Fosca. Foto © Alessandra Chemollo, courtesy Berggruen Arts & Culture. Soffitto della sala laterale anteriore del piano nobile di Palazzo Diedo con affreschi del XVIII secolo con grandi figure allegoriche, circondate da putti e amorini, Imeneo con divinità dell'Olimpo di Costantino Cedini, 1795

giovedì 24 marzo 2022

Marche, quattro mostre per il centenario della nascita di Wladimiro Tulli

Le Marche riscoprono le loro radici futuriste. I Comuni di Macerata, Civitanova Marche e Recanati si uniscono per celebrare la figura di Wladimiro Tulli (1922-2003), uno dei maestri dell’aeropittura, di cui ricorrono quest’anno i cento anni dalla nascita. Per l’occasione sono state ideate quattro differenti esposizioni, che restituiscono il volto di un artista dalle importanti relazioni internazionali, legato a doppio filo alla sua terra.
Per Wladimiro Tulli le Marche sono, infatti, sempre state il cardine attorno a cui far ruotare la propria vita e le proprie ricerche artistiche, dove ritornare dopo i numerosi viaggi di studio e lavoro in Europa e negli Stati Uniti. In questo territorio si trovano, inoltre, numerosi suoi interventi di decorazione, graffiti e plastica murale, in un percorso che fa tappa ad Ascoli Piceno, San Benedetto del Tronto, Fano, Urbino, Matelica e Offida.
Anche la prima mostra in programma, quella appena inaugurata a Recanati, è un omaggio alla storia delle Marche. «Tulli per Giacomo», a cura di Nikla Cingolani, è, infatti, una riedizione della grande esposizione del 1997 che l’artista dedicò a Giacomo Leopardi, uno dei figli più illustri della sua terra natia. L’esposizione, allestita fino al 19 aprile al Museo civico Villa Colloredo Mels, presenta 33 opere raffiguranti i temi principali delle liriche leopardiane, in un dialogo tra pittura e poesia che ha accompagnato l’artista per tutta la vita.
Tra aprile e giugno l’omaggio a Wladimiro Tulli si sposterà, quindi, a Macerata, dove sono in programma due mostre: «Vitalismi» (14 aprile – 26 giugno), ai Musei civici di Palazzo Buonaccorsi, e «Futuro interiore» (1° aprile -19 giugno), al Museo Palazzo Ricci. La prima rassegna, a cura di Paola Ballesi e Giuliana Pascucci, è una vera e propria antologica, mentre l’altra mostra, per la curatela di Roberto Cresti, focalizza l’attenzione su una selezione di opere dal Futurismo agli anni Cinquanta e Sessanta.
Civitanova Marche, infine, ha in programma, negli spazi dell’auditorium di Sant’Agostino, «Cavalcare i sogni» (14 maggio – 28 agosto 2022), a cura di Enrica Bruni e Stefano Papetti, un allestimento delle «grandi opere» realizzate dall’artista nei suoi ultimi anni di vita.
Il percorso espositivo in quattro tappe permette di ricostruire l’attività poliedrica e multiforme di Wladimiro Tulli, caratterizzata da importanti relazioni internazionali per tutta la seconda metà del ‘900. Intelligente interprete del contemporaneo e curioso nei confronti delle novità, l’artista aderisce da giovane al Gruppo futurista Umberto Boccioni di Macerata, il cui principale esponente, Bruno Tano, lo incoraggia verso l’aeropittura nella sua forma più fantasiosa e dove, nel contempo, conosce Marinetti, Prampolini, Balla, Depero e Pannaggi. La consacrazione definitiva risale al 1943, ovvero alla partecipazione alla IV Quadriennale d’arte di Roma.
Il Dopoguerra vede l’artista sempre più attratto dalle ricerche dell’astrattismo che lo portano a sperimentazioni materiche e cromatiche che non lo abbandoneranno mai. Negli anni Cinquanta Wladimiro Tulli stabilisce contatti e rapporti con gli esponenti più importanti dei principali movimenti astratti, concreti, spaziali e informali italiani ed europei, primo su tutti Alberto Burri, mentre negli anni ’60 entra nel Gruppo Éclat di Parigi e, poi, fonda il Gruppo Levante di Macerata. La sua ultima stagione artistica lo vede realizzare opere materiche, ancora d’influsso informale, in cui si palesa la componente onirica e surreale che ha caratterizzato tutta la sua produzione.
«La fantasia di continuo nuova», «la spontaneità stupenda del colore», «l’invenzione non mai stanca delle libere forme» - quei tratti che fecero apprezzare Wladimiro Tulli anche da Giuseppe Ungaretti – continuano a regalare «una felicità che rimane nell’animo».

Didascalie delle immagini
1. Wladimiro Tulli, Minuetto sugli arcobaleni, 1999; 2. Wladimiro Tulli, L'aereo rosso e il suo gemello, 1939; 3. Wladimiro Tulli, Cielo, e poi mordimi, 1991; 4. Wladimiro Tulli, In picchiata sul porto, 1952

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mercoledì 23 marzo 2022

C’è anche l’arte in «Libera il tuo futuro», il cartellone di eventi per gli ottocento anni dell'Università di Padova

Parla anche il linguaggio dell’arte «Libera il tuo futuro», il cartellone di conferenze, convegni, spettacoli, festival, mostre e altre iniziative che l'Università di Padova ha preparato per festeggiare l'ingresso nel suo nono secolo di vita. Fondato nel 1222, tra i più antichi e prestigiosi d'Europa, lo studio patavino è sempre stato guidato nella sua missione dal valore della libertà, al punto da portarlo scolpito nello storico motto «Universa Universis Patavina Libertas». Proprio attorno alla libertà – principio sempre fondamentale e mai scontato, come ci dimostra la recente attualità – è stato costruito il programma delle celebrazioni, suddiviso in quattro percorsi: «Libera le Idee», «Libera la Scienza», «Libera la Natura» e «Libera le Arti».

La primavera porterà in regalo al pubblico i concerti di «Opera Libera», una rassegna in sei appuntamenti che, da martedì 29 marzo al 4 giugno, esplorerà i territori al confine tra jazz, avanguardia e musica contemporanea. Si inizierà con la prima italiana di «Femenine» di Julius Eastman, lavoro che vedrà alla direzione Giovanni Mancuso. Si proseguirà con il quartetto Entasis, guidato dal maestro del free jazz giapponese Akira Sakata (14 aprile), con il quintetto Fire and Water, nuovo progetto al femminile della pianista e compositrice statunitense Myra Melford (8 maggio), con la «rianimazione digitale» dell’opera «Il tempo consuma» di Michele Sambin (16 maggio) e con le sonorità del Seabrook Trio (19 maggio). Mentre a chiudere la prima parte della rassegna, che tornerà in autunno con un cartellone ancora tutto da scoprire, sarà il trio giapponese San.

La musica tornerà, quindi, protagonista il 29 giugno con il dj set di Frankie hi-nrg mc, che interpreterà in una performance originale il tema della libertà, popolando per una sera gli spazi dell'ex caserma Piave, che per l’occasione sarà scenario anche di un video-mapping. Le sette ritorneranno, poi, sotto i riflettori in autunno con un concerto del violoncellista Giovanni Sollima (9 dicembre) e in inverno con l'Orchestra di Padova e del Veneto (dicembre 2022).

Le arti saranno protagoniste anche del ciclo «8x8: storie per 8 secoli», accompagnando ogni «secolo» con uno spettacolo presentato nella Sala dei Giganti di Palazzo Liviano. Si inizierà con «Eroi» (26 marzo), la storia dell'«Iliade» riletta da Andrea Pennacchi, con l'accompagnamento musicale di Giorgio Gobbo e Sergio Marchesini. Si proseguirà con lo spettacolo «Ezzelino figlio del demonio. I capolavori letterari di Rolandino e Albertino Mussato» (9 aprile), con un reading sulla goliardia padovana (21 maggio) e con un omaggio alla Padova di Donatello e Mantegna, a cura di Stefano Eros Macchi e Marta Bettuolo (11 giugno).
Andrea Pennacchi sarà protagonista nel cartellone delle iniziative per gli ottocento anni dell’Università di Padova anche il 23 e 24 maggio con un omaggio a Tullio Levi Civita, il matematico padovano che con il suo lavoro ha contribuito in maniera fondamentale alla teoria della relatività di Albert Einstein e di cui il prossimo anno ricorreranno i 150 anni dalla nascita.
«8x8» prevede anche visite guidate al Museo archeologico e al Museo Bottacin (26 aprile), al Palazzo del Consiglio, alla Chiesa di Sant'Ubaldo e alla Padova medievale (9 maggio), all'Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti e al Palazzo della Ragione (21 maggio) e così via, mese per mese.

Un appuntamento da non perdere sarà, poi, quello del 17 giugno, quando andrà in scena Marco Baliani con «Kohlhaas», spettacolo ispirato all'omonimo racconto di Heinrich von Kleist: la storia di un sopruso che, non risolto attraverso le vie del diritto, genera una spirale di violenze sempre più incontrollabili, ma sempre in nome di un ideale di giustizia naturale e terrena. Ambientazione d’eccezione sarà il Palazzo della Ragione, antica sede dei tribunali cittadini, a rievocare il senso più alto della giustizia. Mentre a inizio del 2023 arriverà a Padova Ascanio Celestini con uno spettacolo sulla libertà.

Il linguaggio teatrale verrà utilizzato anche per raccontare ai più giovani, ovvero agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, grandi personaggi della mostra storia come lo scienziato Galileo Galilei (21 aprile), lo scrittore-partigiano Luigi Meneghello (26 aprile), che verrà raccontato da Marco Paolini, e il magistrato anti-mafia Giovanni Falcone (27 aprile), a trent'anni dalla strage di Capaci.

Non manca nel ricco programma anche un appuntamento a tematica ambientale per la Giornata mondiale della terra: all’Orto Botanico andrà in scena «Green-chiesta» (22 aprile), spettacolo a impatto zero con protagonista il «teatro a pedali» di Mulino ad Arte. Il cinema verrà, invece, raccontato da Luigi Lo Cascio (13 dicembre).

Tante, infine, le mostre ed esposizioni in cartellone come «L'occhio in gioco. Percezioni, Impressioni e Illusioni nell'arte dal Medioevo alla Contemporaneità» (dal 24 settembre, al Palazzo del Monte di Pietà) o il «Grand Tour delle Scienze», ovvero l’apertura speciale dei musei dell’Ateneo ogni sabato e domenica a partire dal 21 maggio e fino a marzo 2023.

A conclusione delle celebrazioni, saranno, poi, inaugurati il nuovo Museo Botanico (che con un allestimento interattivo valorizzerà le sue collezioni storiche), e il Museo della Natura e dell'Uomo, che nascerà a Palazzo Cavalli dalla fusione delle collezioni dei musei di Mineralogia, Geologia e paleontologia, Zoologia e Antropologia, diventando il più grande museo universitario europeo. Due nuove porte si apriranno, dunque, a Padova per iniziare nel miglior modo possibile i prossimi ottocento anni dell’ateneo cittadino.

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www.800anniunipd.it

venerdì 18 marzo 2022

La galleria Tornabuoni di Firenze torna alle origini e regala un viaggio tra le sue collezioni d’arte antica

È un ritorno al passato il nuovo corso della galleria Tornabuoni Arte, che inaugura una nuova sede espositiva dove la sua storia ebbe inizio nel 1981 e dove si tennero importanti mostre di Lucio Fontana, Emilio Vedova, Sebastian Matta e molti altri ancora: in via de’ Tornabuoni 5, a Firenze, all’interno del cinquecentesco Palazzo Strozzi del Poeta. Lo spazio, che si andrà ad affiancare alle altre filiali sparse per il mondo (Milano, Parigi, Forte dei Marmi e Firenze), presenta per l’occasione, in contemporanea con la sede storica di via Maggio 40r, la mostra «Dipinti e arredi antichi 2022», esponendo una selezione delle opere più significative del catalogo.

La rassegna, in programma da venerdì 18 marzo (l’inaugurazione è alle ore 18:30) a fine dicembre, vede esposti, nella sede al piano terra del prestigioso palazzo trecentesco affacciato su via Maggio, capolavori a tema sacro e religioso quali i cosiddetti «fondi oro» del Trecento e Quattrocento. In via de’ Tornabuoni 5 trovano, invece, ospitalità soggetti a tema profano, mitologico e storico.

Tra i pezzi più prestigiosi in mostra c’è un raro Tabernacolo eucaristico in terracotta invetriata, realizzato attorno al 1440 e ricondotto da Giancarlo Gentilini ad Andrea della Robbia, tra i maggiori scultori del tempo, che trova puntuali riscontri in altre edicole per il Sacramento conservate a San Pietro ad Anchiano presso Borgo a Mozzano e a Cappella, in territorio lucchese. Composto in origine di cinque elementi ma adesso privo del gradino, il tabernacolo presenta un corpo principale che simula un vano architettonico classicizzante, dove compaiono due angeli adoranti e due aperture: il vano per l’ostia consacrata, un tempo protetto da una piccola porta bronzea, e un oculo. Completano l’opera due paraste corinzie con motivi vegetali e una cimasa ad arco dominata dal busto del Redentore.

Tra le nuove acquisizioni della collezione spiccano, in particolare, «Arianna addormentata» di Benedetto Cacciatori, stupenda scultura in marmo del 1830 circa, replica del famosissimo modello antico con lo stesso soggetto, opera di arte romana conservata ai Musei Vaticani e alle Gallerie degli Uffizi, e la «Madonna col bambino e le anime del Purgatorio», una tela la cui costruzione delle forme e il richiamo alla produzione veneziana di Luca Giordano ne identificano l’autore nel fiorentino Giovanni Camillo Sagrestani. Realizzata attorno al 1700, l’opera rappresenta la Madonna col Bambino in gloria che sovrasta un angelo che salva un uomo dalle fiamme: si tratta dell’iconografia, diffusissima in epoca barocca, delle anime purganti. Il recentissimo restauro della pala, che ha eliminato la patina superficiale e lo strato di vernici annerite, ne ha ripristinato la leggibilità e ha portato alla luce una costruzione stupenda.

Infine, proprio all’ingresso di via de’ Tornabuoni, si trova «Mosè abbandonato dalla madre» del napoletano Giuseppe Mancinelli (Napoli,1813 – Castrocielo, 1875), che narra l’episodio biblico dell’abbandono di Mosè infante nelle acque del fiume Nilo per farlo sfuggire alle persecuzioni del faraone d’Egitto. Rese con maestria accademica, le splendide figure in primo piano nel dipinto, con i loro abiti sgargianti, sembrano più appartenere al folclore napoletano; sulla collina, invece, si scorgono un tempio e un obelisco raffigurato con un realismo tale da far credere che il pittore lo abbia potuto ammirare e dipingere dal vero.

Da sempre operante nei settori del moderno e del contemporaneo, Tornabuoni Arte iniziò nel 2006 la sua attività nel campo dell’antiquariato con il motto «L’arte non ha età». Da allora la collezione della galleria si è arricchita di dipinti, sculture, mobili e arredi antichi che interessano un lungo arco temporale che spazio dal Medioevo al XIX secolo. In occasione dell’inaugurazione del nuovo spazio, è stato aggiornato il catalogo della collezione, la cui prima edizione fu pubblicata proprio nel 2006. È nato così un percorso di ricerca e studio tra le opere più interessanti della galleria insieme alle nuove acquisizioni, con testi e introduzione dello storico dell’arte Alessandro Delpriori. Un’occasione per farsi ammaliare, opera dopo opera, dalla bellezza dell’arte che Roberto Casamonti ha raccolto, anno dopo anno, con passione, amore e competenza.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Andrea della Robbia (Firenze, 1435 - 1525), Tabernacolo eucaristico, terracotta invetriata; [fig. 2] Benedetto Cacciatori (Carrara, 1794-1871), «Arianna addormentata», marmo scolpito;[fig. 3] Giovanni Camillo Sagrestani (1660-1731), «Madonna col bambino e le anime del purgatorio», olio su tela; [fig. 4] Giovanni Camillo Sagrestani (1660-1731), «Madonna col bambino e le anime del purgatorio», olio su tela 

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mercoledì 16 marzo 2022

VN 360°: il Museo del Patrimonio Industriale di Bologna si visita on-line

Continua il percorso dell’Istituzione Bologna Musei per rendere fruibile on-line il proprio patrimonio storico-artistico. Dopo il Museo internazionale e biblioteca della musica, il Museo civico medievale e il Museo per la memoria di Ustica, un’altra sede comunale si apre alla tecnologia immersiva virtuale, VN 360,°con l’intento di offrire agli utenti contenuti digitali che vadano a integrare l’esperienza di visita fisica. Questa volta a sbarcare sul Web è il Museo del patrimonio industria-le, il cui percorso virtuale, ideato dallo studio di comunicazione Veronesi Namioka, consente di accedere virtualmente agli spazi espositivi, situati all’interno della fornace da laterizi Galotti costruita nel 1887, e di conoscere la storia produttiva della città di Bologna dal tardo Medioevo alla fabbrica 4.0.
Come nella realtà, la visita prende avvio al piano terra, dove si viene accolti dalla ricca collezioni di stampi in gesso degli anni Venti e dalle forme monumentali del forno Hoffmann, cuore della fornace, in cui – fino agli anni Sessanta del ‘900 – avveniva la delicata fase di cottura delle terrecotte.
All'interno del forno si entra nella Bologna del XIX secolo, una città che vive una profonda crisi economica legata alla fine dell’industria tessile e che cerca nuove strade produttive. La voce narrante dell’economista David Ricardo ricorda il dilagare della povertà in città, mentre le voci di Giovanni Aldini e Luigi Valeriani, docenti universitari, rimandano alle loro volontà testamentarie che condurranno alla nascita della prima scuola tecnica cittadina nel 1844, ancora oggi attiva come una delle più antiche scuole tecniche d’Italia e d’Europa.
La tecnologia virtuale consente di visualizzare in alta risoluzione modelli, strumentazione scientifica e macchine funzionanti provenienti dall’Istituto Aldini Valeriani che raccontano la storia e lo sviluppo del-la città nel corso del XIX secolo nonché gli apparati di lettura come pannelli e didascalie.
Spostandosi all'esterno del forno, sotto le arcate del portico, è possibile attivare alcuni video e vedere in funzione macchine e prototipi risalenti agli anni 1940-1960: dosatrici e confezionatrici per dadi da brodo Corazza, confezionatrici per carta Cassoli e per caramelle Acma.
Il percorso prosegue al secondo piano dove un tempo avveniva la fase di essiccazione delle argille e che oggi ospita la sezione dedicata all'antica Bologna dell'acqua e della seta. Modelli ed exhibit ci immergono nella suggestiva città dei canali e delle ruote idrauliche.
Due video sottotitolati per persone sorde, attivabili lungo il percorso, mostrano la complessità del si-stema idraulico e il viaggio del velo di seta da Bologna a Venezia lungo il canale Navile. Un terzo video mostra il funzionamento del mulino da seta alla bolognese, tecnologia raffinata e insuperata dal XV al XVIII secolo.
La segnaletica virtuale che guida i percorsi conduce, quindi, alla sezione dedicata al moderno di-stretto industriale bolognese. Le riprese a 360 gradi visualizzano la complessità del distretto mostrando le macchine da pasta, le macchine automatiche e le motociclette. I video attivabili in remoto illustrano il funzionamento delle macchine, le innovazioni, la diffusione delle tecnologie e delle capacità competitive.
Il ruolo giocato dalla formazione tecnica nell'affermazione industriale della città viene ripercorso nello spazio legato alla Scuola Officina, parte integrante dell'educazione tecnica impartita per prima nell'Istituto Aldini Valeriani. Il tecnigrafo, gli strumenti di fucina, il tavolo da aggiustaggio, gli apparati iconografici storici e il video «Testa punta contropunta» costituiscono gli ingredienti di questa par-te del tour che si conclude scendendo al primo piano nella Fabbrica del Futuro. Questo spazio ha le caratteristiche di un laboratorio interattivo e multimediale e documenta le linee di sviluppo che stanno modificando l’ambiente e l’assetto produttivo e organizzativo delle aziende del nostro territorio. Le stazioni che lo compongono, dalla realtà virtuale alla robotica, consentono di visualizzare i processi produttivi di un sistema in continuo aggiornamento e di valorizzare le potenzialità del settore industriale bolognese.
Un’ultima sezione, che si modificherà nel tempo, è dedicata alla mostra temporanea «Moto bolognesi degli anni 1950-1960», in cui oltre trenta motociclette testimoniano la sorprendente vivacità produttiva e la grande cura sia tecnica, nella meccanica e nella ciclistica, che estetica. Tra le principali produttrici di moto spiccano F.B Mondial, Ducati, Moto Morini e Demm.
La nuova esperienza virtuale restituisce una visione a 360° del percorso di visita e rinnova la vocazione del museo a luogo vivace, polifunzionale e interattivo, frequentato dagli addetti ai lavori, ma anche da appassionati, turisti e bambini.
La scelta di arricchire il tour immersivo con numerosi video e narrazioni interattive persegue l’idea di uno strumento attrattivo e funzionale per molteplici obiettivi: approfondire le tematiche affrontate, fornire spunti per progetti educativi, lasciare ai visitatori la scelta di riprendere in un secondo momento le suggestioni e i temi del museo.
Dal confronto e dall'attiva collaborazione tra il Museo del patrimonio industriale e lo studio Veronesi Namioka, guidato da Fuyumi Namioka e Silvia Veronesi, ha preso vita il progetto VN 360°. Il percorso virtuale è, dunque, il risultato della fusione tra competenze storico-culturali e tecnologie digitali di ultima generazione, che consentono di integrare l’offerta espositiva del museo fisico con esperienze emotive e multimediali virtuali, in stretta sinergia con la competenza dello staff del museo che ha curato la parte dei contenuti informativi selezionando contributi audio e video per accompagnare il racconto per immagini.
La regia dello Studio Veronesi Namioka ha restituito la complessità delle fonti e degli strumenti di visita impiegati in museo, utilizzando riferimenti grafici e segnaletica che permettono di identificare i contenuti informativi del percorso, consentendo, ai potenziali pubblici, di percorrere virtualmente gli spazi del museo, guidati da più mappe virtuali nella fruizione degli oggetti esposti, suscitando così l’intenzione di pianificare, per approfondirne la conoscenza, una prossima visita fisica al museo, o viceversa, di ritornare virtualmente a visitarne le sale, dopo la visita, da casa.

Informazioni utili
Link percorso virtuale VN 360°: http://informa.comune.bologna.it/iperbole/media/Virtual-Tour-Museo-del-Patrimonio-Industriale/

giovedì 10 marzo 2022

Milano Graphic Festival, tre giorni all’insegna della cultura visiva tra Base e Certosa District

«La grafica è dappertutto, ovunque ci giriamo: nelle strade e negli spazi pubblici, nelle case, negli uffici, sugli scaffali dei negozi, negli oggetti che utilizziamo quotidianamente e nelle diverse forme di comunicazione, dalla scrittura ai social network. La grafica ha contribuito e contribuisce a costruire l’identità e la cultura di un Paese». È questa frase a fare da filo rosso tra i vari appuntamenti della prima edizione del Milano Graphic Festival, rassegna dedicata al graphic design, all’illustrazione e alle culture visive, promossa da Signs e prodotta da h+, a cura di Francesco Dondina, in cartellone dal 25 al 27 marzo nel capoluogo lombardo.
Il festival avrà il suo cuore pulsante in due hub principali: Base Milano, punto di riferimento per l’innovazione e la contaminazione culturale situato in zona Tortona, e Certosa Graphic Village, nuovo spazio dedicato alla creatività nella zona nord-ovest della città, dove è stato di recente inaugurato un grande murale lungo oltre cinquantasette metri realizzato su progetto dello studio grafico CamuffoLab, dal titolo «Quando la città cambia tu guarda i suoi colori», simbolo di rigenerazione urbana.
Il festival uscirà, inoltre, dai confini di questi due spazi, dando vita a un vero e proprio museo diffuso, che coinvolgerà importanti istituzioni del territorio come l’Adi Design Museum, il Mudec, il Castello Sforzesco, il Muba – Museo dei bambini, la Casa degli artisti, la Società umanitaria, la Fondazione Sozzani, oltre a scuole, studi privati, librerie, archivi e gallerie d’arte.
Più di ottanta appuntamenti
fra mostre, incontri, workshop, talk, open studio e performance animeranno, dunque, l’intera città metropolitana, coinvolgendo un ampio pubblico, non solo di addetti ai lavori, ma anche di cittadini, curiosi, appassionati, che verranno guidati - in un’atmosfera di scambio e discussione - alla scoperta del mondo della comunicazione visiva e del ruolo sempre più decisivo che sta assumendo ai nostri giorni quale strumento di cambiamento e rappresentazione della città in trasformazione.
A inaugurare il cartellone sarà, nella giornata del 25 marzo, a Base Milano, «Il paradigma di Wassily. Stati generali delle scuole e università di comunicazione visiva italiane», la prima assemblea di docenti e studenti di ventuno centri di formazione italiani, a cura di Franco Achilli. Sempre nella giornata di apertura, ma al Certosa Graphic Village, live painting di Luca Barcellona, calligrafo di fama mondiale, che realizzerà un’opera dedicata alla città di Milano. Gli appuntamenti proseguiranno sabato 26 marzo, al Castello Sforzesco, con l’incontro «Fissa l’idea», nel quale Leonardo Sonnoli presenterà un lavoro inedito dedicato a Marcello Dudovich, tra le più importanti figure del moderno cartellonismo pubblicitario italiano, le cui opere sono custodite nell’archivio Bertarelli. A seguire, al Certosa Graphic Village, Paola Antonelli, senior curator della sezione architettura e design del Museum of Modern Art di New York, sarà protagonista di un incontro incentrato sul ruolo e le responsabilità dei designer, soprattutto – ma non soltanto – nel campo di quella che una volta veniva chiamata grafica, e che ora è comunicazione visiva, design dell’informazione, delle interfacce e delle interazioni. 
Tra i tanti appuntamenti da non perdere - l’intero programma è disponibile sul sito www.milanographicfestival.com - si segnalano anche la lecture «La M con le corna», sull’identità visiva del Mudec di Milano, la presentazione del libro «Identità Olivetti. Spazi e linguaggi 1933-1983» e l’incontro «Instagram e creatività: 10 profili che vale la pena conoscere».
Durante il festival il pubblico potrà, inoltre, vedere una serie di mostre sulla cultura visiva. Negli spazi di Base Milano si terrà, per esempio, «Signs. Grafica italiana contemporanea (Edizione 2022)», a cura di Francesco Dondina, che offre, attraverso le opere di autori affermati e di giovani promettenti, uno spaccato sullo stato della grafica e del design della comunicazione italiana, per mostrare come questo goda di ottima salute, sulla scia della sua grande tradizione storica ma sempre capace di rinnovarsi e confrontarsi con il panorama internazionale. Salvatore Gregorietti, Andrea Rauch, Paolo Tassinari, Paola Lenarduzzi, Silvana Amato, La Tigre, Mario Cresci, Francesco Messina, sono alcuni degli artisti che esporranno, fino al 3 aprile, negli spazi di Base Milano. Qui sarà visibile anche la mostra «Volti, voci e mani», sul lavoro femminile. Al Certosa Graphic Village, nuovo spazio performativo temporaneo di 3.000 metri quadrati dedicato alla creatività contemporanea, sarà, invece, possibile visitare la mostra «Generazione YZ», nella quale dieci designer under 30 lavoreranno a un progetto speciale di grafica urbana. In questi spazi troveranno posto anche alcune mostre sui maestri della grafica come la prima retrospettiva in Italia dedicata al grafico statunitense John Alcorn, incentrata sui lavori realizzati dagli esordi agli anni Settanta, e l’esposizione che racconta il lavoro del designer italiano Albe Steiner attraverso i suoi manifesti più rappresentativi, a cura di Studio Origoni Steiner. Saranno visibili anche una mostra sulla rivista indipendente «Frankenstein Magazine» e l’esposizione «Wired Italia», con le opere che hanno partecipato al contest «Costruire il futuro» per la copertina del numero 100 del magazine.
Mentre all’Adi Design Museum sarà possibile vedere «Campo grafico 1933-1939 – Nasce il visual design», da Sozzani, «Hyperillustrations» di François Berthoud, realizzata in collaborazione con Bulgari, e alla Pasticceria Cucchi «Manifesti poetici» di Moreno Gentili. Tra gli spazi che apriranno le porte in occasione del festival si segnalano anche il Museo collezione Branca e gli archivi di Armando Milano e Origoni Steiner.
Inclusivo e collaborativo, il Milano Graphic Festival si propone, quindi, come un catalizzatore di idee e relazioni sul tema della comunicazione visiva, per generare conoscenza e contaminazione e mettere in contatto il mondo delle imprese con il meglio del settore, il pubblico con un linguaggio che sempre più anima il mondo contemporaneo.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Milano Design Festival, immagine coordinata di Dondina Associati; [fig. 2] CamuffoLab e Signs, Quando la città cambia tu guarda i suoi colori, Milano - Certosa District. Immagine: Silvia Galli; [fig. 3] Salvatore Gregorietti, Manifesto per la promozione scuola alla Rinascente. Foto: Aldo Ballo; [fig. 4] Paolo Tassinari, Trilogia del Parco archeologico del Colosseo, 2009. Courtesy Tassinari/Vetta 

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martedì 1 marzo 2022

La cultura contro la guerra: dalle iniziative social di #museumsagainstwar alle sirene d’allarme dei teatri italiani


«L’Italia ripudia la guerra». Il mondo dell’arte lavora, a suo modo, per la pace. Il Ministero della Cultura ha, per esempio, lanciato la campagna digitale «la cultura unisce il mondo», che sta coinvolgendo in queste ore musei, biblioteche, archivi e istituti culturali statali. Centinaia di realtà di tutto il Paese sono impegnate, giorno dopo giorno, a condividere sui propri profili social, con gli hashtag #cultureunitestheworld e #museumsagainstwar, immagini significative riguardanti il dolore e la sofferenza della guerra o, al contrario, l’armonia e la prosperità del tempo di pace. Dal Museo egizio di Torino, con l’amuleto ankh di lunga vita e protezione, a Capodimonte, con l’«Allegoria della Giustizia» di Giorgio Vasari, dal Museo archeologico nazionale di Orvieto, con una testa equina lapidea che ricorda la stravolta espressione del cavallo di «Guernica», a quello di Reggio Calabria, con i bronzi di Riace, il Web è un vero e proprio tripudio di colombe, ramoscelli d'ulivo, amuleti e abbracci. 

Tra le iniziative più incisive a livello comunicativo c’è quella della Pinacoteca di Brera che espone on-line la sua collezione di libri per bambini in lingua ucraina, «nella speranza – dichiara il direttore James Bradburne - che possano essere letti ai più piccoli spaventati e rifugiati in casa o sottoterra. La voce umana e il sapere possono essere d’aiuto e dare conforto. Tutti noi, insieme ai bambini, dobbiamo alzare la voce e gridare: Basta con la guerra!».
 
Sul Web è appena partito, con la diffusione on-line di due opere di Angelo Zuena («Angelo cosmonauta», 2018) e Francesco Verio («No War», 2022; nell'ultima foto), anche il progetto «Arte per la pace», lanciato dallo Spazio Comel di Latina. La galleria laziale ha deciso di diffondere attraverso i propri canali social messaggi di pace e solidarietà nei confronti delle vittime del conflitto bellico tra Russia e Ucraina. Dal 1 °al 20 marzo gli artisti sono invitati a partecipare, inviando al numero Whatsapp 371.4466655, la foto di un’opera che parli di fratellanza, amore e di unione tra i popoli con la relativa didascalia ed eventualmente una frase di commento. Le immagini saranno raccolte nell’album #allospaziocomelarteperlapace e pubblicate sulla pagina Facebook e sul profilo Instagram della galleria. Per richiedere maggiori informazioni è possibile inviare una email all’indirizzo info@spaziocomel.it.

L'onda d'urto dell'arte contro la guerra ha visto anche illuminare con i colori della bandiera dell’Ucraina, il giallo e il blu, monumenti simbolo del nostro Paese come il Colosseo, i templi di Paestum, il Cristo di Maratea o l’arco di Traiano a Benevento, ma anche luoghi importanti di altri Stati europei, dalla porta di Brandeburgo a Berlino alla Torre Eiffel a Parigi.
 
Più concreta è, invece, l’iniziativa messa in campo dal Museo del cinema di Torino, che tra i primi ha aderito alla raccolta di farmaci necessari per la popolazione ucraina, organizzata dell'associazione «Made in Ucraine for Italy», diretta dall'attrice ucraina Oksana Filonenko e coordinata dal Consolato generale ucraino a Milano e dall'Ambasciata dell'Ucraina a Roma. Recandosi alla Mole Antonelliana sarà possibile lasciare medicinali e materiali di primo soccorso da inviare nelle città e nelle zone colpite dal conflitto in Ucraina.
Il Maxxi di Roma, invece, ha deciso di devolvere tutti gli incassi dei giorni di domenica 27 febbraio e domenica 6 marzo al fondo costituito da Unhcr Italia – Agenzia Onu per i rifugiati, Unicef Italia e Croce rossa italiana.

Anche il mondo del teatro si sta mobilitando contro la guerra. Lo fa facendo, prima di ogni spettacolo, con una sirena d’allarme, un suono che parla di emergenza, bombe e rifugi, a cui fa seguito un messaggio. Una voce registrata recita: «Quella che avete appena sentito è una sirena d’allarme ma ad essa non farà seguito nessuno colpo di cannone, nessuno strepito di mitragliatrice, nessuna esplosione di bombe, perché si tratta di un suono registrato, di un suono finto. Purtroppo, quello vero è tornato a risuonare in molte città abitate da donne, uomini e bambini che fino a ieri andavano a teatro, al cinema o a un concerto, proprio come noi stasera. Abbiamo deciso di introdurre lo spettacolo che sta per cominciare con questo suono per dire che il mondo del teatro italiano non è indifferente alla tragedia che si sta consumando in queste ore, che ripudia la guerra e che si stringe con commozione e solidarietà al dolore delle vittime».
Alla proposta, lanciata dal regista Andrea De Rosa, direttore di Tpe - Teatro Piemonte Europa, hanno già aderito i teatri nazionali di Roma e di Napoli, il Franco Parenti e il Carcano di Milano, il Biondo di Palermo, il Centro teatrale bresciano e il Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, ma anche alcune realtà francesi e tedesche come il Théâtre di Sete, il festival Sens Interdit di Lione, il Dieppe Scène Nationale.

lunedì 28 febbraio 2022

In mostra a Venezia Tapio Wirkkala, Toni Zuccheri e i vetri della Venini

Da cento anni, dal 1921, Venini è sinonimo di vetro di qualità. Di decennio in decennio, l’azienda muranese – racconta la presidente Silvia Damiani – «ha custodito e interpretato un patrimonio artistico unico, che affonda le proprie radici nella cultura veneziana del 1200, dando vita a opere inconfondibili capaci di fondere insieme i profondi saperi della tradizione con il fascino dell’estetica contemporanea».
Per celebrare questa ricorrenza «Le stanze del vetro», realtà nata dalla collaborazione tra la Fondazione Giorgio Cini onlus e dal Pentagram Stiftung, ha promosso, sull’isola di San Giorgio Maggiore, proprio di fronte a piazza San Marco, un progetto speciale a cura di Marino Barovier: «Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini».
L’esposizione, che rimarrà aperte fino al prossimo 13 marzo, ripercorre, attraverso duecento opere in vetro, le esperienze muranesi di due artisti presenti in fornace Venini, sia contemporaneamente che in tempi diversi, soprattutto nella seconda metà degli anni Sessanta: il rigoroso ed essenziale Tapio Wirkkala e il giocoso e sperimentale Toni Zuccheri.
Ognuno di loro, con la sua forte personalità, contribuì a caratterizzare la produzione della vetreria che, in quegli anni di grande trasformazione, non solo seppe proporre nuovi modelli senza rinunciare all’uso del colore, nonostante in quel momento a Murano l’uso del vetro cristallo fosse preponderante, ma riuscì anche a rispondere alle nuove esigenze di essenzialità provenienti dal mondo del design.
Il celebre designer finlandese Tapio Wirkkala (Hanko, 2 giugno 1915 – Helsinki, 19 maggio 1985) iniziò la sua collaborazione con Venini nel 1966, in occasione della Biennale di Venezia, dove mostrò gli eleganti esiti del suo lavoro a Murano. 
Forte di un’esperienza nel mondo del vetro nordico nella manifattura Iittala, l’artista coniugò la sua cultura con le tipiche lavorazioni muranesi, dalle quali rimase affascinato, che gli offrirono nuove possibilità espressive. Prese progressivamente confidenza con la tecnica della filigrana e con la «scoperta» del colore. Ricorse spesso alla tecnica dell’incalmo per l’esecuzione di manufatti policromi in vetro trasparente affiancando cromie diverse, in prevalenza dai toni freddi, ma anche con note vivaci. Ne sono un esempio, tra l’altro, le «Meduse» realizzate in filigrana sommersa, i vasi «Pianissimo», i «Gondolieri», dalle forme essenziali come i «Coreani» e le famosissime «Bolle», serie queste ultime destinate a un grande consenso. Caratteristico della sua ricerca è anche l’impiego di murrine di grandi dimensioni, che l’artista utilizzò in particolare per l’esecuzione di una serie di piatti. In un continuo lavorio, le serie successive nacquero da ulteriori sperimentazioni con l’impiego di stampi, soprattutto nei nuovi piatti, e da variazioni sul tema della filigrana spesso accostata al vetro opaco.
La mostra presenta anche alcuni disegni, un documento interessante perché Tapio Wirkkala e i maestri vetrai non parlavano la medesima lingua. A tal proposito l’artista dichiarava: «ho constatato che la lingua non è un problema almeno non con i lavoratori, se riesco a entusiasmarli e farli credere al progetto. Mi aiuto con i disegni. Se i bordi della carta non bastano, disegno col gesso sul muro e se questo non basta ancora, disegno sul pavimento».
La sperimentazione sulla materia vitrea e sui processi di lavorazione sono, invece, le note distintive di Toni Zuccheri che, ancora studente di architettura, giunse alla Venini chiamato per dar forma a un bestiario in vetro, presentato alla Biennale del 1964. Nacquero così anatre in vetro policromo insieme a inediti animali in vetro e bronzo (tacchino e faraona) a cui si aggiunse un’originale upupa dalle innumerevoli penne eseguite a caldo e dalla valenza scultorea. 
Questo primo bestiario, viene affiancato da alcune serie di vasi che dimostrano l’indagine di Zuccheri sulle possibilità della trasparenza, seguite negli anni successivi (1967-68) da nuovi vetri opachi dalle intense colorazioni e dalla linea organica, ispirata al mondo vegetale («Tronchi», «Ninfee», «Scolpiti»). Dalla fine degli anni Settanta il bestiario in vetro si arricchisce di nuovi modelli, riconfermando l’interesse di Zuccheri per questo tema, declinato in maniera mai scontata. Di grande interesse è anche il lavoro che l’artista svolge nel corso degli anni Sessanta sul vetro di grosso spessore per la realizzazione delle celebri vetrate per e con l’architetto Gio Ponti. Nella sala video dello spazio espositivo «Le stanze del vetro» saranno proiettati per tutto il periodo di apertura della mostra il film documentario «Pezzi sparsi» che Marta Pasqualini ha dedicato nel 2016 alla figura di Toni Zuccheri e il documentario «Tapio Wirkkala, The man who designed Finland».
Le rassegne, che possono essere visitate anche on-line grazie a un virtual tour in 3D, sono accompagnate, infine, da due monografie edite da Skira entrambe a cura di Marino Barovier e Carla Sonego. I cataloghi illustrano il lavoro di Wirkkala e Zuccheri alla Venini grazie a un’accurata ricerca documentaria basata su materiale d’archivio della vetreria e su documenti messi a disposizione dagli eredi dei due designer.

Didascalie delle immagini
1. Vasi della serie Bolle, Tapio Wirkkala per Venini, 1966-67; 2. Vasi della serie Lapponi, Tapio Wirkkala per Venini, 1966; 3. Piatto e coppe della serie Coreani, Tapio Wirkkala per Venini, 1966-67; 4. Fenice in vetro policromo e bronzo, Toni Zuccheri per Venini, 1987; 5. Tacchino in vetro a murrine, Toni Zuccheri per Venini, 1964; 6. Vasi della serie Scolpiti, Toni Zuccheri per Venini, 1967

Informazioni utili 
Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini. Due mostre a Le Stanze del Vetro. Le stanze del vetro, Fondazione Giorgio Cini. Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia. Orari: ore 10 – 19, chiuso il mercoledì. Ingresso libero. Info: info@lestanzedelvetro.org, info@cini.it. Web: www.lestanzedelvetro.org, www.cini.it. Fino al 13 marzo 2022

mercoledì 22 dicembre 2021

«Admirabile signum», La Spezia fa da scenario a una mostra sul presepe tra arte antica e contemporanea

È il 1223 quando a Greccio San Francesco d’Assisi dà vita alla tradizione del presepe. Da allora, ogni anno a Natale, i paesi dell’Occidente ricreano la scena della natività «come incontro con il divino nella povertà, come momento di resistenza e di forza interiore nella rinascita spogliata dalla ricchezza, come miracoloso calato nella quotidianità». A questa storia guarda la mostra «Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea», allestita fino al 30 gennaio negli spazi della Fondazione Carispezia, per la curatela di Lara Conte e Alberto Salvadori che, per la parte relativa all’arte antica, hanno lavorato alla costruzione del percorso espositivo in dialogo con Simonetta Maione e Giulio Sommariva, con il contributo di Andrea Marmori.
La mostra mette in relazione importanti esemplari di presepe di produzione genovese e lombarda del XVIII secolo con un nucleo di opere e installazioni contemporanee, creando un ponte tra presente e passato, tra figurazione ed evocazione. Attraverso media e linguaggi diversi, nel corso del XX secolo e nella contemporaneità gli artisti hanno continuato a confrontarsi con uno dei temi maggiormente rappresentati nella storia dell’arte occidentale, fornendone interpretazioni che vanno oltre l’iconografia e la dimensione figurativa tradizionale.
Il viaggio attraverso l’arte presepiale parte da Genova, dove nel corso del XVII secolo si sviluppa un’attenzione minuziosa alla rappresentazione scultorea della nascita di Gesù quando la Compagnia del santo presepio di Santa Maria di Castello, appositamente costituita per celebrare la figurazione del Natale, commissiona a Matteo Castellino figurine lignee che risulteranno opere di straordinaria invenzione.
Nel corso del Settecento la cultura genovese dei presepi raggiunge il proprio apice: le statuine genovesi divengono veri oggetti d’arte, il cui impatto è accresciuto da apparati scenici di fragile e spesso effimera fattura. I presepi genovesi presto divengono uno dei segni distintivi della Superba, che così dimostra, anche grazie a tali produzioni, una qualità sopraffina di mezzi e di gusto.
Legno intagliato e policromato, pasta di vetro per gli occhi, per gli abiti stoffe di rara fattura impreziosite da pizzi e galloni in argento e oro filato, pietre dure, coralli e filigrana per i raffinati monili erano i materiali utilizzati nella produzione delle statuine, rese con irraggiungibile verità storica. La messa a disposizione da parte dei Musei civici genovesi di parte del proprio patrimonio di presepi è stata occasione per mettere in luce una tradizione artistica di cui la Liguria è stata officina primaria. Il Museo Luxoro, che custodisce alcuni tra i più straordinari esempi di quest’arte, ha tra l’altro concesso in prestito uno straordinario presepe settecentesco a sagome dipinte su carta di produzione lombarda.
La mostra focalizza, poi, l’attenzione sul contemporaneo. Una sala è dedicata ai presepi di Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013) ed è realizzata con la preziosa collaborazione dell’archivio a lei dedicato.
«Amo il presepe – raccontava l’artista – come esperienza di qualcosa che, più ne indago l’inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco. Amo il presepe perché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo. Amo il presepe perché si propone a tutti i linguaggi del mondo e come l’arte anche il presepe ha la possibilità di infinite interpretazioni personali».
Durante la sua lunga vicenda creativa l’artista sarda ha fatto della Natività uno dei temi centrali della propria ricerca, reinterpretandola tra favola ed epica con stoffe, sabbia, pane, pietre e terracotta, istituendo una continua relazione tra terra e cielo. Ogni suo presepe, realizzato esplorando antiche tradizioni artigianali e utilizzando materiali poveri, è un momento di avvicinamento al sacro come manifestazione di rinascita e rigenerazione.
La mostra spezzina presenta alcuni tra i più significativi presepi realizzati dall’artista nel corso degli anni e altre opere come ad esempio alcune mappe stellari cucite, che concorrono a dar vita alla narrazione di un’ascesa cosmica.
Grazie al Museo internazionale del presepio «Vanni Scheiwiller» di Castronuovo Sant’Andrea è stato, poi, possibile includere nel percorso espositivo il «Presepe foresta» (2001) di Roberto Almagno (Aquino, 1954) e il «Presepe blu notte» (2007) di Guido Strazza (Santa Fiora, 1922), che accoglie il visitatore nel salone di ingresso della Fondazione Carispezia. Quest’ultima installazione, presentata negli ultimi anni in alcuni dei più prestigiosi musei italiani d’arte contemporanea, affronta la tematica del presepe rinunciando completamente all’approccio figurativo, utilizzando al posto delle tradizionali statuette forme geometriche collocate sul profondo blu di un grande cielo circolare.
Partendo dal legno, materiale al centro della sua ricerca scultorea, Roberto Almagno costruisce, invece, una narrazione intensamente spirituale. La sua scultura nasce in continuità con la spiritualità della natura. Nei boschi l’artista sceglie i rami di legno che, poi, lavora con il fuoco e l’acqua, levigandoli e incurvandoli sino a ottenere forme essenziali e sinuose, che, come un disegno, ritmano lo spazio danzando nell’aria.
Il percorso espositivo si completa con due nomi cruciali dell’arte contemporanea italiana: Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) e Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), artisti che a vario modo si sono relazionati con il tema della Natività e del presepe, ripensando la dimensione fisica e concettuale del linguaggio scultoreo e dell’iconografia sacra. Nell’allestimento della mostra, le filiformi creazioni metalliche di Fausto Melotti, prive di ogni monumentalità e retorica, attivano un dialogo intenso con il «Paesaggio» (1965) di Michelangelo Pistoletto, facente parte della serie degli «Oggetti in meno»: una piccola opera di cartone, carta colorata e figure di gesso, in cui manca l’immagine di Gesù Bambino.
Ad accogliere il visitatore in questo viaggio tra antico e contemporaneo alla scoperta del presepe è un’opera di Marco Lodola (Dorno, Pavia, 1955), concepita appositamente per l’occasione, che rallegrerà l’atmosfera della città proponendo un immaginario ludico e pop. «La condizione di sofferenza che viviamo oggi - racconta l’artista - è stata l’ispirazione da cui sono partito per rappresentare una rinascita luminosa, un senso di speranza, la fiducia in un cambiamento». Natale è anche questo, un tempo per andare oltre la paura del futuro.

Didascalie delle immagini
1. Anonimo artista lombardo, Complesso di figure da Presepe, seconda metà del secolo XVIII. Carta dipinta a tempera grassa incollata su cartone, scontornato e rinforzato da anime di ferro. Museo Giannettino Luxoro, Genova; 2. Presepe genovese, secolo XVIII. Museo Giannettino Luxoro, Genova; 3.Michelangelo Pistoletto, Paesaggio, 1965 (Oggetti in meno, 1965-1966), Cartone, veline, figurine da presepe, stracci, 70 x 40 x 20 cm. Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Biella. Foto: Archivio Pistoletto; 4. Una stanza della mostra spezzina; 5. In primo piano: Guido Strazza, Presepe blu notte, 2007 Legno, vetro, acciaio, Ø 300 cm. Museo Internazionale del Presepio Vanni Scheiwiller, Castronuovo Sant’Andrea (PZ); 6. Stanza dedicata a Maria Lai

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Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea. Fondazione Carispezia, via Domenico Chiodo, 36 – La Spezia. Orari di apertura: tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 11.00 - 20.00 (25 dicembre chiuso). Ingresso gratuito. Informazioni: www.fondazionecarispezia.it. Fino a domenica 30 gennaio 2022